C’è qualcosa che accomuna le vocazioni nella Chiesa? La diversità che c’è tra diverse forme di vita si traduce in una differenza anche di “valore”? Sono domande che emergono nella filigrana degli interventi che abbiamo è pubblicato su La Voce nelle due pagine dedicate alle vocazioni nella Chiesa.
Tre contributi che offrono una comprensione alla domanda che molti cristiani si pongono, a tutte le età: cosa vuole Dio da me? Le riflessioni che ci portano don Francesco (prete), suor Silvana (religiosa), Veronica (laica), sono fondate sulla Parola e sul Magistero.
Qui riportiamo alcuni passaggi dei loro interventi che potete leggere on line nell’edizione digitale de La Voce.
Veronica: la “vocazione” riguarda ogni singolo battezzato
«Parlare di vocazione non è solo parlare di una scelta, ma è cercare di descrivere in qualche modo l’intera persona alla luce di una chiamata: alla vita, alla santità, al servizio nella Chiesa e nel mondo.
La prima chiamata è al battesimo, che conforma ogni uomo e ogni donna a Cristo e, in virtù di questo, ci apre alla vocazione alla santità “connessa con la missione e la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo” (ChL 17). Per questo si può e si deve parlare di vocazione laicale, senza pensare che ci siano vocazioni migliori, più perfette o superiori alle altre.
Tutte le vocazioni si collocano all’interno della Chiesa, e ciò vale sia per il ministero ordinato sia per la vita consacrata nelle sue varie forme, sia per la vocazione laicale. Don Tonino Bello diceva che “il laico è colui che porta la tuta del lavoro in chiesa e la veste battesimale nei cantieri”, per sottolineare come il mondo è lo spazio in cui siamo chiamati a giocare la nostra identità di cristiani, capaci di grande spiritualità e di abitare le città, le situazioni di ogni giorno, le lotte e le gioie, vivendo un vangelo incarnato. Lo spirito con cui noi laici siamo chiamati, vocati, è quello di fare della nostra vita qualcosa di grande».
Veronica Rossi
delegata regionale dell’Azione cattolica umbra
Suor Silvana: gli istituti religiosi possono cambiare. Quello che non finirà è il mandato di Gesù: “Andate e predicate”
«Lo Spirito santo ha suscitato nella Chiesa tante modalità diverse di vivere questo mandato, tante vocazioni: nella famiglia, nel sacerdozio, nella consacrazione religiosa, nel laicato. All’interno della stessa vita consacrata si sono moltiplicate, nel corso dei secoli, le forme più diverse di sequela di Cristo per rispondere all’invito di consegnare la propria vita, accolta come un dono, a disposizione del regno di Dio. (…)
Molti Ordini religiosi sono scomparsi, altri si sono trasformati, altri nuovi stanno sorgendo. Tutti però hanno sempre avuto come impulso propulsore l’azione dello Spirito santo che ispira vie sempre nuove per non perdere di vista l’unica cosa necessaria: il proprio rapporto personale con Dio e l’adesione al Suo piano di salvezza. I religiosi sono donne e uomini che vivono nel loro tempo, nascono e crescono nella propria cultura, e pertanto vivono gli stessi cambiamenti che il mondo vive. La vita religiosa è un campo con infinite qualità e colori di fiori, tutti però con un unico obiettivo che è quello di dare lode a Dio.
Le congregazioni, gli Ordini, gli istituti sono tutte forme esteriori che possono cambiare, come cambia il modo di vestirsi delle persone. Possono anche cessare di esistere, per dare vita a qualcosa di nuovo. Quello che non finirà è il mandato che Gesù ha lasciato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15)».
Suor Silvana Mori
suora francescana alcantarina, presidente Usmi Umbria
Don Francesco: vescovi, preti e diaconi secondo il Concilio? Diaconia al sacerdozio comune dei fedeli
«Parlare di “ministero ordinato” non è mai semplice, per la complessità dello stesso, ci vorrebbe infatti più di un semplice contributo come questo per parlarne approfonditamente. E ancor meno lo è quando su di esso si proiettano convinzioni e aspettative personalistiche, introdotte generalmente dall’espressione “secondo me…”.
(…) Pertanto, per comprendere meglio il senso di questa vocazione mi affido alla sacra Scrittura e a un testimone privilegiato della tradizione, il Rito dell’ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi. (…)
Leggendo il Rituale, soffermandoci sulle varie formule comprendiamo bene che il “ministero ordinato” ha quale comune denominatore, in tutti i suoi gradi, la dinamica del servizio, che si esplica attraverso le specifiche funzioni di ogni ufficio.
Questa logica della diaconìa (servizio), testimoniata dalla Scrittura in riferimento ai ministeri presenti nella Chiesa apostolica, può e deve ancor oggi illuminare il sacerdozio ministeriale e la sua missione.
Infatti, pur essendo stato oggetto di un’evoluzione lungo il corso della storia, il ministero ordinato trova la sua sorgente nel sacerdozio di Cristo e la sua dimensione specifica nella diaconia, come tutta la ministerialità neotestamentaria.
Oggi come allora, dunque, il ministero va assunto e vissuto nella diaconia al sacerdozio comune dei fedeli. (…) La vita di tutti i credenti è sacerdotale, tutti i battezzati sono ‘sacerdoti’, il popolo di Dio è un “popolo sacerdotale”, come afferma la stessa Scrittura, nel quale il sacerdozio ministeriale si innesta e compie la sua opera in spirito di servizio, pascendo il gregge affidato “sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-3)».
Don Francesco Verzini
vice rettore Seminario regionale umbro