di Pier Giorgio Lignani
Come spesso mi succede quando scrivo i miei commenti, i tempi tecnici della pubblicazione e della distribuzione del giornale fanno sì che quando leggerete queste righe avrete già saputo quello che io, mentre scrivo, non posso sapere: e cioè come sarà andato a finire il tormentone delle trattative fra Di Maio e Salvini, se avranno deciso di abbandonare la partita o, al contrario, avranno trovato l’accordo. Nel secondo caso, avrete saputo anche il nome del nuovo primo ministro, mentre io adesso non provo neanche a indovinarlo.
Qualche cosa la posso dire comunque. Per esempio, che proprio questo fatto è di una stravaganza assoluta. Parlo del fatto che due forze politiche emergenti stiano a discutere giorni e notti intorno a un programma di governo – un programma tanto preciso da essere consacrato in un “contratto” – lasciando come ultima cosa la scelta dell’uomo (o della donna) che ne sarà il capo. Come ha detto una persona di buon senso come l’onorevole Giorgia Meloni, è come se uno organizzasse la sua festa di matrimonio e mandasse anche gli inviti, senza avere ancora deciso chi sarà la sposa. Non è vero che, una volta fatto il programma (o il “contratto”), tutto è deciso e la scelta del capo del governo è una faccenda secondaria. Infatti già il giorno dopo che un nuovo governo è entrato in carica possono succedere cose che nessuno aveva previsto e che richiedono decisioni immediate. Viviamo, per dire, in un mondo nel quale Trump da un giorno all’altro decide di fare la pace con la Corea del Nord – dopo 65 anni – e nello stesso tempo di rompere gli accordi con l’Iran sull’armamento nucleare, di scatenare una guerra commerciale con la Cina e con l’Europa, di soffiare sul fuoco in Medio Oriente, e non so che altro. A parte Trump, potrebbe succedere che lo spread vada a 700 (è già successo nel 2011), che qualche grande banca americana fallisca (idem), che una setta di fanatici suicidi butti giù qualche grattacielo a New York. Ecco perché, piuttosto che un minuzioso “contratto” sui dettagli ci vuole un consenso di fondo sui grandi indirizzi e la fiducia nella capacità dei governanti di far fronte con prontezza e flessibilità alle sorprese della vita.