I carabinieri scoprono una ragazza quindicenne nel giro della prostituzione. Piccola e indifesa in balia di un cinico protettore senza anima. Naturalmente straniera.
Dicono che le italiane sulle strade non ci sono più. Viene sottratta, nascosta e inviata in luogo segreto. Fatto vero e fresco di giornata, senza ulteriori particolari né di luogo né di altro per evidenti ragioni.
Lo raccontiamo solo per ricordarci a vicenda tra noi che in questo nostro povero mondo non ci sono solo le mamme che perdono la testa per un improvviso calo di salute mentale o per difetto di sostegno affettivo e morale. Ci sono anche persone che hanno lucidamente distrutto in se stessi ogni senso di umanità, hanno spento la luce, quella che illumina ogni essere umano che viene al mondo, si chiami coscienza, o senso morale primario o sentimento di pietà.
Eppure si sono fatte iniziative anche eclatanti, manifestazioni di protesta, processioni, rosari a Pian di Massiano e altrove.
Ma i clienti sono ciechi?
Non vedono l’età e non colgono la sofferenza e il disagio?
Com’è possibile che si cerchi una soddisfazione sessuale a pagamento con la consapevolezza di essere protagonisti di una violenza e di un sopruso? Domande ingenue. Ritengo che si debbano comunque porre, queste domanda ingenue, così come si debba continuare a fare prediche ingenue per ricordare le cose lapalissiane, quelle che dovrebbero essere veicolate con il latte materno e con il semplice respiro quotidiano dei padri.
La barbarie inizia, infatti, non quando si compiono azioni delittuose e atroci, le cinquanta o le cento coltellate contro il corpo di una persona che si ama in modo egoistico e possessivo, sbagliato e aggressivo, ma quando si smette di porsi le domande su ciò che è bene e su ciò che è male.
E’ esperienza comune che di fronte a qualche osservazione o riserva o dubbio sulla liceità o meno di un’azione si risponda invariabilmente: “che male c’è”? Nella mentalità contemporanea nutrita di relativismo e indifferenza sono pochi a sapere dove trarre la ragioni di ciò che è bene e ciò che è male. Il riferimento più diffuso, anche se insufficiente, è quello di non recare danno ad altri: è tutto permesso ciò che non reca danno agli altri, e già sarebbe molto. Ma non si tiene conto che oltre al danno immediato ci possa essere un danno prossimo o remoto in fieri come è quello di sottrarre un mattone per volta ad una costruzione che cadrà prima o poi.
In tempi non lontani anche questo riferimento al danno altrui è stato abbondantemente superato per motivi di vendetta, con la scusa di fare giustizia o per motivi ideologici, come avviene in Palestina con i cosiddetti kamikaze, e come è avvenuto da noi con i terroristi rossi o neri. E poi ci sono quelli che spacciano la droga tacitando la coscienza col dire, tanto se non lo faccio io lo fa un altro, così come chi sfrutta con l’usura o il falso fallimento: tutta gente tranquilla che viaggia sul treno scivoloso del “che male c’è”.
La sapienza biblica non solo indica a chiare lettere ciò che è bene e ciò che è male, e chiama le due realtà la via della vita e la via della morte, ma pone accanto ad ogni comandamento una “siepe” che lo protegga per impedire che si arrivi a violarlo con grave danno personale e comunitario.
La “siepe” è formata da regole semplici, talvolta pedestri, fatte di prudenza, avvertenza, controllo, equilibrio, dominio che tengono in vita lo spirito dell’uomo perché compia sempre scelte giuste, conformi alla sua dignità.