Questo numero de ‘La Voce’ esce il 18 aprile 2008, esattamente a 60 anni di distanza dalle famose elezioni del 1948, che decisero la permanenza dell’Italia nell’Occidente forgiato dal cristianesimo. In questo nostro 18 aprile noi in buona sostanza dobbiamo decidere se possiamo continuare ad ingozzarci di proteine animali o dobbiamo tornare ai carboidrati. Nelle discussioni pre-elettorali tra noi preti ho colto una netta involuzione del pensiero politico di noi cattolici, di noi che abbiamo contribuito come nessun altro all’equilibratura del profilo dello Stato laico, distante anni luce dal profilo dello Stato laicista. Come i gamberi. Esiste un ‘laicismo di facciata’ che è la copertura ideologica (leggi: il pretesto) per rinchiudere la Chiesa nelle sagrestie e impedirle di dire la sua, senza diritti di primogenitura, certo, ma anche senza esitazioni adolescenziali, in merito alla definizione del bene comune. Ed esiste un ‘laicismo in negativo’, che si nutre di ‘tolleranza’, di non-ostruzione: ‘Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu potessi continuare a coltivarla’, diceva Voltaire, e qualcuno gli ha pure creduto. La tolleranza da sola tracima sempre in indifferenza. Ma esiste una ‘laicità in positivo’, che per noi cristiani ha il suo fondamento addirittura nel comando del Creatore, che in principio volle che ogni realtà crescesse ‘secondo la propria specie’. Una ‘laicità in positivo’, che per tutti gli uomini di cultura ha il suo fondamento in quella ‘cultura della autonomie’ che il Rinascimento elaborò e che oggi costituisce la croce e la delizia dei nostri incontri e dei nostri scontri. ‘Laicità in positivo’ vuol dire accoglienza cordiale ed esaltazione entusiasta di ogni contributo serio alla definizione di un profilo alto, altissimo della parola ‘Vita’. Una laicità in tensione verso il superamento dell’individuo a vantaggio della persona, e dello stato a vantaggio della comunità: persona e comunità in rapporto dialettico, di reciproca definizione. Alla luce dell’utopia come motore della storia. Una cultura che a volte mi è sembrata oggi come sepolta (‘come i gamberi’) da una specie di neo-qualunquismo pseudo-religioso. Don Sandro, mio amico e maestro, mi ricordava quando, da ragazzo, in tempo di elezioni, all’alba, accompagnava il suo parroco a gridare sotto le finestre di questa o quella ‘pecorella smarrita’: ‘Comunistacci, scomunicati, pentitevi, andrete diritti all’inferno!’. Vogliamo riattivare quel tipo di’ ‘appelli alla conversione’? E vabbe’, facciamolo, da gamberi sagaci. Ma senza dimenticare che, almeno dalle nostre parti, essi valsero alla sinistra di allora (Pci + Psi) ‘a stabile permanenza oltre il 70% dei voti.
Come i gamberi?
AUTORE:
Angelo M. Fanucci