Gianluca Marchetti*
Quella degli abusi è un’emergenza sociale grave e globale, che certamente esige un intervento repressivo importante; ma ancor di più, una presa di coscienza personale e collettiva, un vero e proprio cambio di mentalità. Prevenire situazioni di abuso non può ridursi alla semplice reazione di protezione dei minori che subiscono o potrebbero subire violenza (child protection), ma necessita di uno sforzo complessivo che dalla reazione passi alla pro-azione per garantire ai più piccoli ambienti e relazioni sicure ed efficaci per crescere al meglio (safeguarding).
In tutto questo, la Chiesa non è ferma alle postazioni di partenza, ma da sempre in prima linea, occupandosi e prendendosi cura dei più deboli e fragili con grande e indiscussa generosità di persone e istituzioni, perché la cura, la custodia e la protezione dei piccoli sono parte integrante della sua natura. Vero è purtroppo che la piaga degli abusi sui minori e le persone vulnerabili colpisce pure la Chiesa, non solo perché costituita di famiglie, ma anche perché in questi crimini sono stati coinvolti alcuni che nella Chiesa hanno ruoli di responsabilità e guida.
Dunque, se crimini gravissimi come gli abusi sessuali sui minori vanno perseguiti con la massima severità ovunque essi accadano, ancor più se in ambito ecclesiale, tuttavia la loro punizione – per quanto assolutamente necessaria e doverosa – non può ritenersi sufficiente: non è certo possibile cancellare quanto avvenuto, ma ci si può legittimamente domandare cosa fare perché non capiti di nuovo e non capiti ad altri. In altre parole, ci si può chiedere se dall’orrore dell’abuso e magari dagli errori di una gestione indifferente, negligente se non complice, possano venire indicazioni non solo di reazione al delitto, ma di prevenzione e pro-azione.
È questo l’indirizzo assunto dalla Chiesa che è in Italia con le Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili approvate dall’Assemblea generale dei vescovi del 20-23 maggio 2019. Partendo dall’ascolto delle vittime, prendere coscienza del dramma degli abusi e del loro effetto devastante sulle persone e sulla comunità, per quella conversione personale e comunitaria che sollecita, motiva e supporta la costruzione di ambienti sicuri per i più piccoli. Solo su queste solide basi si possono prevenire comportamenti delittuosi.
Se di grande importanza è dunque favorire l’emersione di questi delitti, anche se accaduti in passato, perseguendoli quindi senza tentennamenti, non di minore priorità è far maturare la consapevolezza e corresponsabilità comunitaria, vincendo così le logiche della delega e dell’indifferenza. Si tratta, dunque, di informare e formare la comunità in tutte le sue espressioni, specialmente coloro che operano, a qualsiasi titolo, in rapporto con i minori e le persone vulnerabili, consolidando in questo modo una cultura della cura, della tutela e della protezione dei più piccoli.
* membro del Consiglio di presidenza del Servizio Cei per la tutela dei minori