“Questa sera, si cena in carcere”. Sta tutta in un gioco di parole e in una provocazione, la nuova sfida del complesso penitenziario di Perugia che ha ospitato all’interno delle mura un vero e proprio ristorante in occasione della quinta edizione delle “Golose Evasioni”, cena evento promossa nell’ambito del corso di “Addetto alla cucina”, organizzato nel laboratorio del carcere di Capanne e previsto nell’ambito dell’avviso “Umbriattiva Giovani”, finanziato dalla Regione Umbria e gestito dalla cooperativa sociale Frontiera Lavoro.
L’occasione è stata giovedì 9 maggio, quando i dieci detenuti under 30 del reparto penale dell’istituto perugino hanno allestito un vero e proprio ristorante per 240 commensali. Una “serata all’insegna del gusto e della convivialità – ha spiegato al Sir Luca Verdolini, responsabile dell’area giustizia di “Frontiera Lavoro” e coordinatore del progetto -, ma anche un modo per questi ragazzi di dimostrare le loro capacità”.
La cena. Il corso ha previsto 255 ore di lezione e ha dato ai detenuti la possibilità di apprendere un mestiere sotto la guida di esperti chef che hanno trasmesso loro tutti i trucchi per diventare professionisti a 360 gradi, capaci di soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. Sono stati affiancati nella preparazione della cena dai “moschiettieri del Gusto” vale a dire gli chef Catia Ciofo, Antonella Pagoni, Cristiano Venturi ed Andrea Mastriforti, tutti nomi tra i più importanti del panorama ristorativo italiano.
La cena, accompagnata dai musicisti di “UmbriaEnsemble”, ha avuto un “menu e una carta dei vini che non hanno nulla da invidiare ai locali più celebri di Perugia, passatelli con punte d’asparagi, datterino appassito, fusione di menta e guanciola di vitello brasato sono solo alcune delle specialità del menu che è stato attentamente valutato dallo chef stellato Giancarlo Polito e dal critico enogastronomico Leonardo Romanelli, ospiti d’onore della serata”.
I camerieri in sala sono stati istruiti e guidati da un maître professionisti, Emilio Sabbatini, dalla lunga carriera nella ristorazione di alto livello, che ha affrontato questa nuova sfida con entusiasmo.
“Qui si lavora con persone che hanno commesso degli errori e che stanno portando avanti un percorso di reinserimento, a cui bisogna insegnare tutto. Ma hanno molta umiltà e grande voglia di imparare”, ha detto a nome di tutti una delle docenti, la chef Catia Ciofo. Tutti i dettagli della serata sono stati curati con la massima attenzione. Tavoli eleganti, tovaglie raffinate, candele accese, piatti di porcellana, sottopiatti, bicchieri di vetro e posateria di alta qualità. E la cura per il dettaglio arriva fino al piatto.
Le testimonianze
Per Aldo, 28 anni, uno degli allievi, una delle soddisfazioni più grandi è “sapere che il cliente gradisce non solo il cibo, ma anche la preparazione”. Sotto la guida attenta degli chef, Aldo mette molta cura nell’impiattare il cibo, guarnirlo per bene con salse e intingoli: “Si mangia con tutti i cinque sensi, quindi anche con gli occhi”, spiega. Per Aldo, Nour Eddine, Gianluca e gli altri detenuti, il corso per “addetto alla cucina” rappresenta una straordinaria opportunità per imparare un mestiere.
“Per non sprecare il tempo che dobbiamo passare qui”, riflette Aldo. Perché il lavoro rappresenta l’arma migliore per combattere la recidiva ed evitare che l’ex detenuto, una volta tornato in libertà, commetta nuovi reati. Ma imparare un mestiere spesso non basta.
“Non è la magistratura a dare il fine pena ai detenuti, è la società – ha sottolineato Verdolini -. Perciò desideriamo che l’attività formativa di Frontiera Lavoro in carcere diventi un marchio forte e credibile. E che possa costituire un elemento importante nel curriculum di ogni detenuto che vi transiterà”. L’evento “Golose Evasioni” rappresenta anche “un modo per superare le invisibili barriere che separano il mondo esterno dal carcere”.
“La sfida più importante è quella culturale – ha aggiunto il direttore dell’istituto perugino, Bernardina Di Mario – con la sua costante apertura al pubblico tale evento vuole essere un’opportunità di interfacciarsi con l’universo carcerario e riflettere sul senso della pena”.
Andrea Regimenti