Ci giunge proprio in coincidenza della Giornata della memoria (27 gennaio) una commovente testimonianza – resoconto di una visita ad Auschwitz. Ho avuto la possibilità di recarmi recentemente nei luoghi del dolore, della disumanità assoluta. Sono grata per aver avuto l’opportunità di onorare la memoria di tante vittime innocenti. È importante vedere, toccare quei luoghi, respirare quel ‘sapore’ di morte e di dolore che sembra ancora uscire da quei corridoi stretti, anneriti e bui e da quelle piccolissime stanze(.) senza finestre o con piccolissime aperture. Sto parlando di Auschwitz. Il muro della morte. Le camere a gas. I forni crematori. La stanza di Padre Kolbe. Il grido silenzioso di scheletri ammucchiati in alcune foto. Migliaia di vecchie scarpe, anche di bambini. Tonnellate di capelli di donna e di occhiali. Vecchie valige di cartone, numerate. Gli strumenti delle punizioni più atroci e dell’annientamento della dignità umana. Il cancello del campo con la scritta in ferro, in alto: ‘Il lavoro rende liberi’, una bugiarda promessa di libertà attraverso il lavoro. E per milioni di persone fu solo la via d’entrata. La via d’uscita dal campo fu solo attraverso il fumo del camino dei forni crematori. I giovani studenti devono vedere, recarsi in quei luoghi per conoscere, per sapere, per rendersi conto che è stato possibile, è successo, poco più di sessanta anni fa, ciò che sembra impossibile alla mente umana; l’abisso dell’assurdo. Il filo della memoria va coltivato, perché dimenticare non è mai un buon consigliere per la vita umana. Ad Auschwitz / Birchenau ho avuto l’opportunità di visitare, nei sotterranei della chiesa dei frati francescani di padre Kolbe, una ‘mostra’. No, dice l’autore Marian Kolodzej, ancora vivente, non sono quadri, sono ‘parole’ racchiuse in disegni, in bianco e nero. Tantissimi, che tappezzano le pareti e i soffitti di diverse stanze di un labirinto, al cui ingresso vediamo da una parte rotaie e pezzi di treno e dall’altra l’Apocalisse con i prigionieri scheletriti e numerati. ‘Raccontano’ ciò che lui e milioni di persone hanno vissuto in quei luoghi. ‘Narrano’ ciò che è stato fatto all’umanità, ciò che l’uomo ha saputo fare all’altro uomo. Anche se l’arte, scrive l’autore, sembra impotente ad esprimerlo. E allora, citando André Malroux, annota: ‘Il più grande mistero non sta nell’essere stati gettati, a caso, tra la terra e le stelle, ma nel fatto che, nella nostra prigione, riusciamo a trarre da noi stessi, immagini sufficientemente potenti, capaci di opporsi al nostro nulla.’. Che i giovani sappiano e vedano ciò che è stato fatto alla nostra umanità. Sembrano fotografie nascoste di quanto è avvenuto e trasmettono realmente la percezione di quello che avveniva lì, fuori e dentro le persone. Attraverso i disegni di Kolodzej ho visto il dramma della memoria, la realtà di Auschwitz, una realtà portata alla luce. I prigionieri attraverso i suoi disegni, sono resi, dalla fame e dal dolore, tutti simili tra loro e all’uomo morto in croce sul Golgota. Ho incontrato tanti studenti con i loro professori, provenienti da ogni parte d’Europa, percorrere, silenziosi e ‘pensosi’, quei luoghi. Sicuramente la storia, così appresa, rimarrà scolpita profondamente nei loro animi e diventerà non solo sapere, ma ‘sapienza’ di vita.
Che i giovani vedano cos’è stato fatto all’Uomo!
Una mostra fa rivivere in tutto il suo orrore il Lager di Auschwitz. Gli studenti di oggi 'devono sapere'
AUTORE:
Rita Ferri