Un’oretta di chiacchiere e lui m’ha convinto. Ho acquistato la pubblicazione che ricorda i primi 500 anni della basilica di San Pietro. A rate. L’ennesima serie di rate. Da buon italiano medio/mediocre. Questa basilica l’ho ammirata con l’enfasi del seminarista imberbe: 1950, in pellegrinaggio. Il dito indice costantemente proteso, in direzione cangiante. Gridolini di meraviglia appena sussurrati: ‘Guarda, il baldacchino del Bernini in bronzo fuso è alto quanto il palazzo dei Consoli’; ‘Guarda, la penna di San Matteo su quel pilastro, lassù: è lunga un metro e ottanta’: con la sicurezza di chi l’ha misurata; ‘Ognuno dei quattro pilastri della cupola è grande esattamente quanto la chiesa di Santa Maria al Corso’. ‘Esattamente’. In questa basilica, nel suo livello sotterraneo più basso, ho vissuto un’intensissima esperienza di fede. Fu quando il prof. Iosi, docente di Archeologia cristiana al Laterano, accompagnò noi studenti del I anno di Teologia a vedere da vicino i risultati degli scavi intorno alla tomba di san Pietro, che lui aveva guidato per molti anni. Doveva essere un visita di studio. Ma quando avemmo percorso con lui il cunicolo che attraversa le fondamenta in mattoni, 10, forse 20 metri di larghezza, e ci trovammo di fronte al muretto e alle lastre di piombo dietro ai quali qualcuno aveva sepolto nella nuda terra il povero corpo di uno schiavo anonimo macellato dal Potere, Iosi con la voce rotta ci disse: ‘Inginocchiatevi ragazzi, lì dietro c’è quello che rimane del corpo di Pietro!’. In ginocchio recitammo il Credo, con grandissimo fervore, noi, recenti pesciolini catturati da colui che abbandonò la sua azienda ittica e partì da Cafarnao per diventare pescatore di uomini. Questa basilica, da giovane prete contestatore, l’ho vista come un pugno nello stomaco rifilato a Martin Lutero. Con padre Tetzel o.p. che vendeva (svendeva) indulgenze, e Leone X che era a caccia per i prossimi tre mesi, e quel pavimento, pagato (si vociferava) con la tassa sulla prostituzione. Questa basilica oggi la amo con tutto me stesso, ma senza più mitologie di sorta. Come una realtà nella quale il sublime umano, dispiegato in tutta la sua magnificenza, impatta senza fondersi con l’impalpabile presenza dell’Alito che all’inizio trasformò il kaos in kosmos, e che la sera di Pasqua Gesù consegnò ai suoi perché fossero rimessi i peccati e contrastato il male in ogni sua forma. P.S. Quando sparirà la scritta che campeggia sul frontale? Paulus Quintus Burghesius Romanus. Era indispensabile ricordare, proprio lì, l’appartenenza di Paolo V al ‘generone’? Era un Borghese o un Colonna il nobiluomo al quale Leone XIII, secoli dopo, offrì da fumare, e lui rispose: ‘Grazie, Santità, non ho questo vizio’, e il Leone canuto rilanciò: ‘Se fosse un vizio, Lei ce l’avrebbe di sicuro’. Diceva ‘Lei’ ma pensava a tutti Lorsignori, ricordate?
Cinquecento anni
AUTORE:
Angelo M. Fanucci