In questo Vangelo del periodo post-pasquale, Gesù, ricorrendo a una metafora densa di significati, molto usata nell’Antico Testamento, mostra la natura del legame radicalmente nuovo che Dio – attraverso di lui – instaura con gli uomini di ogni tempo, aprendo una altrettanto radicale relazione tra loro, che frutta una vita di comunione, come “di famiglia”, dove ciascuno può sentirsi amato personalmente.
La metafora del pastore e delle pecore è, per i tempi di Gesù molto eloquente. Bisogna ammettere che oggi la nostra cultura ostacola la comprensione di questa metafora, rendendo difficile la comunicazione della ricchezza dei significati che Gesù vuole trasmettere. Forse nelle comunità ecclesiali più vive e in quelle nate dai carismi, se ben radicate nella Chiesa, si può cogliere il senso di questo legame nuovo che il Risorto stabilisce con la famiglia umana donandole la fraternità in Dio Padre. Con le sue manifestazioni da risorto, Gesù aveva eliminato la categoria del Dio lontano e inaccessibile, della necessità del mediatore, dei sacrifici propiziatori, per stabilire un rapporto vitale, diretto, intimo e personale con ogni uomo.
Ora, con questo Vangelo, la Chiesa torna a sottolineare ed evidenziare l’avvento della sconvolgente novità donataci da Gesù risorto: la possibilità di accedere – ciascuno, e insieme – a una intima, reale, gioiosa unione con Lui, ricevendo un’identità nuova nella sua unicità e diversità. Il pastore conosce le pecore una a una, le ama una a una nelle loro differenze, ma ne garantisce la coesione, il vivere insieme. Questo fa Gesù dopo la risurrezione, edificando la Chiesa. Siamo chiamati da Dio con il nostro vero nome, così come solo Dio può chiamarci, con la voce unica del Dio innamorato, amante della creatura. Le pecore possono ascoltare la Sua voce perché Egli le chiama per nome. Una sconvolgente notizia per l’uomo di oggi, che come persona si sente sempre più avvilito e frustrato dall’individualismo, dalla solitudine, dalla violenza, dalla brutalità della vita, dallo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, dal clima di anonimato tipico della nostra civiltà, che lo rende “numero”, dalla manipolazione politica dell’opinione pubblica a scopo di potere… L’uomo solo, contro tutti e tutto, abbandonato (per usare l’immagine biblica di questa domenica) come pecora senza pastore, può, se raggiunto efficacemente dalla presenza viva e toccante del Risorto, uscire dalla condizione in cui si trova.
Gesù Pastore instaura rapporti personali con ciascuno di noi, rapporti d’amore, d’affetto, rapporti dove non è possibile naufragare nell’anonimato. Egli ci conosce, noi lo conosciamo. Lo sentiamo vicino in ogni istante della nostra vita, interessato con amore alla nostra avventura umana. Noi siamo le pecore malate, stanche, abbandonate, oggetto per sempre della sua promessa e della sua beatitudine: “Non andranno mai perdute”. Per loro, Cristo è disposto a dare la vita.
Ci piace ricordare quanto affermava san Giovanni Paolo II citando questa parabola: “Voi genitori dovete esercitare le funzioni del Buon Pastore verso i vostri figli, e anche voi, figli, dovete essere di edificazione con il vostro amore, la vostra obbedienza, e soprattutto con la vostra fede coraggiosa e coerente. Anche le reciproche relazioni tra i coniugi devono essere improntate all’esempio del Buon Pastore, affinché sempre la vita familiare sia a quell’altezza di sentimenti e di ideali voluti dal Creatore, per cui la famiglia è stata definita ‘Chiesa domestica’. Così pure nella scuola, sul lavoro, nei luoghi del gioco e del tempo libero, negli ospedali e dove si soffre, sempre ognuno cerchi di essere Buon Pastore come Gesù”.
Ma Gesù non si ferma alla similitudine del pastore, parla del suo rapporto col Padre per spiegare il suo legame con gli uomini. Perché è per amore del Padre che dà la vita per gli uomini, e rende possibile tra essi un amore che ha la sua stessa natura. La cifra dei nostri rapporti in lui diviene quella del suo rapporto d’amore col Padre. Questa la straordinaria conseguenza della Pasqua. Una nuova realtà prende corpo pienamente dopo la Risurrezione, ed è per questo che la Chiesa ci offre questi passi del Vangelo. La reciprocità tra lui e Dio Padre è estesa al suo legame con gli uomini e a quello tra gli uomini, che così viene “ri-creato” sulla base dell’amore reciproco. Nelle parole di Gesù riferite nel brano di Giovanni ai vv. 14 e 15 è affermata l’analogia tra l’intimità di Cristo con i suoi fedeli e l’intimità del Figlio con il Padre.