di Stefano De Martis
Da qualche tempo il tema degli immigrati come “pericolo” è tornato a fare breccia nell’opinione pubblica, e non solo in Italia. Non che fosse stato del tutto cancellato dai menù della propaganda politica, piuttosto era stato sopravanzato da altre paure, queste sì fondate e reali: prima la pandemia, poi la guerra. Il Covid però è stato sostanzialmente sconfitto; e alla guerra, purtroppo, si rischia di fare in qualche modo l’abitudine, se proprio non arriva dentro casa… Questo, almeno, è quanto riferiscono sondaggisti e sociologi.
La paura degli immigrati
Ma non si fa fatica ad averne conferma empirica anche attraverso un’osservazione meno rigorosa delle dinamiche della comunicazione e dell’informazione. Del resto la paura degli immigrati, che pure trova terreno fertile nelle conseguenze profonde di una globalizzazione ideologizzata e scomposta, è al centro di un circolo vizioso da cui è difficile uscire: gli stessi soggetti, politici e non, che riescono a inculcarla e ad alimentarla nell’opinione pubblica, poi ne sono fortemente condizionati perché si ritrovano a dover assecondare gli impulsi che loro stessi hanno sollecitato.
La Ue non riesce ad imprimere una svolta alla politica migratoria
Quando poi sono in vista dei passaggi elettorali – e, a prescindere da rilevanti appuntamenti nei singoli Stati, tra un anno si voterà comunque in tutta l’Unione europea –, il meccanismo diventa ancor più stringente. Ed è uno dei motivi per cui l’Ue non riesce a imprimere una svolta effettiva alla politica migratoria, anzi compie un passo avanti e uno indietro, come ha dimostrato anche il recentissimo accordo di Bruxelles. “Un compromesso cinico-politico”, lo ha definito il commissario europeo Paolo Gentiloni, ed è tutto dire. Lo spauracchio degli stranieri fa leva su pulsioni così intense che diventa difficile contrastarlo con argomenti razionali, anche ponendosi non su un piano umanitario e solidale – che dovrebbe essere prioritario quando si tratta di persone – ma su quello dell’economia.
Necessario il contributo degli immigrati
La situazione demografica del nostro Paese, per esempio, rende assolutamente necessario il contributo degli immigrati. Sono mesi che lo ripetono imprenditori e associazioni di categoria. Anche investendo tutte le energie possibili sulla promozione della natalità, com’è doveroso fare, almeno nei prossimi vent’anni non si potrà contare su “un aumento endogeno delle forze di lavoro”, per usare le parole di Ignazio Visco nella sua ultima relazione da governatore della Banca d’Italia
Potenziare i canali di ingresso regolari
In uno scenario del genere – fermo restando il dovere universale di salvare e di accogliere chi è in fuga –, la preoccupazione numero uno delle autorità politiche dovrebbe essere il potenziamento dei canali di ingresso regolari e dei percorsi di integrazione. L’accento continua invece a essere posto su rimpatri e respingimenti, in ossequio a una narrazione che vede l’arrivo degli immigrati come un’invasione da contrastare con ogni mezzo, addirittura evocando lo spettro della “sostituzione etnica”. In realtà, mentre gli sbarchi aumentano (e questo pone senza dubbio un problema in termini di accoglienza), il numero dei migranti effettivamente presenti sul territorio nazionale rimane sostanzialmente stabile dal 2018, con poco meno di 6 milioni di presenze.