di Paolo Bustaffa
“Mi interessa rilevare il cattivo uso delle parole, la diffusa violenza esercitata sul linguaggio del contrasto politico. Non è un problema di buona educazione che di per sé non guasterebbe, ma la parola pacata e argomentata è o dovrebbe essere la manifestazione del pensiero. Che sembra troppo spesso latitare nella vita politica contribuendo alla sua pochezza”.
È di questi giorni la constatazione di Lorenzo Mondo, critico letterario e opinionista. Dopo il 4 marzo, a campagna elettorale conclusa, il vocabolario delle invettive non è stato del tutto chiuso. Neppure è calato il sipario sul teatrino delle battute, delle smorfie, delle sciocchezze. Non è necessario farne un elenco, già hanno provveduto i media nel raccontare per filo e per segno alcune esternazioni più penose che comiche. E tutto questo mentre sono in corso le consultazioni per formare un Governo. Mentre c’è un Paese che, con il voto, ha chiesto e chiede segnali di responsabilità, di saggezza, di operosità, di lungimiranza.
Una volta fatte queste considerazioni, a dire il vero un po’ tristi, cosa pensare, cosa attendersi, cosa fare? A chi guardare? Quale volto politico può trasmettere fiducia e rimotivare l’essere cittadini?
Certamente quello del presidente della Repubblica con il suo richiamo incessante alla coscienza della classe politica.
Le parole male usate non aiutano. Rivelano perlopiù una fragilità culturale che diventa fragilità politica. Provocano qualche applauso o sorriso ma rendono un po’ più deboli quella “rivoluzione”, quel “nuovo”, quel “cambiamento” annunciati a gran voce. Sono come nuvole che impediscono a chi è sulla strada di scorgere l’orizzonte.
Il cattivo uso delle parole non è dunque qualcosa di marginale, non appartiene al metodo della democrazia che è fondato sul rispetto dell’avversario, sulla passione per la verità, sulla coerenza tra idee e scelte, sulla realizzazione del bene comune. Quale uomo politico all’altezza di questo nome ha fatto e fa un uso cattivo delle parole per far valere, i propri ragionamenti, i propri progetti, le proprie scelte?
Potrebbe sembrare un’esagerazione ma certamente l’usare male le parole non è una questione da sottovalutare. L’opinione pubblica, che ha più che mai bisogno di parole che costruiscano relazioni e risposte efficaci, applaude sempre meno. Si sta accorgendo che questa è una strada a fondo cieco. Si è accorta, pensando al passare del tempo, che per guidare il Paese verso il futuro non serve un cattivo uso delle parole e dei gesti.