Un giornalista cattolico, forse in polemica con noi de La Voce, in un recente incontro ha ricordato che vi sono due tipi di giornali cattolici: i giornali cattolici d’informazione e i giornali d’informazione cattolica.
Voleva dire che i cattolici dovrebbero fare informazione su tutto, partendo dal punto di vista della loro fede, e non fare, invece, un giornale di sole notizie cattoliche. Auspicava un’informazione aperta alla vita concreta di persone e comunità, che non abbia paraocchi clericali o di sagrestia, per cui vede solo le cose di Chiesa.
Chi potrebbe dargli torto? Questa è anche la visione che la Chiesa cattolica ha dato di se stessa nel Concilio, quando i Padri hanno stilato il famoso documento ‘La Chiesa nel mondo contemporaneo’ correggendo la precedente impostazione ‘La Chiesa e il mondo contemporaneo’, quasi fossero due realtà separate e contrapposte. Il testo ha il bellissimo inizio: ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, sono anche le gioie e le tristezze dei discepoli di Cristo’ (GS n.1).
Detto ciò, si rende necessario considerare che la Chiesa non si diluisce talmente nel mondo da non farsi riconoscere nei suoi gesti, parole, manifestazioni e attività. In questo periodo, ad esempio, non può dimenticare i suoi martiri, le sue battaglie per la vita, il magistero dei suoi Pastori. È vero che il sale si scioglie e il lievito si mescola totalmente nella pasta fino a scomparire, ma c’è un prima, il momento nascente della formazione del sale e del lievito di derivazione evangelica. E poi la luce risplende, rischiara e illumina, senza perdere il vivo raggio della sua irradiazione, tanto che, se è forte, devi coprirti gli occhi.
Così è e, secondo me, dovrebbe essere il giornale cattolico: si interessa e informa sui fatti della gente e del territorio dal suo punto di vista, senza pretendere di essere esclusivo, competitivo e esaustivo, in presenza di moltissime altre fonti di informazione su questi temi. Non deve correre il rischio di coinvolgersi senza riserva nelle cause, pur legittime, locali fino a perdere il punto di vista di cui si diceva sopra. Ma, soprattutto, non può trascurare di far conoscere i fatti di Vangelo e le opere della Chiesa che molti giornali laici, salvo occasionali e nobili eccezioni, ignorano o conoscono negli aspetti meno importanti e più deteriori; preferendo, alcuni, mettere in pagina scandali del presente e del passato, anche il più remoto.
Raccontare la vita della Chiesa, d’altra parte, non vuol dir essere fuori dal mondo sul quale essa ha avuto ed ha un influsso evidente sul piano culturale e sociale. Chi ha seguito la storia dei sette secoli di vita dell’Università perugina non può che condividere questa affermazione, e non potrà consentire di mettere sullo stesso piano culturale la fede cattolica e le altre fedi sopraggiunte nel territorio, anche se molti laicisti sostengono il contrario.
Alcuni di questi, ad esempio, ritengono che la storia della libertà della città di Perugia sia iniziata nel 1859, dimenticando il 547 del vescovo Ercolano e tutto ciò che segue. Sono gli stessi che preferiscono che nelle scuole ci vada a parlare l’imam piuttosto che il prete, e al posto del presepio si faccia una carnevalata di canti folkloristici delle varie nazioni, compresa l’India delle caste e dei dalit. Un giornale cattolico non può tacere. Deve essere chiaro e forte nella denuncia.