di Gualtiero Bassetti
English: “The Church and the pandemic: The value of life”
Da un po’ di tempo ha preso forma un dibattito pubblico che si interroga sul mondo “dopo” la pandemia: un mondo diverso da quello attuale (forse), in cui bisognerà ripensare se stessi e il sistema di relazioni interpersonali. Tutto giusto ed encomiabile. A me sembra però che questa pandemia, così improvvisa e sconvolgente, ci interroga soprattutto sull’oggi. Un oggi che non può fare a meno, si badi bene, del suo recente passato, e che ci fornisce almeno quattro spunti di riflessione sugli effetti prodotti da questo “nemico invisibile”.
Innanzitutto, il Covid-19 ha messo bene in luce chi sono gli ultimi della nostra società, i più fragili, i più indifesi e, in poche parole, coloro che hanno maggior bisogno di protezione e tutela: ovvero, gli anziani. Essi non possono essere considerati soltanto come una “categoria protetta” e, men che meno, come un “costo” oneroso per le istituzioni pubbliche. Al contrario, gli anziani rappresentano, con la loro sapienza di vita, la chiave di volta della nostra architettura sociale, il collante tra le diverse generazioni e una fonte di ricchezza inesauribile a cui i giovani possono e debbono attingere.
In secondo luogo, la pandemia ha rimesso al primo posto alcuni temi che l’uomo moderno cerca costantemente di rimuovere: la morte, la sofferenza e la fragilità. Gli esseri umani sono da sempre alla ricerca di un nuovo Prometeo che li liberi dalle catene della loro caducità. Una ricerca vana. Le ideologie politiche degli ultimi secoli non hanno reso l’uomo più libero e felice. Soprattutto, non l’hanno reso immortale. Da alcuni decenni, poi, le fedi politiche sono state sostituite da una fiducia, spesso acritica, nei confronti del progresso tecnologico. Oggi, però, il coronavirus ha rimesso in discussione anche la speranza di una redenzione umana attraverso la scienza.
In terzo luogo, questa difficile situazione sanitaria ha posto al centro del discorso pubblico una riflessione seria e autorevole sulla libertà di pensiero. Che non significa – è doveroso sottolinearlo – esprimere a piacimento tutto quello che passa per la testa, senza preoccuparsi di verificare la fondatezza delle proprie dichiarazioni, e soprattutto senza assumersi la responsabilità di ciò che si afferma. Bene ha fatto, dunque, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dire che “non possiamo e non dobbiamo dimenticare” i morti di questa pandemia, e soprattutto che è necessario evitare di “confondere la libertà con il diritto di far ammalare altri”. È questo il tempo della responsabilità e della serietà, lasciando da parte, per il bene di tutti, fake news, negazionismi e “cattiva informazione”.
Infine, l’ultimo elemento di riflessione riguarda la riorganizzazione della vita comune. È necessario farlo oggi in vista del domani. I dati della crisi economica che leggiamo su tutti i giornali sono spaventosi. Le saracinesche ancora chiuse che vediamo in alcuni negozi lasciano amarezza e inquietudine. Perché dietro quelle saracinesche ci sono uomini, donne e famiglie. Occorre ritornare a vivere con prudenza e cautela, ma occorre ripartire. Con il cuore ferito dalla prova, anche la Chiesa italiana si prepara a iniziare il nuovo anno pastorale, e ha preparato un documento che sarà inviato a tutte le diocesi. Un documento di speranza, e non certo di pratiche burocratiche da espletare nelle chiese.
Durante il periodo di lockdown, con grande senso di responsabilità, misto a sofferenza, abbiamo accolto le disposizioni governative. Oggi siamo chiamati ad andare oltre. Il tempo presente ci chiede, infatti, di non restringere gli orizzonti del nostro discernimento e del nostro impegno soltanto ai protocolli o alla ricerca di soluzioni immediate. Siamo infatti all’interno di un grande cambiamento d’epoca, che richiede un rinnovato incontro con il Vangelo e un nuovo annuncio del kérygma: un incontro e un annuncio per promuovere e difendere ovunque il valore della vita.