L’incontro tenutosi a Perugia, presso la Sala del Dottorato, con Giuseppe De Rita il 3 dicembre u.s., sul tema del lavoro nella società che cambia, mi spinge a proporre qualche ulteriore riflessione; a ciò mi sollecita anche la segnalazione, recentemente compiuta dalla stampa locale, di un crescente malessere (forme di disagio psicologico, anche grave, di sfruttamento di varia natura, di evasione degli obblighi contributivi,…) avvertito anche nel mondo del lavoro umbro, in particolare da lavoratori occupati in forme di lavoro cosiddette ‘atipiche’ (lavoro a termine, a part-time, interinale, collaborazioni coordinate e continuative,…). Proprio con riferimento a queste forme di lavoro ‘atipiche’, destinate a soddisfare le esigenze di flessibilità delle imprese in presenza di una concorrenza crescente e di una domanda in continuo mutamento, ed a venire incontro, al contempo, alle esigenze di una modulazione differenziata dei tempi di lavoro da parte di segmenti specifici dell’offerta di lavoro (donne con carichi di famiglia, studenti,…), si pone con forza il dilemma ‘flessibilità/sicurezza’ posto al centro del recente Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia (ottobre 2001), vero banco di prova per la classe dirigente del nostro Paese (e non solo): è possibile soddisfare al contempo le richieste di flessibilità delle imprese e quelle di sicurezza avvertite dai lavoratori ? Ciò che viene in evidenza è invero la difficoltà di diffondere su vasta scala un lavoro che soddisfi le esigenze complessive della persona. Questa è coinvolta dal lavoro in molteplici orizzonti di interesse e di azione (anche se il lavoro non esaurisce la totalità di questi: il Novecento mostra i disastri provocati da concezioni totalizzanti del lavoro). Come è stato recentemente sottolineato da F.Totaro, un lavoro ben impostato dovrebbe soddisfare per ogni persona una triplice relazione: con il proprio mondo interiore (requisito di autenticità, attraverso l’espressione della propria personalità nel lavoro), con il mondo degli altri soggetti (con cui condividere modalità e risultati del lavoro: requisito della socialità), con il mondo degli oggetti prodotti (requisito dell’efficacia, per la produzione di oggetti affidabili e disponibili all’uso). Rispetto a questa ipotesi, in linea con la concezione cattolica della persona, la realtà è molto lontana; con riferimento specifico alle normative sopra ricordate, esse tengono conto di alcune esigenze riguardanti sia l’adattamento del lavoro alla produzione, sia alcuni aspetti della realizzazione di sé (in linea con le diffuse tendenze sociali alla soggettivizzazione sottolineate da De Rita, o con l’ ‘individualismo istituzionale’ di Beck), ma non di altre esigenze, tra cui quelle connesse allo sviluppo della vita individuale e relazionale (es.,costruire una famiglia, dotarsi dei beni durevoli necessari,…) esigenze che richiedono continuità e sviluppo di opportunità lavorative…Molto cammino va compiuto in questa direzione. Il Libro bianco suddetto suggerisce di modificare il concetto di sicurezza: dalla difesa dello specifico posto di lavoro all’assicurazione di una piena occupabilità per tutto l’arco della vita lavorativa. Ciò richiede un complesso sistema di interventi aventi ad oggetto l’informazione, la formazione, gli ammortizzatori sociali e gli incentivi all’occupazione, gli strumenti di previdenza integrativa… Per un funzionamento efficiente ed equo dei mercati locali del lavoro, acquista una valenza particolare il profilo delle politiche locali (tenendo conto dei recenti trasferimenti di competenze ai livelli di governo regionali), nel presupposto di una collaborazione piena e sincera tra le parti sociali, e tra queste e il potere pubblico.
Come conciliare produzione e realizzazione di sé?
AUTORE:
Pierluigi Grasselli