Chiarezza sul sacramento

Relazione annuale al Tribunale ecclesiastico regionale

Il Tribunale ecclesiastico regionale umbro ha celebrato giovedì 14 maggio il suo ‘dies annualis’ alla presenza del segretario del Pontificio consiglio per i testi legislativi mons. Juan Ignacio Arrieta, il quale ha svolto la prolusione su un tema tecnico quale ‘La lex propria del Supremo tribunale della Segnatura apostolica’. La giornata è stata anche occasione per fare il punto sull’attività del Tribunale, al quale compete decidere sulla eventuale nullità del sacramento, qualora uno dei coniugi ne faccia richiesta. È un tribunale particolare perché ha il solo compito, e non è poco, di verificare se un matrimonio religioso, che è un sacramento, sia stato validamente celebrato oppure no. Al Tribunale ecclesiastico regionale umbro (Teru) si rivolgono alcune decine di persone ogni anno (81 nel 2008) chiedendo alla Chiesa di fare chiarezza sulla loro condizione. E la decisione del Tribunale in virtù del Concordato produce effetti civili come li produce la celebrazione del matrimonio. Le ragioni per cui ci si rivolge al Tribunale ecclesiastico possono essere varie, commenta mons. Pierluigi Rosa, presidente del Teru. Si va dall’esigenza avvertita da uno dei coniugi di regolarizzare davanti alla Chiesa una nuova unione e la dichiarazione di nullità consente di celebrare il matrimonio in Chiesa, fino alla volontà meno nobile di eludere gli obblighi che derivano da una sentenza di divorzio. Di certo in quest’ultimo caso ‘nessuno ammette il reale motivo’ commenta mons. Rosa, ma se ne avverte la spinta ‘nella litigiosità del coniuge’. E per evitare questo possibile abuso la tendenza del Tribunale è di accettare le cause solo quando la separazione dei coniugi sia già stata sancita da un tribunale civile, anche perché ‘se ci sono ancora questioni economiche aperte la tensione tra le parti non consente neppure un lavoro sereno nella valutazione dei fatti’. Il Tribunale parte sempre dal presupposto della validità del matrimonio celebrato secondo il rito cattolico, per cui deve verificare se nella celebrazione sono state rispettate non solo la forma ma anche la sostanza di quanto celebrato. In un solo caso c’era un ‘difetto di forma’. Nella maggior parte delle cause conclusesi a favore della nullità del matrimonio la ragione è stata individuata nella ‘incapacità’ di uno o di entrambi i coniugi. È il Canone 1095 del Codice di diritto canonico a definire la persona ‘incapace’ a contrarre il matrimonio come ‘coloro che mancano di sufficiente uso di ragione’ (par. 1), ‘coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali’ (par.2), ‘coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio’ (par. 3). Nell’ultimo anno su 93 matrimoni riconosciuti nulli per 58 è stata accertata l’incapacità di cui parla il canone 1095 ai paragrafi 2 e 3; solo 16 per esclusione della indissolubilità del vincolo e 14 per esclusione della prole. La tendenza è confermata da diversi anni, commenta mons. Rosa, e riflette la crescente fragilità dei giovani. Confermata anche la tendenziale diminuzione delle cause introdotte presso il Tribunale dovuta, osserva sempre mons. Rosa, da un lato alla crescente scristianizzazione della società, per cui sempre meno persone nel caso di una nuova relazione sentono l’esigenza di chiarire la loro posizione con la Chiesa, dall’altro lato si registra anche una maggiore consapevolezza dell’atto compiuto in coloro che scelgono di sposarsi in Chiesa.Chi ricorre al tribunale ecclesiastico? Uomini e donne che hanno dai 30 ai 50 anni (71 su 94) con una prevalenza di quarantenni (45), con una storia matrimoniale di breve durata (77 su 94 separati entro i dieci anni, 24 entro i primi due) e di condizione sociale medio alta (i 2/3 degli interessati).

AUTORE: Maria Rita Valli