I preparativi per sposarsi sono molti; la lista di nozze; il menu del pranzo; il viaggio dei sogni; il fotografo e la chiesa bella (altrimenti che ricordo rimane). Tutti impegni che distraggono dall’essenza del vincolo che si va a contrarre. Tra i giovani, sempre più spesso, la convivenza matrimoniale dura poco, frutto di scelte sconsiderate, affrettate, che alla prima difficoltà si infrange contro il muro dell’egoismo. In questa situazione è facile mollare tutto e pensare alla separazione, e poi al divorzio, oppure alla nullità del vincolo. Eventualità di cui si occupa il Tribunale ecclesiastico con competenza circa l’esame della definizione delle cause di nullità per i matrimoni celebrati con il rito religioso o concordatario; in Umbria ha sede a Perugia e ha sottratto ai tribunali diocesani la competenza in materia. “Perché un matrimonio possa essere dichiarato nullo – dice mons. Pierluigi Rosa del Tribunale ecclesiastico regionale umbro – si devono avere due sentenze conformi, una del tribunale umbro ed una di quello di Firenze, sede per l’appello. In caso contrario si può appellare alla Rota romana”. Il matrimonio religioso, per essere valido, presuppone la conoscenza da parte degli sposi degli obblighi matrimoniali, accompagnata dalle reali intenzioni di assumerli. “Gli sposi devono esprimere il proprio consenso liberamente – continua mons. Rosa – in modo maturo e consapevole. Il matrimonio cristiano si basa su tre elementi che, se esclusi dai contraenti, ne inficiano la validità: l’indissolubilità, questo perché segno dell’Amore di Dio per l’umanità che, anche quando si allontana dal Creatore non per questo Lui smette di amarla; la fedeltà, segno dell’Amore perpetuo ed unico di Dio; l’accettazione della prole. Escludendo anche uno solo di questi elementi il vincolo è nullo”. Esistono, poi, casi specifici che vengono presi in esame di volta in volta: il tossicodipendente che è presente nel contrarre matrimonio, ma non ha la capacità di comprendere appieno l’azione; oppure l’incapacità psichica o fisica (l’impotenza, vale a dire l’impossibilità all’unione, è motivo di nullità, a differenza della sterilità), l’immaturità, il difetto di discrezione di giudizio. “Quando la parte che promuove il giudizio, ritiene che sussistano motivi validi per richiedere la nullità si presenta la domanda al tribunale ecclesiastico – prosegue mons. Rosa – il vicario giudiziale sceglie, in numero di tre, i giudici che si occuperanno del caso, stabilendo l’ambito d’indagine. Si ascoltano le due parti, vengono sentiti i testi e, se occorre, si richiedono perizie psicologiche e fisiche. Dopo si procede al dibattimento, si ascoltano le osservazioni e, infine, si arriva alla sentenza. In Umbria nel corso del 2000 sono state introdotte 94 cause (più 79 pendenti dall’anno precedente) se ne sono concluse 99, dichiarate nulle 95, 3 respinte, una ritirata e per due è stata chiesta la dispensa papale per matrimonio non consumato”. Per quanto riguarda le spese “chi promuove l’azione è tenuto a versare 800 mila lire per i due gradi di giudizio, la somma restante (in media 4 milioni) è coperta dalla Conferenza episcopale italiana con i fondi dell’otto per mille. Il tribunale ecclesiastico stipendia due avvocati (patroni stabili) che danno consulenze gratuite. Se, invece, ci si rivolge ad un legale di fiducia è bene sapere che la Cei ha posto limiti (2/5 milioni e rimborso spese), oltre i quali non si deve andare. Se un legale chiede di più è bene riferirlo al vicario giudiziale che esclude l’avvocato dal patrocinio”. Mons. Rosa, da sacerdote, ha anche una parola sul sacramento: “viviamo in una società scristianizzata, dove l’80 per cento dei battezzati non ha contatti con la Chiesa. La crisi dei matrimoni, oltre che una crisi personale profonda, è una crisi di fede. La Chiesa si deve fare promotrice di una nuova evangelizzazione e far capire che il matrimonio è segno dell’Amore di Dio e, come tale, non può essere a termine”.
Come opera il Tribunale ecclesiastico
Quando si interrompe il cammino coniugale maturo e consapevole
AUTORE:
Umberto Maiorca