Chirurgia, disagi al Santa Maria

Letti e privacy,'le emergenze' dei pazienti. E il personale paramedico, sotto pressione, teme di fare gravi errori

La brutta immagine di un ospedale. Tra inchieste, gru e i molti “lamenti” di chi vi lavora ogni giorno. Tutti dentro. La fine delle ferie estive riconsegna anche all’ospedale di Perugia un personale più sereno e ristorato. È stata un’estate “bollente” per i lavoratori del Santa Maria della Misericordia, medici, infermieri e quant’altri. L’inchiesta della magistratura sull’assenteismo è servita sì ad individuare “le mele marce” (un’ottantina di persone che truccavano i marcatempo), ma inevitabilmente ha anche screditato l’immagine complessiva dell’azienda ospedaliera e di chi ogni giorno vi opera. “A volte – racconta un medico – quando attraverso i corridoi dei reparti o le sale di attesa, sento la gente sghignazzarmi dietro facili battute, del tipo: chissà se questo qui ha bollato il cartellino oggi… Eppure il mio lavoro l’ho sempre fatto seriamente, come tanti altri miei colleghi”. Un’altra impressione che si ricava dalle facce, dagli ammiccamenti, dalle mezze parole, parlando qua e là con chi l’ospedale lo vive tutti i giorni, è che quell”ambiente sanitario percepiva già da tempo la presenza delle ‘mele marce’ al suo interno. Che passavano nell’immaginario collettivo come ‘i soliti protetti’ dall’alto. Se l’impressione sia giusta o no, toccherà ai magistrati trovare conferme e, se sì, salire più in alto rispetto ai caposala arrestati. Di certo c’è che l’attuale immagine del Santa Maria della Misericordia è quella di un ospedale sofferente. Anche nelle strutture. Il mega-cantiere di Sant’Andrea delle Fratte è ancora a cielo aperto e lo resterà per molto tempo, nell’era del trasferimento ‘a singhiozzo’ dei reparti dal policlinico di Monteluce e da via del Giochetto.

Il direttore generale dell’ospedale, Walter Orlandi – che punta anche alla riduzione dei dipartimenti, considerando per ora efficaci solo il Pronto soccorso e l’Oncoematologia – non si nasconde dietro un dito, consapevole di tutte le difficoltà per reperire spazi utili ai reparti, ai primari e ai malati. ‘Sarebbe stato meglio concludere i lavori e poi iniziare i trasferimenti’, ha detto. Una cosa logica, ma la logica è mancata, e oggi Perugia è ancora lontana da quel centro d’eccellenza sanitaria tanto desiderato. (pa. gio.)La situazione è ormai diventata insostenibile. La nostra paura è che con questo correre da un paziente all’altro, tra mille altre incombenze, qualche cosa possa sfuggirci di mano, e la colpa poi ricadrebbe su di noi’. A parlare è una delle infermiere del reparto di Chirurgia d’urgenza dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, in una normale giornata d’agosto, mentre si affanna insieme ad una collega a preparare l’ennesimo letto lungo la corsia del reparto (tempo fa si è arrivati addirittura ad un massimo di nove), uno di quelli tirati fuori all’occorrenza, e montati li per lì, per ospitare l’ultimo paziente arrivato. E gli è andata comunque bene, perché “fino a qualche tempo fa – prosegue l’infermiera – se il reparto era al completo, al posto dei letti trovavi una barella. Con il rischio, vista l’assenza di sponde, di ritrovarti per terra solo se ti muovevi un po’ di più”.

Un mese fa, infatti, dopo l’intervento dei Nas, le barelle utilizzate per eventuali ricoveri in eccedenza sono state sostituite dai letti. Interessato dai nostri discorsi, poco più in là, disteso su un letto appena nascosto da un paravento, un anziano ricoverato nella notte ci guarda e commenta: “Ha mai provato lei a dormire per otto ore su una barella? Ci provi e vedrà come ci si rompe la schiena!”. “Purtroppo i letti a disposizione in più erano terminati e l’alternativa è stata quella” risponde l’infermiera, indicandola ancora abbandonata lungo il corridoio. “E pensare che questo dovrebbe essere un ospedale all’avanguardia” commenta un familiare seduto accanto ad uno dei cinque pazienti disposti lungo la corsia. Sono tutti distesi nei letti, in attesa che si liberi un posto in una delle 14 stanze a disposizione del reparto, in ognuna due letti. Certamente non è un bello spettacolo: cerchi di non farci caso, di guardare davanti a te, per concedere a quelle persone un po’ di privacy. Uomini e donne, giovani e meno giovani insieme: a dividerli solo dei paraventi, che spesso coprono appena. Quando sei dolorante, attaccato ad una flebo, magari assonnato, non fai caso a quello che ti circonda e dormi, pensi tra te. Ma il disagio lo cogli, magari, quando arriva l’ora delle visite: voci di quà e voci di là, un viavai continuo di persone, intere famiglie si riversano nelle stanze e nei corridoi, tanto che le infermiere sono costrette ad allontanare alcuni di loro per dare al reparto un po’ di tranquillità.

“La notte scorsa – racconta un’altra infermiera – è stata da incubo. Nel giro di poche ore sono stati ricoverati sei pazienti, alcuni dei quali operati d’urgenza nel giro di poco tempo. In tutto erano ricoverati trentaquattro pazienti con due infermiere di turno, anche se poi abbiamo chiamato un reperibile. Non ce la facciamo più e la situazione non migliora”. Ormai sono due anni che si va avanti così, nell’incertezza – raccontano – e certamente non si lavora tranquilli. Spesso per compensare la carenza di personale è necessario fare doppi turni, straordinari: chi va in pensione non viene sostituito. Il disagio è palpabile tra il personale infermieristico, e non solo. Il problema, sostengono, è nella gestione degli ingressi, divisa tra le due Chirurgie del Santa Maria. Perché non unificare la responsabilità della gestione? Forse qualche miglioramento si potrebbe avere. E poi i letti: la disponibilità è sempre quella, e a volte vengono occupati in maniera impropria, quando invece alcuni pazienti potrebbero essere ricoverati presso altri reparti interni. In questo modo si darebbe più spazio alle urgenze, a chi nel giro di 24 – 48 ore deve essere operato. Anche il cosiddetto “osservatorio breve”, allestito presso il Pronto soccorso, con 6 posti disponibili, non risolve la situazione. La soluzione va certamente trovata altrove e al più presto. Il paziente non può aspettare.Manuela Mariani