ZOOM Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/zoom/ Settimanale di informazione regionale Fri, 22 Nov 2024 18:12:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg ZOOM Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/zoom/ 32 32 Giustizia riparativa: tre incontri organizzati dalla Caritas di Perugia https://www.lavoce.it/giustizia-riparativa-tre-incontri-organizzati-dalla-caritas-di-perugia/ https://www.lavoce.it/giustizia-riparativa-tre-incontri-organizzati-dalla-caritas-di-perugia/#respond Fri, 22 Nov 2024 17:27:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78648 Il pubblico di sapella, a parla una donna e accanto a lei don Marco Briziarelli

Nell’ambito del progetto “Semi di Carità”, finanziato con fondi Cei 8xmille, è nato un ciclo di tre incontri promosso dalla Caritas diocesana di Perugia sul tema: “La Giustizia riparativa e la prospettiva delle comunità locali: la matrice culturale e normativa alla base del paradigma”.

Il primo incontro promosso dalla Caritas di Perugia

Il primo, tenutosi il 22 novembre nel capoluogo umbro, presso la Segretaria dell’Ordine degli Avvocati, nell’ambito della Settimana internazionale “Restorative Justice” (17-23 novembre), ha avuto "l’obiettivo di promuovere i valori generativi della Giustizia riparativa, favorendo e facilitando l’adozione di politiche e programmi di intervento da parte di attori chiave (policy maker e decision maker) che agevolino la riconciliazione e la riparazione del danno come parte integrante del processo di giustizia".

Il paradigma riparativo non sostituisce, ma integra, il sistema di giustizia tradizionale

A sottolinearlo è stato don Marco Briziarelli, direttore della Caritas diocesana, precisando che "il paradigma riparativo non sostituisce il sistema di giustizia tradizionale ma lo integra, offrendo soluzioni, meno stigmatizzanti, che mirano a costruire relazioni e comunità più forti e resilienti". All’incontro è intervenuta la presidente dello European Forum for Restorative Justice, Patrizia Patrizi, a cui sono seguiti momenti di confronto e dibattito con alcuni rappresentanti delle realtà territoriali impegnate su questo tema, "arricchendo ulteriormente – ha commentato il direttore della Caritas diocesana – il valore dell’iniziativa e offrire un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi".

L'aspetto centrale della Giustizia riparativa è il danno arrecato alle persone

La presidente Patrizi, a margine dell’incontro, commentando il tema della Settimana Restorative Justice 2024, “La promessa della Giustizia Riparativa in un mondo polarizzato”, ha detto: "Io credo che questo tema sia quello che maggiormente rappresenta il senso della Restorative Justice che non è qualcosa di applicato esclusivamente in ambito penale. La Giustizia riparativa è un modo di vedere i rapporti fra le persone, quello che nella nostra vita quotidiana può avvenire. Può essere fatto un torto o essere subìto, commettere un illecito trasgredendo una regola scolastica, del mondo del lavoro… Possono intervenire conflitti, danni che si generano da un torto, perché l’aspetto centrale per la Giustizia riparativa è il danno, quelle che sono le conseguenze per le persone".

Quale è la risposta a questi conflitti, danni, illeciti?

"Se nell’ottica più generale punitiva si viene puniti a scuola, come al lavoro, come nel penale…, per la Giustizia riparativa – ha risposto la dott.ssa Patrizi – un torto, un illecito produce sofferenza alle persone e, quindi, l’obiettivo è quello di non allontanare chi ha commesso quel torto, ma far sì che le persone possano, insieme, facilitate da qualcuno che consenta alle stesse di parlare liberamente, trovare il modo per riparare le conseguenze di quello che è avvenuto". "Io credo che le nostre comunità di vita – ha concluso la presidente Patrizi – hanno bisogno di questo a tutti i livelli. La comunità non è un’entità astratta, è fatta da ciascuno di noi e sarebbe importante ragionare sul fatto che un danno può avvenire, ma come possiamo ripararlo, come possiamo ripristinare giustizia?".

I prossimi incontri

Seguiranno altri due incontri, in calendario, sempre a Perugia, il 4 e il 16 dicembre. Il primo, dal titolo “Il percorso rieducativo nell’esecuzione penale”, si terrà mercoledì 4 dicembre, alle ore 10, presso l’Auditorium Santa Cecilia (via Via Fratti 2). Interverranno il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia Antonio Minchella e Marco Milella, docente presso l’Università degli Studi di Perugia e giudice onorario del Tribunale per i Minori di Perugia, cui seguiranno momenti di confronto e dibattito. Il secondo incontro si terrà lunedì 16 dicembre, alle ore 10.30, presso la sala “Don Giacomo Rossi” del “Villaggio della Carità" (via Montemalbe 1 - zona via Cortonese), e sarà di “restituzione finale” del progetto “Semi di Carità”. Si tratta, spiega Alfonso Dragone, referente dell’Area progetti e fundraising della Caritas diocesana, "della restituzione alla comunità locale dei risultati di questo progetto durato un anno, ma sarà anche l’occasione per annunciare la sua prosecuzione nel 2025".

Il progetto “Semi di carità"

"Un progetto – ha proseguito il dott. Dragone nel dare una breve anticipazione dei risultati – che ha permesso l’inserimento di due detenuti come operatori di due opere segno della Caritas diocesana, l’incontro con circa cento studenti di una scuola superiore, il percorso sia sulla Giustizia riparativa che sulle misure alternative alle pene in comunità con insegnanti di religione, l’attività di sensibilizzazione-informazione di queste tematiche con i volontari dei centri di ascolto parrocchiali e interparrocchiali, in modo da determinare una capillarità e una cultura sulla Giustizia riparativa a livello territoriale". "Tutti incontri, come quello di oggi (22 novembre, n.d.r.), così come quello del prossimo 4 dicembre – ha concluso il responsabile Caritas d’area –, sono dedicati ai decisori politico-istituzionali affinché queste azioni diventino programmi concreti per raggiungere gli obiettivi della stessa Giustizia Riparativa".   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78659,78662,78663,78666"]]]>
Il pubblico di sapella, a parla una donna e accanto a lei don Marco Briziarelli

Nell’ambito del progetto “Semi di Carità”, finanziato con fondi Cei 8xmille, è nato un ciclo di tre incontri promosso dalla Caritas diocesana di Perugia sul tema: “La Giustizia riparativa e la prospettiva delle comunità locali: la matrice culturale e normativa alla base del paradigma”.

Il primo incontro promosso dalla Caritas di Perugia

Il primo, tenutosi il 22 novembre nel capoluogo umbro, presso la Segretaria dell’Ordine degli Avvocati, nell’ambito della Settimana internazionale “Restorative Justice” (17-23 novembre), ha avuto "l’obiettivo di promuovere i valori generativi della Giustizia riparativa, favorendo e facilitando l’adozione di politiche e programmi di intervento da parte di attori chiave (policy maker e decision maker) che agevolino la riconciliazione e la riparazione del danno come parte integrante del processo di giustizia".

Il paradigma riparativo non sostituisce, ma integra, il sistema di giustizia tradizionale

A sottolinearlo è stato don Marco Briziarelli, direttore della Caritas diocesana, precisando che "il paradigma riparativo non sostituisce il sistema di giustizia tradizionale ma lo integra, offrendo soluzioni, meno stigmatizzanti, che mirano a costruire relazioni e comunità più forti e resilienti". All’incontro è intervenuta la presidente dello European Forum for Restorative Justice, Patrizia Patrizi, a cui sono seguiti momenti di confronto e dibattito con alcuni rappresentanti delle realtà territoriali impegnate su questo tema, "arricchendo ulteriormente – ha commentato il direttore della Caritas diocesana – il valore dell’iniziativa e offrire un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi".

L'aspetto centrale della Giustizia riparativa è il danno arrecato alle persone

La presidente Patrizi, a margine dell’incontro, commentando il tema della Settimana Restorative Justice 2024, “La promessa della Giustizia Riparativa in un mondo polarizzato”, ha detto: "Io credo che questo tema sia quello che maggiormente rappresenta il senso della Restorative Justice che non è qualcosa di applicato esclusivamente in ambito penale. La Giustizia riparativa è un modo di vedere i rapporti fra le persone, quello che nella nostra vita quotidiana può avvenire. Può essere fatto un torto o essere subìto, commettere un illecito trasgredendo una regola scolastica, del mondo del lavoro… Possono intervenire conflitti, danni che si generano da un torto, perché l’aspetto centrale per la Giustizia riparativa è il danno, quelle che sono le conseguenze per le persone".

Quale è la risposta a questi conflitti, danni, illeciti?

"Se nell’ottica più generale punitiva si viene puniti a scuola, come al lavoro, come nel penale…, per la Giustizia riparativa – ha risposto la dott.ssa Patrizi – un torto, un illecito produce sofferenza alle persone e, quindi, l’obiettivo è quello di non allontanare chi ha commesso quel torto, ma far sì che le persone possano, insieme, facilitate da qualcuno che consenta alle stesse di parlare liberamente, trovare il modo per riparare le conseguenze di quello che è avvenuto". "Io credo che le nostre comunità di vita – ha concluso la presidente Patrizi – hanno bisogno di questo a tutti i livelli. La comunità non è un’entità astratta, è fatta da ciascuno di noi e sarebbe importante ragionare sul fatto che un danno può avvenire, ma come possiamo ripararlo, come possiamo ripristinare giustizia?".

I prossimi incontri

Seguiranno altri due incontri, in calendario, sempre a Perugia, il 4 e il 16 dicembre. Il primo, dal titolo “Il percorso rieducativo nell’esecuzione penale”, si terrà mercoledì 4 dicembre, alle ore 10, presso l’Auditorium Santa Cecilia (via Via Fratti 2). Interverranno il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia Antonio Minchella e Marco Milella, docente presso l’Università degli Studi di Perugia e giudice onorario del Tribunale per i Minori di Perugia, cui seguiranno momenti di confronto e dibattito. Il secondo incontro si terrà lunedì 16 dicembre, alle ore 10.30, presso la sala “Don Giacomo Rossi” del “Villaggio della Carità" (via Montemalbe 1 - zona via Cortonese), e sarà di “restituzione finale” del progetto “Semi di Carità”. Si tratta, spiega Alfonso Dragone, referente dell’Area progetti e fundraising della Caritas diocesana, "della restituzione alla comunità locale dei risultati di questo progetto durato un anno, ma sarà anche l’occasione per annunciare la sua prosecuzione nel 2025".

Il progetto “Semi di carità"

"Un progetto – ha proseguito il dott. Dragone nel dare una breve anticipazione dei risultati – che ha permesso l’inserimento di due detenuti come operatori di due opere segno della Caritas diocesana, l’incontro con circa cento studenti di una scuola superiore, il percorso sia sulla Giustizia riparativa che sulle misure alternative alle pene in comunità con insegnanti di religione, l’attività di sensibilizzazione-informazione di queste tematiche con i volontari dei centri di ascolto parrocchiali e interparrocchiali, in modo da determinare una capillarità e una cultura sulla Giustizia riparativa a livello territoriale". "Tutti incontri, come quello di oggi (22 novembre, n.d.r.), così come quello del prossimo 4 dicembre – ha concluso il responsabile Caritas d’area –, sono dedicati ai decisori politico-istituzionali affinché queste azioni diventino programmi concreti per raggiungere gli obiettivi della stessa Giustizia Riparativa".   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78659,78662,78663,78666"]]]>
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La vocazione? Vivere da figli di Dio https://www.lavoce.it/la-vocazione-vivere-da-figli-di-dio/ https://www.lavoce.it/la-vocazione-vivere-da-figli-di-dio/#respond Thu, 21 Nov 2024 17:52:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78636 Don Francesco Verzini a sinistra e a destra don Fabio Rosini seduti dietro ad un tavolo, visti di tre quarti e alle spalle un quadro con ritratto la Madonna con il Bambino

Don Fabio Rosini, sacerdote e biblista della diocesi di Roma, è l’ideatore del celebre percorso catechetico sul Decalogo. Già responsabile per le vocazioni e formatore in seminario, oggi è il direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale universitaria. Invitato come relatore in occasione della Giornata regionale del clero umbro, ha concesso a Cor Unum questa intervista.

Rosini, lei ha scritto: “Nei seminari abbiamo formato eserciti di transustanziatori o di operatori sociali e gestori, ma non di padri nella fede”, come pensa si possa risolvere questa problematica?

"Nella logica del seminario, prevale una tendenza a voler riempire le caselle dell’organigramma ecclesiale. Il problema è avere preti e la fretta di riempire le postazioni nelle parrocchie, porta ad essere un po’ superficiali su quello che stiamo producendo. Come si fa a diventare padri nella fede? Per prima cosa bisogna essere figli nella fede; la paternità nasce dalla figliolanza, non dimentichiamo le fasi del processo umano necessarie per ciascuno: figlio-fratello-sposo-padre. Un prete prima di essere padre deve essere figlio generato nella fede e non rastrellato dal disavanzo o dal fondo dei bacchettoni locali parrocchiali. Abbiamo una pastorale vocazionale che cerca di catturare i 'chierichetti mancati', poi li mettiamo in seminario perché l’importante è che siano bravini esternamente, che non sporchino e che siano buonini. Invece bisogna avere gente che abbia avuto un’esperienza di rigenerazione. Ricordiamo che il battesimo viene prima del presbiterato e molti dei problemi del presbiterato sono di carattere battesimale: i problemi di castità, di obbedienza, di comunione sono problemi battesimali; infatti la preghiera di tanti preti crolla perché c’è un problema di relazione con il Padre e questo nasce dall’intimità della verità battesimale".

Come pensa possa essere rivisto l’iter formativo nei seminari?

"Ho scritto tempo fa un articolo per la rivista Vocazioni della Conferenza episcopale italiana dove spiegavo la relazione fra kerygma e discernimento vocazionale: noi non dovremmo accogliere nei seminari persone che non hanno fatto un’esperienza esplosiva di Dio; se non c’è la radice dell’esperienza rigenerante su che cosa lavoriamo? Ricordo ancora mons. Pacomio, ex rettore del collegio Capranica, che diceva: 'quando mi arriva un ragazzo normalmente prima lo devo formare come uomo poi come cristiano e poi se ce la faccio, come prete. In genere si arriva alla fine del seminario che sto lavorando ancora sull’essere cristiano e poi bisogna ordinarli perché i vescovi hanno fretta'. Questo vuol dire che però ci deve essere anche un’iniziazione alla paternità nella Fede, come si fa?

Bisogna mettere i seminaristi accanto a sacerdoti che obiettivamente sappiano gestare e generare nella fede, non basta mandare in una parrocchia un ragazzo perché faccia semplicemente un’esperienza di pastorale, bisogna metterlo nelle realtà che funzionano veramente. Quando c’è qualcuno che sa formare alla fede, mettigli accanto un seminarista! Perché l’apprendistato si fa nella bottega. Da che mondo è mondo l’apprendistato si fa accanto all’artigiano. Il fine della formazione deve essere l’autonomia del ragazzo; autonomia intesa come capacità nel saper generare la fede nelle persone, ed è per questo che poi si ordina sacerdote. Il problema è questo, non è che noi non abbiamo preti, non abbiamo cristiani! La mia politica vocazionale è stata quella di generare la fede in tanti giovani e poi Dio sceglieva fra di loro quelli che potevano entrare in seminario. Il problema è curare la fede! Ultimamente l’abbiamo lasciata un po’ alla devozione, al privato delle persone. Il problema è fare esperienze di evangelizzazione seria. Si apprende ad evangelizzare andando nel pratico. Come si fa, ad esempio la sinodalità? Facendola. È pensando che si impara a pensare, è lavorando che si impara a lavorare".

I nostri coetanei manifestano una grande propensione al bene, pur non ritenendo la Fede una priorità. Quale modalità di annuncio intravede per evitare di ridurre l’esperienza del Vangelo ad un semplice stato emozionale?

"I cuori dei giovani non possono essere toccati da cose piccole, bisogna proporre cose molto grandi. Noi abbiamo svalutato la pastorale giovanile facendola diventare intrattenimento per giovani. Ricordo che mia nipote, tornata da un evento della diocesi per preparare la Gmg di Lisbona, mi disse: 'Puoi dire ai tuoi colleghi che noi ci divertiamo da soli e che non c’è bisogno che loro ci facciano da badanti? Parlateci di altro, di cose serie'. In questi anni ho avuto una quantità spaventosa di giovani, ma perché? Perché ho fatto sempre una proposta alta, radicale. Francesco d’Assisi fu perseguitato all’inizio perché tutti i giovani volevano stare con lui, ma come si fa a stare con un tipo che da ricco che era va a vivere con i lebbrosi? Stanno con lui perché quello che vedevano era bello. Era autentico! Ci sono tanti giovani, per esempio, che partono per fare volontariato in Africa con iniziative aconfessionali, perché viene loro proposta una cosa alta. Bisogna proporre cose alte, esigenti, impegnative! Bisogna andare verso il grande Bene di cui abbiamo parlato, è il Bene che converte.

Il kerygma non è una formula da dire, è una bellezza da far brillare, è un riflesso da far splendere, è un raggio di luce che arriva ed è corrispondente al cuore dell’uomo. Ciò non deve essere una forzatura, non è costringere l’altro dentro uno schema etico-culturale, ma è annunciare la bellezza che è intrinseca alle persone, è annunziare Cristo crocifisso come Colui che sa dare questa bellezza alle persone, che le sa far maturare fino alla pienezza della propria vocazione. Sento dire in alcuni posti che esistono due vocazioni: o diventi prete o ti consacri. Non è così! Esiste una sola vocazione: vivere da figli di Dio! Nella vita si può essere moglie, marito, padre, madre… ma se non ci sente figli di Dio… se non si ha la capacità di amare in quanto figli, è inutile farlo. È questo che dobbiamo annunciare: la vita dei figli".

La Presbyterorum ordinis, pone particolare attenzione alla dimensione fraterna della vita sacerdotale, tuttavia spesso viene trascurata. Perché ci si limita a vivere la comunione presbiterale solo di rado? Quali soluzioni il ministero potrebbe abbracciare per favorire la fraternità?

"Il problema è che i ragazzi in seminario vengono formati per essere prime-donne, da cui scaturisce una logica individualista. La dimensione comunionale non è una dimensione presbiterale ma cristiana. La comunione implica relazione, implica comunicazione. Bisogna curare tutto ciò che riguarda il lavorare insieme, crescere insieme, dialogare e condividere la gioia, l’allegria anche di vivere insieme le cose. Io penso che quando in seminario si è stati compagni d’anno si resta amici, ma c’è da sottolineare che l’amicizia è una dimensione che abbiamo curato un po’ a casaccio. L’amicizia è il più alto livello di relazione che possiamo trovare nel Vangelo di Giovanni. L’amico è Lazzaro, per cui Gesù si comporta da amico. Cioè non va a salvarlo dalla malattia, ma lo tira fuori dal sepolcro. L’amicizia è parte del piano di Dio. Capiamo che l’amicizia va curata non in maniera sentimentale, ma evangelica! Bisognerebbe tornare al concetto di amicizia di sant’Agostino che su questo ha parlato molto”.

Paolo, Pietropaolo e Mattia

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Don Francesco Verzini a sinistra e a destra don Fabio Rosini seduti dietro ad un tavolo, visti di tre quarti e alle spalle un quadro con ritratto la Madonna con il Bambino

Don Fabio Rosini, sacerdote e biblista della diocesi di Roma, è l’ideatore del celebre percorso catechetico sul Decalogo. Già responsabile per le vocazioni e formatore in seminario, oggi è il direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale universitaria. Invitato come relatore in occasione della Giornata regionale del clero umbro, ha concesso a Cor Unum questa intervista.

Rosini, lei ha scritto: “Nei seminari abbiamo formato eserciti di transustanziatori o di operatori sociali e gestori, ma non di padri nella fede”, come pensa si possa risolvere questa problematica?

"Nella logica del seminario, prevale una tendenza a voler riempire le caselle dell’organigramma ecclesiale. Il problema è avere preti e la fretta di riempire le postazioni nelle parrocchie, porta ad essere un po’ superficiali su quello che stiamo producendo. Come si fa a diventare padri nella fede? Per prima cosa bisogna essere figli nella fede; la paternità nasce dalla figliolanza, non dimentichiamo le fasi del processo umano necessarie per ciascuno: figlio-fratello-sposo-padre. Un prete prima di essere padre deve essere figlio generato nella fede e non rastrellato dal disavanzo o dal fondo dei bacchettoni locali parrocchiali. Abbiamo una pastorale vocazionale che cerca di catturare i 'chierichetti mancati', poi li mettiamo in seminario perché l’importante è che siano bravini esternamente, che non sporchino e che siano buonini. Invece bisogna avere gente che abbia avuto un’esperienza di rigenerazione. Ricordiamo che il battesimo viene prima del presbiterato e molti dei problemi del presbiterato sono di carattere battesimale: i problemi di castità, di obbedienza, di comunione sono problemi battesimali; infatti la preghiera di tanti preti crolla perché c’è un problema di relazione con il Padre e questo nasce dall’intimità della verità battesimale".

Come pensa possa essere rivisto l’iter formativo nei seminari?

"Ho scritto tempo fa un articolo per la rivista Vocazioni della Conferenza episcopale italiana dove spiegavo la relazione fra kerygma e discernimento vocazionale: noi non dovremmo accogliere nei seminari persone che non hanno fatto un’esperienza esplosiva di Dio; se non c’è la radice dell’esperienza rigenerante su che cosa lavoriamo? Ricordo ancora mons. Pacomio, ex rettore del collegio Capranica, che diceva: 'quando mi arriva un ragazzo normalmente prima lo devo formare come uomo poi come cristiano e poi se ce la faccio, come prete. In genere si arriva alla fine del seminario che sto lavorando ancora sull’essere cristiano e poi bisogna ordinarli perché i vescovi hanno fretta'. Questo vuol dire che però ci deve essere anche un’iniziazione alla paternità nella Fede, come si fa?

Bisogna mettere i seminaristi accanto a sacerdoti che obiettivamente sappiano gestare e generare nella fede, non basta mandare in una parrocchia un ragazzo perché faccia semplicemente un’esperienza di pastorale, bisogna metterlo nelle realtà che funzionano veramente. Quando c’è qualcuno che sa formare alla fede, mettigli accanto un seminarista! Perché l’apprendistato si fa nella bottega. Da che mondo è mondo l’apprendistato si fa accanto all’artigiano. Il fine della formazione deve essere l’autonomia del ragazzo; autonomia intesa come capacità nel saper generare la fede nelle persone, ed è per questo che poi si ordina sacerdote. Il problema è questo, non è che noi non abbiamo preti, non abbiamo cristiani! La mia politica vocazionale è stata quella di generare la fede in tanti giovani e poi Dio sceglieva fra di loro quelli che potevano entrare in seminario. Il problema è curare la fede! Ultimamente l’abbiamo lasciata un po’ alla devozione, al privato delle persone. Il problema è fare esperienze di evangelizzazione seria. Si apprende ad evangelizzare andando nel pratico. Come si fa, ad esempio la sinodalità? Facendola. È pensando che si impara a pensare, è lavorando che si impara a lavorare".

I nostri coetanei manifestano una grande propensione al bene, pur non ritenendo la Fede una priorità. Quale modalità di annuncio intravede per evitare di ridurre l’esperienza del Vangelo ad un semplice stato emozionale?

"I cuori dei giovani non possono essere toccati da cose piccole, bisogna proporre cose molto grandi. Noi abbiamo svalutato la pastorale giovanile facendola diventare intrattenimento per giovani. Ricordo che mia nipote, tornata da un evento della diocesi per preparare la Gmg di Lisbona, mi disse: 'Puoi dire ai tuoi colleghi che noi ci divertiamo da soli e che non c’è bisogno che loro ci facciano da badanti? Parlateci di altro, di cose serie'. In questi anni ho avuto una quantità spaventosa di giovani, ma perché? Perché ho fatto sempre una proposta alta, radicale. Francesco d’Assisi fu perseguitato all’inizio perché tutti i giovani volevano stare con lui, ma come si fa a stare con un tipo che da ricco che era va a vivere con i lebbrosi? Stanno con lui perché quello che vedevano era bello. Era autentico! Ci sono tanti giovani, per esempio, che partono per fare volontariato in Africa con iniziative aconfessionali, perché viene loro proposta una cosa alta. Bisogna proporre cose alte, esigenti, impegnative! Bisogna andare verso il grande Bene di cui abbiamo parlato, è il Bene che converte.

Il kerygma non è una formula da dire, è una bellezza da far brillare, è un riflesso da far splendere, è un raggio di luce che arriva ed è corrispondente al cuore dell’uomo. Ciò non deve essere una forzatura, non è costringere l’altro dentro uno schema etico-culturale, ma è annunciare la bellezza che è intrinseca alle persone, è annunziare Cristo crocifisso come Colui che sa dare questa bellezza alle persone, che le sa far maturare fino alla pienezza della propria vocazione. Sento dire in alcuni posti che esistono due vocazioni: o diventi prete o ti consacri. Non è così! Esiste una sola vocazione: vivere da figli di Dio! Nella vita si può essere moglie, marito, padre, madre… ma se non ci sente figli di Dio… se non si ha la capacità di amare in quanto figli, è inutile farlo. È questo che dobbiamo annunciare: la vita dei figli".

La Presbyterorum ordinis, pone particolare attenzione alla dimensione fraterna della vita sacerdotale, tuttavia spesso viene trascurata. Perché ci si limita a vivere la comunione presbiterale solo di rado? Quali soluzioni il ministero potrebbe abbracciare per favorire la fraternità?

"Il problema è che i ragazzi in seminario vengono formati per essere prime-donne, da cui scaturisce una logica individualista. La dimensione comunionale non è una dimensione presbiterale ma cristiana. La comunione implica relazione, implica comunicazione. Bisogna curare tutto ciò che riguarda il lavorare insieme, crescere insieme, dialogare e condividere la gioia, l’allegria anche di vivere insieme le cose. Io penso che quando in seminario si è stati compagni d’anno si resta amici, ma c’è da sottolineare che l’amicizia è una dimensione che abbiamo curato un po’ a casaccio. L’amicizia è il più alto livello di relazione che possiamo trovare nel Vangelo di Giovanni. L’amico è Lazzaro, per cui Gesù si comporta da amico. Cioè non va a salvarlo dalla malattia, ma lo tira fuori dal sepolcro. L’amicizia è parte del piano di Dio. Capiamo che l’amicizia va curata non in maniera sentimentale, ma evangelica! Bisognerebbe tornare al concetto di amicizia di sant’Agostino che su questo ha parlato molto”.

Paolo, Pietropaolo e Mattia

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https://www.lavoce.it/la-vocazione-vivere-da-figli-di-dio/feed/ 0
Il Sinodo tiene aperti gli occhi https://www.lavoce.it/il-sinodo-tiene-aperti-gli-occhi/ https://www.lavoce.it/il-sinodo-tiene-aperti-gli-occhi/#respond Wed, 20 Nov 2024 15:00:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78591 I sinodali seduti ai tavoli all'interno della basilica di San palo fuori le mura

Dire che Sinodo è innanzitutto “cammino” non è una banalità, soprattutto se si comprende la fatica di tenere ciascuno il passo dell’altro per procedere con un’andatura armonica, che rispetti la fatica dell’altro senza concentrarsi esclusivamente sulla propria. Significa abbandonare il sogno e il desiderio di mete personali per scrutare piuttosto l’orizzonte come bene comune.

L’Assemblea sinodale che si è realizzata nei giorni scorsi nella basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma è stata sì fortemente voluta, proposta e sospinta da Papa Francesco, ma è stata suggerita soprattutto dallo Spirito e generata dalla Storia. La scelta del luogo in cui avvenne il primo annuncio “giovanneo” diceva con tutta chiarezza che ci si poneva in continuità con quella primavera del Concilio il cui spirito attende ancora d’essere metabolizzato dalle Chiese locali.

D’altra parte non si possono più chiudere gli occhi di fronte al futuro disegnato dalla proiezione sociologica e statistica che parla di chiese, seminari e conventi che si svuotano. Nello stesso tempo – ha rilevato mons. Erio Castellucci in apertura - “per la scienza statistica una visita all’ammalato o un dialogo anche occasionale con un adolescente o l’accoglienza di un povero non ha rilevanza, a differenza delle percentuali dei praticanti o di chi si sposa in Chiesa o del numero dei seminaristi”.

Quindi l’evento-Sinodo è un ascolto dello Spirito santo e della Storia, e uno sguardo attento al bene e ai segni di speranza che sono enormemente di più di quelli che possiamo conoscere e immaginare. È questo che ha segnato la rotta dell’Assemblea sinodale, in cui è sembrato che i delegati delle Chiese si siano scrollati di dosso le preoccupazioni inutili e superflue, oltre che banali e inconcludenti, del politicamente/ecclesiasticamente corretto per risvegliare piuttosto la parresìa di chi sa di non avere nulla da perdere e tutto da guadagnare.

In questo si è respirata la profezia cui ha fatto riferimento esplicito Papa Francesco nel suo messaggio all’Assemblea: “I profeti vivono nel tempo - ha detto - , leggendolo con lo sguardo della fede, illuminato dalla Parola di Dio. Si tratta dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni. E questo lo si fa nella docilità allo Spirito”.

Il mandato pertanto era a ricercare la concretezza della profezia che “è la capacità di declinare quello che del cristianesimo ‘fa la differenza’ nella cultura in cui esso è chiamato a vivere, non in un contesto ideale astorico e atemporale. La missione diventa cultura quando un’esperienza si presenta ragionevole e praticabile anche per gli altri. Qui sta la forza della profezia” (mons. Castellucci). Una profezia di popolo che è il carattere stesso della Pentecoste, che non fu un atto di singoli, dal momento che “tutti” sentivano gli apostoli parlare la propria lingua.

In questo senso sono preziose le scelte concrete rilanciate dai 100 tavoli dell’Assemblea per riformare la Chiesa nella sua capacità di comunicare, di educare all’iniziazione cristiana, di costruire la pace e la nonviolenza, di abbracciare il dialogo come cifra della relazione, di nuova corresponsabilità nelle scelte da operare, di revisione delle strutture di partecipazione, solo per fare alcuni esempi.

Temi che hanno originato proposte molte concrete che, se non vengono edulcorate da una sintesi atrofizzata dalla paura del nuovo, possono riuscire a cambiare il volto della comunità cristiana che assume lo stile della missione come battito del proprio cuore.

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I sinodali seduti ai tavoli all'interno della basilica di San palo fuori le mura

Dire che Sinodo è innanzitutto “cammino” non è una banalità, soprattutto se si comprende la fatica di tenere ciascuno il passo dell’altro per procedere con un’andatura armonica, che rispetti la fatica dell’altro senza concentrarsi esclusivamente sulla propria. Significa abbandonare il sogno e il desiderio di mete personali per scrutare piuttosto l’orizzonte come bene comune.

L’Assemblea sinodale che si è realizzata nei giorni scorsi nella basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma è stata sì fortemente voluta, proposta e sospinta da Papa Francesco, ma è stata suggerita soprattutto dallo Spirito e generata dalla Storia. La scelta del luogo in cui avvenne il primo annuncio “giovanneo” diceva con tutta chiarezza che ci si poneva in continuità con quella primavera del Concilio il cui spirito attende ancora d’essere metabolizzato dalle Chiese locali.

D’altra parte non si possono più chiudere gli occhi di fronte al futuro disegnato dalla proiezione sociologica e statistica che parla di chiese, seminari e conventi che si svuotano. Nello stesso tempo – ha rilevato mons. Erio Castellucci in apertura - “per la scienza statistica una visita all’ammalato o un dialogo anche occasionale con un adolescente o l’accoglienza di un povero non ha rilevanza, a differenza delle percentuali dei praticanti o di chi si sposa in Chiesa o del numero dei seminaristi”.

Quindi l’evento-Sinodo è un ascolto dello Spirito santo e della Storia, e uno sguardo attento al bene e ai segni di speranza che sono enormemente di più di quelli che possiamo conoscere e immaginare. È questo che ha segnato la rotta dell’Assemblea sinodale, in cui è sembrato che i delegati delle Chiese si siano scrollati di dosso le preoccupazioni inutili e superflue, oltre che banali e inconcludenti, del politicamente/ecclesiasticamente corretto per risvegliare piuttosto la parresìa di chi sa di non avere nulla da perdere e tutto da guadagnare.

In questo si è respirata la profezia cui ha fatto riferimento esplicito Papa Francesco nel suo messaggio all’Assemblea: “I profeti vivono nel tempo - ha detto - , leggendolo con lo sguardo della fede, illuminato dalla Parola di Dio. Si tratta dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni. E questo lo si fa nella docilità allo Spirito”.

Il mandato pertanto era a ricercare la concretezza della profezia che “è la capacità di declinare quello che del cristianesimo ‘fa la differenza’ nella cultura in cui esso è chiamato a vivere, non in un contesto ideale astorico e atemporale. La missione diventa cultura quando un’esperienza si presenta ragionevole e praticabile anche per gli altri. Qui sta la forza della profezia” (mons. Castellucci). Una profezia di popolo che è il carattere stesso della Pentecoste, che non fu un atto di singoli, dal momento che “tutti” sentivano gli apostoli parlare la propria lingua.

In questo senso sono preziose le scelte concrete rilanciate dai 100 tavoli dell’Assemblea per riformare la Chiesa nella sua capacità di comunicare, di educare all’iniziazione cristiana, di costruire la pace e la nonviolenza, di abbracciare il dialogo come cifra della relazione, di nuova corresponsabilità nelle scelte da operare, di revisione delle strutture di partecipazione, solo per fare alcuni esempi.

Temi che hanno originato proposte molte concrete che, se non vengono edulcorate da una sintesi atrofizzata dalla paura del nuovo, possono riuscire a cambiare il volto della comunità cristiana che assume lo stile della missione come battito del proprio cuore.

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Carlo Acutis diventerà santo il prossimo 27 aprile https://www.lavoce.it/il-beato-carlo-acutis-santo-il-prossimo-27-aprile/ https://www.lavoce.it/il-beato-carlo-acutis-santo-il-prossimo-27-aprile/#respond Wed, 20 Nov 2024 14:21:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78578 carlo acutis a mezzo busto, ritratto di fronte, con una maglietta rossa a mezze maniche, con gli occhiali da sole. Sullo sfondo le montagne

Campane a festa ad Assisi per l’annuncio della canonizzazione del beato Carlo Acutis. Il Santo Padre lo ha detto nel corso dell’udienza generale di mercoledì, 20 novembre, annunciando che il giovane milanese, sepolto al santuario della Spogliazione di Assisi, sarà elevato agli onori degli altari, durante il Giubileo degli adolescenti, che si svolgerà dal 25 al 27 aprile 2025.

Assisi esulta per la canonizzazione di Carlo Acutis

La messa presieduta dal Papa è prevista per domenica, 27 aprile alle ore 10.30, in piazza San Pietro. “Assisi esulta – dichiara il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino - per questa importante notizia che ci consente di avviarci al giorno della canonizzazione del beato Carlo Acutis con tutto l’entusiasmo e la buona preparazione necessaria. Abbiamo già in programma alcuni momenti significativi di approfondimento, riflessione e coordinamento che ci vedranno impegnati in città, in tutta la diocesi, nella diocesi sorella di Foligno e nelle diocesi umbre.

Vescovo Sorrentino: "I giovani sentono Carlo come un raggio di luce"

Sento questo momento come una grazia per la nostra Chiesa, la Chiesa italiana e del mondo intero. La Chiesa e specialmente i giovani – aggiunge monsignor Sorrentino - sentono Carlo come un raggio di luce, come lo sono stati Francesco e Chiara sulle cui orme egli è venuto a santificarsi e ora riposa. È stato davvero originale non fotocopia, ha voluto conformarsi pienamente a Gesù, ha voluto essere un sorriso di Dio e una calamita di santità per i giovani. Condividono la nostra gioia il papà Andrea, la mamma Antonia, la sorella Francesca e il fratello Michele. È bello che Carlo ci indichi la strada della famiglia come strada di santità. Ringraziamo Papa Francesco e ci prepariamo con gioia a questo momento”. [embed]https://www.youtube.com/shorts/N-Ierb48JNE[/embed]  ]]>
carlo acutis a mezzo busto, ritratto di fronte, con una maglietta rossa a mezze maniche, con gli occhiali da sole. Sullo sfondo le montagne

Campane a festa ad Assisi per l’annuncio della canonizzazione del beato Carlo Acutis. Il Santo Padre lo ha detto nel corso dell’udienza generale di mercoledì, 20 novembre, annunciando che il giovane milanese, sepolto al santuario della Spogliazione di Assisi, sarà elevato agli onori degli altari, durante il Giubileo degli adolescenti, che si svolgerà dal 25 al 27 aprile 2025.

Assisi esulta per la canonizzazione di Carlo Acutis

La messa presieduta dal Papa è prevista per domenica, 27 aprile alle ore 10.30, in piazza San Pietro. “Assisi esulta – dichiara il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino - per questa importante notizia che ci consente di avviarci al giorno della canonizzazione del beato Carlo Acutis con tutto l’entusiasmo e la buona preparazione necessaria. Abbiamo già in programma alcuni momenti significativi di approfondimento, riflessione e coordinamento che ci vedranno impegnati in città, in tutta la diocesi, nella diocesi sorella di Foligno e nelle diocesi umbre.

Vescovo Sorrentino: "I giovani sentono Carlo come un raggio di luce"

Sento questo momento come una grazia per la nostra Chiesa, la Chiesa italiana e del mondo intero. La Chiesa e specialmente i giovani – aggiunge monsignor Sorrentino - sentono Carlo come un raggio di luce, come lo sono stati Francesco e Chiara sulle cui orme egli è venuto a santificarsi e ora riposa. È stato davvero originale non fotocopia, ha voluto conformarsi pienamente a Gesù, ha voluto essere un sorriso di Dio e una calamita di santità per i giovani. Condividono la nostra gioia il papà Andrea, la mamma Antonia, la sorella Francesca e il fratello Michele. È bello che Carlo ci indichi la strada della famiglia come strada di santità. Ringraziamo Papa Francesco e ci prepariamo con gioia a questo momento”. [embed]https://www.youtube.com/shorts/N-Ierb48JNE[/embed]  ]]>
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Dal 2019 uno sguardo sul futuro delle diocesi umbre https://www.lavoce.it/dal-2019-uno-sguardo-sul-futuro-delle-diocesi-umbre/ https://www.lavoce.it/dal-2019-uno-sguardo-sul-futuro-delle-diocesi-umbre/#respond Thu, 14 Nov 2024 21:47:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78530 L'arcivescovo a mezzo busto, seduto vestito di nero con il microfono in mano

“Le Chiese diocesane dell’Umbria hanno pensato già nel 2019 a un’assemblea regionale che ha raccolto gli operatori pastorali per una giornata di conoscenza innanzitutto, e poi studio, condivisione, riflessione con uno sguardo al futuro. Lì sono stati delineati alcuni punti centrali da realizzare nel cammino pastorale delle diverse Chiese locali. Poi è arrivata la pandemia che ha ritardato il cammino, però nel 2022 abbiamo voluto riprendere il lavoro fatto allora”. Il presidente della Conferenza episcopale umbra, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, non nasconde una punta di orgoglio per il fatto che le diocesi della regione di san Francesco e san Benedetto avessero già anticipato gli incontri e le assemblee in stile sinodale che da un triennio stanno cambiando il volto della Chiesa.

Dal 2019 ai giorni nostri. Proprio sabato scorso, ad Assisi le Chiese umbre si sono ritrovate quasi per una "verifica" pastorale di questo cammino iniziato cinque anni fa…

“Esattamente: una giornata di nuovo con i responsabili dei diversi settori della pastorale nelle nostre diocesi per guardare non tanto al cammino fatto, che ormai è parte integrante della nostra storia, ma soprattutto con lo sguardo al futuro immediato, che è il Giubileo. In Umbria, nel 2026 vivremo anche il centenario della morte di san Francesco e questo sarà un altro momento di grazia. Dunque, ci fermiamo un attimo per proiettarci in avanti e riprendere questo percorso già pensando a quella che potrà essere una ulteriore Assemblea ecclesiale regionale, probabilmente nel novembre del 2025, che farà tesoro anche del documento finale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, che dovrà essere approvato dall’Assemblea generale dei vescovi nel maggio prossimo”.

Tornando al Cammino sinodale della Chiesa italiana, alle sue fasi e ai suoi temi, come è stato vissuto in parallelo con l’altro cammino già avviato qui in Umbria?

“Ogni diocesi ha avuto, com’è giusto che sia, la sua peculiarità nell’affrontare i diversi temi suggeriti anche per ognuno dei primi due anni, ora per il terzo, del Cammino sinodale italiano. Quello che mi sembra essere comune, quasi come una linea trasversale, è l’interesse suscitato forse più nei laici che non nei sacerdoti. In particolare, la scoperta che la differenza non è una minaccia, ma in realtà è una grande ricchezza. Mettersi insieme, raccontarsi, raccontare la propria esperienza di fede, raccontare come si annuncia il Vangelo nella situazione concreta, vedere che ognuno è animato da una passione particolare per rendere vivo e comunicativo il messaggio del Vangelo oggi: questa si è rivelata una grande ricchezza e ha suscitato certamente molte attese. La responsabilità adesso è non deludere queste attese. Non si tratta di fare rivoluzioni, quanto di ritrovare la freschezza dell’annuncio evangelico, che sembra essere oggi più che mai necessaria per questa nostra società sempre più disorientata, paurosa e superficiale.

Pensando proprio a queste sue ultime parole - dal punto di vista del credente “semplice”, che non ha ministeri né incarichi pastorali - che ricaduta possono avere i cammini ecclesiali locale, regionale, nazionale, universale?

“A me piacerebbe che - al di là di tutte le dichiarazioni, i documenti, gli orientamenti, ecc. - rinascesse nelle nostre comunità la voglia di stare insieme, cioè di far vedere che oggi, nella complessità di questo nostro mondo, il Vangelo può ancora dare senso all’esistenza. Credo sia il messaggio più urgente che noi dobbiamo tentare di trasmettere. Giustamente, non facendo riferimento esclusivamente ai cosiddetti operatori pastorali o a chi ha ricevuto un ministero, guardiamo le nostre comunità, le nostre parrocchie che fanno fatica, che si lamentano continuamente perché i giovani non ci sono, perché gli anziani non si possono spostare da una parte all’altra per partecipare alla celebrazione domenicale, poi le famiglie, il catechismo... Ecco, non possiamo nasconderci dietro un dito: in queste situazioni di fatica, proviamo a far vedere che il Vangelo è fecondo, che porta frutto. In modi diversi, non possiamo pretendere di uniformare il tutto, di fare tutti la stessa cosa, nello stesso modo, nello stesso tempo. Concentriamoci su alcune cose fondamentali ed essenziali, e proviamo a renderle ‘parlanti’, direi. Qualcosa che possa interpellare i nostri contemporanei fino a chiedersi: ma chi te lo fa fare? Ma perché tu vivi così? Credo che se noi riuscissimo a suscitare questa curiosità e questo interesse già avremmo fatto una grande operazione”.

Da una parte i vescovi, i sacerdoti, i ministri ordinati, dall’altra il popolo di Dio. Sono pronti gli uni e gli altri a lavorare sempre più con questo stile sinodale di cui si parla ormai da tre anni?

“Il Papa ci parla spesso di conversione, cioè di cambiamento. Noi preti dobbiamo cambiare la mentalità perché siamo stati formati per essere responsabili. Poi naturalmente questa responsabilità ognuno la esercita secondo i propri carismi, però sentiamo fortemente la responsabilità di essere guida della comunità. I fedeli laici sono stati formati, o forse ‘deformati’, dal fatto di essere guidati. La parrocchia non è affidata esclusivamente al prete. Per il battesimo che prete e laici hanno ricevuto, la parrocchia vive grazie all’impegno di tutti. Nessuno è inutile, ognuno ha il suo posto e - se quel posto che è il mio non lo occupo - rimane vuoto, non c’è qualcun altro che lo possa fare al mio posto. Credo che noi dobbiamo recuperare proprio questa visione d’insieme”.

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L'arcivescovo a mezzo busto, seduto vestito di nero con il microfono in mano

“Le Chiese diocesane dell’Umbria hanno pensato già nel 2019 a un’assemblea regionale che ha raccolto gli operatori pastorali per una giornata di conoscenza innanzitutto, e poi studio, condivisione, riflessione con uno sguardo al futuro. Lì sono stati delineati alcuni punti centrali da realizzare nel cammino pastorale delle diverse Chiese locali. Poi è arrivata la pandemia che ha ritardato il cammino, però nel 2022 abbiamo voluto riprendere il lavoro fatto allora”. Il presidente della Conferenza episcopale umbra, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, non nasconde una punta di orgoglio per il fatto che le diocesi della regione di san Francesco e san Benedetto avessero già anticipato gli incontri e le assemblee in stile sinodale che da un triennio stanno cambiando il volto della Chiesa.

Dal 2019 ai giorni nostri. Proprio sabato scorso, ad Assisi le Chiese umbre si sono ritrovate quasi per una "verifica" pastorale di questo cammino iniziato cinque anni fa…

“Esattamente: una giornata di nuovo con i responsabili dei diversi settori della pastorale nelle nostre diocesi per guardare non tanto al cammino fatto, che ormai è parte integrante della nostra storia, ma soprattutto con lo sguardo al futuro immediato, che è il Giubileo. In Umbria, nel 2026 vivremo anche il centenario della morte di san Francesco e questo sarà un altro momento di grazia. Dunque, ci fermiamo un attimo per proiettarci in avanti e riprendere questo percorso già pensando a quella che potrà essere una ulteriore Assemblea ecclesiale regionale, probabilmente nel novembre del 2025, che farà tesoro anche del documento finale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, che dovrà essere approvato dall’Assemblea generale dei vescovi nel maggio prossimo”.

Tornando al Cammino sinodale della Chiesa italiana, alle sue fasi e ai suoi temi, come è stato vissuto in parallelo con l’altro cammino già avviato qui in Umbria?

“Ogni diocesi ha avuto, com’è giusto che sia, la sua peculiarità nell’affrontare i diversi temi suggeriti anche per ognuno dei primi due anni, ora per il terzo, del Cammino sinodale italiano. Quello che mi sembra essere comune, quasi come una linea trasversale, è l’interesse suscitato forse più nei laici che non nei sacerdoti. In particolare, la scoperta che la differenza non è una minaccia, ma in realtà è una grande ricchezza. Mettersi insieme, raccontarsi, raccontare la propria esperienza di fede, raccontare come si annuncia il Vangelo nella situazione concreta, vedere che ognuno è animato da una passione particolare per rendere vivo e comunicativo il messaggio del Vangelo oggi: questa si è rivelata una grande ricchezza e ha suscitato certamente molte attese. La responsabilità adesso è non deludere queste attese. Non si tratta di fare rivoluzioni, quanto di ritrovare la freschezza dell’annuncio evangelico, che sembra essere oggi più che mai necessaria per questa nostra società sempre più disorientata, paurosa e superficiale.

Pensando proprio a queste sue ultime parole - dal punto di vista del credente “semplice”, che non ha ministeri né incarichi pastorali - che ricaduta possono avere i cammini ecclesiali locale, regionale, nazionale, universale?

“A me piacerebbe che - al di là di tutte le dichiarazioni, i documenti, gli orientamenti, ecc. - rinascesse nelle nostre comunità la voglia di stare insieme, cioè di far vedere che oggi, nella complessità di questo nostro mondo, il Vangelo può ancora dare senso all’esistenza. Credo sia il messaggio più urgente che noi dobbiamo tentare di trasmettere. Giustamente, non facendo riferimento esclusivamente ai cosiddetti operatori pastorali o a chi ha ricevuto un ministero, guardiamo le nostre comunità, le nostre parrocchie che fanno fatica, che si lamentano continuamente perché i giovani non ci sono, perché gli anziani non si possono spostare da una parte all’altra per partecipare alla celebrazione domenicale, poi le famiglie, il catechismo... Ecco, non possiamo nasconderci dietro un dito: in queste situazioni di fatica, proviamo a far vedere che il Vangelo è fecondo, che porta frutto. In modi diversi, non possiamo pretendere di uniformare il tutto, di fare tutti la stessa cosa, nello stesso modo, nello stesso tempo. Concentriamoci su alcune cose fondamentali ed essenziali, e proviamo a renderle ‘parlanti’, direi. Qualcosa che possa interpellare i nostri contemporanei fino a chiedersi: ma chi te lo fa fare? Ma perché tu vivi così? Credo che se noi riuscissimo a suscitare questa curiosità e questo interesse già avremmo fatto una grande operazione”.

Da una parte i vescovi, i sacerdoti, i ministri ordinati, dall’altra il popolo di Dio. Sono pronti gli uni e gli altri a lavorare sempre più con questo stile sinodale di cui si parla ormai da tre anni?

“Il Papa ci parla spesso di conversione, cioè di cambiamento. Noi preti dobbiamo cambiare la mentalità perché siamo stati formati per essere responsabili. Poi naturalmente questa responsabilità ognuno la esercita secondo i propri carismi, però sentiamo fortemente la responsabilità di essere guida della comunità. I fedeli laici sono stati formati, o forse ‘deformati’, dal fatto di essere guidati. La parrocchia non è affidata esclusivamente al prete. Per il battesimo che prete e laici hanno ricevuto, la parrocchia vive grazie all’impegno di tutti. Nessuno è inutile, ognuno ha il suo posto e - se quel posto che è il mio non lo occupo - rimane vuoto, non c’è qualcun altro che lo possa fare al mio posto. Credo che noi dobbiamo recuperare proprio questa visione d’insieme”.

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Le priorità nelle urne alle prossime elezioni regionali https://www.lavoce.it/le-priorita-nelle-urne-alle-prossime-elezioni-regionali/ https://www.lavoce.it/le-priorita-nelle-urne-alle-prossime-elezioni-regionali/#respond Wed, 13 Nov 2024 18:46:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78523 Un ragazzo seduto ad una tavolo di profilo, accanto si vede un'altra persona. In piedi c'è un uomo a sinistra le cabine elettorali

La campagna elettorale è in dirittura d’arrivo e ora è il momento del voto per individuare il nuovo presidente della Giunta regionale e i venti componenti dell’Assemblea legislativa umbra. Come sempre, nelle scorse settimane non sono mancate le schermaglie tra i vari candidati, in particolare fra i supporter della candidata di centrodestra Donatella Tesei e quelli di Stefania Proietti, sostenuta dal “campo largo” di centrosinistra. Sono loro due secondo attese, sondaggi e consistenza delle coalizioni che dovrebbero contendersi testa a testa la guida del nuovo “governo” regionale.

A noi interessa soprattutto invitare gli elettori umbri a partecipare al voto, senza delegare ad altri la scelta. E magari farli riflettere sull’importanza di scegliere candidati che mettano da parte ogni tipo di strumentalizzazione e attacco ‘gratuito’ agli avversari, per privilegiare le soluzioni concrete ai problemi che ogni giorno toccano i cittadini. In Umbria, lo sappiamo bene, le questioni davvero rilevanti per il territorio possono riassumersi con le dita di una mano.

La sanità pubblica e l’accesso ai servizi sanitari, in primo luogo. Tema cruciale nella nostra regione, e non solo da noi, già decisivo nelle scelte degli elettori umbri cinque anni fa, dopo le vicende giudiziarie di allora. Sembra persino scontato ribadire la necessità di un sistema sanitario pubblico efficiente e accessibile, che può fare la differenza nella qualità della vita di tante persone, perché nessuno debba mai rinunciare a curarsi per i costi troppo elevati.

Ci sono poi le questioni relative a sviluppo economico e lavoro. L’economia umbra negli ultimi anni (certo, non solo nell’ultimo lustro) ha rallentato e i giovani spesso sono costretti a lasciare la regione in cerca di migliori opportunità lavorative in Italia o all’estero. C’è bisogno di attirare investimenti, promuovere l’occupazione giovanile e sostenere le piccole e medie imprese, per invertire la tendenza.

Temi “caldi” - nel vero senso del termine - anche quelli di ambiente e gestione dei rifiuti, con nodi da sciogliere su smaltimento e incenerimento, trovando un equilibrio tra sviluppo economico e tutela ambientale.

Infine, la partita della mobilità e dei trasporti, che si gioca soprattutto sulla sostenibilità e l’accesso ai trasporti pubblici per ridurre il divario tra le aree urbane e rurali. Solo una scelta informata e consapevole può contribuire a cambiamenti positivi e concreti. Al prossimo “governo” regionale, da chiunque sia guidato, gli umbri chiedono un territorio più forte, sviluppato e inclusivo.

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Un ragazzo seduto ad una tavolo di profilo, accanto si vede un'altra persona. In piedi c'è un uomo a sinistra le cabine elettorali

La campagna elettorale è in dirittura d’arrivo e ora è il momento del voto per individuare il nuovo presidente della Giunta regionale e i venti componenti dell’Assemblea legislativa umbra. Come sempre, nelle scorse settimane non sono mancate le schermaglie tra i vari candidati, in particolare fra i supporter della candidata di centrodestra Donatella Tesei e quelli di Stefania Proietti, sostenuta dal “campo largo” di centrosinistra. Sono loro due secondo attese, sondaggi e consistenza delle coalizioni che dovrebbero contendersi testa a testa la guida del nuovo “governo” regionale.

A noi interessa soprattutto invitare gli elettori umbri a partecipare al voto, senza delegare ad altri la scelta. E magari farli riflettere sull’importanza di scegliere candidati che mettano da parte ogni tipo di strumentalizzazione e attacco ‘gratuito’ agli avversari, per privilegiare le soluzioni concrete ai problemi che ogni giorno toccano i cittadini. In Umbria, lo sappiamo bene, le questioni davvero rilevanti per il territorio possono riassumersi con le dita di una mano.

La sanità pubblica e l’accesso ai servizi sanitari, in primo luogo. Tema cruciale nella nostra regione, e non solo da noi, già decisivo nelle scelte degli elettori umbri cinque anni fa, dopo le vicende giudiziarie di allora. Sembra persino scontato ribadire la necessità di un sistema sanitario pubblico efficiente e accessibile, che può fare la differenza nella qualità della vita di tante persone, perché nessuno debba mai rinunciare a curarsi per i costi troppo elevati.

Ci sono poi le questioni relative a sviluppo economico e lavoro. L’economia umbra negli ultimi anni (certo, non solo nell’ultimo lustro) ha rallentato e i giovani spesso sono costretti a lasciare la regione in cerca di migliori opportunità lavorative in Italia o all’estero. C’è bisogno di attirare investimenti, promuovere l’occupazione giovanile e sostenere le piccole e medie imprese, per invertire la tendenza.

Temi “caldi” - nel vero senso del termine - anche quelli di ambiente e gestione dei rifiuti, con nodi da sciogliere su smaltimento e incenerimento, trovando un equilibrio tra sviluppo economico e tutela ambientale.

Infine, la partita della mobilità e dei trasporti, che si gioca soprattutto sulla sostenibilità e l’accesso ai trasporti pubblici per ridurre il divario tra le aree urbane e rurali. Solo una scelta informata e consapevole può contribuire a cambiamenti positivi e concreti. Al prossimo “governo” regionale, da chiunque sia guidato, gli umbri chiedono un territorio più forte, sviluppato e inclusivo.

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San Benedetto. Atto accademico nel 60° di proclamazione a patrono d’Europa https://www.lavoce.it/san-benedetto-atto-accademico-nel-60-di-proclamazione-a-patrono-deuropa/ https://www.lavoce.it/san-benedetto-atto-accademico-nel-60-di-proclamazione-a-patrono-deuropa/#respond Sun, 10 Nov 2024 15:30:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78491 I relatori interventi all'Atto accademico per il 60° della proclamazione di san Benedetto patrono d'Europa seduti al tavolo, sullo sfondo una libreria e un schermo illuminato

Con la lettera apostolica Pacis nuntius, Papa Paolo VI il 24 ottobre del 1964 ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono principale d’Europa.

San Benedetto "messaggero di pace, realizzatore di unione"

Nel testo si legge: “Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto abate. Al crollare dell’Impero romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra”. Di sconvolgente attualità anche a distanza di decenni.

"Atto accademico" a Norcia per il 60° dalla proclamazione

Per celebrare la ricorrenza dei 60 anni, l’arcidiocesi di Spoleto-Norcia in collaborazione con il Comune di Norcia ha organizzato un ‘Atto accademico’ con relatori d’eccezione quali dom Donato Ogliari, abate di San Paolo fuori le Mura, Paolo Gentiloni, commissario europeo, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea. A fare gli onori di casa l’arcivescovo diocesano mons. Renato Boccardo e il sindaco di Norcia Giuliano Boccanera.

Boccardo: “il dialogo possibile e reciproco ancora fecondo tra Benedetto e l'Europa"

“Con questo Atto accademico intendiamo guardare oggi al dialogo possibile e reciproco e certamente ancora fecondo tra Benedetto e l’Europa, alla cui costruzione anche le Chiese vogliono assicurare il loro fattivo contributo – ha detto mons. Boccardo. – L’auspicio di omaggio alla memoria del Santo di Norcia possa contribuire non solo a risvegliarne il ricordo, ma a riproporne la saggezza del pensiero e dell’azione che ancora possono proiettare un fascio di luce sul cammino presente e futuro del nostro Continente”.

Boccanera: “san Benedetto è stato uno dei costruttori dell'Europa"

Particolarmente emozionato il primo cittadino Giuliano Boccanera, che nel suo indirizzo di saluto ricorda: “San Benedetto, con la sua Regola e con la fondazione dei monasteri benedettini, è stato uno dei costruttori dell’Europa, delle sue radici spirituali e culturali.

Dom Ogliari: "Benedetto ci invita a desiderare e amare la pace con tutte le nostre forze"

L’abate di San Paolo fuori le Mura, dom Donato Ogliari, nel suo intervento su “Benedetto e l’Europa” ha delineato la pace prospettata dal Santo: per lui la “ricerca della pace porta a ricercare ciò che sta a cuore a Dio, anche quando si tratta di decifrare le grandi sfide del proprio tempo, quelle della macrostoria. Benedetto ci invita a desiderare e amare la pace con tutte le nostre forze, e a seminarla e diffonderla in ogni situazione con le parole e con la vita, senza perderci d’animo, anche quando dovesse costare fatica e lacrime”.

L’abate si è quindi soffermato sul rispetto per la persona che emerge dalla Regola: “A imitazione di Gesù, san Benedetto esorta ad avere uno sguardo nuovo e accogliente che salvaguardi l’unicità e la dignità di ogni persona, e che sappia riconoscere in ogni fratello e sorella non un avversario, ma un soggetto con cui entrare in relazione rispettosa e dialogica; non un concorrente, ma un proprio simile con cui collaborare e, insieme, cercare e perseguire il bene comune; non un territorio ostile – l ’enfer [inferno], come affermava Sartre – ma la ‘terra familiare’ di Dio”.

Ogliari ha infine parlato della funzione preziosa che svolgono i monasteri benedettini nella società secolarizzata: “Pongono al centro le relazioni fraterne, cercando di arginare il crescente iperindividualismo e di bonificare quel clima malsano, fatto di irrispettosità, di malevolenza, di calunnia, di parole e gesti violenti che mirano a distruggere l’altro e che ammorbano la convivenza”.

Mons. Crociata: Le Chiese per l'Europa

Mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea, ha parlato sul tema “Le Chiese per l’Europa”. “La nostra Chiesa e le Chiese – ha detto – guardano con simpatia e stima alla contemporaneità dell’Europa, e in particolare dell’Unione europea. Non perché in essa tutto sia positivo e apprezzabile. Le preoccupazioni e le circostanze di questo tempo – in particolare economiche e belliche – vanno in ben altra direzione. Tuttavia, come Chiese, sentiamo che questa Europa è anche frutto di ciò che esse sono state e sono diventate.

Siamo parte di un unico destino storico. Le Chiese non si sentono fuori dalla corrente della Storia presente, che tutto abbraccia e rimescola. Sanno però di portare dentro la Storia, nonostante gli errori e le fragilità, i segni e la forza di qualcosa di più grande di ogni sia pur buona realtà umana. Sentono la responsabilità di un messaggio, di una presenza che è sacramentale, segno vivo di una efficace Guida dall’alto, che non sono esse stesse a gestire e tanto meno a dominare, ma di cui sono strumento perché passi attraverso di esse e giunga benefica a tutti quelli che sono disponibili ad accoglierne il dono e la grazia”.

Paolo Millefiorini Francesco Carlini https://www.youtube.com/live/_xvH6xFJqmI?si=AN5t0X50IKtvMZNO&t=1891
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I relatori interventi all'Atto accademico per il 60° della proclamazione di san Benedetto patrono d'Europa seduti al tavolo, sullo sfondo una libreria e un schermo illuminato

Con la lettera apostolica Pacis nuntius, Papa Paolo VI il 24 ottobre del 1964 ha proclamato san Benedetto da Norcia patrono principale d’Europa.

San Benedetto "messaggero di pace, realizzatore di unione"

Nel testo si legge: “Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto abate. Al crollare dell’Impero romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra”. Di sconvolgente attualità anche a distanza di decenni.

"Atto accademico" a Norcia per il 60° dalla proclamazione

Per celebrare la ricorrenza dei 60 anni, l’arcidiocesi di Spoleto-Norcia in collaborazione con il Comune di Norcia ha organizzato un ‘Atto accademico’ con relatori d’eccezione quali dom Donato Ogliari, abate di San Paolo fuori le Mura, Paolo Gentiloni, commissario europeo, Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea. A fare gli onori di casa l’arcivescovo diocesano mons. Renato Boccardo e il sindaco di Norcia Giuliano Boccanera.

Boccardo: “il dialogo possibile e reciproco ancora fecondo tra Benedetto e l'Europa"

“Con questo Atto accademico intendiamo guardare oggi al dialogo possibile e reciproco e certamente ancora fecondo tra Benedetto e l’Europa, alla cui costruzione anche le Chiese vogliono assicurare il loro fattivo contributo – ha detto mons. Boccardo. – L’auspicio di omaggio alla memoria del Santo di Norcia possa contribuire non solo a risvegliarne il ricordo, ma a riproporne la saggezza del pensiero e dell’azione che ancora possono proiettare un fascio di luce sul cammino presente e futuro del nostro Continente”.

Boccanera: “san Benedetto è stato uno dei costruttori dell'Europa"

Particolarmente emozionato il primo cittadino Giuliano Boccanera, che nel suo indirizzo di saluto ricorda: “San Benedetto, con la sua Regola e con la fondazione dei monasteri benedettini, è stato uno dei costruttori dell’Europa, delle sue radici spirituali e culturali.

Dom Ogliari: "Benedetto ci invita a desiderare e amare la pace con tutte le nostre forze"

L’abate di San Paolo fuori le Mura, dom Donato Ogliari, nel suo intervento su “Benedetto e l’Europa” ha delineato la pace prospettata dal Santo: per lui la “ricerca della pace porta a ricercare ciò che sta a cuore a Dio, anche quando si tratta di decifrare le grandi sfide del proprio tempo, quelle della macrostoria. Benedetto ci invita a desiderare e amare la pace con tutte le nostre forze, e a seminarla e diffonderla in ogni situazione con le parole e con la vita, senza perderci d’animo, anche quando dovesse costare fatica e lacrime”.

L’abate si è quindi soffermato sul rispetto per la persona che emerge dalla Regola: “A imitazione di Gesù, san Benedetto esorta ad avere uno sguardo nuovo e accogliente che salvaguardi l’unicità e la dignità di ogni persona, e che sappia riconoscere in ogni fratello e sorella non un avversario, ma un soggetto con cui entrare in relazione rispettosa e dialogica; non un concorrente, ma un proprio simile con cui collaborare e, insieme, cercare e perseguire il bene comune; non un territorio ostile – l ’enfer [inferno], come affermava Sartre – ma la ‘terra familiare’ di Dio”.

Ogliari ha infine parlato della funzione preziosa che svolgono i monasteri benedettini nella società secolarizzata: “Pongono al centro le relazioni fraterne, cercando di arginare il crescente iperindividualismo e di bonificare quel clima malsano, fatto di irrispettosità, di malevolenza, di calunnia, di parole e gesti violenti che mirano a distruggere l’altro e che ammorbano la convivenza”.

Mons. Crociata: Le Chiese per l'Europa

Mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina e presidente della Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea, ha parlato sul tema “Le Chiese per l’Europa”. “La nostra Chiesa e le Chiese – ha detto – guardano con simpatia e stima alla contemporaneità dell’Europa, e in particolare dell’Unione europea. Non perché in essa tutto sia positivo e apprezzabile. Le preoccupazioni e le circostanze di questo tempo – in particolare economiche e belliche – vanno in ben altra direzione. Tuttavia, come Chiese, sentiamo che questa Europa è anche frutto di ciò che esse sono state e sono diventate.

Siamo parte di un unico destino storico. Le Chiese non si sentono fuori dalla corrente della Storia presente, che tutto abbraccia e rimescola. Sanno però di portare dentro la Storia, nonostante gli errori e le fragilità, i segni e la forza di qualcosa di più grande di ogni sia pur buona realtà umana. Sentono la responsabilità di un messaggio, di una presenza che è sacramentale, segno vivo di una efficace Guida dall’alto, che non sono esse stesse a gestire e tanto meno a dominare, ma di cui sono strumento perché passi attraverso di esse e giunga benefica a tutti quelli che sono disponibili ad accoglierne il dono e la grazia”.

Paolo Millefiorini Francesco Carlini https://www.youtube.com/live/_xvH6xFJqmI?si=AN5t0X50IKtvMZNO&t=1891
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Stati generali delle Commissioni pastorali regionali: temi e percorsi https://www.lavoce.it/stati-generali-delle-commissioni-pastorali-regionali-temi-e-percorsi/ https://www.lavoce.it/stati-generali-delle-commissioni-pastorali-regionali-temi-e-percorsi/#respond Thu, 07 Nov 2024 13:43:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78449 Veduta dall'alto del Seminario regionale umbro immerso nella vegetazione, sullo sfondo Assisi

Un’altra pagina del cammino pastorale delle otto chiese sorelle della Regione ecclesiastica umbra si scrive in questa settimana ricca di eventi particolarmente simbolici.

Stati generali delle Commissioni pastorali regionali

A pochi giorni dalla celebrazione per i cento anni dalla dedicazione della cappella interna del Seminario regionale “Pio XI” ad Assisi, dove hanno pregato e pregano generazioni di futuri presbiteri, nella stessa aula liturgica il 9 novembre i delegati diocesani invocheranno il dono dello Spirito santo per vivere con sapienza e profezia gli “stati generali” delle Commissioni pastorali regionali.

Conoscere la situazione pastorale delle comunità cristiane

Nei giorni in cui Papa Francesco consegna la sua quarta enciclica Dilexit nos, ispirata al Sacro Cuore di Gesù, sotto lo sguardo ieratico e dolce del Cristo glorioso che domina sulla tela del presbiterio della cappella del Seminario, la Chiesa umbra si raduna per ascoltare il polso della situazione pastorale delle comunità cristiane e provare a lanciare il cuore oltre gli ostacoli della complessità contemporanea. Si proverà, infatti, a parlare con coraggio soprattutto di priorità e di futuro, selezionando tra le numerose traiettorie descritte dai Lineamenti sinodali.

A Roma l'assemblea del cammino sinodale delle Chiese

Un futuro prossimo e un futuro remoto: prossimo è l’impegno di portare il contributo delle nostre Chiese all’imminente prima Assemblea del Cammino sinodale delle Chiese in Italia che si celebrerà presso la basilica di San Paolo fuori le mura in Roma dal 15 al 17 novembre. I delegati diocesani potranno raccogliere dalle voci degli operatori delle nostre otto Chiese le principali istanze, i più importanti desideri, le proposte prioritarie da condividere a livello nazionale.

Individuare i passi futuri per il rinnovamento pastorale

Nel futuro remoto c’è il lavoro per individuare i passi concreti da indicare e da compiere per raggiungere alcuni obiettivi realistici e strategici per il rinnovamento pastorale delle nostre comunità. Un primo passo essenziale e fondamentale è perseverare nel facilitare e favorire le relazioni e la fraternità. Una convergenza assoluta si riscontra nel dover puntare con decisione sul cuore di ogni altra iniziativa: la comunione e la comunicazione.

Perché gli Stati generali delle Commissioni pastorali

Gli “stati generali” non hanno nessuna pretesa di produrre alcun documento o testo, ma l’esigenza impellente di documentare l’intensificarsi delle relazioni pastorali e mettere testa a nuovi stili di collaborazione. Sono un punto e un ponte: sono una linea di partenza per nuove buone prassi e vogliono fare da passerella alla futura Assemblea regionale.

Giubileo 2025 e VIII Centenario francescano

Gli “stati generali” sono anche un trampolino per il futuro Giubileo 2025 e un laboratorio per l’ottavo Centenario francescano. Si parlerà infatti anche delle iniziative e dei progetti in cantiere per questi due anni di grazia che vedranno l’Umbria avamposto e meta dei “pellegrini di Speranza”. Come scrive Papa Francesco nella bolla Spes non confundit (al n. 9): “Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere”. Gli “stati generali” provano a condividere questa visione e a tenere vivo l’entusiasmo dei cristiani con la gioia del Vangelo.

Don Giovanni Zampa Coordinatore segreteria pastorale regionale Ceu

I due quesiti su cui si confronteranno ad Assisi i delegati regionali

Nella mattinata di sabato 9 novembre, gli “stati generali” si riuniscono al Seminario regionale di Assisi. Alla luce dei Lineamenti del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, ecco i due quesiti su cui si confronteranno i delegati delle Commissioni pastorali regionali:

1) tra le proposte, prospettive e iniziative emerse nei Lineamenti quali sono prioritarie e più urgenti da porre all’attenzione dei nostri Vescovi e delle nostre Chiese locali e da realizzare nelle nostre diocesi e nella nostra regione? Perché?

2) quali passi concreti compiere, quali processi praticabili attivare, quali tappe realistiche individuare per raggiungere fattivamente queste priorità?

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Veduta dall'alto del Seminario regionale umbro immerso nella vegetazione, sullo sfondo Assisi

Un’altra pagina del cammino pastorale delle otto chiese sorelle della Regione ecclesiastica umbra si scrive in questa settimana ricca di eventi particolarmente simbolici.

Stati generali delle Commissioni pastorali regionali

A pochi giorni dalla celebrazione per i cento anni dalla dedicazione della cappella interna del Seminario regionale “Pio XI” ad Assisi, dove hanno pregato e pregano generazioni di futuri presbiteri, nella stessa aula liturgica il 9 novembre i delegati diocesani invocheranno il dono dello Spirito santo per vivere con sapienza e profezia gli “stati generali” delle Commissioni pastorali regionali.

Conoscere la situazione pastorale delle comunità cristiane

Nei giorni in cui Papa Francesco consegna la sua quarta enciclica Dilexit nos, ispirata al Sacro Cuore di Gesù, sotto lo sguardo ieratico e dolce del Cristo glorioso che domina sulla tela del presbiterio della cappella del Seminario, la Chiesa umbra si raduna per ascoltare il polso della situazione pastorale delle comunità cristiane e provare a lanciare il cuore oltre gli ostacoli della complessità contemporanea. Si proverà, infatti, a parlare con coraggio soprattutto di priorità e di futuro, selezionando tra le numerose traiettorie descritte dai Lineamenti sinodali.

A Roma l'assemblea del cammino sinodale delle Chiese

Un futuro prossimo e un futuro remoto: prossimo è l’impegno di portare il contributo delle nostre Chiese all’imminente prima Assemblea del Cammino sinodale delle Chiese in Italia che si celebrerà presso la basilica di San Paolo fuori le mura in Roma dal 15 al 17 novembre. I delegati diocesani potranno raccogliere dalle voci degli operatori delle nostre otto Chiese le principali istanze, i più importanti desideri, le proposte prioritarie da condividere a livello nazionale.

Individuare i passi futuri per il rinnovamento pastorale

Nel futuro remoto c’è il lavoro per individuare i passi concreti da indicare e da compiere per raggiungere alcuni obiettivi realistici e strategici per il rinnovamento pastorale delle nostre comunità. Un primo passo essenziale e fondamentale è perseverare nel facilitare e favorire le relazioni e la fraternità. Una convergenza assoluta si riscontra nel dover puntare con decisione sul cuore di ogni altra iniziativa: la comunione e la comunicazione.

Perché gli Stati generali delle Commissioni pastorali

Gli “stati generali” non hanno nessuna pretesa di produrre alcun documento o testo, ma l’esigenza impellente di documentare l’intensificarsi delle relazioni pastorali e mettere testa a nuovi stili di collaborazione. Sono un punto e un ponte: sono una linea di partenza per nuove buone prassi e vogliono fare da passerella alla futura Assemblea regionale.

Giubileo 2025 e VIII Centenario francescano

Gli “stati generali” sono anche un trampolino per il futuro Giubileo 2025 e un laboratorio per l’ottavo Centenario francescano. Si parlerà infatti anche delle iniziative e dei progetti in cantiere per questi due anni di grazia che vedranno l’Umbria avamposto e meta dei “pellegrini di Speranza”. Come scrive Papa Francesco nella bolla Spes non confundit (al n. 9): “Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere”. Gli “stati generali” provano a condividere questa visione e a tenere vivo l’entusiasmo dei cristiani con la gioia del Vangelo.

Don Giovanni Zampa Coordinatore segreteria pastorale regionale Ceu

I due quesiti su cui si confronteranno ad Assisi i delegati regionali

Nella mattinata di sabato 9 novembre, gli “stati generali” si riuniscono al Seminario regionale di Assisi. Alla luce dei Lineamenti del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, ecco i due quesiti su cui si confronteranno i delegati delle Commissioni pastorali regionali:

1) tra le proposte, prospettive e iniziative emerse nei Lineamenti quali sono prioritarie e più urgenti da porre all’attenzione dei nostri Vescovi e delle nostre Chiese locali e da realizzare nelle nostre diocesi e nella nostra regione? Perché?

2) quali passi concreti compiere, quali processi praticabili attivare, quali tappe realistiche individuare per raggiungere fattivamente queste priorità?

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Ad Assisi la Giornata nazionale del Ringraziamento https://www.lavoce.it/ad-assisi-la-giornata-nazionale-del-ringraziamento/ https://www.lavoce.it/ad-assisi-la-giornata-nazionale-del-ringraziamento/#respond Thu, 07 Nov 2024 09:54:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78420 una mano tocca le spighe di un campo di grano illuminato dal sole, in primo piano

Si terrà domenica 10 novembre la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che quest’anno ha per slogan: “La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”.

La Giornata nazionale del Ringraziamento ad Assisi

Le celebrazioni si svolgeranno ad Assisi, “nella terra di san Francesco, autore circa 800 anni fa del celebre Cantico delle creature. Una spiritualità feconda di cui abbiamo assoluto bisogno anche oggi”, sottolinea don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, per il quale “anche il mondo agricolo è assetato di riconciliazione con la terra”.

Salvaguardare il terreno e coinvolgere i giovani

Il tema della Giornata, spiega, “ci apre al Giubileo che è alle porte. L’idea di fondo è che stiamo vivendo un tempo opportuno di semina. Se vogliamo offrire speranza dobbiamo tornare a seminare. E la semina oggi può essere declinata in due modi: la salvaguardia del terreno e il coinvolgimento delle giovani generazioni”. “I disastri recenti in Italia (Emilia-Romagna e Toscana) e in Spagna (Valencia) ci ricordano quanto sia importante porre fine al consumo di suolo, che ha ridotto la produzione alimentare e riduce la possibilità di assorbimento idrico. La cementificazione ha conosciuto, tra le conseguenze più rilevanti, l’aumento del rischio idrogeologico, che allarma sempre più”, afferma don Bignami evidenziando che “in questo contesto, c’è bisogno di salvaguardare l’ambiente, preservare gli ecosistemi e tutelare la biodiversità, come chiede l’art. 9 della Costituzione italiana”. Secondo il direttore dell’Ufficio Cei “la seconda semina passa per le giovani generazioni e sulla scommessa che siano capaci di cura della terra”. “Ridurre sprechi e consumi, sostenere le comunità locali, favorire le conoscenze tradizionali – ricorda – sono diverse modalità con cui responsabilizzare i giovani.

Un laboratorio ideale per un'agricoltura innovativa

I Vescovi invocano l’apertura di un 'laboratorio ideale' nel nostro Paese per sperimentare forme innovative di agricoltura. Per questo i giovani vanno educati al consumo critico, possono divenire modelli di ritorno alla terra e possono promuovere politiche agrarie esigenti e di lunga prospettiva”.

Il programma per la Giornata del Ringraziamento

La ricorrenza della Giornata è promossa dalla Cei in collaborazione con le associazioni di categoria Fai-Cisl, Terra Viva, Coldiretti, Acli Terra, Feder.Agri-Mcl. La Fai-Cisl sarà presente ad Assisi già venerdì 8 novembre con il seminario “Dopo la pandemia: come cambia il lavoro agroalimentare”, in cui sarà presentata la ricerca “L’impatto della pandemia di Covid-19 sull’industria alimentare e sull’organizzazione aziendale”. L’incontro si terrà presso l’Auditorium dell’Istituto Serafico dalle 16 alle 18.30 e prevede gli interventi di Vincenzo Conso, Presidente Fondazione Fai-Cisl Studi e Ricerche, Gabriele Canali, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico, Serena Bergamaschi, ricercatrice e operatrice Fai-Cisl Umbria, Alessandro Glisenti, Presidente dell’Ente bilaterale del settore alimentare; concluderà l’iniziativa il Segretario Generale della Fai-Cisl Onofrio Rota. Sabato 9 novembre, da un incontro presso il Sacro Convento di Assisi: si inizia alle ore 15 con il “Percorso sul Cantico delle creature”, dalla basilica di Santa Chiara alla basilica di San Francesco passando per il Santuario della Spogliazione. Alle 17 si terrà un Seminario di studio: ad introdurre i lavori sarà don Bignami che si soffermerà sul Messaggio dei Vescovi per la Giornata; seguiranno gli interventi di Luigino Bruni, economista e saggista, e di Angelo Riccaboni, docente all’Università di Siena. Dopo il dibattito, è prevista una tavola rotonda a cui parteciperanno i referenti di diverse associazioni del mondo agricolo Fai-Cisl, Terra Viva, Coldiretti, Acli Terra, Feder.Agri-Mcl, moderata da Luca Ginetto, caporedattore del Tgr Umbria. Domenica 10 novembre, alle 10, il vescovo Domenico Sorrentino presiederà la Celebrazione eucaristica nella basilica di Santa Maria degli Angeli, al termine della quale è in programma la benedizione dei mezzi agricoli e degli stand allestiti in piazza.  ]]>
una mano tocca le spighe di un campo di grano illuminato dal sole, in primo piano

Si terrà domenica 10 novembre la 74ª Giornata Nazionale del Ringraziamento che quest’anno ha per slogan: “La speranza per il domani: verso un’agricoltura più sostenibile”.

La Giornata nazionale del Ringraziamento ad Assisi

Le celebrazioni si svolgeranno ad Assisi, “nella terra di san Francesco, autore circa 800 anni fa del celebre Cantico delle creature. Una spiritualità feconda di cui abbiamo assoluto bisogno anche oggi”, sottolinea don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, per il quale “anche il mondo agricolo è assetato di riconciliazione con la terra”.

Salvaguardare il terreno e coinvolgere i giovani

Il tema della Giornata, spiega, “ci apre al Giubileo che è alle porte. L’idea di fondo è che stiamo vivendo un tempo opportuno di semina. Se vogliamo offrire speranza dobbiamo tornare a seminare. E la semina oggi può essere declinata in due modi: la salvaguardia del terreno e il coinvolgimento delle giovani generazioni”. “I disastri recenti in Italia (Emilia-Romagna e Toscana) e in Spagna (Valencia) ci ricordano quanto sia importante porre fine al consumo di suolo, che ha ridotto la produzione alimentare e riduce la possibilità di assorbimento idrico. La cementificazione ha conosciuto, tra le conseguenze più rilevanti, l’aumento del rischio idrogeologico, che allarma sempre più”, afferma don Bignami evidenziando che “in questo contesto, c’è bisogno di salvaguardare l’ambiente, preservare gli ecosistemi e tutelare la biodiversità, come chiede l’art. 9 della Costituzione italiana”. Secondo il direttore dell’Ufficio Cei “la seconda semina passa per le giovani generazioni e sulla scommessa che siano capaci di cura della terra”. “Ridurre sprechi e consumi, sostenere le comunità locali, favorire le conoscenze tradizionali – ricorda – sono diverse modalità con cui responsabilizzare i giovani.

Un laboratorio ideale per un'agricoltura innovativa

I Vescovi invocano l’apertura di un 'laboratorio ideale' nel nostro Paese per sperimentare forme innovative di agricoltura. Per questo i giovani vanno educati al consumo critico, possono divenire modelli di ritorno alla terra e possono promuovere politiche agrarie esigenti e di lunga prospettiva”.

Il programma per la Giornata del Ringraziamento

La ricorrenza della Giornata è promossa dalla Cei in collaborazione con le associazioni di categoria Fai-Cisl, Terra Viva, Coldiretti, Acli Terra, Feder.Agri-Mcl. La Fai-Cisl sarà presente ad Assisi già venerdì 8 novembre con il seminario “Dopo la pandemia: come cambia il lavoro agroalimentare”, in cui sarà presentata la ricerca “L’impatto della pandemia di Covid-19 sull’industria alimentare e sull’organizzazione aziendale”. L’incontro si terrà presso l’Auditorium dell’Istituto Serafico dalle 16 alle 18.30 e prevede gli interventi di Vincenzo Conso, Presidente Fondazione Fai-Cisl Studi e Ricerche, Gabriele Canali, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico, Serena Bergamaschi, ricercatrice e operatrice Fai-Cisl Umbria, Alessandro Glisenti, Presidente dell’Ente bilaterale del settore alimentare; concluderà l’iniziativa il Segretario Generale della Fai-Cisl Onofrio Rota. Sabato 9 novembre, da un incontro presso il Sacro Convento di Assisi: si inizia alle ore 15 con il “Percorso sul Cantico delle creature”, dalla basilica di Santa Chiara alla basilica di San Francesco passando per il Santuario della Spogliazione. Alle 17 si terrà un Seminario di studio: ad introdurre i lavori sarà don Bignami che si soffermerà sul Messaggio dei Vescovi per la Giornata; seguiranno gli interventi di Luigino Bruni, economista e saggista, e di Angelo Riccaboni, docente all’Università di Siena. Dopo il dibattito, è prevista una tavola rotonda a cui parteciperanno i referenti di diverse associazioni del mondo agricolo Fai-Cisl, Terra Viva, Coldiretti, Acli Terra, Feder.Agri-Mcl, moderata da Luca Ginetto, caporedattore del Tgr Umbria. Domenica 10 novembre, alle 10, il vescovo Domenico Sorrentino presiederà la Celebrazione eucaristica nella basilica di Santa Maria degli Angeli, al termine della quale è in programma la benedizione dei mezzi agricoli e degli stand allestiti in piazza.  ]]>
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Meeting nazionale della Fondazione Sorella Natura https://www.lavoce.it/meeting-nazionale-della-fondazione-sorella-natura/ https://www.lavoce.it/meeting-nazionale-della-fondazione-sorella-natura/#respond Fri, 01 Nov 2024 17:11:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78379 Il tavolo dei relatori con alle spalle un grande schermo e davanti una parte del pubblico di spalle

La prima sessione del quarto Meeting nazionale della Fondazione Sorella Natura ad Assisi si è svolta nel fine settimana del 25 e 26 ottobre, la seconda sessione si terrà a Roma l’8 novembre.

Questa prima parte della due giorni ha avuto come ospiti numerose figure di spicco. L’argomento centrale è stato il bosco italiano, un patrimonio importante per il nostro Paese, che viene tutelato ma che ha bisogno di esserlo maggiormente – come ha spiegato il generale Nazario Palmieri, vice comandante delle Unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei carabinieri.

Boschi: la situazione nel mondo e il clima

Il suo discorso è partito dalla situazione mondiale boschiva. Attualmente si ha una media distruttiva di 13 milioni all’anno di ettari di foreste, come quella amazzonica, quelle equatoriali del Continente africano, che giocano un ruolo indiscutibile nel cambiamento dei cicli biosferici globali. Le conseguenze climatiche che stiamo subendo il Italia, ma anche in tutto il mondo, sono frutto di questa distruzione sistematica del patrimonio forestale.

Un recente studio scientifico infatti attesta che per la prima volta c’è un disaccoppiamento tra l’assorbimento dell’anidride carbonica, che viene principalmente mediata proprio dagli ecosistemi forestali, e gli oceani, quindi tra ciò che si emette e ciò che si assorbe. Questo conduce inevitabilmente a una modifica su scala planetaria del clima, portando a una seconda conseguenza catastrofica, la mancanza di acqua.

L'importanza della tutela dei boschi

Affrontando il discorso dei boschi italiani, Palmieri spiega che un altro fattore preoccupante è la disconoscenza dell’importanza di tutela boschiva. I cittadini dovrebbero capire che le cause delle alluvioni non sono altro che il disboscamento e l’incendio boschivo. I boschi sono strumento di difesa del suolo.

Il Bosco di San Francesco restaurato dal Fai

Un altro relatore che ha introdotto il discorso boschivo riguardante non solo il territorio italiano. ma il suolo umbro, è il presidente del Fai, Marco Magnifico. Rievoca quando venne ad Assisi a visitare l’attuale Bosco di San Francesco prima del restauro. Percorrendo la strada che dal Sacro Convento porta a Santa Croce, in un primo momento non venne coinvolto, era titubante, anche perché il Fai non aveva mai restaurato un bosco; ma appena si è trovato davanti un tappeto di ciclamini, cambiò subito idea. Racconta di essere stato ‘rapito’ da quell’esercito di fiori timidi, e insieme alla Fondazione Natura (che, grazie al fondatore Roberto Leoni, aveva già iniziato una parte dei lavori) iniziarono questo percorso di restauro nel 2008. Per la Fondazione Fai è stato un grande lavoro innovativo, importante anche per aver portato tutta una fase educativa all’interno del percorso di ristrutturazione del Bosco di San Francesco.

L'energia rinnovabile

La seconda giornata del meeting ha avuto come argomento centrale l’energia rinnovabile. Mario Antonio Scino, capo Gabinetto del Mase (ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) che mette insieme la tutela dell’ambiente e le energie rinnovabili, ha parlato subito  della presa di coscienza: che al centro ci sia l’essere umano, che sta vivendo grosse difficoltà sia in ambito economico globale sia soprattutto per quanto riguarda il mutamento climatico.

Scino ha spiegato in dettaglio l’Agenda 2030, voluta dalle Nazioni Unite ossia da 193 Paesi del mondo per trasformare il nostro pianeta, in breve tempo e con lo sviluppo sostenibile. Con 17 obiettivi validi a livello mondiale, l’Agenda 2030 si prefigge di coinvolgere nazioni e società, dal settore privato al pubblico, dal civile all’informazione, fino alla cultura, per tutelare l’intero ecosistema e garantire uno sviluppo economico e sociale all’intera umanità.

Conclude affermando che anche l’Unione europea ha più volte suggerito di abbandonare nell’immediato i combustibili fossili e dedicarci totalmente e soltanto all’energia rinnovabile, quella energia chiara e pura che solo la Terra ci sa offrire. L’intero pianeta ha bisogno di essere maggiormente tutelato e capito: siamo tutti coinvolti, e ormai il 2030 è dietro l’angolo. Siamo pronti a ripristinare ciò che abbiamo sbagliato in passato?

La seconda sessione del meeting a Roma

Nella seconda sessione del meeting della Fondazione presieduta da Susanna Pagiotti, che si terrà a Roma presso la sede del Senato, si cercherà di affrontare proprio questa scadenza del tempo. Il cambiamento climatico che interessa il nostro pianeta è in atto, non si può arrestare. Dobbiamo conviverci, ma possiamo forse rallentare il processo degenerativo e reinserirci nel ciclo di una Terra che vive, si muove e cambia, e noi con essa.

Emanuela Marotta

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Il tavolo dei relatori con alle spalle un grande schermo e davanti una parte del pubblico di spalle

La prima sessione del quarto Meeting nazionale della Fondazione Sorella Natura ad Assisi si è svolta nel fine settimana del 25 e 26 ottobre, la seconda sessione si terrà a Roma l’8 novembre.

Questa prima parte della due giorni ha avuto come ospiti numerose figure di spicco. L’argomento centrale è stato il bosco italiano, un patrimonio importante per il nostro Paese, che viene tutelato ma che ha bisogno di esserlo maggiormente – come ha spiegato il generale Nazario Palmieri, vice comandante delle Unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei carabinieri.

Boschi: la situazione nel mondo e il clima

Il suo discorso è partito dalla situazione mondiale boschiva. Attualmente si ha una media distruttiva di 13 milioni all’anno di ettari di foreste, come quella amazzonica, quelle equatoriali del Continente africano, che giocano un ruolo indiscutibile nel cambiamento dei cicli biosferici globali. Le conseguenze climatiche che stiamo subendo il Italia, ma anche in tutto il mondo, sono frutto di questa distruzione sistematica del patrimonio forestale.

Un recente studio scientifico infatti attesta che per la prima volta c’è un disaccoppiamento tra l’assorbimento dell’anidride carbonica, che viene principalmente mediata proprio dagli ecosistemi forestali, e gli oceani, quindi tra ciò che si emette e ciò che si assorbe. Questo conduce inevitabilmente a una modifica su scala planetaria del clima, portando a una seconda conseguenza catastrofica, la mancanza di acqua.

L'importanza della tutela dei boschi

Affrontando il discorso dei boschi italiani, Palmieri spiega che un altro fattore preoccupante è la disconoscenza dell’importanza di tutela boschiva. I cittadini dovrebbero capire che le cause delle alluvioni non sono altro che il disboscamento e l’incendio boschivo. I boschi sono strumento di difesa del suolo.

Il Bosco di San Francesco restaurato dal Fai

Un altro relatore che ha introdotto il discorso boschivo riguardante non solo il territorio italiano. ma il suolo umbro, è il presidente del Fai, Marco Magnifico. Rievoca quando venne ad Assisi a visitare l’attuale Bosco di San Francesco prima del restauro. Percorrendo la strada che dal Sacro Convento porta a Santa Croce, in un primo momento non venne coinvolto, era titubante, anche perché il Fai non aveva mai restaurato un bosco; ma appena si è trovato davanti un tappeto di ciclamini, cambiò subito idea. Racconta di essere stato ‘rapito’ da quell’esercito di fiori timidi, e insieme alla Fondazione Natura (che, grazie al fondatore Roberto Leoni, aveva già iniziato una parte dei lavori) iniziarono questo percorso di restauro nel 2008. Per la Fondazione Fai è stato un grande lavoro innovativo, importante anche per aver portato tutta una fase educativa all’interno del percorso di ristrutturazione del Bosco di San Francesco.

L'energia rinnovabile

La seconda giornata del meeting ha avuto come argomento centrale l’energia rinnovabile. Mario Antonio Scino, capo Gabinetto del Mase (ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) che mette insieme la tutela dell’ambiente e le energie rinnovabili, ha parlato subito  della presa di coscienza: che al centro ci sia l’essere umano, che sta vivendo grosse difficoltà sia in ambito economico globale sia soprattutto per quanto riguarda il mutamento climatico.

Scino ha spiegato in dettaglio l’Agenda 2030, voluta dalle Nazioni Unite ossia da 193 Paesi del mondo per trasformare il nostro pianeta, in breve tempo e con lo sviluppo sostenibile. Con 17 obiettivi validi a livello mondiale, l’Agenda 2030 si prefigge di coinvolgere nazioni e società, dal settore privato al pubblico, dal civile all’informazione, fino alla cultura, per tutelare l’intero ecosistema e garantire uno sviluppo economico e sociale all’intera umanità.

Conclude affermando che anche l’Unione europea ha più volte suggerito di abbandonare nell’immediato i combustibili fossili e dedicarci totalmente e soltanto all’energia rinnovabile, quella energia chiara e pura che solo la Terra ci sa offrire. L’intero pianeta ha bisogno di essere maggiormente tutelato e capito: siamo tutti coinvolti, e ormai il 2030 è dietro l’angolo. Siamo pronti a ripristinare ciò che abbiamo sbagliato in passato?

La seconda sessione del meeting a Roma

Nella seconda sessione del meeting della Fondazione presieduta da Susanna Pagiotti, che si terrà a Roma presso la sede del Senato, si cercherà di affrontare proprio questa scadenza del tempo. Il cambiamento climatico che interessa il nostro pianeta è in atto, non si può arrestare. Dobbiamo conviverci, ma possiamo forse rallentare il processo degenerativo e reinserirci nel ciclo di una Terra che vive, si muove e cambia, e noi con essa.

Emanuela Marotta

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Missione giovani: le testimonianze di chi ha partecipato https://www.lavoce.it/missione-giovani-le-testimonianze-di-chi-ha-partecipato/ https://www.lavoce.it/missione-giovani-le-testimonianze-di-chi-ha-partecipato/#respond Fri, 01 Nov 2024 17:00:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78388 I giovani con i frati francescani in piazza IV Novembre intorno alla Fonta aMaggiore, sullo sfondo Palazzo dei Priori

La “Missione giovani” si è conclusa, ma ha lasciato segni, e semi, nella vita dei giovani, dei missionari e di quelli che si sono lasciati coinvolgere dal loro invito, ma anche nella vita della comunità ecclesiale che si è preparata per il “dopo missione”.

Segni e semi nei giovani partecipanti alla Missione

Avvicinare una persona sconosciuta per strada per proporgli un discorso che riguarda la fede. Quanti si vergognerebbero a farlo? Tanti, quasi tutti. Anche Francesca e Elena, due ragazze che hanno partecipato alla Missione giovani, e che nonostante la preparazione fatta nei mesi precedenti, al momento di andare hanno dovuto superare timidezza e “vergogna”, spinte e sostenute dai missionari adulti che accompagnavano i giovani. Le incontro a metà missione, giovedì pomeriggio nella “base” dei missionari, la chiesa di Elce. Hanno appena concluso la preparazione fatta di preghiera e indicazioni logistiche per andare per le strade a portare l’annuncio.

La timidezza di Francesca, poi superata

“All’inizio è stato molto complesso e mi ‘buttavano i frati’, - racconta Francesca - cioè nel senso proprio mi dicevano vai, ferma la persona, parla. Invece adesso è una cosa che sento molto più mia anche perché ho capito quanto sia importante soprattutto quando abbiamo iniziato a fare le serate al Teatro Pavone: ho visto i ragazzi venire poi all’adorazione che quando uscivano avevano una luce immensa e bellissima negli occhi. Vederli così, soprattutto alcuni di cui conoscevo le storie mi spinge ad andare ancora adesso. È stato bellissimo e lo rifarei altre mille volte”.

... e quella di Elena, "che ha dovuto rompere il ghiaccio"

Anche Elena all’inizio ha dovuto “un po’ rompere il ghiaccio anche con me stessa”. Ma poi, racconta, “davvero riesci a essere te stesso con tutti, con tutta la gente che incontri perché è proprio bello vedere la disponibilità dei giovani che hanno accolto quasi tutti l’invito anche se poi non tutti sono venuti, o sono rimasti soltanto per una parte di serata. La prima sera sono stata fuori dal teatro e sono usciti tre ragazzi che dentro sentivano un po’ caldo e non ce la facevano più a respirare, e sono rimasti fuori a parlare con noi sulla serata, sulla vita in generale, su argomenti del più e del meno, come quando tra amici si rimane fuori dopo la messa a parlare”.

Sperimentare che si può entrare in relazione con l'altro

Ma, “la cosa più bella” che le ragazze si portano nel cuore, e che ha segnato la loro vita, “non è stato tanto portare un annuncio”, che pure hanno fatto, ma è l’aver sperimentato che si può, ed è bello, “entrare in relazione con l’altro”, come dice Francesca. E Francesca si porta nel cuore “tanta gioia e tanta speranza” perché, spiega, “a noi può sembrare inutile fare inviti a gente scelta a caso, che non conosciamo, però Dio sa che frutti porterà questa piccola settimana in un tempo molto più grande”. E sottolinea che “‘è stato fondamentale” questo “fermarsi per strada a parlare con loro, dargli il loro spazio, dargli la parola, dargli l’occasione di esprimersi in un ambiente libero, senza pregiudizi, senza costrizioni, creare questo luogo dove i giovani si sono sentiti ascoltati”.  Negli occhi di Francesca e Elena c’è la luce di chi ha sperimentato la bellezza di un incontro.

Segni e semi della Missione nella comunità

La Missione giovani è una “azione” di Chiesa. Promossa dalla diocesi e nello specifico dagli uffici pastorali che si occupano dei giovani, ha però cercato di coinvolgere la comunità ecclesiale, dalle parrocchie alle associazioni, gruppi e movimenti, non solo giovanili. Un coinvolgimento che si è concretizzato nella fase di invito ai giovani a partecipare, nelle giornate della Missione con i sacerdoti che si sono messi a disposizione per le confessioni o che hanno accompagnato i ragazzi della parrocchia alle catechesi tenute al Pavone. Un coinvolgimento che si fa ancor più coinvolgente in questo “postmissione” con i percorsi attivati soprattutto a Perugia, ma non solo, ai quali sono stati invitati tutti i giovani contattati nei giorni della missione.

Il primo seme

Il primo seme piantato nella comunità ecclesiale è, “prima di tutto la comunione vissuta in questa Missione giovani, cioè di poter stare tra ragazzi, frati, sacerdoti di varie parrocchie, di varie realtà, di varie associazioni” , commenta don Simone Sorbaioli, vicario per la pastorale, che nel tempo della Missione ha condiviso le sue giornate con i missionari.  “La missione accende un fuoco che dopo va tenuto vivo” e “a noi - aggiunge don Sorbaioli - viene chiesto di accompagnare i tanti giovani incontrati in questi giorni di annuncio, in quello che chiamiamo il ‘post missione’. Sabato all’ultima catechesi verrà fatto un invito a proseguire un cammino nelle varie occasioni di nuova evangelizzazione per i giovani, 16 preparate nelle parrocchie o nelle associazioni, che prenderanno avvio nella settimana successiva alla conclusione della Missione”.

Il post-missione è appena iniziato. Il cammino prosegue nella comunità diocesana che il 23 settembre sarà convocata in assemblea. Ma tra i frutti c’è già il rafforzamento della collaborazione tra le pastorali che si occupano dei giovani.

L'omelia dell'arcivescovo Ivan Meffeis

“Un po’ tutti abbiamo respirato quel clima di fraternità e di condivisione dell’annuncio missionario del Vangelo che ci ha uniti e che rimane un patrimonio da coltivare e da valorizzare”. Così l’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva della “Missione Giovani” che si è svolta a Perugia dal 18 al 27 ottobre. Domenica mattina l’ultimo appuntamento in una gremita cattedrale di San Lorenzo. In chiesa i giovani missionari e tanti dei giovani incontrati nei giorni della missione.

“Chiediamo al Signore - ha detto il vescovo Ivan all’omelia - un cuore che sappia ascoltare il grido di tanti e sappia restituire un riflesso di quella luce, di quella speranza che Dio ci ha donato. Affinché questa luce e questa speranza non si offuschino, vi proponiamo di scegliere un cammino con cui continuare e valorizzare il tesoro di questa “Missione Giovani”, perché non resti semplicemente un ricordo”. Nel postmissione 16 proposte per proseguire il cammino, a cominciare da mercoledì 31 ottobre presso la chiesa dell’abbazia di San Pietro a Perugia.

Il calendario completo è pubblicato sul sito diocesi.perugia.it/

 
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I giovani con i frati francescani in piazza IV Novembre intorno alla Fonta aMaggiore, sullo sfondo Palazzo dei Priori

La “Missione giovani” si è conclusa, ma ha lasciato segni, e semi, nella vita dei giovani, dei missionari e di quelli che si sono lasciati coinvolgere dal loro invito, ma anche nella vita della comunità ecclesiale che si è preparata per il “dopo missione”.

Segni e semi nei giovani partecipanti alla Missione

Avvicinare una persona sconosciuta per strada per proporgli un discorso che riguarda la fede. Quanti si vergognerebbero a farlo? Tanti, quasi tutti. Anche Francesca e Elena, due ragazze che hanno partecipato alla Missione giovani, e che nonostante la preparazione fatta nei mesi precedenti, al momento di andare hanno dovuto superare timidezza e “vergogna”, spinte e sostenute dai missionari adulti che accompagnavano i giovani. Le incontro a metà missione, giovedì pomeriggio nella “base” dei missionari, la chiesa di Elce. Hanno appena concluso la preparazione fatta di preghiera e indicazioni logistiche per andare per le strade a portare l’annuncio.

La timidezza di Francesca, poi superata

“All’inizio è stato molto complesso e mi ‘buttavano i frati’, - racconta Francesca - cioè nel senso proprio mi dicevano vai, ferma la persona, parla. Invece adesso è una cosa che sento molto più mia anche perché ho capito quanto sia importante soprattutto quando abbiamo iniziato a fare le serate al Teatro Pavone: ho visto i ragazzi venire poi all’adorazione che quando uscivano avevano una luce immensa e bellissima negli occhi. Vederli così, soprattutto alcuni di cui conoscevo le storie mi spinge ad andare ancora adesso. È stato bellissimo e lo rifarei altre mille volte”.

... e quella di Elena, "che ha dovuto rompere il ghiaccio"

Anche Elena all’inizio ha dovuto “un po’ rompere il ghiaccio anche con me stessa”. Ma poi, racconta, “davvero riesci a essere te stesso con tutti, con tutta la gente che incontri perché è proprio bello vedere la disponibilità dei giovani che hanno accolto quasi tutti l’invito anche se poi non tutti sono venuti, o sono rimasti soltanto per una parte di serata. La prima sera sono stata fuori dal teatro e sono usciti tre ragazzi che dentro sentivano un po’ caldo e non ce la facevano più a respirare, e sono rimasti fuori a parlare con noi sulla serata, sulla vita in generale, su argomenti del più e del meno, come quando tra amici si rimane fuori dopo la messa a parlare”.

Sperimentare che si può entrare in relazione con l'altro

Ma, “la cosa più bella” che le ragazze si portano nel cuore, e che ha segnato la loro vita, “non è stato tanto portare un annuncio”, che pure hanno fatto, ma è l’aver sperimentato che si può, ed è bello, “entrare in relazione con l’altro”, come dice Francesca. E Francesca si porta nel cuore “tanta gioia e tanta speranza” perché, spiega, “a noi può sembrare inutile fare inviti a gente scelta a caso, che non conosciamo, però Dio sa che frutti porterà questa piccola settimana in un tempo molto più grande”. E sottolinea che “‘è stato fondamentale” questo “fermarsi per strada a parlare con loro, dargli il loro spazio, dargli la parola, dargli l’occasione di esprimersi in un ambiente libero, senza pregiudizi, senza costrizioni, creare questo luogo dove i giovani si sono sentiti ascoltati”.  Negli occhi di Francesca e Elena c’è la luce di chi ha sperimentato la bellezza di un incontro.

Segni e semi della Missione nella comunità

La Missione giovani è una “azione” di Chiesa. Promossa dalla diocesi e nello specifico dagli uffici pastorali che si occupano dei giovani, ha però cercato di coinvolgere la comunità ecclesiale, dalle parrocchie alle associazioni, gruppi e movimenti, non solo giovanili. Un coinvolgimento che si è concretizzato nella fase di invito ai giovani a partecipare, nelle giornate della Missione con i sacerdoti che si sono messi a disposizione per le confessioni o che hanno accompagnato i ragazzi della parrocchia alle catechesi tenute al Pavone. Un coinvolgimento che si fa ancor più coinvolgente in questo “postmissione” con i percorsi attivati soprattutto a Perugia, ma non solo, ai quali sono stati invitati tutti i giovani contattati nei giorni della missione.

Il primo seme

Il primo seme piantato nella comunità ecclesiale è, “prima di tutto la comunione vissuta in questa Missione giovani, cioè di poter stare tra ragazzi, frati, sacerdoti di varie parrocchie, di varie realtà, di varie associazioni” , commenta don Simone Sorbaioli, vicario per la pastorale, che nel tempo della Missione ha condiviso le sue giornate con i missionari.  “La missione accende un fuoco che dopo va tenuto vivo” e “a noi - aggiunge don Sorbaioli - viene chiesto di accompagnare i tanti giovani incontrati in questi giorni di annuncio, in quello che chiamiamo il ‘post missione’. Sabato all’ultima catechesi verrà fatto un invito a proseguire un cammino nelle varie occasioni di nuova evangelizzazione per i giovani, 16 preparate nelle parrocchie o nelle associazioni, che prenderanno avvio nella settimana successiva alla conclusione della Missione”.

Il post-missione è appena iniziato. Il cammino prosegue nella comunità diocesana che il 23 settembre sarà convocata in assemblea. Ma tra i frutti c’è già il rafforzamento della collaborazione tra le pastorali che si occupano dei giovani.

L'omelia dell'arcivescovo Ivan Meffeis

“Un po’ tutti abbiamo respirato quel clima di fraternità e di condivisione dell’annuncio missionario del Vangelo che ci ha uniti e che rimane un patrimonio da coltivare e da valorizzare”. Così l’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia della celebrazione eucaristica conclusiva della “Missione Giovani” che si è svolta a Perugia dal 18 al 27 ottobre. Domenica mattina l’ultimo appuntamento in una gremita cattedrale di San Lorenzo. In chiesa i giovani missionari e tanti dei giovani incontrati nei giorni della missione.

“Chiediamo al Signore - ha detto il vescovo Ivan all’omelia - un cuore che sappia ascoltare il grido di tanti e sappia restituire un riflesso di quella luce, di quella speranza che Dio ci ha donato. Affinché questa luce e questa speranza non si offuschino, vi proponiamo di scegliere un cammino con cui continuare e valorizzare il tesoro di questa “Missione Giovani”, perché non resti semplicemente un ricordo”. Nel postmissione 16 proposte per proseguire il cammino, a cominciare da mercoledì 31 ottobre presso la chiesa dell’abbazia di San Pietro a Perugia.

Il calendario completo è pubblicato sul sito diocesi.perugia.it/

 
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Giovani che vanno a lavorare all’estero. E in Italia? https://www.lavoce.it/giovani-che-vanno-a-lavorare-allestero-e-in-italia/ https://www.lavoce.it/giovani-che-vanno-a-lavorare-allestero-e-in-italia/#respond Wed, 30 Oct 2024 17:24:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78358 una ragazza ripresa di fronte, conm la testa visibile a metà, con in mano un qiuaderno e sulle spalle uno zaino nero

Non è facile quantificare di preciso l’entità della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia all’estero, cioè quanti siano quei giovani (fino ai 34 anni) che fanno le valigie e se ne vanno all’estero a cercare miglior fortuna. Comunque, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550 mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati.

Il problema vero è che una fetta consistente di questa gioventù era assai ben formata: laureati di qualità (medici, ingegneri…) su cui il Paese aveva fatto un bell’investimento, ma i cui frutti saranno goduti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia. Queste le mete più gettonate.

Altro problema: questa diaspora non è compensata da altrettanti arrivi dall’estero. Sempre quel rapporto segnala che arriva un giovane straniero con ottima formazione ogni 8 italiani espatriati. La ragione è chiarissima: non ci sono in Italia le condizioni migliori per sviluppare una carriera lavorativa. Né per gli italiani, né per gli stranieri.

Retribuzioni iniziali quasi offensive, zero spazio ai più giovani in azienda, carriere lentissime, tassazione asfissiante. Giusto quindi cercare fortuna laddove si sa valorizzare sia la competenza che la freschezza. E chiaramente ha poco senso per un neo-medico tedesco venire a lavorare qui in Italia (a Bolzano, ad esempio), dove guadagnerà la metà che a casa propria.

Il recente Decreto flussi ha aperto le porte a quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: il via libera più imponente da decenni, ma già valutato da subito come insufficiente.  Ma qui stiamo facendo discorsi con lo ‘spannometro’: che tipo di lavoratori stranieri serviranno all’Italia del futuro? Di tutti i tipi: solo che badanti e autisti in qualche modo si possono trovare o inventare. Infermieri e ingegneri no. E senza infermieri, ad esempio, non funzionano le case di riposo o l’assistenza domiciliare.

In una recente selezione ai corsi universitari per infermieri in una città del Nord, su 98 posti disponibili si sono presentati 80 candidati: la selezione quindi è stata totalmente inutile, è passato anche chi aveva preso un punto su 100 alla prova d’esame. E poi non tutti gli 80 arriveranno alla meta. Speriamo quindi nella rapida invenzione di robot che sappiano fare iniezioni e medicazioni…

Nicola Salvagnin]]>
una ragazza ripresa di fronte, conm la testa visibile a metà, con in mano un qiuaderno e sulle spalle uno zaino nero

Non è facile quantificare di preciso l’entità della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia all’estero, cioè quanti siano quei giovani (fino ai 34 anni) che fanno le valigie e se ne vanno all’estero a cercare miglior fortuna. Comunque, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550 mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati.

Il problema vero è che una fetta consistente di questa gioventù era assai ben formata: laureati di qualità (medici, ingegneri…) su cui il Paese aveva fatto un bell’investimento, ma i cui frutti saranno goduti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia. Queste le mete più gettonate.

Altro problema: questa diaspora non è compensata da altrettanti arrivi dall’estero. Sempre quel rapporto segnala che arriva un giovane straniero con ottima formazione ogni 8 italiani espatriati. La ragione è chiarissima: non ci sono in Italia le condizioni migliori per sviluppare una carriera lavorativa. Né per gli italiani, né per gli stranieri.

Retribuzioni iniziali quasi offensive, zero spazio ai più giovani in azienda, carriere lentissime, tassazione asfissiante. Giusto quindi cercare fortuna laddove si sa valorizzare sia la competenza che la freschezza. E chiaramente ha poco senso per un neo-medico tedesco venire a lavorare qui in Italia (a Bolzano, ad esempio), dove guadagnerà la metà che a casa propria.

Il recente Decreto flussi ha aperto le porte a quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: il via libera più imponente da decenni, ma già valutato da subito come insufficiente.  Ma qui stiamo facendo discorsi con lo ‘spannometro’: che tipo di lavoratori stranieri serviranno all’Italia del futuro? Di tutti i tipi: solo che badanti e autisti in qualche modo si possono trovare o inventare. Infermieri e ingegneri no. E senza infermieri, ad esempio, non funzionano le case di riposo o l’assistenza domiciliare.

In una recente selezione ai corsi universitari per infermieri in una città del Nord, su 98 posti disponibili si sono presentati 80 candidati: la selezione quindi è stata totalmente inutile, è passato anche chi aveva preso un punto su 100 alla prova d’esame. E poi non tutti gli 80 arriveranno alla meta. Speriamo quindi nella rapida invenzione di robot che sappiano fare iniezioni e medicazioni…

Nicola Salvagnin]]>
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Giubileo 2025. Tanti i giovani che arriveranno in Umbria https://www.lavoce.it/giubileo-2025-tanti-i-giovani-che-arriveranno-in-umbria/ https://www.lavoce.it/giubileo-2025-tanti-i-giovani-che-arriveranno-in-umbria/#respond Fri, 25 Oct 2024 08:01:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78231 Giovani in primo piano a mezzo busto, alle loro spalle una piccola chiesetta

Il cammino di preparazione al Giubileo ordinario dell’anno 2025 è stato positivamente influenzato dalla recente diffusione della Bolla di indizione intitolata Spes non confundit.

Le iniziative siano per tutti "occasione di rianimare la speranza"

In essa, il Santo Padre, con lo stile sapiente che gli è proprio, auspica che le iniziative in programma possano “essere per tutti occasione di rianimare la speranza” in un contesto, come quello attuale, nel quale molti guardano al futuro con scetticismo e pessimismo, “come se nulla potesse offrire loro felicità” (n. 1). Per scongiurare il rischio di sentirsi sopraffatti dal male e dalla violenza, egli invita, pertanto, i fedeli, ad attingere questa virtù nella grazia di Dio e a riscoprirla “nei segni dei tempi che il Signore ci offre” (n. 7).

Prendersi cura dei giovani

Tra di essi annovera, a ragione, anche i giovani, sui quali si fonda l’avvenire dell’umanità, in virtù dell’entusiasmo che li contraddistingue. Tuttavia, fa notare che la frequenza con la quale oggigiorno essi vedono crollare i loro sogni, a causa dell’incertezza dominante, impone un’attenzione particolare, al fine di evitare che i loro propositi siano irrimediabilmente delusi e i loro desideri azzerati. Quando ciò si verifica, osserva Papa Francesco, “l’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi”. Per questo motivo, egli si augura che il Giubileo sia “occasione di slancio nei loro confronti” e invita tutte le persone di buona volontà a prendersi cura “con una rinnovata passione […] dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni”, nella certezza che essi costituiscano la gioia e la speranza del mondo (n. 12).

L'Umbria accoglie nelle parrocchie i giovani per il Giubileo

Lasciandosi ispirare da questa esortazione, la Chiesa umbra ha pensato che un concreto segno di attenzione nei loro confronti, tra i tanti possibili, potesse essere rappresentato dalla disponibilità ad accogliere, nelle parrocchie della regione, giovani italiani e stranieri in procinto di partecipare al Giubileo ad essi dedicato, sullo stile che caratterizza da anni anche la settimana che precede le Giornate mondiali della gioventù. L’esperienza maturata a riguardo insegna, infatti, che le relazioni che si instaurano in questi contesti costituiscono un efficace mezzo di evangelizzazione, sia per chi riceve ospitalità, che per chi la offre, in modo particolare se si tratta di nuclei familiari disponibili ad aprire le porte delle proprie abitazioni.

Il programma nelle diocesi umbre

Sulla base del programma elaborato, l’arrivo e la sistemazione dei gruppi nelle parrocchie loro assegnate sono previsti nel tardo pomeriggio di giovedì 24 luglio 2025. Il giorno successivo, ai pellegrini ospitati nelle diocesi di Terni-Narni-Amelia, Orvieto-Todi, Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno, sarà proposto un itinerario di conoscenza della Chiesa particolare che li accoglie (ogni realtà si organizzerà autonomamente a riguardo). I giovani assegnati alle altre diocesi umbre si recheranno, invece, ad Assisi, dove avranno la possibilità di visitare le basiliche di San Francesco e di Santa Chiara, il santuario di San Damiano, la cattedrale, la Chiesa Nuova e il santuario della Spogliazione. Sabato 26 luglio il programma sarà identico a quello del giorno precedente, con la differenza che l’itinerario diocesano sarà proposto dalle diocesi di Perugia-Città della Pieve, Gubbio, Città di Castello e Spoleto-Norcia, mentre le comitive associate alle altre Chiese faranno visita alla città del Poverello. Domenica 27 luglio, nel mattino, è prevista la messa e il pranzo nelle parrocchie ospitanti. Nel secondo pomeriggio, poi, tutti i giovani presenti in Umbria si ritroveranno nuovamente ad Assisi, presso la basilica di Santa Maria degli Angeli, per un incontro di preghiera e di festa, durante il quale sarà possibile visitare anche la Porziuncola. Il 28 luglio, nel mattino o nel pomeriggio, in orari variabili in base alla diocesi, è prevista la partenza dei pellegrini per Roma.

Individuare le famiglie disponibili ad ospitare i giovani

La velocità con la quale i gruppi si stanno prenotando rende probabile il raggiungimento del tetto massimo di 8.000 partecipanti (1.000 per diocesi) entro la data di chiusura delle iscrizioni, prevista per il 30 marzo 2025. Il dato è incoraggiante, ma comporta che le parrocchie individuino in tempi rapidi le famiglie disponibili ad ospitarli. I dettagli sono indicati sul sito www.chiesainumbria.it.

Don Luca Castrica Coordinatore della segreteria per l’accoglienza dei giovani in Umbria

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Giovani in primo piano a mezzo busto, alle loro spalle una piccola chiesetta

Il cammino di preparazione al Giubileo ordinario dell’anno 2025 è stato positivamente influenzato dalla recente diffusione della Bolla di indizione intitolata Spes non confundit.

Le iniziative siano per tutti "occasione di rianimare la speranza"

In essa, il Santo Padre, con lo stile sapiente che gli è proprio, auspica che le iniziative in programma possano “essere per tutti occasione di rianimare la speranza” in un contesto, come quello attuale, nel quale molti guardano al futuro con scetticismo e pessimismo, “come se nulla potesse offrire loro felicità” (n. 1). Per scongiurare il rischio di sentirsi sopraffatti dal male e dalla violenza, egli invita, pertanto, i fedeli, ad attingere questa virtù nella grazia di Dio e a riscoprirla “nei segni dei tempi che il Signore ci offre” (n. 7).

Prendersi cura dei giovani

Tra di essi annovera, a ragione, anche i giovani, sui quali si fonda l’avvenire dell’umanità, in virtù dell’entusiasmo che li contraddistingue. Tuttavia, fa notare che la frequenza con la quale oggigiorno essi vedono crollare i loro sogni, a causa dell’incertezza dominante, impone un’attenzione particolare, al fine di evitare che i loro propositi siano irrimediabilmente delusi e i loro desideri azzerati. Quando ciò si verifica, osserva Papa Francesco, “l’illusione delle droghe, il rischio della trasgressione e la ricerca dell’effimero creano in loro più che in altri confusione e nascondono la bellezza e il senso della vita, facendoli scivolare in baratri oscuri e spingendoli a compiere gesti autodistruttivi”. Per questo motivo, egli si augura che il Giubileo sia “occasione di slancio nei loro confronti” e invita tutte le persone di buona volontà a prendersi cura “con una rinnovata passione […] dei ragazzi, degli studenti, dei fidanzati, delle giovani generazioni”, nella certezza che essi costituiscano la gioia e la speranza del mondo (n. 12).

L'Umbria accoglie nelle parrocchie i giovani per il Giubileo

Lasciandosi ispirare da questa esortazione, la Chiesa umbra ha pensato che un concreto segno di attenzione nei loro confronti, tra i tanti possibili, potesse essere rappresentato dalla disponibilità ad accogliere, nelle parrocchie della regione, giovani italiani e stranieri in procinto di partecipare al Giubileo ad essi dedicato, sullo stile che caratterizza da anni anche la settimana che precede le Giornate mondiali della gioventù. L’esperienza maturata a riguardo insegna, infatti, che le relazioni che si instaurano in questi contesti costituiscono un efficace mezzo di evangelizzazione, sia per chi riceve ospitalità, che per chi la offre, in modo particolare se si tratta di nuclei familiari disponibili ad aprire le porte delle proprie abitazioni.

Il programma nelle diocesi umbre

Sulla base del programma elaborato, l’arrivo e la sistemazione dei gruppi nelle parrocchie loro assegnate sono previsti nel tardo pomeriggio di giovedì 24 luglio 2025. Il giorno successivo, ai pellegrini ospitati nelle diocesi di Terni-Narni-Amelia, Orvieto-Todi, Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno, sarà proposto un itinerario di conoscenza della Chiesa particolare che li accoglie (ogni realtà si organizzerà autonomamente a riguardo). I giovani assegnati alle altre diocesi umbre si recheranno, invece, ad Assisi, dove avranno la possibilità di visitare le basiliche di San Francesco e di Santa Chiara, il santuario di San Damiano, la cattedrale, la Chiesa Nuova e il santuario della Spogliazione. Sabato 26 luglio il programma sarà identico a quello del giorno precedente, con la differenza che l’itinerario diocesano sarà proposto dalle diocesi di Perugia-Città della Pieve, Gubbio, Città di Castello e Spoleto-Norcia, mentre le comitive associate alle altre Chiese faranno visita alla città del Poverello. Domenica 27 luglio, nel mattino, è prevista la messa e il pranzo nelle parrocchie ospitanti. Nel secondo pomeriggio, poi, tutti i giovani presenti in Umbria si ritroveranno nuovamente ad Assisi, presso la basilica di Santa Maria degli Angeli, per un incontro di preghiera e di festa, durante il quale sarà possibile visitare anche la Porziuncola. Il 28 luglio, nel mattino o nel pomeriggio, in orari variabili in base alla diocesi, è prevista la partenza dei pellegrini per Roma.

Individuare le famiglie disponibili ad ospitare i giovani

La velocità con la quale i gruppi si stanno prenotando rende probabile il raggiungimento del tetto massimo di 8.000 partecipanti (1.000 per diocesi) entro la data di chiusura delle iscrizioni, prevista per il 30 marzo 2025. Il dato è incoraggiante, ma comporta che le parrocchie individuino in tempi rapidi le famiglie disponibili ad ospitarli. I dettagli sono indicati sul sito www.chiesainumbria.it.

Don Luca Castrica Coordinatore della segreteria per l’accoglienza dei giovani in Umbria

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Missione giovani: in 400 hanno partecipato alla catechesi al Teatro Pavone https://www.lavoce.it/quattrocento-giovani-hanno-partecipato-alla-catechesi-al-teatro-pavone/ https://www.lavoce.it/quattrocento-giovani-hanno-partecipato-alla-catechesi-al-teatro-pavone/#respond Thu, 24 Oct 2024 08:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78146 Tanti giovani seduti sulle poltronicine del Teatro e sui palchetti, sul palco i frati minori

Di “chiasso”, a Perugia, i cento ragazzi e ragazze della “Missione Giovani 2024” ne stanno facendo nell’annunciare a tanti loro coetanei la gioia e la felicità della vita attraverso il Vangelo. È quanto è avvenuto nelle prime cinque giornate di questa esperienza di fede, di incontro, dialogo e socialità, in svolgimento dal 18 al 27 ottobre, guidata dall’équipe della “Missione ed evangelizzazione” dei Frati Minori dell’Umbria insieme ad altri religiosi e religiose, a sacerdoti diocesani e seminaristi. Un “chiasso” che lo aveva “promesso” fra’ Alfio Vespoli, responsabile della “Missione”, all’arcivescovo Ivan Maffeis, alla celebrazione di avvio, il 18 ottobre: "Faremo un chiasso insopprimibile soprattutto nel cuore dei giovani che incontreremo in città…".

In 400 ad ascoltare la catechesi al Teatro Pavone

Ben 400 di loro hanno accolto l’invito dei coetanei missionari a partecipare alla prima delle catechesi serali (ore 21), al Teatro Pavone (dal 22 al 26 ottobre) a cura dei Frati Minori. Alcuni prendevano appunti come se stessero ad una lezione universitaria, altri concentrati ad ascoltare facendo il gesto di “silenzio” con il dito indice davanti alle labbra ai vicini di posto… Tanti volti dagli sguardi attenti e pochissimi gli occhi assonnati come anche gli sbadigli. "Si è colto un grande interesse e coinvolgimento, oltre le più rosee aspettative...!: è stato il commento, a caldo, dei giovani missionari.

L'adorazione eucaristica in cattedrale

Anche la preghiera dell’adorazione eucaristica in cattedrale, che ha concluso la giornata, ha visto una folta partecipazione di ragazzi e ragazze. Tra questi anche chi non è un assiduo frequentatore di luoghi di culto, come alcuni giovani che non hanno esitato a “confessare” agli amici: "Era da molto tempo che non entravo in chiesa…".

Al Pavone è stato ricordato san Giovanni Paolo II

Ieri è stato un giorno particolare per i giovani, il 22 ottobre la Chiesa fa memoria liturgica di un grande santo, Giovanni Paolo II, il Papa delle Giornate Mondiali della Gioventù (Gmg). A ricordarcelo, a margine della sua catechesi al Pavone, è stato fra’ Mirco Mazzocato, del servizio orientamento giovani dei Minori Francescani di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola. "Oggi l’abbiamo pregato ed io ho sentito forte la sua intercessione – ci ha raccontato il frate –. Mi tornano alla mente le sue famosissime parole al Giubileo del 2000, quando disse ai giovani: 'E’ Cristo che cercate quando sognate la felicità'. Mi sembra che i giovani abbiamo desiderio di felicità, una generazione diversa che va molto ascoltata e compresa, ma resta insopprimibile l’anelito di gioia che è nell’uomo. Noi nasciamo per questo e c’è poco da raccontarsi… Siamo creati per essere felici, ma poi sta a noi nell’essere messi nella condizione di ricevere quella Parola che dà volto a Colui che i giovani stanno da sempre cercando anche se spesso non lo sanno".

Fra' Mirko: i giovani hanno fame e sete di toccare qualcosa che resti, la speranza

Fra’ Mirco ha dedicato la catechesi sulla “donna emorroissa” del Vangelo di Marco (Mc 5,25), dicendoci, all’uscita dal Pavone: "Abbiamo rivisto per la nostra conversione, che stavamo sopra il palco, di come ancora oggi dentro le sfide della vita tanti giovani hanno fame e sete di toccare qualcosa che resti, la speranza. Hanno voglia di toccare il lembo del manto di Gesù… Sento nel cuore di ringraziare i tanti sacerdoti delle parrocchie che continuano a lavorare nella messe, che è il campo della Chiesa, del mondo continuando ad essere strumento e padri per condurre i giovani davanti al Signore. È la prima serata di un percorso di evangelizzazione, restituendo a Dio ogni bene che abbiamo intuito. Continuiamo questo percorso grati al Signore anche perché adesso, in cattedrale, tanti giovani sono inginocchiati davanti al Santissimo Sacramento".

Le tappe percorse dai giovani nei cinque giorni di evangelizzazione

Nelle prime cinque giornate di missione i giovani hanno visitato il Carcere, recitato il rosario nella chiesa dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia, fatto tappe al Pala Barton per sostenere la “Sir Safety Perugia”, la squadra campione di volley, al vicino Luna Park, alle facoltà universitarie, ai luoghi e locali del centro storico più frequentati come “Umbro’” (ospitati dall’Arci), non mancando all’appuntamento quotidiano dell’adorazione eucaristica (ore 10.30-0.30), nell’antica chiesa della Misericordia della centralissima piazza Piccinino, a pochi passi dalla cattedrale di San Lorenzo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78213,78214,78215,78216,78217,78218,78219,78220,78221,78222,78223,78224,78225,78226,78227"]]]>
Tanti giovani seduti sulle poltronicine del Teatro e sui palchetti, sul palco i frati minori

Di “chiasso”, a Perugia, i cento ragazzi e ragazze della “Missione Giovani 2024” ne stanno facendo nell’annunciare a tanti loro coetanei la gioia e la felicità della vita attraverso il Vangelo. È quanto è avvenuto nelle prime cinque giornate di questa esperienza di fede, di incontro, dialogo e socialità, in svolgimento dal 18 al 27 ottobre, guidata dall’équipe della “Missione ed evangelizzazione” dei Frati Minori dell’Umbria insieme ad altri religiosi e religiose, a sacerdoti diocesani e seminaristi. Un “chiasso” che lo aveva “promesso” fra’ Alfio Vespoli, responsabile della “Missione”, all’arcivescovo Ivan Maffeis, alla celebrazione di avvio, il 18 ottobre: "Faremo un chiasso insopprimibile soprattutto nel cuore dei giovani che incontreremo in città…".

In 400 ad ascoltare la catechesi al Teatro Pavone

Ben 400 di loro hanno accolto l’invito dei coetanei missionari a partecipare alla prima delle catechesi serali (ore 21), al Teatro Pavone (dal 22 al 26 ottobre) a cura dei Frati Minori. Alcuni prendevano appunti come se stessero ad una lezione universitaria, altri concentrati ad ascoltare facendo il gesto di “silenzio” con il dito indice davanti alle labbra ai vicini di posto… Tanti volti dagli sguardi attenti e pochissimi gli occhi assonnati come anche gli sbadigli. "Si è colto un grande interesse e coinvolgimento, oltre le più rosee aspettative...!: è stato il commento, a caldo, dei giovani missionari.

L'adorazione eucaristica in cattedrale

Anche la preghiera dell’adorazione eucaristica in cattedrale, che ha concluso la giornata, ha visto una folta partecipazione di ragazzi e ragazze. Tra questi anche chi non è un assiduo frequentatore di luoghi di culto, come alcuni giovani che non hanno esitato a “confessare” agli amici: "Era da molto tempo che non entravo in chiesa…".

Al Pavone è stato ricordato san Giovanni Paolo II

Ieri è stato un giorno particolare per i giovani, il 22 ottobre la Chiesa fa memoria liturgica di un grande santo, Giovanni Paolo II, il Papa delle Giornate Mondiali della Gioventù (Gmg). A ricordarcelo, a margine della sua catechesi al Pavone, è stato fra’ Mirco Mazzocato, del servizio orientamento giovani dei Minori Francescani di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola. "Oggi l’abbiamo pregato ed io ho sentito forte la sua intercessione – ci ha raccontato il frate –. Mi tornano alla mente le sue famosissime parole al Giubileo del 2000, quando disse ai giovani: 'E’ Cristo che cercate quando sognate la felicità'. Mi sembra che i giovani abbiamo desiderio di felicità, una generazione diversa che va molto ascoltata e compresa, ma resta insopprimibile l’anelito di gioia che è nell’uomo. Noi nasciamo per questo e c’è poco da raccontarsi… Siamo creati per essere felici, ma poi sta a noi nell’essere messi nella condizione di ricevere quella Parola che dà volto a Colui che i giovani stanno da sempre cercando anche se spesso non lo sanno".

Fra' Mirko: i giovani hanno fame e sete di toccare qualcosa che resti, la speranza

Fra’ Mirco ha dedicato la catechesi sulla “donna emorroissa” del Vangelo di Marco (Mc 5,25), dicendoci, all’uscita dal Pavone: "Abbiamo rivisto per la nostra conversione, che stavamo sopra il palco, di come ancora oggi dentro le sfide della vita tanti giovani hanno fame e sete di toccare qualcosa che resti, la speranza. Hanno voglia di toccare il lembo del manto di Gesù… Sento nel cuore di ringraziare i tanti sacerdoti delle parrocchie che continuano a lavorare nella messe, che è il campo della Chiesa, del mondo continuando ad essere strumento e padri per condurre i giovani davanti al Signore. È la prima serata di un percorso di evangelizzazione, restituendo a Dio ogni bene che abbiamo intuito. Continuiamo questo percorso grati al Signore anche perché adesso, in cattedrale, tanti giovani sono inginocchiati davanti al Santissimo Sacramento".

Le tappe percorse dai giovani nei cinque giorni di evangelizzazione

Nelle prime cinque giornate di missione i giovani hanno visitato il Carcere, recitato il rosario nella chiesa dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia, fatto tappe al Pala Barton per sostenere la “Sir Safety Perugia”, la squadra campione di volley, al vicino Luna Park, alle facoltà universitarie, ai luoghi e locali del centro storico più frequentati come “Umbro’” (ospitati dall’Arci), non mancando all’appuntamento quotidiano dell’adorazione eucaristica (ore 10.30-0.30), nell’antica chiesa della Misericordia della centralissima piazza Piccinino, a pochi passi dalla cattedrale di San Lorenzo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78213,78214,78215,78216,78217,78218,78219,78220,78221,78222,78223,78224,78225,78226,78227"]]]>
https://www.lavoce.it/quattrocento-giovani-hanno-partecipato-alla-catechesi-al-teatro-pavone/feed/ 0
La Terza guerra mondiale può essere evitata? https://www.lavoce.it/la-terza-guerra-mondiale-puo-essere-evitata/ https://www.lavoce.it/la-terza-guerra-mondiale-puo-essere-evitata/#respond Wed, 23 Oct 2024 10:40:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78140 macerie lungo una strada, uomini che con pale le raccolgono, altri uomini e bambini guardano sullo sfondo

Un incendio tanto più è indomabile quanto più deriva dall’innesco di diversi focolai. Il vertice Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) annuncia altri passi verso il multipolarismo, tra cui la de-dollarizzazione dei mercati. La Nato, con il plauso baltico-polacco, allestisce in Nord Europa una maxi-esercitazione per lo scenario di una guerra nucleare con la Russia. La Cina invece simula il blocco navale di Taiwan, a monito del sostegno Usa all’indipendenza dell’isola, funzionale a preservare il monopolio sull’Indo-Pacifico.

Intanto, significa molto la freddezza verso il “Piano della vittoria” svelato da Zelensky in tema di ingresso di Kiev nella Nato, e l’installazione di basi missilistiche. Considerando che entrambi i punti corrispondono al motivo primario dell’invasione russa, è altresì inverosimile che il Piano sia spendibile come leva negoziale con Mosca, per quanto allettante sia la contropartita offerta all’Occidente: sfruttamento estero delle risorse minerarie nazionali e subentro nelle basi europee dei militari ucraini (posto che ve ne siano a sufficienza) a quelli statunitensi, da liberare per altre sfide.

Tutt’altro discorso vale per il Medioriente. Quale che sia il suo inquilino, la Casa Bianca resta in ostaggio di Israele, non potendogli negare sostegno: al netto degli interessi geostrategici sull’avamposto israeliano, pesa l’influenza ebraica interna agli Usa, unita a quella delle Chiese evangeliche e dei cristianosionisti in genere, che condiscono di sincretismi rituali l’attesa escatologica del giorno in cui anche l’Israele vittorioso riconoscerà in Cristo il Messia.

Se Israele trascinerà in guerra l’Iran, il blocco del petrolio verso l’Asia sarebbe un reagente eccitativo sul Pacifico. Le petrolmonarchie sarebbero sempre più sospinte in direzione Brics, indisposte nei confronti di chi mette a rischio i loro traffici vitali. Senza contare il surplus del supporto tecnologico-militare ai pasdaran, che proverrebbe dalla Russia, intenta a preservarsi le proiezioni sui mari caldi: la destabilizzazione siriana è già servita a farle stringere solidarietà funzionali con Teheran.

Analogamente il conflitto in Ucraina, mentre ha cementato la subalternità Ue a Washington, d’altra parte ha spinto la Russia nelle braccia della Cina, sua antica rivale. Mentre le cortine commerciali sollevate dall’Occidente hanno indotto Pechino a connubi con un vicinato fino a ieri in orbita statunitense. Si tratta degli effetti paradossali derivanti dalla strategia dei disimpegni regionali avviati dagli Usa per concentrarsi sul Dragone. Eppure Washington oggi si trova implicata all’unisono su più polveriere, in cui la cura degli equilibri sembra l’ultimo dei pensieri.

Sicché le domande sulla terza guerra mondiale, più che il “se”, riguardano il “come” e il “quando”. Il rapporto di luglio della Commissione al Congresso per la Strategia nazionale di difesa raccomanda l’omologazione delle forze alleate alle direttive Usa, piani di reclutamento e la mobilitazione totale (dall’economia all’informazione alle scuole) per affrontare il nemico alle porte. Sono segnali dello snodo epocale di un ciclo egemonico, che tipicamente si consuma con eventi traumatici, inclusa la tentazione di rovesciare il tavolo pur di non fallire. Saggiare i ricorsi storici non significa però rassegnarsi con fatalismo. Il passato ingiunga di sterzare dalla traiettoria che si para innanzi.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
macerie lungo una strada, uomini che con pale le raccolgono, altri uomini e bambini guardano sullo sfondo

Un incendio tanto più è indomabile quanto più deriva dall’innesco di diversi focolai. Il vertice Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) annuncia altri passi verso il multipolarismo, tra cui la de-dollarizzazione dei mercati. La Nato, con il plauso baltico-polacco, allestisce in Nord Europa una maxi-esercitazione per lo scenario di una guerra nucleare con la Russia. La Cina invece simula il blocco navale di Taiwan, a monito del sostegno Usa all’indipendenza dell’isola, funzionale a preservare il monopolio sull’Indo-Pacifico.

Intanto, significa molto la freddezza verso il “Piano della vittoria” svelato da Zelensky in tema di ingresso di Kiev nella Nato, e l’installazione di basi missilistiche. Considerando che entrambi i punti corrispondono al motivo primario dell’invasione russa, è altresì inverosimile che il Piano sia spendibile come leva negoziale con Mosca, per quanto allettante sia la contropartita offerta all’Occidente: sfruttamento estero delle risorse minerarie nazionali e subentro nelle basi europee dei militari ucraini (posto che ve ne siano a sufficienza) a quelli statunitensi, da liberare per altre sfide.

Tutt’altro discorso vale per il Medioriente. Quale che sia il suo inquilino, la Casa Bianca resta in ostaggio di Israele, non potendogli negare sostegno: al netto degli interessi geostrategici sull’avamposto israeliano, pesa l’influenza ebraica interna agli Usa, unita a quella delle Chiese evangeliche e dei cristianosionisti in genere, che condiscono di sincretismi rituali l’attesa escatologica del giorno in cui anche l’Israele vittorioso riconoscerà in Cristo il Messia.

Se Israele trascinerà in guerra l’Iran, il blocco del petrolio verso l’Asia sarebbe un reagente eccitativo sul Pacifico. Le petrolmonarchie sarebbero sempre più sospinte in direzione Brics, indisposte nei confronti di chi mette a rischio i loro traffici vitali. Senza contare il surplus del supporto tecnologico-militare ai pasdaran, che proverrebbe dalla Russia, intenta a preservarsi le proiezioni sui mari caldi: la destabilizzazione siriana è già servita a farle stringere solidarietà funzionali con Teheran.

Analogamente il conflitto in Ucraina, mentre ha cementato la subalternità Ue a Washington, d’altra parte ha spinto la Russia nelle braccia della Cina, sua antica rivale. Mentre le cortine commerciali sollevate dall’Occidente hanno indotto Pechino a connubi con un vicinato fino a ieri in orbita statunitense. Si tratta degli effetti paradossali derivanti dalla strategia dei disimpegni regionali avviati dagli Usa per concentrarsi sul Dragone. Eppure Washington oggi si trova implicata all’unisono su più polveriere, in cui la cura degli equilibri sembra l’ultimo dei pensieri.

Sicché le domande sulla terza guerra mondiale, più che il “se”, riguardano il “come” e il “quando”. Il rapporto di luglio della Commissione al Congresso per la Strategia nazionale di difesa raccomanda l’omologazione delle forze alleate alle direttive Usa, piani di reclutamento e la mobilitazione totale (dall’economia all’informazione alle scuole) per affrontare il nemico alle porte. Sono segnali dello snodo epocale di un ciclo egemonico, che tipicamente si consuma con eventi traumatici, inclusa la tentazione di rovesciare il tavolo pur di non fallire. Saggiare i ricorsi storici non significa però rassegnarsi con fatalismo. Il passato ingiunga di sterzare dalla traiettoria che si para innanzi.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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Corso di cucina per un futuro reinserimento fuori dal carcere https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/ https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/#respond Fri, 18 Oct 2024 08:26:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78106

Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Cfp salesiani: un’opportunità di formazione professionalizzante https://www.lavoce.it/cfp-salesiani-unopportunita-di-formazione-professionalizzante/ https://www.lavoce.it/cfp-salesiani-unopportunita-di-formazione-professionalizzante/#respond Thu, 17 Oct 2024 17:00:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78073 Studenti all'opera sui banconi all'interno di un'aula del Centro di formazione

“Salesiani per il lavoro”. Più che uno slogan, è la sintesi dell’opera dei Centri di formazione professionale (Cfp) salesiani, i cui primi bagliori risalgono a quando don Bosco, nel recarsi nei luoghi di lavoro di Torino e dintorni, vedeva all’opera tanti ragazzi, spesso nella miseria più estrema. Appartenevano a famiglie poverissime, in buona parte disadattati, orfani...  Lavoravano in condizioni disumane, senza protezioni e senza orari, analfabeti che parlavano solo il dialetto d’origine, sbandati che spesso finivano in carcere. Quello che accade anche oggi a giovani con gravi disagi.

L'avvio dei primi laboratori dei Salesiani

Da quei contesti di degrado sociale, don Bosco trovò l’ispirazione per redigere il primo contratto (1852) con datori di lavoro illuminati, stabilendo una paga più equa alla prestazione, l’orario, il giorno di riposo, ecc., ma anche creando opportunità di apprendistato. I Salesiani avviarono i primi laboratori per approfondire un mestiere in comunità in stile di famiglia. Uno stile che ancora oggi è alla base degli odierni Cfp presenti nella gran parte dei 136 Paesi dei cinque Continenti dove i Salesiani operano con proprie missioni, dalle scuole agli oratori, ai Cfp.

Centri di formazione professionale salesiani in Umbria

In Umbria i Cfp hanno tre sedi: Perugia, Foligno e Marsciano, per complessivi 350 allievi. Ai ragazzi ora i Salesiani propongono un pellegrinaggio a Torino dal 25 al 27 ottobre, nei luoghi in cui visse don Bosco e dove sorsero i primi Cfp.

Ma cosa sono i Centri di formazione professionale salesiani?

Lo chiediamo al direttore dell’istituto “Don Bosco” di Perugia, don Claudio Tuveri, delegato Cnos-Fap Umbria per i rapporti istituzionali, e al direttore generale del Cnos-Fap Umbria, ente gestore dei Cfp, Federico Massinelli.

“Innanzitutto – precisa don Claudio Tuveri – i nostri Cfp concretizzano i valori del binomio integrazione/inclusione. Un ampio progetto che è alla base del pensiero di don Bosco, oltre a creare per tanti giovani concrete opportunità di lavoro dignitoso e specializzato grazie a corsi altamente professionali. I ragazzi vengono educati a crescere per essere cittadini di domani. Chi completa i Cfp ricorda il momento del ‘buongiorno’, una riflessione quotidiana sulla vita, sui valori umani e cristiani del mondo del lavoro attraverso le testimonianze di docenti e formatori. Un progetto che ci dà la possibilità di interagire con le famiglie degli allievi. I Centri sono un esempio di integrazione/ inclusione, perché tanti allievi sono italiani di seconda generazione, di culture e religioni diverse. Ogni anno, a maggio, si preparano alla giornata interreligiosa a cui partecipa l’arcivescovo. Il prossimo anno li coinvolgeremo per la festa di Maria Ausiliatrice”.

I Cfp preparano i giovani in quali settori produttivi, e quante possibilità hanno poi di trovare lavoro?

“Purtroppo è l’offerta che supera la domanda – commenta il direttore Federico Massinelli –, cioè le richieste di manodopera da parte delle aziende sono molto superiori al numero dei qualificati che escono dai nostri Cfp. Questo è in linea con il dato nazionale, rilevato in ciascuno dei sei settori professionali che attualmente siamo in grado di offrire nelle nostre sedi in Umbria con corsi di formazione in meccanica industriale, meccanica d’auto, elettrico, termo-idraulica, ristorazione, benessereacconciature. I corsi sono di durata quadriennale, con qualifica al terzo anno, mentre al quarto conseguono il diploma professionale. Chi vuole ha la possibilità di conseguire la maturità frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori che riconoscono il percorso svolto, perché i quadriennali rientrano nel Sistema di istruzione”.

Sta parlando della Iefp, Istruzione e formazione professionale?

“Esattamente – risponde Massinelli –, perché, oltre a qualificare professionalmente un ragazzo o una ragazza immediatamente spendibile nel mercato del lavoro, permette agli allievi di assolvere all’obbligo scolastico in attuazione della legge 30/2020, con l’allineamento all’Istruzione e formazione professionale, la Iefp. Questo ha determinato negli ultimi anni la richiesta di un gran numero di famiglie di inserire i propri figli nei nostri Cfp, ma purtroppo per gli stessi corsi e gli spazi dedicati abbiamo dovuto quest’anno non ammettere una cinquantina di domande (al primo anno) ma solo 112. La selezione è limitata alla data di presentazione della domanda; i non ammessi hanno dovuto intraprendere altre strade”.

Quindi i Cfp vivono anche delle criticità…

“Siamo alle prese con la burocrazia – commenta don Tuveri – che, a volte, ostacola la crescita delle nostre proposte formative. Criticità si registrano nella tempistica, troppo lunga, con cui ci vengono erogati i finanziamenti pubblici. Il Cnos-Fap punta sul personale docente e formativo stabile per poter offrire una formazione di qualità nell’aderire al contratto nazionale della formazione professionale”.

E la Chiesa particolare fa sentire la sua vicinanza a quest’opera formativa?

“La comunità diocesana – sottolinea don Tuveri – è da sempre attenta, interessata alla nostra opera, educativa prima ancora che formativa. Non sono mancate negli anni le occasioni per valorizzarla e tutelarla anche come Chiesa locale. Il nostro presente e futuro sta particolarmente a cuore all’arcivescovo Ivan Maffeis, e prima di lui già al cardinale Gualtiero Bassetti. Questo è per noi un sostegno, unincoraggiamento importante per il prosieguo dell’opera educativa e formativa fondata sugli insegnamenti di don Giovanni Bosco”.

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Studenti all'opera sui banconi all'interno di un'aula del Centro di formazione

“Salesiani per il lavoro”. Più che uno slogan, è la sintesi dell’opera dei Centri di formazione professionale (Cfp) salesiani, i cui primi bagliori risalgono a quando don Bosco, nel recarsi nei luoghi di lavoro di Torino e dintorni, vedeva all’opera tanti ragazzi, spesso nella miseria più estrema. Appartenevano a famiglie poverissime, in buona parte disadattati, orfani...  Lavoravano in condizioni disumane, senza protezioni e senza orari, analfabeti che parlavano solo il dialetto d’origine, sbandati che spesso finivano in carcere. Quello che accade anche oggi a giovani con gravi disagi.

L'avvio dei primi laboratori dei Salesiani

Da quei contesti di degrado sociale, don Bosco trovò l’ispirazione per redigere il primo contratto (1852) con datori di lavoro illuminati, stabilendo una paga più equa alla prestazione, l’orario, il giorno di riposo, ecc., ma anche creando opportunità di apprendistato. I Salesiani avviarono i primi laboratori per approfondire un mestiere in comunità in stile di famiglia. Uno stile che ancora oggi è alla base degli odierni Cfp presenti nella gran parte dei 136 Paesi dei cinque Continenti dove i Salesiani operano con proprie missioni, dalle scuole agli oratori, ai Cfp.

Centri di formazione professionale salesiani in Umbria

In Umbria i Cfp hanno tre sedi: Perugia, Foligno e Marsciano, per complessivi 350 allievi. Ai ragazzi ora i Salesiani propongono un pellegrinaggio a Torino dal 25 al 27 ottobre, nei luoghi in cui visse don Bosco e dove sorsero i primi Cfp.

Ma cosa sono i Centri di formazione professionale salesiani?

Lo chiediamo al direttore dell’istituto “Don Bosco” di Perugia, don Claudio Tuveri, delegato Cnos-Fap Umbria per i rapporti istituzionali, e al direttore generale del Cnos-Fap Umbria, ente gestore dei Cfp, Federico Massinelli.

“Innanzitutto – precisa don Claudio Tuveri – i nostri Cfp concretizzano i valori del binomio integrazione/inclusione. Un ampio progetto che è alla base del pensiero di don Bosco, oltre a creare per tanti giovani concrete opportunità di lavoro dignitoso e specializzato grazie a corsi altamente professionali. I ragazzi vengono educati a crescere per essere cittadini di domani. Chi completa i Cfp ricorda il momento del ‘buongiorno’, una riflessione quotidiana sulla vita, sui valori umani e cristiani del mondo del lavoro attraverso le testimonianze di docenti e formatori. Un progetto che ci dà la possibilità di interagire con le famiglie degli allievi. I Centri sono un esempio di integrazione/ inclusione, perché tanti allievi sono italiani di seconda generazione, di culture e religioni diverse. Ogni anno, a maggio, si preparano alla giornata interreligiosa a cui partecipa l’arcivescovo. Il prossimo anno li coinvolgeremo per la festa di Maria Ausiliatrice”.

I Cfp preparano i giovani in quali settori produttivi, e quante possibilità hanno poi di trovare lavoro?

“Purtroppo è l’offerta che supera la domanda – commenta il direttore Federico Massinelli –, cioè le richieste di manodopera da parte delle aziende sono molto superiori al numero dei qualificati che escono dai nostri Cfp. Questo è in linea con il dato nazionale, rilevato in ciascuno dei sei settori professionali che attualmente siamo in grado di offrire nelle nostre sedi in Umbria con corsi di formazione in meccanica industriale, meccanica d’auto, elettrico, termo-idraulica, ristorazione, benessereacconciature. I corsi sono di durata quadriennale, con qualifica al terzo anno, mentre al quarto conseguono il diploma professionale. Chi vuole ha la possibilità di conseguire la maturità frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori che riconoscono il percorso svolto, perché i quadriennali rientrano nel Sistema di istruzione”.

Sta parlando della Iefp, Istruzione e formazione professionale?

“Esattamente – risponde Massinelli –, perché, oltre a qualificare professionalmente un ragazzo o una ragazza immediatamente spendibile nel mercato del lavoro, permette agli allievi di assolvere all’obbligo scolastico in attuazione della legge 30/2020, con l’allineamento all’Istruzione e formazione professionale, la Iefp. Questo ha determinato negli ultimi anni la richiesta di un gran numero di famiglie di inserire i propri figli nei nostri Cfp, ma purtroppo per gli stessi corsi e gli spazi dedicati abbiamo dovuto quest’anno non ammettere una cinquantina di domande (al primo anno) ma solo 112. La selezione è limitata alla data di presentazione della domanda; i non ammessi hanno dovuto intraprendere altre strade”.

Quindi i Cfp vivono anche delle criticità…

“Siamo alle prese con la burocrazia – commenta don Tuveri – che, a volte, ostacola la crescita delle nostre proposte formative. Criticità si registrano nella tempistica, troppo lunga, con cui ci vengono erogati i finanziamenti pubblici. Il Cnos-Fap punta sul personale docente e formativo stabile per poter offrire una formazione di qualità nell’aderire al contratto nazionale della formazione professionale”.

E la Chiesa particolare fa sentire la sua vicinanza a quest’opera formativa?

“La comunità diocesana – sottolinea don Tuveri – è da sempre attenta, interessata alla nostra opera, educativa prima ancora che formativa. Non sono mancate negli anni le occasioni per valorizzarla e tutelarla anche come Chiesa locale. Il nostro presente e futuro sta particolarmente a cuore all’arcivescovo Ivan Maffeis, e prima di lui già al cardinale Gualtiero Bassetti. Questo è per noi un sostegno, unincoraggiamento importante per il prosieguo dell’opera educativa e formativa fondata sugli insegnamenti di don Giovanni Bosco”.

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G7 inclusione e disabilità. Di Maolo: ‘segnale di un cambio di passo’ https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-di-maolo-segnale-di-un-cambio-di-passo/ https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-di-maolo-segnale-di-un-cambio-di-passo/#respond Thu, 17 Oct 2024 15:59:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78028

Per la presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, Francesca Di Maolo, il G7 assisano (svoltosi dal 14-16 ottobre tra Assisi e Solfagnano ndr) in quanto “forum internazionale che riunisce i ministri di sette delle principali economie avanzate del mondo, dedicato ai temi della disabilità e dell’inclusione, è il segnale di un cambio di passo. Non ci attendiamo soluzioni, il giorno dopo, di tutti i problemi; ma questo G7 costituisce certamente l’avvio di un processo. Il fatto che per la prima volta le grandi economie del mondo mettano a tema l’inclusione e la disabilità dimostra la consapevolezza che un autentico sviluppo, integrale e sostenibile, si può realizzare solo garantendo la partecipazione di tutti alla vita sociale, politica ed economica di un Paese. Insomma, che occorre maturare logiche inclusive in ogni ambito”.

Economy of Francesco, al Serafico gettato il seme dell'economia inclusiva

Il pensiero va quindi a due anni fa, 24 settembre 2022, quando Assisi ha ospitato The Economy of Francesco e il Serafico è stato la sede del Comitato. “Molti dei nostri ragazzi – ricorda Di Maolo – già da allora dicevano: pensa se un giorno potessimo incontrare i Grandi della Terra e parlare con loro…”. Dei 12 villaggi di quell’evento, uno, ospitato al Serafico, era dedicato a disabilità, disuguaglianze, inclusione: “Sapere che a distanza di due anni, proprio qui dove è stato gettato quel seme dell’economia inclusiva di cui parla Francesco, questo sia divenuto tema dell’agenda anche dei grandi, ci emoziona”.

"Servono movimenti verticali e un'ondata orizzontale"

L’inclusione non si può ottenere solo con l’abbattimento di barriere architettoniche e l’elargizione di sussidi; servono “movimenti verticali e un’ondata orizzontale”. I primi – spiega – sono “le politiche degli Stati, le strategie per contrastare le discriminazioni e garantire a tutti il diritto alla piena partecipazione civile, sociale e politica alla vita quotidiana”. Poi “c’è bisogno di un’ondata orizzontale, ossia un movimento di comunità e di prossimità finalizzato a creare condizioni che consentano di realizzarsi concretamente in quanto esseri umani, nonostante i limiti, in tutte le dimensioni dell’esistenza”. E non solo nelle “macro-aree: educazione; salute, intesa anche come cura e riabilitazione; lavoro”, ma anche in riferimento agli “altri diritti fondamentali, dallo sport alla cultura”.

Al Serafico “Accogliamo" uno degli eventi collaterali

Nella giornata di accoglienza delle delegazioni ministeriali, il Serafico ha ospitato “Accogliamo”, uno degli eventi collaterali del G7, trasformandosi in un laboratorio di esperienze collettive aperte al pubblico, all’insegna dell’inclusione e della partecipazione attiva. In programma attività sportive e artistiche, coinvolgendo ragazzi con disabilità e non, artisti, sportivi e associazioni del territorio. Anzitutto la mototerapia con Vanni Oddera, uno dei massimi esponenti del freestyle motocross al mondo, che da quasi vent’anni fa sperimentare l’emozione della velocità e la libertà della moto a persone fragili.

Ad oggi sono oltre 60 mila i ragazzi con disabilità, i bimbi ospedalizzati e le persone con varie forme di autismo che hanno potuto condividere questa esperienza migliorando la propria qualità di vita. Poi il baskin, grazie alla collaborazione con Eisi (Ente italiano sport inclusivi), pensato per permettere alle persone, con disabilità e non, di giocare nella stessa squadra adattando le regole della pallacanestro tradizionale.

Giovanna P. Traversa   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78048,78049,78050,78051,78052,78053,78054,78055,78056,78057,78058,78059"]]]>

Per la presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, Francesca Di Maolo, il G7 assisano (svoltosi dal 14-16 ottobre tra Assisi e Solfagnano ndr) in quanto “forum internazionale che riunisce i ministri di sette delle principali economie avanzate del mondo, dedicato ai temi della disabilità e dell’inclusione, è il segnale di un cambio di passo. Non ci attendiamo soluzioni, il giorno dopo, di tutti i problemi; ma questo G7 costituisce certamente l’avvio di un processo. Il fatto che per la prima volta le grandi economie del mondo mettano a tema l’inclusione e la disabilità dimostra la consapevolezza che un autentico sviluppo, integrale e sostenibile, si può realizzare solo garantendo la partecipazione di tutti alla vita sociale, politica ed economica di un Paese. Insomma, che occorre maturare logiche inclusive in ogni ambito”.

Economy of Francesco, al Serafico gettato il seme dell'economia inclusiva

Il pensiero va quindi a due anni fa, 24 settembre 2022, quando Assisi ha ospitato The Economy of Francesco e il Serafico è stato la sede del Comitato. “Molti dei nostri ragazzi – ricorda Di Maolo – già da allora dicevano: pensa se un giorno potessimo incontrare i Grandi della Terra e parlare con loro…”. Dei 12 villaggi di quell’evento, uno, ospitato al Serafico, era dedicato a disabilità, disuguaglianze, inclusione: “Sapere che a distanza di due anni, proprio qui dove è stato gettato quel seme dell’economia inclusiva di cui parla Francesco, questo sia divenuto tema dell’agenda anche dei grandi, ci emoziona”.

"Servono movimenti verticali e un'ondata orizzontale"

L’inclusione non si può ottenere solo con l’abbattimento di barriere architettoniche e l’elargizione di sussidi; servono “movimenti verticali e un’ondata orizzontale”. I primi – spiega – sono “le politiche degli Stati, le strategie per contrastare le discriminazioni e garantire a tutti il diritto alla piena partecipazione civile, sociale e politica alla vita quotidiana”. Poi “c’è bisogno di un’ondata orizzontale, ossia un movimento di comunità e di prossimità finalizzato a creare condizioni che consentano di realizzarsi concretamente in quanto esseri umani, nonostante i limiti, in tutte le dimensioni dell’esistenza”. E non solo nelle “macro-aree: educazione; salute, intesa anche come cura e riabilitazione; lavoro”, ma anche in riferimento agli “altri diritti fondamentali, dallo sport alla cultura”.

Al Serafico “Accogliamo" uno degli eventi collaterali

Nella giornata di accoglienza delle delegazioni ministeriali, il Serafico ha ospitato “Accogliamo”, uno degli eventi collaterali del G7, trasformandosi in un laboratorio di esperienze collettive aperte al pubblico, all’insegna dell’inclusione e della partecipazione attiva. In programma attività sportive e artistiche, coinvolgendo ragazzi con disabilità e non, artisti, sportivi e associazioni del territorio. Anzitutto la mototerapia con Vanni Oddera, uno dei massimi esponenti del freestyle motocross al mondo, che da quasi vent’anni fa sperimentare l’emozione della velocità e la libertà della moto a persone fragili.

Ad oggi sono oltre 60 mila i ragazzi con disabilità, i bimbi ospedalizzati e le persone con varie forme di autismo che hanno potuto condividere questa esperienza migliorando la propria qualità di vita. Poi il baskin, grazie alla collaborazione con Eisi (Ente italiano sport inclusivi), pensato per permettere alle persone, con disabilità e non, di giocare nella stessa squadra adattando le regole della pallacanestro tradizionale.

Giovanna P. Traversa   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78048,78049,78050,78051,78052,78053,78054,78055,78056,78057,78058,78059"]]]>
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Orticelli politici, pure esasperati https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/ https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/#respond Wed, 16 Oct 2024 13:39:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77996

Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Don Claudio Regni, una vita, una vocazione “per gli altri” https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/ https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/#comments Tue, 15 Oct 2024 06:27:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77992

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>
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