“Cosa cambia e cosa sta cambiando, che senso ha la parola cambiamento riferita alla Chiesa, e quanto è cambiato a partire dal Concilio Vaticano II? La fede è cambiata? Cosa significa credere nel post-moderno, in una società liquida, dove regna la mutevolezza?”. Con questi interrogativi don Romano Piccinelli, preside dell’Istituto teologico di Assisi e direttore della Scuola diocesana di teologia “Cesare Pagani”, ha introdotto l’incontro conclusivo del 2013 della stessa Scuola di teologia tifernate.
L’appuntamento, intitolato “Essere Chiesa oggi, che cosa è cambiato?”, si è aperto con l’introduzione del vescovo mons. Domenico Cancian. Di seguito il microfono è passato a Francesco Testaferri, docente di Teologia fondamentale nell’Istituto teologico di Assisi.
Testaferri ha esordito proponendo un’analisi dell’attuale società “liquida”, in contrapposizione a quella solida, omogenea e ben strutturata che l’ha preceduta. “Avere fede in passato significava muoversi in un orizzonte di certezze: la fede era una certezza e si basava su alcune competenze, anche esteriori, come conoscere a menadito il catechismo o partecipare in modo ineccepibile al rito, assolvendo a pratiche e preconcetti che rientravano nello standard del cristiano”.
“Noi oggi – ha proseguito – siamo invitati a rileggere la fede in prospettiva biblica, riconfigurandola partendo da un diverso modello e considerandola non più come certezza ma come avventura. Non dobbiamo abbandonare il deposito accumulato precedentemente, ma dobbiamo transitare da un paradigma di fede basato sulla conoscenza a uno basato sul Mistero. Non c’è da inventare una fede nuova, ma una fede differente, in cui noi cristiani dimostriamo di non sapere tutto, e che esiste una Realtà più grande di noi, che a volte può anche sfuggirci. Bisogna superare il vicolo cieco di una fede nozionistica, con il coraggio, però, di esporci al Mistero”.
“La crisi della cristianità – ha poi affermato, parlando dell’attuale situazione del cristianesimo nella società – può significare una risurrezione per il cristianesimo. Non dobbiamo aver paura di veder crollare i modelli precostituiti; che questi modelli battano la fiacca è un fenomeno che va di pari passo con la crisi della cristianità. Il fallimento di certi tipi di strutture è il segno dei tempi. Oggi la Chiesa, riconfigurando la propria identità, è chiamata a una conversione: riconfigurare il suo ruolo sociale e la sua incidenza politica, ed è invitata a cogliere la provocazione del Vangelo di riaprire le porte al mondo e agli altri”.
“La Chiesa – ha poi proseguito Simona Segoloni, docente di teologia dogmatica all’Istituto teologico di Assisi – deve guardare al contesto contemporaneo come ad un’opportunità, e questo è un atteggiamento squisitamente post-Concilio Vaticano II. I Padri conciliari hanno inteso aprire la Chiesa dal suo secolare isolamento e permetterle di essere se stessa nel mondo contemporaneo, per svolgere il compito della evangelizzazione. Prima del Concilio, la Chiesa era al centro anche della fede. Per raggiungere la fede, infatti, era necessario passare per la Chiesa, che aveva una funzione di centralità. Dopo il Concilio, invece, come si legge anche nel primo paragrafo della Lumen gentium, è stato rimesso Cristo al centro della fede, mentre la Chiesa si è sbilanciata verso l’esterno: verso il dialogo e l’incontro”.
“La Chiesa – ha aggiunto – con il Concilio si è resa conto che ciò che le appartiene è custodire l’evento di Gesù, affinché tutti gli uomini possano riscoprirlo. Al cuore della questione c’è il vivere il Vangelo, il quale va messo al centro, per testimoniarlo”.