SANITÀ Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/sanita/ Settimanale di informazione regionale Fri, 06 Sep 2024 16:08:10 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg SANITÀ Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/sanita/ 32 32 Radioterapia… una cenerentola. Se ne parla in un convegno ad Assisi https://www.lavoce.it/radioterapia-una-cenerentola-se-ne-parla-in-un-convegno-ad-assisi/ https://www.lavoce.it/radioterapia-una-cenerentola-se-ne-parla-in-un-convegno-ad-assisi/#respond Fri, 06 Sep 2024 15:53:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77476

Neoplasia. Tumore. Carcinoma. Blastoma. Metastasi. Mente e cuore vacillano di fronte a questi termini così prepotentemente entrati nelle nostre vite e nel comune vocabolario, ad indicare la presenza di un cancro, vale a dire di una proliferazione non controllata di cellule che hanno la capacità di infiltrarsi nei normali organi e tessuti dell'organismo alterandone la struttura ed il funzionamento.

Il Dna cellulare, lo abbiamo appreso a scuola e non dovremmo dimenticarlo, contiene infatti informazioni su come le cellule debbano crescere e moltiplicarsi. Errori in queste istruzioni fanno in modo che la cellula diventi cancerosa.

Aumentano i casi di tumore

Secondo il rapporto “I numeri del cancro 2023”, frutto della collaborazione tra Airtum (associazione italiana registri tumori), Aiom (associazione italiana di oncologia medica), Fondazione Aiom e Passi (progressi nelle aziende sanitarie per la salute in Italia), rispetto al 2020, i casi di tumore nel 2023 sono aumentati di oltre 18.000 unità, complice anche la sospensione ed il rallentamento degli screening durante la pandemia da Covid-19 che hanno determinato lo slittamento di molte diagnosi.

... ma si curano di più

Il cancro è però sempre più curabile. Questo ci conforta. I trattamenti oncologici variano a seconda della sede che viene identificata come primaria, dello stadio della malattia, della presenza o meno di malattia secondaria (a distanza) e delle condizioni di salute generale del paziente.

La radioterapia

Accanto alle terapie di tipo chirurgico e medico (chemioterapia e terapie biologiche) si giustappone la radioterapia, cui ricorre circa la metà delle persone colpite da una mutazione genetica tumorale.

Prof.ssa Cynthia Aristei: "è una specializzazione molto richiesta"

A colloquio con la prof.ssa Cynthia Aristei, dirigente S. C. di Radioterapia oncologica presso l’Azienda ospedaliera di Perugia, da quarant’anni in servizio al Santa Maria della Misericordia, responsabile della sezione di Radioterapia oncologica e direttrice della Scuola di specializzazione in radioterapia, apprendiamo che “la radiologia è una specializzazione sanitaria molto richiesta, dato che attraverso di essa è possibile curare le neoplasie con trattamenti mirati molto limitati nel tempo, ma efficaci. Sono però attualmente pochissimi i giovani medici che ad essa si avvicinano. La problematica non è solo locale; anche a livello nazionale ci si sta da tempo interrogando sulle cause ed i possibili rimedi alla carenza di radioterapisti.

Una delle motivazioni è legata alle modalità di insegnamento di questa, per me affascinante, disciplina che permette sia il rapporto diretto con il paziente sia l’utilizzo di apparecchiature altamente tecnologiche. La radioterapia – a differenza della radiodiagnostica – non è infatti presente, come insegnamento a sé stante, in tutte le facoltà di Medicina e, laddove fa parte del corso di studi previsti, le è destinato un esiguo numero di ore e/o viene presentata agli studenti un paio d’anni prima dell’accesso alla specializzazione, per cui al momento della scelta del proprio campo di lavoro se ne è quasi persa la memoria”.

"‘La radioterapia che cura per guarire" incontro ad Assisi

Si colloca in quest’ottica l’incontro ‘La radioterapia che cura per guarire’ promosso in Assisi il prossimo 13 settembre alle ore 17.30 presso il palazzo comunale… “Con l’associazione Nora - Noi per la radioterapia oncologica di Perugia, in collaborazione con gli enti locali, proponiamo convegni e tavole rotonde per fare conoscere le potenzialità della radioterapia non solo agli addetti ai lavori, ma anche alla comunità.

Interverranno non solo medici, ma anche infermieri professionali e tecnici di radiologia dell’ospedale Silvestrini, laddove trattiamo 1.500 nuovi pazienti all’anno, in un reparto che rappresenta un’eccellenza non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, e dove sono presenti competenze e strumentazioni adeguate al trattamento curativo sulle neoplasie”.

Elena Lovascio

L'associazione "Nora"

“ Nora” è un acronimo che sta per l’associazione “Noi per la Radioterapia oncologica” di Perugia. Nata lo scorso settembre non soltanto per finanziare borse di studio e di dottorato, assegni di ricerca e contratti a progetto all’interno dell’Università degli studi di Perugia, ma anche per favorire l’acquisto delle migliori tecnologie e dei più aggiornati macchinari relativi alla radioterapia, da donare all’ospedale del capoluogo umbro. In ultimo, Nora si adopera per sostenere la formazione e l’aggiornamento del personale medico, fisico, tecnico e infermieristico.

Molteplici le iniziative di raccolta fondi che mettono al centro la musica o il buon cibo, come è accaduto nei mesi scorsi a Cannara, dove la sezione Avis locale ha promosso una cena di solidarietà al sapor di vernaccia, che ha visto la partecipazione di oltre duecento persone.

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Neoplasia. Tumore. Carcinoma. Blastoma. Metastasi. Mente e cuore vacillano di fronte a questi termini così prepotentemente entrati nelle nostre vite e nel comune vocabolario, ad indicare la presenza di un cancro, vale a dire di una proliferazione non controllata di cellule che hanno la capacità di infiltrarsi nei normali organi e tessuti dell'organismo alterandone la struttura ed il funzionamento.

Il Dna cellulare, lo abbiamo appreso a scuola e non dovremmo dimenticarlo, contiene infatti informazioni su come le cellule debbano crescere e moltiplicarsi. Errori in queste istruzioni fanno in modo che la cellula diventi cancerosa.

Aumentano i casi di tumore

Secondo il rapporto “I numeri del cancro 2023”, frutto della collaborazione tra Airtum (associazione italiana registri tumori), Aiom (associazione italiana di oncologia medica), Fondazione Aiom e Passi (progressi nelle aziende sanitarie per la salute in Italia), rispetto al 2020, i casi di tumore nel 2023 sono aumentati di oltre 18.000 unità, complice anche la sospensione ed il rallentamento degli screening durante la pandemia da Covid-19 che hanno determinato lo slittamento di molte diagnosi.

... ma si curano di più

Il cancro è però sempre più curabile. Questo ci conforta. I trattamenti oncologici variano a seconda della sede che viene identificata come primaria, dello stadio della malattia, della presenza o meno di malattia secondaria (a distanza) e delle condizioni di salute generale del paziente.

La radioterapia

Accanto alle terapie di tipo chirurgico e medico (chemioterapia e terapie biologiche) si giustappone la radioterapia, cui ricorre circa la metà delle persone colpite da una mutazione genetica tumorale.

Prof.ssa Cynthia Aristei: "è una specializzazione molto richiesta"

A colloquio con la prof.ssa Cynthia Aristei, dirigente S. C. di Radioterapia oncologica presso l’Azienda ospedaliera di Perugia, da quarant’anni in servizio al Santa Maria della Misericordia, responsabile della sezione di Radioterapia oncologica e direttrice della Scuola di specializzazione in radioterapia, apprendiamo che “la radiologia è una specializzazione sanitaria molto richiesta, dato che attraverso di essa è possibile curare le neoplasie con trattamenti mirati molto limitati nel tempo, ma efficaci. Sono però attualmente pochissimi i giovani medici che ad essa si avvicinano. La problematica non è solo locale; anche a livello nazionale ci si sta da tempo interrogando sulle cause ed i possibili rimedi alla carenza di radioterapisti.

Una delle motivazioni è legata alle modalità di insegnamento di questa, per me affascinante, disciplina che permette sia il rapporto diretto con il paziente sia l’utilizzo di apparecchiature altamente tecnologiche. La radioterapia – a differenza della radiodiagnostica – non è infatti presente, come insegnamento a sé stante, in tutte le facoltà di Medicina e, laddove fa parte del corso di studi previsti, le è destinato un esiguo numero di ore e/o viene presentata agli studenti un paio d’anni prima dell’accesso alla specializzazione, per cui al momento della scelta del proprio campo di lavoro se ne è quasi persa la memoria”.

"‘La radioterapia che cura per guarire" incontro ad Assisi

Si colloca in quest’ottica l’incontro ‘La radioterapia che cura per guarire’ promosso in Assisi il prossimo 13 settembre alle ore 17.30 presso il palazzo comunale… “Con l’associazione Nora - Noi per la radioterapia oncologica di Perugia, in collaborazione con gli enti locali, proponiamo convegni e tavole rotonde per fare conoscere le potenzialità della radioterapia non solo agli addetti ai lavori, ma anche alla comunità.

Interverranno non solo medici, ma anche infermieri professionali e tecnici di radiologia dell’ospedale Silvestrini, laddove trattiamo 1.500 nuovi pazienti all’anno, in un reparto che rappresenta un’eccellenza non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, e dove sono presenti competenze e strumentazioni adeguate al trattamento curativo sulle neoplasie”.

Elena Lovascio

L'associazione "Nora"

“ Nora” è un acronimo che sta per l’associazione “Noi per la Radioterapia oncologica” di Perugia. Nata lo scorso settembre non soltanto per finanziare borse di studio e di dottorato, assegni di ricerca e contratti a progetto all’interno dell’Università degli studi di Perugia, ma anche per favorire l’acquisto delle migliori tecnologie e dei più aggiornati macchinari relativi alla radioterapia, da donare all’ospedale del capoluogo umbro. In ultimo, Nora si adopera per sostenere la formazione e l’aggiornamento del personale medico, fisico, tecnico e infermieristico.

Molteplici le iniziative di raccolta fondi che mettono al centro la musica o il buon cibo, come è accaduto nei mesi scorsi a Cannara, dove la sezione Avis locale ha promosso una cena di solidarietà al sapor di vernaccia, che ha visto la partecipazione di oltre duecento persone.

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Disturbo del comportamento alimentare, un disagio in forte aumento https://www.lavoce.it/disturbo-del-comportamento-alimentare-un-disagio-in-forte-aumento/ https://www.lavoce.it/disturbo-del-comportamento-alimentare-un-disagio-in-forte-aumento/#respond Tue, 20 Feb 2024 16:47:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76352

Oltre 3 milioni di persone in Italia soffrono di disturbi del comportamento alimentare (Dca), 15 mila in Umbria (dati sottostimati). Nel 2023, 3.780 sono stati i decessi per malattie legate a questi disturbi, con una variabile più alta nelle Regioni dove sono scarse o assenti le strutture dedicate. Negli ultimi tre anni si registra un +40% di diagnosi, con il doppio delle richieste di ricovero.

Fondi stanziati dal ministro Orazio Schillaci

Ma nonostante i dati allarmanti, il governo di Giorgia Meloni aveva deciso di tagliare i fondi previsti per curare questa patologia, fino a fare retromarcia dopo le proteste. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha promesso un fondo di 10 milioni di euro per il 2024. Il fondo è stato istituito nel 2021 dal governo Draghi (25 milioni di euro), con lo scopo di rinforzare la rete degli ambulatori multidisciplinari, assenti in molte regioni. Un passo importante anche per un vero riconoscimento, con budget a sé stante, dei Dca nei Livelli essenziali di assistenza (Lea).

In Umbria la rete per i Dca è eccellente, quali i centri

Non è pessimista la direttrice della rete Dca Usl 1 Umbria e past president della Società italiana riabilitazione, Laura Dalla Ragione: “La rete di eccellenza che abbiamo qui, attiva dal 2003, non è a rischio, ma i fondi sono necessari perché anche in Umbria l’utenza sta aumentando”. Due sono i centri a Todi, uno diurno e uno residenziale; a Città della Pieve c’è il centro (primo in Italia) che si occupa di disturbo da alimentazione incontrollata e obesità; a Umbertide quello rivolto ai piccoli. “I fondi che abbiamo ricevuto – spiega Dalla Ragione – sono stati utilizzati per rinforzare i nostri servizi territoriali e ospedalieri: questo ha permesso maggiore omogeneità tra le aziende sanitarie locali. Ora tutti gli umbri hanno accesso agli stessi servizi”.

Con la pandemia è scesa l'età di esordio della malattia

Dopo la pandemia si è registrato un abbassamento dell’età di esordio: “Abbiamo tanti piccoli pazienti che spesso necessitano di un’assistenza molto particolare. Questo fenomeno è cresciuto a livello nazionale e regionale, perché il Covid-19 ha portato a una grande sofferenza anche nei preadolescenti. Sono stati privati della scuola e della socializzazione, soprattutto con i propri coetanei”. Si registra infatti un aumento del 30% dei disturbi, “che ha riguardato particolarmente la fascia fra gli 8 e i 13 anni, e questo ci preoccupa molto di più. Se l’esordio è precoce, la patologia è più grave. Altro elemento preoccupante, sono aumentati moltissimo i maschi, che erano praticamente una rarità fino a dieci anni fa. Oggi, invece, nella fascia tra i 12 e i 17 anni sono il 20%. Quindi probabilmente fra dieci anni non sarà più un disturbo ‘di genere’”.

Dove sono distribuiti i centri Dca

I Dca sono sempre più in aumento, ma non bastano strutture e specialisti. Il maggior numero dei centri, 63 su 126, si trova nel Nord Italia, 23 nel Centro, di cui 6 in Umbria. A Perugia opera dal 1997 l’associazione di pazienti ed ex pazienti “Il pellicano”, specializzata in percorsi di assistenza individuale e di gruppo, rivolta a pazienti e familiari. La struttura, convenzionata con l’Asl 1 dal ’98 e dalla quale riceve 50 mila euro, ha assistito nel corso degli anni più di 2.000 persone, anche molti studenti universitari fuori sede.

“Il pellicano – racconta il direttore sanitario Giampaolo Bottaccioli –, nato all’interno del Centro di salute mentale di Perugia, è stato il primo a prendersi cura di persone affette dai Dca. Nato per la volontà di un gruppo di pazienti, sostenuto dagli operatori psichiatrici, si è assunto la responsabilità di rappresentare una patologia allora poco compresa e difficile da curare. Il pellicano è diventato un porto sicuro di accoglienza, ascolto e cura, dove spazio e tempo vengono riempiti di significati e contenuti volti a dare sicurezza, autostima, serenità, perché si è capiti e protetti fino alla presa di coscienza e guarigione”.

Varie le attività di socializzazione: lettura, pittura, teatro, scrittura, cucito, preparazione dei pasti e cura dell’orto. “Attività che hanno lo scopo – conclude Bottaccioli – di avvicinare i pazienti alla conoscenza di sé tramite la conoscenza della realtà circostante e alle varie possibilità di modificarla, crearla, amarla”.

Rosaria Parrilla
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Oltre 3 milioni di persone in Italia soffrono di disturbi del comportamento alimentare (Dca), 15 mila in Umbria (dati sottostimati). Nel 2023, 3.780 sono stati i decessi per malattie legate a questi disturbi, con una variabile più alta nelle Regioni dove sono scarse o assenti le strutture dedicate. Negli ultimi tre anni si registra un +40% di diagnosi, con il doppio delle richieste di ricovero.

Fondi stanziati dal ministro Orazio Schillaci

Ma nonostante i dati allarmanti, il governo di Giorgia Meloni aveva deciso di tagliare i fondi previsti per curare questa patologia, fino a fare retromarcia dopo le proteste. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha promesso un fondo di 10 milioni di euro per il 2024. Il fondo è stato istituito nel 2021 dal governo Draghi (25 milioni di euro), con lo scopo di rinforzare la rete degli ambulatori multidisciplinari, assenti in molte regioni. Un passo importante anche per un vero riconoscimento, con budget a sé stante, dei Dca nei Livelli essenziali di assistenza (Lea).

In Umbria la rete per i Dca è eccellente, quali i centri

Non è pessimista la direttrice della rete Dca Usl 1 Umbria e past president della Società italiana riabilitazione, Laura Dalla Ragione: “La rete di eccellenza che abbiamo qui, attiva dal 2003, non è a rischio, ma i fondi sono necessari perché anche in Umbria l’utenza sta aumentando”. Due sono i centri a Todi, uno diurno e uno residenziale; a Città della Pieve c’è il centro (primo in Italia) che si occupa di disturbo da alimentazione incontrollata e obesità; a Umbertide quello rivolto ai piccoli. “I fondi che abbiamo ricevuto – spiega Dalla Ragione – sono stati utilizzati per rinforzare i nostri servizi territoriali e ospedalieri: questo ha permesso maggiore omogeneità tra le aziende sanitarie locali. Ora tutti gli umbri hanno accesso agli stessi servizi”.

Con la pandemia è scesa l'età di esordio della malattia

Dopo la pandemia si è registrato un abbassamento dell’età di esordio: “Abbiamo tanti piccoli pazienti che spesso necessitano di un’assistenza molto particolare. Questo fenomeno è cresciuto a livello nazionale e regionale, perché il Covid-19 ha portato a una grande sofferenza anche nei preadolescenti. Sono stati privati della scuola e della socializzazione, soprattutto con i propri coetanei”. Si registra infatti un aumento del 30% dei disturbi, “che ha riguardato particolarmente la fascia fra gli 8 e i 13 anni, e questo ci preoccupa molto di più. Se l’esordio è precoce, la patologia è più grave. Altro elemento preoccupante, sono aumentati moltissimo i maschi, che erano praticamente una rarità fino a dieci anni fa. Oggi, invece, nella fascia tra i 12 e i 17 anni sono il 20%. Quindi probabilmente fra dieci anni non sarà più un disturbo ‘di genere’”.

Dove sono distribuiti i centri Dca

I Dca sono sempre più in aumento, ma non bastano strutture e specialisti. Il maggior numero dei centri, 63 su 126, si trova nel Nord Italia, 23 nel Centro, di cui 6 in Umbria. A Perugia opera dal 1997 l’associazione di pazienti ed ex pazienti “Il pellicano”, specializzata in percorsi di assistenza individuale e di gruppo, rivolta a pazienti e familiari. La struttura, convenzionata con l’Asl 1 dal ’98 e dalla quale riceve 50 mila euro, ha assistito nel corso degli anni più di 2.000 persone, anche molti studenti universitari fuori sede.

“Il pellicano – racconta il direttore sanitario Giampaolo Bottaccioli –, nato all’interno del Centro di salute mentale di Perugia, è stato il primo a prendersi cura di persone affette dai Dca. Nato per la volontà di un gruppo di pazienti, sostenuto dagli operatori psichiatrici, si è assunto la responsabilità di rappresentare una patologia allora poco compresa e difficile da curare. Il pellicano è diventato un porto sicuro di accoglienza, ascolto e cura, dove spazio e tempo vengono riempiti di significati e contenuti volti a dare sicurezza, autostima, serenità, perché si è capiti e protetti fino alla presa di coscienza e guarigione”.

Varie le attività di socializzazione: lettura, pittura, teatro, scrittura, cucito, preparazione dei pasti e cura dell’orto. “Attività che hanno lo scopo – conclude Bottaccioli – di avvicinare i pazienti alla conoscenza di sé tramite la conoscenza della realtà circostante e alle varie possibilità di modificarla, crearla, amarla”.

Rosaria Parrilla
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Rsa, servizio a rischio. Appello alla Regione: “Parliamo” https://www.lavoce.it/__trashed/ https://www.lavoce.it/__trashed/#respond Thu, 08 Feb 2024 11:57:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74855

Ha sollevato grande attenzione la lettera/comunicato diffuso alla stampa la scorsa settimana da sette gestori di servizi sociosanitari, che offrono al territorio regionale circa 500 posti letto per ospiti non autosufficienti in regime di convenzione con il Servizio sanitario regionale. Rappresentano quel sistema regionale che offre circa 1.700 posti letto, ma ne servirebbero molti più di duemila. E nei prossimi anni la domanda per questo servizio non è certo destinata a diminuire.

Le sette strutture che chiedono l'aggiornamento delle tariffe dei servizi convenzionati

Le sette strutture (Fondazione Fontenuovo, Opere Pie Donini-Fondazione, Fondazione Sodalizio San Martino di Perugia, Fondazione Creusa Brizi Bittoni di Città della Pieve, Fondazione Casa Serena Zefferino Rinaldi di Magione, Opera Pia Bartolomei Castori di Foligno, Residenza Protetta San Giovanni Bosco di Castel Viscardo) si sono fatte voce di una esigenza che riguarda tutto il settore: l’aggiornamento delle tariffe dei servizi convenzionati.

A dicembre avevano già richiesto un confronto con l'Amministrazione regionale

La scelta di diffondere una nota alla stampa è maturata dopo aver atteso invano un riscontro alla lettera che avevano inviata all’Amministrazione regionale il 22 dicembre scorso, nella quale “chiedevano urgentemente un confronto in merito alla perdurante inadempienza della Regione al suo obbligo, riconosciuto per legge, di adeguare periodicamente le tariffe dei servizi convenzionati alla dinamica dei costi”.

Come funziona il sistema

Ma perché è così importante la decisione della Regione? Il sistema funziona così: la Regione stabilisce le caratteristiche del servizio (dai pasti a quanti operatori sociosanitari, infermieri, medici, devono essere presenti nella struttura, ai requisiti degli alloggi) e stabilisce quale è la tariffa che la struttura può applicare agli ospiti. Questa tariffa per il 50% è coperta dal Servizio sanitario regionale e per il 50% dall’assistito (salvo casi di indigenza nei quali intervengono i servizi sociali) Il punto è che mentre la Regione pone obblighi stringenti sulla qualità del servizio in termini di prestazioni e standard di servizio crescenti (per esempio assistenza infermieristica giorno e notte) le strutture neppure volendo possono decidere di far pagare di più gli assistiti.

Ma nel frattempo devono sostenere costi crescenti per l’adeguamento dei contratti di lavoro dei dipendenti o, banalmente per l’aumento del costo della vita. “Lo squilibrio crescente fra i costi e le entrate - hanno denunciato le strutture che hanno diffuso la nota alla stampa - mette le strutture in una situazione di oggettiva difficoltà economica che espone a rischio la loro stessa sopravvivenza o quanto meno la continuità del servizio convenzionato”.

Promesse non mantenute

In Umbria le tariffe sono ferme da vent’anni, con piccoli aggiornamenti. Nel marzo 2022, sccrivono gli Enti gestori nella nota, la Regione “aveva proposto (di fatto imposto) agli enti gestori un ‘accordo ponte’, da valere fino al 31 dicembre 2022, con un adeguamento solo parziale delle tariffe ai costi e con la promessa di un adeguamento completo a decorrere dal 1° gennaio 2023. Ma il 2023 è trascorso, è iniziato il 2024 e dei nuovi provvedimenti attesi non si è più sentito parlare”.

Situazione insostenibile

Gli enti gestori dei servizi sono enti senza scopo di lucro. A rischio quindi non è il loro profitto ma il servizio dato alle famiglie “Consapevoli del ruolo che è loro proprio al servizio della Comunità e del prestigio che caratterizza la rappresentanza di Enti che costituiscono un bene collettivo e identitario della Comunità stessa, gli Amministratori si augurano di continuare ad essere parte integrante del Sistema sanitario regionale, nella consapevolezza però che i patrimoni affidati alla loro responsabilità non possano essere compromessi in conseguenza di una incomprensibile sottrazione alla propria responsabilità da parte di chi rappresenta pro tempore l’Istituzione regolatrice”.

È una richiesta di metodo

La seconda richiesta che le strutture pongono alla Regione è di metodo.  “In questo quadro, nella riunione del 19 gennaio le strutture hanno ribadito la necessità di proseguire nella propria attività di coordinamento e nella volontà di rivendicare il diritto ad un confronto leale e costruttivo con la Regione” scrivono nella nota stampa.

Il clamore mediatico suscitato dalla nota ha avuto un primo effetto, quello di far sapere alle strutture che nelle stanze della Regione c’è chi sta facendo i conti per ridefinire le tariffe, e per farlo ha anche iniziato ad ascoltare diversi soggetti (associazioni di categoria, sindacati, cooperative) in qualche modo rappresentativi del territorio e dell’utenza; ma non ha previsto (almeno sinora) un dialogo esplicito e diretto con gli enti gestori intesi come controparte contrattuale.  Gli enti gestori invece ritengono che sia necessaria o comunque opportuna una trattativa diretta.

Come si calcola il costo del servizio?

C’è poi un problema. Come stabilire il costo del servizio? Si potrebbe pensare si possa fare stilando un elenco analitico dei singoli costi pro capite del mantenimento degli ospiti (esempio: quanto costa giornalmente il vitto di ciascuno?). In realtà, spiegano i responsabili degli Enti gestori, non è così semplice perché se si vuol fare un calcolo analitico le voci di costo sono infinite: quanto costa il personale amministrativo? Ma, prima ancora, di quanto personale amministrativo ha bisogno una casa con 50 ospiti? E poi: quanto costano le pulizie? "uanto costa il riscaldamento? "uanto costano i vari consulenti necessari (dal consulente per il lavoro a quello per la sicurezza, ecc. ecc.).  Poi ci sono i costi per le attrezzature, o i costi per interventi straordinari di manutenzione delle strutture, ecc.

La difficoltà aumenta se si considera che tutti i costi che si vogliono calcolare non sono fissi nel tempo, al contrario aumentano tutti - quale più quale meno - e perciò nel momento in cui si arriverà a stabilire la “tariffa omnicomprensiva” si dovrebbe subito stabilire a quale scadenza e con quale metodo si dovrà provvedere all’aggiornamento.

Gli enti gestori sono ancora in attesa di una risposta ufficiale dalla Regione. L’auspicio è che si apra un tavolo di confronto con tutti i soggetti (enti gestori, famiglie, sindacati dei lavoratori, ecc) e che si giunga al più presto ad una soluzione che consenta di mantenere e possibilmente incrementare un servizio che già oggi non copre le necessità degli umbri.

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Ha sollevato grande attenzione la lettera/comunicato diffuso alla stampa la scorsa settimana da sette gestori di servizi sociosanitari, che offrono al territorio regionale circa 500 posti letto per ospiti non autosufficienti in regime di convenzione con il Servizio sanitario regionale. Rappresentano quel sistema regionale che offre circa 1.700 posti letto, ma ne servirebbero molti più di duemila. E nei prossimi anni la domanda per questo servizio non è certo destinata a diminuire.

Le sette strutture che chiedono l'aggiornamento delle tariffe dei servizi convenzionati

Le sette strutture (Fondazione Fontenuovo, Opere Pie Donini-Fondazione, Fondazione Sodalizio San Martino di Perugia, Fondazione Creusa Brizi Bittoni di Città della Pieve, Fondazione Casa Serena Zefferino Rinaldi di Magione, Opera Pia Bartolomei Castori di Foligno, Residenza Protetta San Giovanni Bosco di Castel Viscardo) si sono fatte voce di una esigenza che riguarda tutto il settore: l’aggiornamento delle tariffe dei servizi convenzionati.

A dicembre avevano già richiesto un confronto con l'Amministrazione regionale

La scelta di diffondere una nota alla stampa è maturata dopo aver atteso invano un riscontro alla lettera che avevano inviata all’Amministrazione regionale il 22 dicembre scorso, nella quale “chiedevano urgentemente un confronto in merito alla perdurante inadempienza della Regione al suo obbligo, riconosciuto per legge, di adeguare periodicamente le tariffe dei servizi convenzionati alla dinamica dei costi”.

Come funziona il sistema

Ma perché è così importante la decisione della Regione? Il sistema funziona così: la Regione stabilisce le caratteristiche del servizio (dai pasti a quanti operatori sociosanitari, infermieri, medici, devono essere presenti nella struttura, ai requisiti degli alloggi) e stabilisce quale è la tariffa che la struttura può applicare agli ospiti. Questa tariffa per il 50% è coperta dal Servizio sanitario regionale e per il 50% dall’assistito (salvo casi di indigenza nei quali intervengono i servizi sociali) Il punto è che mentre la Regione pone obblighi stringenti sulla qualità del servizio in termini di prestazioni e standard di servizio crescenti (per esempio assistenza infermieristica giorno e notte) le strutture neppure volendo possono decidere di far pagare di più gli assistiti.

Ma nel frattempo devono sostenere costi crescenti per l’adeguamento dei contratti di lavoro dei dipendenti o, banalmente per l’aumento del costo della vita. “Lo squilibrio crescente fra i costi e le entrate - hanno denunciato le strutture che hanno diffuso la nota alla stampa - mette le strutture in una situazione di oggettiva difficoltà economica che espone a rischio la loro stessa sopravvivenza o quanto meno la continuità del servizio convenzionato”.

Promesse non mantenute

In Umbria le tariffe sono ferme da vent’anni, con piccoli aggiornamenti. Nel marzo 2022, sccrivono gli Enti gestori nella nota, la Regione “aveva proposto (di fatto imposto) agli enti gestori un ‘accordo ponte’, da valere fino al 31 dicembre 2022, con un adeguamento solo parziale delle tariffe ai costi e con la promessa di un adeguamento completo a decorrere dal 1° gennaio 2023. Ma il 2023 è trascorso, è iniziato il 2024 e dei nuovi provvedimenti attesi non si è più sentito parlare”.

Situazione insostenibile

Gli enti gestori dei servizi sono enti senza scopo di lucro. A rischio quindi non è il loro profitto ma il servizio dato alle famiglie “Consapevoli del ruolo che è loro proprio al servizio della Comunità e del prestigio che caratterizza la rappresentanza di Enti che costituiscono un bene collettivo e identitario della Comunità stessa, gli Amministratori si augurano di continuare ad essere parte integrante del Sistema sanitario regionale, nella consapevolezza però che i patrimoni affidati alla loro responsabilità non possano essere compromessi in conseguenza di una incomprensibile sottrazione alla propria responsabilità da parte di chi rappresenta pro tempore l’Istituzione regolatrice”.

È una richiesta di metodo

La seconda richiesta che le strutture pongono alla Regione è di metodo.  “In questo quadro, nella riunione del 19 gennaio le strutture hanno ribadito la necessità di proseguire nella propria attività di coordinamento e nella volontà di rivendicare il diritto ad un confronto leale e costruttivo con la Regione” scrivono nella nota stampa.

Il clamore mediatico suscitato dalla nota ha avuto un primo effetto, quello di far sapere alle strutture che nelle stanze della Regione c’è chi sta facendo i conti per ridefinire le tariffe, e per farlo ha anche iniziato ad ascoltare diversi soggetti (associazioni di categoria, sindacati, cooperative) in qualche modo rappresentativi del territorio e dell’utenza; ma non ha previsto (almeno sinora) un dialogo esplicito e diretto con gli enti gestori intesi come controparte contrattuale.  Gli enti gestori invece ritengono che sia necessaria o comunque opportuna una trattativa diretta.

Come si calcola il costo del servizio?

C’è poi un problema. Come stabilire il costo del servizio? Si potrebbe pensare si possa fare stilando un elenco analitico dei singoli costi pro capite del mantenimento degli ospiti (esempio: quanto costa giornalmente il vitto di ciascuno?). In realtà, spiegano i responsabili degli Enti gestori, non è così semplice perché se si vuol fare un calcolo analitico le voci di costo sono infinite: quanto costa il personale amministrativo? Ma, prima ancora, di quanto personale amministrativo ha bisogno una casa con 50 ospiti? E poi: quanto costano le pulizie? "uanto costa il riscaldamento? "uanto costano i vari consulenti necessari (dal consulente per il lavoro a quello per la sicurezza, ecc. ecc.).  Poi ci sono i costi per le attrezzature, o i costi per interventi straordinari di manutenzione delle strutture, ecc.

La difficoltà aumenta se si considera che tutti i costi che si vogliono calcolare non sono fissi nel tempo, al contrario aumentano tutti - quale più quale meno - e perciò nel momento in cui si arriverà a stabilire la “tariffa omnicomprensiva” si dovrebbe subito stabilire a quale scadenza e con quale metodo si dovrà provvedere all’aggiornamento.

Gli enti gestori sono ancora in attesa di una risposta ufficiale dalla Regione. L’auspicio è che si apra un tavolo di confronto con tutti i soggetti (enti gestori, famiglie, sindacati dei lavoratori, ecc) e che si giunga al più presto ad una soluzione che consenta di mantenere e possibilmente incrementare un servizio che già oggi non copre le necessità degli umbri.

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Alzheimer, un seminario promosso dalla diocesi di Assisi in occasione della Giornata mondiale https://www.lavoce.it/alzheimer-un-seminario-promosso-dalla-diocesi-di-assisi-in-occasione-della-giornata-mondiale/ https://www.lavoce.it/alzheimer-un-seminario-promosso-dalla-diocesi-di-assisi-in-occasione-della-giornata-mondiale/#respond Tue, 19 Sep 2023 13:44:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73397

Viva partecipazione al seminario di sensibilizzazione informativo-esperienziale in merito alla presa in carico assistenziale di persone affette da malattie di Alzheimer dal titolo “Alzheimer tra bisogni e desideri” organizzato dall’Ufficio di Pastorale della Salute della diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino dal Centro Diurno Alzheimer del Distretto Sanitario dell’Assisano, dall’Associazione di promozione sociale “La Zattera” e dal  Consorzio “Auriga”.

Seminario il 16 settembre in occasione della Giornata dell'Alzheimer

L’iniziativa, aperta alla cittadinanza, ha avuto il patrocinio dell’Azienda Usl Umbria1 e si è svolta sabato 16 settembre presso il centro diurno Alzheimer, in Via Bevagna a Bastia Umbra ed è stata proposta in vista della giornata dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s disease international (Adi) , che ricorre il 21 settembre di ogni anno.

I saluti istituzionali

Dopo la presentazione dei lavori da parte della direttrice dell’Ufficio di pastorale della Salute diocesana, Marina Menna -medico geriatra-, che ha condotto anche la moderazione del seminario,  la mattinata si è aperta con i saluti istituzionali del vicario generale della diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, don Jean Claude Hazoumé, che ha avuto parole di incoraggiamento per i pazienti e le loro famiglie; del primo cittadino di Bastia Umbra  il sindaco Paola Lungarotti, che ha sottolineato l’aspetto olistico della persona verso la quale deve essere orientata la sinergia degli interventi  in un’ottica di salute complessiva della comunità; dell’assessore ai Servizi Sociali e Sanità del Comune di Assisi, Massimo Paggi, che si è soffermato sull’importanza  dell’ascolto dei bisogni dei pazienti e delle famiglie e della direttrice del Distretto Sanitario dell’Assisano dell’Azienda Usl Umbria1, Ilaria Vescarelli. Quest’ultima ha illustrato anche l’articolazione della rete dei Servizi presenti nel Distretto Sanitario dell’Assisano prevista per la presa in carico di pazienti affetti da questa malattia.

Le parole della dott.ssa Ilaria Vescarelli

In Italia le demenze - ha sottolineato la Dott.ssa Vescarelli-  hanno una prevalenza superiore al milione di casi e la malattia di Alzheimer ne rappresenta il 60%. È una malattia neurodegenerativa età dipendente e conduce alla perdita delle autonomie. Circa tre milioni di persone risultano coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza. In Umbria l’8% di persone di età superiore ai 65 anni soffre di M. di Alzheimer e si stima che il costo medio a persona a carico del SSN sia di circa 70.000 Euro all’anno a cui si aggiungono gli oneri a carico della famiglia. Il medico di medicina generale rappresenta il primo anello della rete dei servizi , colui che può intercettare, grazie anche all’utilizzo di questionari strutturati orientativi cui sottoporre il paziente ed i familiari, i primi sintomi di declino delle funzioni cognitive ed inviare il paziente a visita specialistica neurologica/geriatrica per approfondimenti clinici e di tipo neuropsicologico, i cui referti costituiscono necessari attestati documentali per l’istruzione della pratica di invalidità civile. A seguito di tali valutazioni, integrate anche da quella dei Servizi Sociale, potrà essere delineato per la persona un percorso terapeutico-riabilitativo individualizzato che potrà essere supportato a domicilio o in strutture dedicate quali laboratori cognitivi, centri diurni Alzheimer, laboratori riabilitativi psico-sociali”.

I temi affrontati nel corso del seminario

Nella prima parte del seminario, le relazioni che si sono poi succedute hanno affrontato le tematiche dell’assistenza ai pazienti affetti da Alzheimer, le risorse disponibili per le famiglie e le iniziative promosse per affrontare questa malattia. Sono intervenute Rita Antonini – medico responsabile del “Centro diurno Alzheimer” del Distretto sanitario dell’Assisano, che ha illustrato le attività del Centro attivo da ben 14 e che attualmente ospita 20 pazienti; Caterina Calello - presidente dell’Associazione di promozione Sociale per malattia di Alzheimer “La Zattera” che organizza attività psico-sociali ed emotivo-creative settimanali per pazienti ed incontri di mutuo aiuto e di formazione per familiari e caregivers e  Liana Cicchi- Presidente del “Consorzio Auriga” che eroga servizi per malati di Alzheimer. Dopo gli interventi è scaturito un interessante dibattito e si è data voce anche a toccanti testimonianze di familiari di pazienti che frequentano il Centro diurno.

Attività esperienziali di arteterapia

La seconda parte del seminario è stata dedicata a far fruire ai partecipanti attività esperienziali di arteterapia, condotte dall’arteterapeuta Costantina Betti e dalla psicologa-psicoterapeuta Maria Grazia Rossi e di musicoterapia guidate dal musicoterapeuta Maurizio Vignaroli. Il tutto finalizzato ad offrire una prospettiva pratica sull’uso delle terapie creative che vengono utilizzate negli interventi psico-sociali dell’anziano malato di Alzheimer per migliorarne la qualità della vita. Al termine un momento di preghiera con don Maurizio Biagioni.

Le conclusioni di Marina Menna

La mattinata odierna ha avuto un significato particolare- ha concluso al termine del seminario la moderatrice Marina Menna - in quanto abbiamo posto e focalizzato la nostra attenzione sui molteplici bisogni e sulla sofferenza delle persone affette da malattia di Alzheimer e sulle loro famiglie, realizzando un atto comunitario di incontro e solidarietà a sostegno e celebrazione della Giornata mondiale ad essi dedicata. Dobbiamo avere fiducia nella ricerca scientifica, sia in ambito diagnostico che farmacologico che continua a dare i suoi frutti e promuovere anche lo sviluppo di approcci integrati di trattamento, comprensivi di laboratori riabilitativi cognitivi/motori/occupazionali, attività creative, psico-sociali, assistenziali volte al miglioramento della qualità di vita dei malati malato e dei loro familiari.]]>

Viva partecipazione al seminario di sensibilizzazione informativo-esperienziale in merito alla presa in carico assistenziale di persone affette da malattie di Alzheimer dal titolo “Alzheimer tra bisogni e desideri” organizzato dall’Ufficio di Pastorale della Salute della diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino dal Centro Diurno Alzheimer del Distretto Sanitario dell’Assisano, dall’Associazione di promozione sociale “La Zattera” e dal  Consorzio “Auriga”.

Seminario il 16 settembre in occasione della Giornata dell'Alzheimer

L’iniziativa, aperta alla cittadinanza, ha avuto il patrocinio dell’Azienda Usl Umbria1 e si è svolta sabato 16 settembre presso il centro diurno Alzheimer, in Via Bevagna a Bastia Umbra ed è stata proposta in vista della giornata dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) e dall’Alzheimer’s disease international (Adi) , che ricorre il 21 settembre di ogni anno.

I saluti istituzionali

Dopo la presentazione dei lavori da parte della direttrice dell’Ufficio di pastorale della Salute diocesana, Marina Menna -medico geriatra-, che ha condotto anche la moderazione del seminario,  la mattinata si è aperta con i saluti istituzionali del vicario generale della diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, don Jean Claude Hazoumé, che ha avuto parole di incoraggiamento per i pazienti e le loro famiglie; del primo cittadino di Bastia Umbra  il sindaco Paola Lungarotti, che ha sottolineato l’aspetto olistico della persona verso la quale deve essere orientata la sinergia degli interventi  in un’ottica di salute complessiva della comunità; dell’assessore ai Servizi Sociali e Sanità del Comune di Assisi, Massimo Paggi, che si è soffermato sull’importanza  dell’ascolto dei bisogni dei pazienti e delle famiglie e della direttrice del Distretto Sanitario dell’Assisano dell’Azienda Usl Umbria1, Ilaria Vescarelli. Quest’ultima ha illustrato anche l’articolazione della rete dei Servizi presenti nel Distretto Sanitario dell’Assisano prevista per la presa in carico di pazienti affetti da questa malattia.

Le parole della dott.ssa Ilaria Vescarelli

In Italia le demenze - ha sottolineato la Dott.ssa Vescarelli-  hanno una prevalenza superiore al milione di casi e la malattia di Alzheimer ne rappresenta il 60%. È una malattia neurodegenerativa età dipendente e conduce alla perdita delle autonomie. Circa tre milioni di persone risultano coinvolte direttamente o indirettamente nell’assistenza. In Umbria l’8% di persone di età superiore ai 65 anni soffre di M. di Alzheimer e si stima che il costo medio a persona a carico del SSN sia di circa 70.000 Euro all’anno a cui si aggiungono gli oneri a carico della famiglia. Il medico di medicina generale rappresenta il primo anello della rete dei servizi , colui che può intercettare, grazie anche all’utilizzo di questionari strutturati orientativi cui sottoporre il paziente ed i familiari, i primi sintomi di declino delle funzioni cognitive ed inviare il paziente a visita specialistica neurologica/geriatrica per approfondimenti clinici e di tipo neuropsicologico, i cui referti costituiscono necessari attestati documentali per l’istruzione della pratica di invalidità civile. A seguito di tali valutazioni, integrate anche da quella dei Servizi Sociale, potrà essere delineato per la persona un percorso terapeutico-riabilitativo individualizzato che potrà essere supportato a domicilio o in strutture dedicate quali laboratori cognitivi, centri diurni Alzheimer, laboratori riabilitativi psico-sociali”.

I temi affrontati nel corso del seminario

Nella prima parte del seminario, le relazioni che si sono poi succedute hanno affrontato le tematiche dell’assistenza ai pazienti affetti da Alzheimer, le risorse disponibili per le famiglie e le iniziative promosse per affrontare questa malattia. Sono intervenute Rita Antonini – medico responsabile del “Centro diurno Alzheimer” del Distretto sanitario dell’Assisano, che ha illustrato le attività del Centro attivo da ben 14 e che attualmente ospita 20 pazienti; Caterina Calello - presidente dell’Associazione di promozione Sociale per malattia di Alzheimer “La Zattera” che organizza attività psico-sociali ed emotivo-creative settimanali per pazienti ed incontri di mutuo aiuto e di formazione per familiari e caregivers e  Liana Cicchi- Presidente del “Consorzio Auriga” che eroga servizi per malati di Alzheimer. Dopo gli interventi è scaturito un interessante dibattito e si è data voce anche a toccanti testimonianze di familiari di pazienti che frequentano il Centro diurno.

Attività esperienziali di arteterapia

La seconda parte del seminario è stata dedicata a far fruire ai partecipanti attività esperienziali di arteterapia, condotte dall’arteterapeuta Costantina Betti e dalla psicologa-psicoterapeuta Maria Grazia Rossi e di musicoterapia guidate dal musicoterapeuta Maurizio Vignaroli. Il tutto finalizzato ad offrire una prospettiva pratica sull’uso delle terapie creative che vengono utilizzate negli interventi psico-sociali dell’anziano malato di Alzheimer per migliorarne la qualità della vita. Al termine un momento di preghiera con don Maurizio Biagioni.

Le conclusioni di Marina Menna

La mattinata odierna ha avuto un significato particolare- ha concluso al termine del seminario la moderatrice Marina Menna - in quanto abbiamo posto e focalizzato la nostra attenzione sui molteplici bisogni e sulla sofferenza delle persone affette da malattia di Alzheimer e sulle loro famiglie, realizzando un atto comunitario di incontro e solidarietà a sostegno e celebrazione della Giornata mondiale ad essi dedicata. Dobbiamo avere fiducia nella ricerca scientifica, sia in ambito diagnostico che farmacologico che continua a dare i suoi frutti e promuovere anche lo sviluppo di approcci integrati di trattamento, comprensivi di laboratori riabilitativi cognitivi/motori/occupazionali, attività creative, psico-sociali, assistenziali volte al miglioramento della qualità di vita dei malati malato e dei loro familiari.]]>
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La relazione di cura e gli aspetti etici, un convegno a Perugia https://www.lavoce.it/relazione-cura-e-aspetti-etici-convegno-perugia/ Fri, 03 Jun 2022 14:48:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67053

"La relazione di cura: aspetti etici nella ricerca e nella clinica" è il tema del convegno in programma l'8 giugno, alle ore 17, nella Sala del Dottorato del Chiostro della Cattedrale di San Lorenzo (in Piazza IV Novembre) a Perugia. L'iniziativa è organizzata dall’Università degli Studi di Perugia sotto il patrocinio del progetto “Umbria Biobank: Start up per una Biobanca in Umbria”, Progetto PRJ-1506, Azione 2.3.1, Por-FESR 2014-2020, cofinanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Umbria.

Tema del convegno

Il convegno sarà un momento di confronto sul tema della relazione di cura e in particolare sugli aspetti etici nell’attività di ricerca e nel contesto della pratica clinica per una attenta considerazione dei problemi giuridici, bioetici, sociali e antropologici connessi. L’incontro, dunque, sarà dedicato ad approfondire una riflessione sul concetto di alleanza terapeutica e di cura, nonché di quel principio di solidarietà scaturente sia nell’ambito della ricerca che a livello clinico-assistenziale. Il termine alleanza richiama il sentire religioso ma porta con sé anche l’intenzione e il senso di un bene comune. Da qui l’idea di uno spazio di confronto per investigare sulla conciliazione tra i molteplici interessi coinvolti: il benessere del paziente e il rispetto dei suoi valori personali nell’attività di indagine scientifica e nell’assistenza medica entro i confini di appropriatezza ed equità sociale. Perciò, un’analisi concentrata anche sui rischi che le connesse dinamiche del mercato possono rappresentare nella relazione tra medico/paziente e ricercatore/partecipante all’indagine scientifica e sul sistema delle Istituzioni preposte alla ricerca e alla cura.

Il libro di Rossana Ruggiero

In questo contesto, il convegno sarà l’occasione per dialogare sul libro di Rossana Ruggiero, legale e Coordinatore del Comitato di Etica clinica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, uscito in prima pubblicazione nel 2019, per la LEV – Libreria Editrice Vaticana – con prefazione del prof. Giuseppe Dalla Torre Il Bambino Gesù, un Unicum nel panorama della sanità. La natura giuridica dell’Ospedale, al fine di porre la testimonianza di una struttura sanitaria di ispirazione cristiana con una storia giuridica peculiare, quale eccellenza nella ricerca e nella clinica.

I relatori

L’incontro dell’8 giugno prenderà avvio con i saluti iniziali di Maurizio Oliviero, Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, del card. Gualtiero Bassetti – Arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve, del Prof. Andrea Sassi, Direttore di Dipartimento di Giurisprudenza, Prof. Angelo Sidoni, Direttore della S.C. di Anatomia e Istologia Patologica Azienda Ospedaliera di Perugia. Sul tema del convegno si succederanno le relazioni di: don Luigi Zucaro – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù; Domenico Giani – Confederazione Nazionale delle Misericordie d'Italia; Claudio Sartea –Università degli studi di Perugia; Filippo Giordano –Università Lumsa; Stefano Kaczmarek – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù; Rossana Ruggiero –Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Modera: Stefania Stefanelli, Università degli Studi di Perugia.    ]]>

"La relazione di cura: aspetti etici nella ricerca e nella clinica" è il tema del convegno in programma l'8 giugno, alle ore 17, nella Sala del Dottorato del Chiostro della Cattedrale di San Lorenzo (in Piazza IV Novembre) a Perugia. L'iniziativa è organizzata dall’Università degli Studi di Perugia sotto il patrocinio del progetto “Umbria Biobank: Start up per una Biobanca in Umbria”, Progetto PRJ-1506, Azione 2.3.1, Por-FESR 2014-2020, cofinanziato dall’Unione Europea e dalla Regione Umbria.

Tema del convegno

Il convegno sarà un momento di confronto sul tema della relazione di cura e in particolare sugli aspetti etici nell’attività di ricerca e nel contesto della pratica clinica per una attenta considerazione dei problemi giuridici, bioetici, sociali e antropologici connessi. L’incontro, dunque, sarà dedicato ad approfondire una riflessione sul concetto di alleanza terapeutica e di cura, nonché di quel principio di solidarietà scaturente sia nell’ambito della ricerca che a livello clinico-assistenziale. Il termine alleanza richiama il sentire religioso ma porta con sé anche l’intenzione e il senso di un bene comune. Da qui l’idea di uno spazio di confronto per investigare sulla conciliazione tra i molteplici interessi coinvolti: il benessere del paziente e il rispetto dei suoi valori personali nell’attività di indagine scientifica e nell’assistenza medica entro i confini di appropriatezza ed equità sociale. Perciò, un’analisi concentrata anche sui rischi che le connesse dinamiche del mercato possono rappresentare nella relazione tra medico/paziente e ricercatore/partecipante all’indagine scientifica e sul sistema delle Istituzioni preposte alla ricerca e alla cura.

Il libro di Rossana Ruggiero

In questo contesto, il convegno sarà l’occasione per dialogare sul libro di Rossana Ruggiero, legale e Coordinatore del Comitato di Etica clinica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, uscito in prima pubblicazione nel 2019, per la LEV – Libreria Editrice Vaticana – con prefazione del prof. Giuseppe Dalla Torre Il Bambino Gesù, un Unicum nel panorama della sanità. La natura giuridica dell’Ospedale, al fine di porre la testimonianza di una struttura sanitaria di ispirazione cristiana con una storia giuridica peculiare, quale eccellenza nella ricerca e nella clinica.

I relatori

L’incontro dell’8 giugno prenderà avvio con i saluti iniziali di Maurizio Oliviero, Rettore dell’Università degli Studi di Perugia, del card. Gualtiero Bassetti – Arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve, del Prof. Andrea Sassi, Direttore di Dipartimento di Giurisprudenza, Prof. Angelo Sidoni, Direttore della S.C. di Anatomia e Istologia Patologica Azienda Ospedaliera di Perugia. Sul tema del convegno si succederanno le relazioni di: don Luigi Zucaro – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù; Domenico Giani – Confederazione Nazionale delle Misericordie d'Italia; Claudio Sartea –Università degli studi di Perugia; Filippo Giordano –Università Lumsa; Stefano Kaczmarek – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù; Rossana Ruggiero –Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Modera: Stefania Stefanelli, Università degli Studi di Perugia.    ]]>
Servizio civile in Oncologia: l’esperienza di quattro giovani all’Ospedale di Perugia https://www.lavoce.it/servizio-civile-oncologia-esperienza-quattro-giovani-ospedale-perugia/ Sat, 29 Jan 2022 10:12:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64798

Hanno appena concluso il servizio civile come volontari presso l’Oncologia medica dell’Ospedale di Perugia. Parliamo di Ilaria, Samuel, Filippo e Lorenzo, i quattro giovani che hanno superato la selezione per l’anno 2021, su un totale di oltre venti domande. [caption id="attachment_64809" align="alignnone" width="400"] I ragazzi con la dott.ssa Enrichetta Corgna (a sinistra), la caposala e una volontaria Aucc[/caption]

La lettera di ringraziamento

Nei giorni scorsi hanno salutato il personale della struttura al termine del percorso ed hanno lasciato una lunga lettera dove hanno raccontato dell’esperienza che hanno vissuto caratterizzata da “emozioni indescrivibili”. Hanno ringraziato malati e sanitari per averli “ospitati, accolti e permesso di inserirsi in questa realtà così piena di affetto e di insegnamenti, ma soprattutto così piena di significato”. “Abbiamo imparato tanto da voi che siete stati per noi, in termini di contratto, degli ottimi tutor, ma in termini di vita, senza ombra di dubbio, degli eccellenti punti di riferimento, tanto per dire poco”. “La vostra umanità, la vostra professionalità, la vostra volontà,- scrivono ancora - il vostro impegno, la vostra tenacia, la vostra benevolenza, rende onore a voi come persone e al vostro lavoro, che ogni giorno vi impegna a far fronte a delle situazioni così delicate che neanche voi stessi vorreste accettare, imponendo inevitabilmente di controllare la vostra emotività”. Una lettera che ha colpito molto il reparto che ha deciso così di divulgarla nel sito dell’azienda ospedaliera. “Un esempio di servizio civile da seguire, perché no, anche in altri reparti - sottolinea la dottoressa Enrichetta Corgna, medico oncologo e operatore locale di progetto del Servizio civile.

Il progetto

“Il progetto, attivato da una decina d’anni – spiega la dottoressa - si chiama Informacancro ed è il risultato di una convenzione sottoscritta tra l’Azienda ospedaliera di Perugia, la Favo - Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in Oncologia e l’Aimac – Associazione italiana malati di cancro. La pandemia ha ritardato l’inizio della loro attività di qualche mese, ma la loro presenza per noi è stata molto utile, soprattutto in questo periodo difficile. E’ la prima volta che ci è capitato un gruppo così affiatato – commenta con soddisfazione - . Si sono dedicati al lavoro con molta disponibilità e gentilezza. E’ stata sia per noi che per loro un’attività molto preziosa e per i ragazzi un’occasione soprattutto di grande formazione”.

L'attività svolta

Dopo un corso di preparazione al servizio, quest’anno svoltosi on line, dalle 7.30 del mattino alle 19 della sera, tutti i giorni, in turni di quasi 6 ore, la mattina o il pomeriggio, i quattro giovani hanno lavorato principalmente nel laboratorio del reparto per smaltire il lavoro burocratico delle cartelle dei pazienti, tra ingressi, dimissioni e risposte. Si sono poi dedicati all’accoglienza delle persone prima delle terapie, portando loro anche la merenda. Uno dei ragazzi – ricorda con un sorriso - si è guadagnato anche il soprannome di ‘ragazzo dello yogurt’”. Grande la soddisfazione per il servizio anche da parte dei pazienti – conclude la dott.ssa Corgna - che hanno dimostrato di apprezzare molto la presenza di questi ragazzi. “Usciamo da qui con un bagaglio di vita colmo di valori, di fondamenta e di persone fantastiche”- scrivono quasi in fondo alla lettera i ragazzi per concludere infine ricordando le “giornate passate insieme, alle risate, ai discorsi fatti, alle gioie e alle tristezze” e per ringraziare tutto il personale incontrato. Con il 2022 si riparte. "Quest’anno - conclude la dottoressa - sono stati selezionati due ragazzi, che hanno appena iniziato”.]]>

Hanno appena concluso il servizio civile come volontari presso l’Oncologia medica dell’Ospedale di Perugia. Parliamo di Ilaria, Samuel, Filippo e Lorenzo, i quattro giovani che hanno superato la selezione per l’anno 2021, su un totale di oltre venti domande. [caption id="attachment_64809" align="alignnone" width="400"] I ragazzi con la dott.ssa Enrichetta Corgna (a sinistra), la caposala e una volontaria Aucc[/caption]

La lettera di ringraziamento

Nei giorni scorsi hanno salutato il personale della struttura al termine del percorso ed hanno lasciato una lunga lettera dove hanno raccontato dell’esperienza che hanno vissuto caratterizzata da “emozioni indescrivibili”. Hanno ringraziato malati e sanitari per averli “ospitati, accolti e permesso di inserirsi in questa realtà così piena di affetto e di insegnamenti, ma soprattutto così piena di significato”. “Abbiamo imparato tanto da voi che siete stati per noi, in termini di contratto, degli ottimi tutor, ma in termini di vita, senza ombra di dubbio, degli eccellenti punti di riferimento, tanto per dire poco”. “La vostra umanità, la vostra professionalità, la vostra volontà,- scrivono ancora - il vostro impegno, la vostra tenacia, la vostra benevolenza, rende onore a voi come persone e al vostro lavoro, che ogni giorno vi impegna a far fronte a delle situazioni così delicate che neanche voi stessi vorreste accettare, imponendo inevitabilmente di controllare la vostra emotività”. Una lettera che ha colpito molto il reparto che ha deciso così di divulgarla nel sito dell’azienda ospedaliera. “Un esempio di servizio civile da seguire, perché no, anche in altri reparti - sottolinea la dottoressa Enrichetta Corgna, medico oncologo e operatore locale di progetto del Servizio civile.

Il progetto

“Il progetto, attivato da una decina d’anni – spiega la dottoressa - si chiama Informacancro ed è il risultato di una convenzione sottoscritta tra l’Azienda ospedaliera di Perugia, la Favo - Federazione italiana delle Associazioni di volontariato in Oncologia e l’Aimac – Associazione italiana malati di cancro. La pandemia ha ritardato l’inizio della loro attività di qualche mese, ma la loro presenza per noi è stata molto utile, soprattutto in questo periodo difficile. E’ la prima volta che ci è capitato un gruppo così affiatato – commenta con soddisfazione - . Si sono dedicati al lavoro con molta disponibilità e gentilezza. E’ stata sia per noi che per loro un’attività molto preziosa e per i ragazzi un’occasione soprattutto di grande formazione”.

L'attività svolta

Dopo un corso di preparazione al servizio, quest’anno svoltosi on line, dalle 7.30 del mattino alle 19 della sera, tutti i giorni, in turni di quasi 6 ore, la mattina o il pomeriggio, i quattro giovani hanno lavorato principalmente nel laboratorio del reparto per smaltire il lavoro burocratico delle cartelle dei pazienti, tra ingressi, dimissioni e risposte. Si sono poi dedicati all’accoglienza delle persone prima delle terapie, portando loro anche la merenda. Uno dei ragazzi – ricorda con un sorriso - si è guadagnato anche il soprannome di ‘ragazzo dello yogurt’”. Grande la soddisfazione per il servizio anche da parte dei pazienti – conclude la dott.ssa Corgna - che hanno dimostrato di apprezzare molto la presenza di questi ragazzi. “Usciamo da qui con un bagaglio di vita colmo di valori, di fondamenta e di persone fantastiche”- scrivono quasi in fondo alla lettera i ragazzi per concludere infine ricordando le “giornate passate insieme, alle risate, ai discorsi fatti, alle gioie e alle tristezze” e per ringraziare tutto il personale incontrato. Con il 2022 si riparte. "Quest’anno - conclude la dottoressa - sono stati selezionati due ragazzi, che hanno appena iniziato”.]]>
Vita lunga ma poche nascite. La salute degli umbri nel rapporto “Osservasalute” https://www.lavoce.it/vita-lunga-ma-poche-nascite-la-salute-degli-umbri-nel-rapporto-osservasalute/ Thu, 17 Jun 2021 10:18:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=61034

L’Umbria è la regione italiana con la maggiore aspettativa di vita alla nascita: 81,1 anni per gli uomini e 85,6 per le donne, contro un valore nazionale rispettivamente di 79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne. Il dato regionale è però in calo a causa dell’impatto del Covid-19, che in Umbria ha fatto perdere un anno netto agli uomini e circa 6 mesi alle donne. Proprio il coronavirus è la seconda causa di morte in Italia nel 2020, e ha avuto un peso enorme sulla speranza di vita della popolazione italiana: in media -1,4 anni, con punte di -2,6 in Lombardia tra gli uomini e -2,3 in Valle d’Aosta tra le donne. La pandemia ha bruciato dieci anni di guadagni in aspettativa di vita: a livello nazionale la variazione tra il 2019-2020 di questo indicatore è stato pari a -1,4 anni per gli uomini e -1,0 anni per le donne.

Il rapporto Osservasalute

È questo il dato principale che emerge dal rapporto Osservasalute 2020, stilato con cadenza annuale dall’Osservatorio nazionale sulla salute delle regioni italiane. L’ultimo numero del settimanale umbro La Voce - in distribuzione in questi giorni nelle edizioni cartacea e digitale - dedica un approfondimento (leggilo qui nell'edizione digitale) al rapporto, soprattutto in chiave regionale: dall’analisi demografica, alla spesa sanitaria, passando per i disturbi del comportamento alimentare. È la fotografia di una regione che invecchia sempre di più: basti pensare che negli ultimi 10 anni, il tasso di fecondità in Umbria è calato del 14,3%. Sono vari i parametri che l’approfondimento de La Voce, a firma di Francesco Mariucci, mette in evidenza in chiave umbra, estratti dal rapporto nazionale. In pobesiarticolare, i dati principali relativi allo stile di vita degli umbri: forma fisica, sedentarietà, uso di tabacco, propensione alla pratica sportiva e altro.

Dati economici

Anche i dati economici legati alla sanità regionale, come il valore dell’indicatore relativo alla spesa sanitaria pubblica pro capite che, nel 2019, è pari a 1.968 euro (con un valore medio nazionale di 1.904 euro). A partire dal 2012, la spesa pro capite in Umbria è stata sempre superiore a quella italiana. Estendendo invece l’arco temporale agli ultimi 10 anni, la spesa sanitaria per ogni cittadino è aumentata del 7,1%, contro un aumento medio italiano del 2,4 per cento. “Nel nostro Paese, il Servizio sanitario nazionale ha mostrato i suoi limiti, vittima della violenza della pandemia, ma anche delle scelte del passato che hanno sacrificato la sanità in nome dei risparmi di spesa”, afferma il professor Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane, e tra gli esperti che hanno collaborato al rapporto. “Ci vogliono più risorse e innovazione, perché la fragilità del sistema è apparsa in tutta la sua drammaticità durante questa pandemia. Si deve tornare a investire nella ricerca, perché l’innovazione tecnologica porta esternalità positive in tutti i settori dell’economia”.

La crisi della natalità

Il rapporto mette in evidenza un dato critico della nostra regione, che non costituisce cero una novità. Scrive, infatti La Voce. “Dove invece la nostra regione è pericolosamente sotto la media nazionale, e ormai pure da parecchio tempo, è nel settore della natalità. Quella umbra è una popolazione sempre più anziana, e le donne fanno sempre meno figli: italiane e straniere insieme arrivano a 1,20 figli per donna, e il numero è in calo costante da più di dieci anni. Va poco meglio in Italia, dove questo numero sale a 1,27, ma è comunque ben lontano dai 2,1 figli per donna che garantirebbero un costante ricambio generazionale. Come detto, nell’arco temporale 2007-2019, si osserva che la ripresa dei livelli di fecondità, in atto a livello nazionale fino al 2010, ha registrato un andamento più altalenante. Considerando l’intero periodo in Umbria il tasso di fecondità è diminuito del -14,3% (contro un valore nazionale -9,3%)”.

Stili di vita … da migliorare

La Voce evidenzia dati sugli stili di vita degli umbri: la quota di fumatori tra la popolazione di età superiore ai 14 anni è pari al 21,7% (valore nazionale 18,4%);  i maggiorenni obesi sono l’11,6%, contro il 10,9% di media italiana e gli umbri sovrappeso sono il 34,2% (35,4% valore nazionale). “Sul lungo periodo però - scrive La Voce - la situazione sembra più confortante: negli ultimi 12 anni infatti, si è registrato un decremento di persone che conducono una vita sedentaria pari al 20,9%, dato più che doppio rispetto a quello nazionale (-9,9%)”.

L’Osservatorio

L’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane nasce su iniziativa dell’Istituto di sanità pubblica - Sezione di igiene dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e svolge la sua attività in collaborazione con gli istituti di igiene delle altre università Italiane e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali. Questa attività collaborativa è multidisciplinare e coinvolge circa duecentotrenta esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti che, a diverso titolo e con diverse competenze, hanno posto al centro del proprio orizzonte scientifico la salute degli individui e delle collettività per promuoverne il continuo miglioramento.]]>

L’Umbria è la regione italiana con la maggiore aspettativa di vita alla nascita: 81,1 anni per gli uomini e 85,6 per le donne, contro un valore nazionale rispettivamente di 79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne. Il dato regionale è però in calo a causa dell’impatto del Covid-19, che in Umbria ha fatto perdere un anno netto agli uomini e circa 6 mesi alle donne. Proprio il coronavirus è la seconda causa di morte in Italia nel 2020, e ha avuto un peso enorme sulla speranza di vita della popolazione italiana: in media -1,4 anni, con punte di -2,6 in Lombardia tra gli uomini e -2,3 in Valle d’Aosta tra le donne. La pandemia ha bruciato dieci anni di guadagni in aspettativa di vita: a livello nazionale la variazione tra il 2019-2020 di questo indicatore è stato pari a -1,4 anni per gli uomini e -1,0 anni per le donne.

Il rapporto Osservasalute

È questo il dato principale che emerge dal rapporto Osservasalute 2020, stilato con cadenza annuale dall’Osservatorio nazionale sulla salute delle regioni italiane. L’ultimo numero del settimanale umbro La Voce - in distribuzione in questi giorni nelle edizioni cartacea e digitale - dedica un approfondimento (leggilo qui nell'edizione digitale) al rapporto, soprattutto in chiave regionale: dall’analisi demografica, alla spesa sanitaria, passando per i disturbi del comportamento alimentare. È la fotografia di una regione che invecchia sempre di più: basti pensare che negli ultimi 10 anni, il tasso di fecondità in Umbria è calato del 14,3%. Sono vari i parametri che l’approfondimento de La Voce, a firma di Francesco Mariucci, mette in evidenza in chiave umbra, estratti dal rapporto nazionale. In pobesiarticolare, i dati principali relativi allo stile di vita degli umbri: forma fisica, sedentarietà, uso di tabacco, propensione alla pratica sportiva e altro.

Dati economici

Anche i dati economici legati alla sanità regionale, come il valore dell’indicatore relativo alla spesa sanitaria pubblica pro capite che, nel 2019, è pari a 1.968 euro (con un valore medio nazionale di 1.904 euro). A partire dal 2012, la spesa pro capite in Umbria è stata sempre superiore a quella italiana. Estendendo invece l’arco temporale agli ultimi 10 anni, la spesa sanitaria per ogni cittadino è aumentata del 7,1%, contro un aumento medio italiano del 2,4 per cento. “Nel nostro Paese, il Servizio sanitario nazionale ha mostrato i suoi limiti, vittima della violenza della pandemia, ma anche delle scelte del passato che hanno sacrificato la sanità in nome dei risparmi di spesa”, afferma il professor Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni Italiane, e tra gli esperti che hanno collaborato al rapporto. “Ci vogliono più risorse e innovazione, perché la fragilità del sistema è apparsa in tutta la sua drammaticità durante questa pandemia. Si deve tornare a investire nella ricerca, perché l’innovazione tecnologica porta esternalità positive in tutti i settori dell’economia”.

La crisi della natalità

Il rapporto mette in evidenza un dato critico della nostra regione, che non costituisce cero una novità. Scrive, infatti La Voce. “Dove invece la nostra regione è pericolosamente sotto la media nazionale, e ormai pure da parecchio tempo, è nel settore della natalità. Quella umbra è una popolazione sempre più anziana, e le donne fanno sempre meno figli: italiane e straniere insieme arrivano a 1,20 figli per donna, e il numero è in calo costante da più di dieci anni. Va poco meglio in Italia, dove questo numero sale a 1,27, ma è comunque ben lontano dai 2,1 figli per donna che garantirebbero un costante ricambio generazionale. Come detto, nell’arco temporale 2007-2019, si osserva che la ripresa dei livelli di fecondità, in atto a livello nazionale fino al 2010, ha registrato un andamento più altalenante. Considerando l’intero periodo in Umbria il tasso di fecondità è diminuito del -14,3% (contro un valore nazionale -9,3%)”.

Stili di vita … da migliorare

La Voce evidenzia dati sugli stili di vita degli umbri: la quota di fumatori tra la popolazione di età superiore ai 14 anni è pari al 21,7% (valore nazionale 18,4%);  i maggiorenni obesi sono l’11,6%, contro il 10,9% di media italiana e gli umbri sovrappeso sono il 34,2% (35,4% valore nazionale). “Sul lungo periodo però - scrive La Voce - la situazione sembra più confortante: negli ultimi 12 anni infatti, si è registrato un decremento di persone che conducono una vita sedentaria pari al 20,9%, dato più che doppio rispetto a quello nazionale (-9,9%)”.

L’Osservatorio

L’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane nasce su iniziativa dell’Istituto di sanità pubblica - Sezione di igiene dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e svolge la sua attività in collaborazione con gli istituti di igiene delle altre università Italiane e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali. Questa attività collaborativa è multidisciplinare e coinvolge circa duecentotrenta esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti che, a diverso titolo e con diverse competenze, hanno posto al centro del proprio orizzonte scientifico la salute degli individui e delle collettività per promuoverne il continuo miglioramento.]]>
Non solo sanità ospedaliera: anche la medicina territoriale soffre la pandemia https://www.lavoce.it/medicina-territoriale-soffre/ Thu, 25 Feb 2021 15:53:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59323 La fatica della medicina territoriale umbra a causa della pandemia

Sappiamo bene che al momento la sanità ospedaliera umbra è particolarmente in crisi a causa della pandemia e della terribile seconda ondata che ha colpito la nostra regione in particolare.

Ma come se la passa invece la sanità territoriale, quella che per definizione dovrebbe essere più vicina al cittadino?

Da un anno a questa parte si moltiplicano i racconti di pazienti che si sentono abbandonati, di visite per altre patologie altrettanto serie rimandate e di medici di medicina generale sopraffatti dalla situazione.

La parola al dott. Marco Dottorini, pneumologo

(Le interviste audio al dott. Marco Dottorini e Piero Grilli dello speciale XL News di Umbria radio)

Quello che sta accadendo è tanto semplice quanto drammatico: il personale medico non basta e la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce un problema già esistente da anni. “Con la chiusura completa degli ambulatori dell’ospedale di Perugia, tutte le visite in sospeso sono sulle nostre spalle, sulle spalle dei presidi territoriali”, spiega il dottor Marco Dottorini, pneumologo della Asl 1.

“Nella prima fase, per carenza di specialisti pneumologi, siamo stati chiamati ad affiancare i colleghi di Pantalla, riducendo ulteriormente l’attività ambulatoriale già provata e ridotta – racconta - . Ora abbiamo ripreso ma con grande fatica. Solo in pneumologia parliamo di 900 visite prese in carico dal Cup e non ancora evase. Dopo la prima ondata, che da noi era stata ben poca cosa, avevamo fatto un programma di recupero delle visite in sospeso e ci stavamo rientrando. Adesso però la situazione è peggiorata con l’aggravarsi di quella ospedaliera e vanno quindi di nuovo analizzate tutte le prenotazioni e ricanalizzate a seconda della gravità o necessità”.

Alla base di tutto, come dicevamo, una grave carenza di medici e in particolare di specialisti nel pubblico. Come si può uscire quindi da questa situazione?

“Purtroppo i medici non possiamo comprarli al mercato, vanno formati nel corso di anni – ha commentato Dottorini - . Per adesso l’unica cosa da fare è selezionare quelle necessità più impellenti e sperare che presto anche gli ambulatori dell’ospedale possano riprendere la loro attività. Dal canto nostro stiamo cercando di tutelare il paziente cronico che non può essere lasciato solo ma ha bisogno di una gestione particolare e di essere seguito continuamente nella prevenzione delle riacutizzazioni, per fare in modo che non necessiti di ospedalizzazione.

Non si parla ovviamente solo di patologie legate al Covid, ma del nostro ‘ordinario’. Poi a questo si è aggiunto anche il post Covid perché molti dei pazienti che hanno avuto il coronavirus e hanno superato la fase acuta, specie quelli che sono stati sottoposti a ventilazione invasiva o non invasiva, hanno delle sequele polmonari importanti sulle quali va impostato un programma di riabilitazione respiratoria.

Altra ipotesi, poi, è richiedere l’aiuto qualificato degli specialisti privati, ma nel nostro campo sono pochi anche privatamente”.

Dott. Piero Grilli, medico di medicina generale

Anche sul fronte della medicina generale, quella dei cosiddetti ‘medici di famiglia’, la situazione, da un anno a questa parte, non è delle migliori.

“L’attività che noi medici di famiglia svolgiamo è cambiata di molto. Se prima il contatto era continuo e senza limiti e ostacoli, con le persone che accedevano agli ambulatori secondo le loro esigenze, questo evento drammatico della pandemia ci ha obbligato a regolamentare l’accesso alla medicina generale”, racconta il dottor Piero Grilli , che ha il suo ambulatorio a Pianello. “Se da un punto di vista organizzativo la medicina generale è migliorata, dal punto di vista della relazione si sono ridotte le occasioni di contatto. Questo non toglie il fatto che comunque il medico di famiglia può avere un contatto giornaliero telefonico con i suoi pazienti Covid.

Io con qualcuno ho anche fatto delle videochiamate per visionare effetti visibili, come nel caso di una signora anziana che aveva sviluppato un ematoma”. La difficoltà dei medici di famiglia è anche quella di fare da mediatori nel vortice di informazioni spesso confuse che arrivano.

“Questo aspetto – sottolinea Grilli - è ancora più evidente attualmente nella fase dei vaccini. L’informazione che è passata al momento, ad esempio, è che i medici di famiglia possono fare le vaccinazioni a domicilio per gli anziani impossibilitati a spostarsi. Io mi sono reso disponibile, ma mi manca la materia prima, ovvero il vaccino stesso”.

Valentina Russo

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La fatica della medicina territoriale umbra a causa della pandemia

Sappiamo bene che al momento la sanità ospedaliera umbra è particolarmente in crisi a causa della pandemia e della terribile seconda ondata che ha colpito la nostra regione in particolare.

Ma come se la passa invece la sanità territoriale, quella che per definizione dovrebbe essere più vicina al cittadino?

Da un anno a questa parte si moltiplicano i racconti di pazienti che si sentono abbandonati, di visite per altre patologie altrettanto serie rimandate e di medici di medicina generale sopraffatti dalla situazione.

La parola al dott. Marco Dottorini, pneumologo

(Le interviste audio al dott. Marco Dottorini e Piero Grilli dello speciale XL News di Umbria radio)

Quello che sta accadendo è tanto semplice quanto drammatico: il personale medico non basta e la pandemia non ha fatto altro che portare alla luce un problema già esistente da anni. “Con la chiusura completa degli ambulatori dell’ospedale di Perugia, tutte le visite in sospeso sono sulle nostre spalle, sulle spalle dei presidi territoriali”, spiega il dottor Marco Dottorini, pneumologo della Asl 1.

“Nella prima fase, per carenza di specialisti pneumologi, siamo stati chiamati ad affiancare i colleghi di Pantalla, riducendo ulteriormente l’attività ambulatoriale già provata e ridotta – racconta - . Ora abbiamo ripreso ma con grande fatica. Solo in pneumologia parliamo di 900 visite prese in carico dal Cup e non ancora evase. Dopo la prima ondata, che da noi era stata ben poca cosa, avevamo fatto un programma di recupero delle visite in sospeso e ci stavamo rientrando. Adesso però la situazione è peggiorata con l’aggravarsi di quella ospedaliera e vanno quindi di nuovo analizzate tutte le prenotazioni e ricanalizzate a seconda della gravità o necessità”.

Alla base di tutto, come dicevamo, una grave carenza di medici e in particolare di specialisti nel pubblico. Come si può uscire quindi da questa situazione?

“Purtroppo i medici non possiamo comprarli al mercato, vanno formati nel corso di anni – ha commentato Dottorini - . Per adesso l’unica cosa da fare è selezionare quelle necessità più impellenti e sperare che presto anche gli ambulatori dell’ospedale possano riprendere la loro attività. Dal canto nostro stiamo cercando di tutelare il paziente cronico che non può essere lasciato solo ma ha bisogno di una gestione particolare e di essere seguito continuamente nella prevenzione delle riacutizzazioni, per fare in modo che non necessiti di ospedalizzazione.

Non si parla ovviamente solo di patologie legate al Covid, ma del nostro ‘ordinario’. Poi a questo si è aggiunto anche il post Covid perché molti dei pazienti che hanno avuto il coronavirus e hanno superato la fase acuta, specie quelli che sono stati sottoposti a ventilazione invasiva o non invasiva, hanno delle sequele polmonari importanti sulle quali va impostato un programma di riabilitazione respiratoria.

Altra ipotesi, poi, è richiedere l’aiuto qualificato degli specialisti privati, ma nel nostro campo sono pochi anche privatamente”.

Dott. Piero Grilli, medico di medicina generale

Anche sul fronte della medicina generale, quella dei cosiddetti ‘medici di famiglia’, la situazione, da un anno a questa parte, non è delle migliori.

“L’attività che noi medici di famiglia svolgiamo è cambiata di molto. Se prima il contatto era continuo e senza limiti e ostacoli, con le persone che accedevano agli ambulatori secondo le loro esigenze, questo evento drammatico della pandemia ci ha obbligato a regolamentare l’accesso alla medicina generale”, racconta il dottor Piero Grilli , che ha il suo ambulatorio a Pianello. “Se da un punto di vista organizzativo la medicina generale è migliorata, dal punto di vista della relazione si sono ridotte le occasioni di contatto. Questo non toglie il fatto che comunque il medico di famiglia può avere un contatto giornaliero telefonico con i suoi pazienti Covid.

Io con qualcuno ho anche fatto delle videochiamate per visionare effetti visibili, come nel caso di una signora anziana che aveva sviluppato un ematoma”. La difficoltà dei medici di famiglia è anche quella di fare da mediatori nel vortice di informazioni spesso confuse che arrivano.

“Questo aspetto – sottolinea Grilli - è ancora più evidente attualmente nella fase dei vaccini. L’informazione che è passata al momento, ad esempio, è che i medici di famiglia possono fare le vaccinazioni a domicilio per gli anziani impossibilitati a spostarsi. Io mi sono reso disponibile, ma mi manca la materia prima, ovvero il vaccino stesso”.

Valentina Russo

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Nuovo parere sulla RU486. Cosa fa l’Umbria? https://www.lavoce.it/nuovo-parere-ru486-umbria/ Mon, 31 Aug 2020 10:46:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57643 ministro speranza

di Assuntina Morresi*

In agosto sono state rese pubbliche le nuove linee di indirizzo sull’aborto farmacologico firmate dal ministro Roberto Speranza, basate su un nuovo parere del Consiglio superiore di sanità.

E l’aborto cambia radicalmente nella sua concezione, con una svolta a 180 gradi rispetto all’impostazione della Legge 194 che ritiene l’Interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) non solo un evento negativo di cui cercare di rimuovere le cause, ma un problema sociale, che ci riguarda tutti, e di cui le istituzioni sanitarie e sociali debbono farsi carico.

È per questo che, secondo la 194, l’intera procedura deve svolgersi in una struttura ospedaliera autorizzata fra quelle del Servizio sanitario nazionale (Ssn).

Cosa avveniva 10 anni fa

Dieci anni fa, invece, tre pareri del Consiglio superiore di sanità avevano orientato le linee di indirizzo per il metodo farmacologico, che prevedevano tre giorni di ricovero ordinario per chi volesse abortire con la RU486, evitando che le Ivg avvenissero al di fuori delle strutture del Ssn, senza tutele per le donne.

L’aborto chimico, infatti, è di per sé imprevedibile, nelle modalità e nei tempi: mediamente si impiega tre giorni a completare la procedura, ma possono essere anche di più e soprattutto non è possibile prevedere a priori quando inizierà l’emorragia che segna che l’aborto è in corso.

Dieci anni fa, mentre la RU486 veniva introdotta in Italia dall’Europa, chi scrive era consulente del ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi, ed era sottosegretaria Eugenia Roccella: insieme abbiamo seguito i lavori ministeriali che hanno portato alle precedenti linee di indirizzo.

E proprio per la conoscenza diretta di quegli avvenimenti, Eugenia Roccella e io abbiamo firmato tre interventi sul quotidiano Avvenire.

Il primo del 12 agosto è una lettera aperta ai governatori di tutte le regioni italiane.

Indirizzi ministeriali e sentenze sulla ru486

Spieghiamo che gli indirizzi ministeriali non sono vincolanti, tanto che dieci anni fa l’Emilia Romagna se ne discostò subito, organizzandosi per un regime di day hospital, e lo ha potuto fare: se un governatore volesse, insomma, potrebbe benissimo continuare a garantire un regime di ricovero ospedaliero, non per un boicottaggio ma per un di più di sicurezza sanitaria, rispetto alle nuove indicazioni, che sono contraddittorie e non offrono tutele sufficienti nei confronti delle donne che affrontano l’aborto chimico.

Ma soprattutto chiediamo un monitoraggio specifico per l’aborto farmacologico, per gli effetti collaterali e gli eventi avversi specifici per questa procedura, e che sfuggono alla farmacovigilanza, costruita intorno alle tecniche chirurgiche.

Il secondo intervento, del 18 agosto, è un commento al nuovo parere del Consiglio superiore di sanità e alle linee guida che ne sono derivate. Tante le contraddizioni interne, soprattutto la possibilità di abortire in consultorio è evidentemente in contraddizione con la Legge 194, che ai consultori affida altre finalità, e non li nomina neppure fra le strutture in cui si può abortire.

In un terzo intervento, del 23 agosto, rivolto al ministro Speranza, andiamo nel dettaglio della farmacovigilanza necessaria per monitorare la procedura abortiva farmacologica, illustrando i dati necessari da raccogliere. La governatrice umbra Tesei ha già confermato l’adesione alle nuove linee ministeriali, e l’assessore Coletto ha specificato che sarà anche possibile optare per il ricovero ospedaliero, per chi lo chiedesse, ma sicuramente non avrà bisogno di specificarlo formalmente: non si può certo vietare a livello regionale il ricovero ospedaliero, qualora ce ne fossero i presupposti clinici, a prescindere dal fatto che si parli di aborto o meno.

In Umbria: mobilitazioni a sostegno della vita

Vedremo piuttosto se ci saranno iniziative della amministrazione per organizzare in Umbria una farmacovigilanza adeguata al nuovo corso abortivo farmacologico. Ma non è tutto: ricordiamo che nella nostra regione si sta lavorando anche a un altro tavolo, fortemente richiesto dal Movimento per la Vita: fondi di sostegno alle maternità difficili.

Nelle settimane scorse, nel pieno delle polemiche sull’aborto, abbiamo chiesto alla politica locale un cambio di passo: sosteniamo la vita! Dobbiamo farlo soprattutto quando ci sono condizioni difficili: tante donne in gravidanza, se sostenute adeguatamente, diventerebbero felicemente madri e non affronterebbero l’esperienza più drammatica che una donna può fare nella sua vita, quella dell’aborto.

È una ingiustizia evidente e radicale quella di uno stato che, a una donna incinta in difficoltà, offre solamente la possibilità di rinunciare al figlio, e non dà invece quella solidarietà concreta e fattiva che consentirebbe di farlo nascere.

L’esperienza del Movimento per la Vita dice che fra le migliaia di donne che sono riuscite a diventare madri perché hanno trovato l’aiuto liberamente richiesto, nessuna si è mai pentita di averlo fatto, ma ognuna è rifiorita, ha trovato in sé energie e forza e competenze inaspettate, che l’hanno accompagnata nella vita insieme al proprio bambino.

La politica in Umbria ha risposto al nostro appello. In regione, rappresentanti dell’opposizione civica hanno già presentato una proposta di legge a sostegno della natalità, con aiuti per maternità difficili, mentre politici della maggioranza hanno annunciato un testo riguardante la famiglia. Anche a livello di amministrazione comunale ci sono state iniziative. Il lavoro continua.

Le novità del Css

L e nuove linee di indirizzo annunciate dal ministro Speranza via Twitter, e anticipate con una circolare ministeriale, si basano su un parere del Consiglio superiore di sanità (Css) molto contraddittorio. Innanzitutto non si capisce perchè siano state modificate quelle vigenti: non ci sono novità giuridiche né scientifiche, i prodotti chimici usati sono sempre gli stessi, e soprattutto non vengono mai messi in discussione i presupposti con cui i precedenti tre pareri del Css concordano nel ricovero ospedaliero.

Al contrario, vengono confermate tutte le caratteristiche del metodo farmacologico, che lo rendono incerto, imprevedibile e più pericoloso di quello chirurgico. Senza ricovero ospedaliero, infatti, è possibile che l’emorragia che segna l’inizio dell’aborto avvenga ovunque si trovi la donna – a casa, al lavoro, in giro – con tutte le conseguenze del caso. Impressiona leggere i criteri non clinici di ammissione al metodo: la donna non deve essere ansiosa, non deve avere una bassa soglia di tolleranza del dolore, non deve avere condizioni abitative troppo precarie, deve avere la possibilità di raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale entro un’ora.

È poi significativo il fatto che per le minori che abortiscono con la RU486 continui l’indicazione per il ricovero ospedaliero. Ma se fosse un metodo tanto migliore di quello chirurgico e meno invasivo, dovrebbero essere proprio le minori ad avere un accesso garantito: perché negarglielo?

È esteso il limite da 7 a 9 settimane di gravidanza, mostrando esplicitamente che gli eventi avversi raddoppiano in percentuale e, al contrario, commentando che l’aumento è lieve. E soprattutto ad applicare le linee ministeriali si rischiano fino a tre anni di reclusione: l’articolo 19 della Legge 194 prevede queste sanzioni per chi pratica l’aborto al di fuori delle modalità previste negli artt.5 e 8, cioè anche per aborti effettuati al di fuori delle strutture del Ssn esplicitate. E il domicilio delle donne, e i consultori sono nel nuovo indirizzo ministeriale, ma non nella legge. (A.M.)

*pres. Movimento per la Vita - Umbria

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ministro speranza

di Assuntina Morresi*

In agosto sono state rese pubbliche le nuove linee di indirizzo sull’aborto farmacologico firmate dal ministro Roberto Speranza, basate su un nuovo parere del Consiglio superiore di sanità.

E l’aborto cambia radicalmente nella sua concezione, con una svolta a 180 gradi rispetto all’impostazione della Legge 194 che ritiene l’Interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) non solo un evento negativo di cui cercare di rimuovere le cause, ma un problema sociale, che ci riguarda tutti, e di cui le istituzioni sanitarie e sociali debbono farsi carico.

È per questo che, secondo la 194, l’intera procedura deve svolgersi in una struttura ospedaliera autorizzata fra quelle del Servizio sanitario nazionale (Ssn).

Cosa avveniva 10 anni fa

Dieci anni fa, invece, tre pareri del Consiglio superiore di sanità avevano orientato le linee di indirizzo per il metodo farmacologico, che prevedevano tre giorni di ricovero ordinario per chi volesse abortire con la RU486, evitando che le Ivg avvenissero al di fuori delle strutture del Ssn, senza tutele per le donne.

L’aborto chimico, infatti, è di per sé imprevedibile, nelle modalità e nei tempi: mediamente si impiega tre giorni a completare la procedura, ma possono essere anche di più e soprattutto non è possibile prevedere a priori quando inizierà l’emorragia che segna che l’aborto è in corso.

Dieci anni fa, mentre la RU486 veniva introdotta in Italia dall’Europa, chi scrive era consulente del ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi, ed era sottosegretaria Eugenia Roccella: insieme abbiamo seguito i lavori ministeriali che hanno portato alle precedenti linee di indirizzo.

E proprio per la conoscenza diretta di quegli avvenimenti, Eugenia Roccella e io abbiamo firmato tre interventi sul quotidiano Avvenire.

Il primo del 12 agosto è una lettera aperta ai governatori di tutte le regioni italiane.

Indirizzi ministeriali e sentenze sulla ru486

Spieghiamo che gli indirizzi ministeriali non sono vincolanti, tanto che dieci anni fa l’Emilia Romagna se ne discostò subito, organizzandosi per un regime di day hospital, e lo ha potuto fare: se un governatore volesse, insomma, potrebbe benissimo continuare a garantire un regime di ricovero ospedaliero, non per un boicottaggio ma per un di più di sicurezza sanitaria, rispetto alle nuove indicazioni, che sono contraddittorie e non offrono tutele sufficienti nei confronti delle donne che affrontano l’aborto chimico.

Ma soprattutto chiediamo un monitoraggio specifico per l’aborto farmacologico, per gli effetti collaterali e gli eventi avversi specifici per questa procedura, e che sfuggono alla farmacovigilanza, costruita intorno alle tecniche chirurgiche.

Il secondo intervento, del 18 agosto, è un commento al nuovo parere del Consiglio superiore di sanità e alle linee guida che ne sono derivate. Tante le contraddizioni interne, soprattutto la possibilità di abortire in consultorio è evidentemente in contraddizione con la Legge 194, che ai consultori affida altre finalità, e non li nomina neppure fra le strutture in cui si può abortire.

In un terzo intervento, del 23 agosto, rivolto al ministro Speranza, andiamo nel dettaglio della farmacovigilanza necessaria per monitorare la procedura abortiva farmacologica, illustrando i dati necessari da raccogliere. La governatrice umbra Tesei ha già confermato l’adesione alle nuove linee ministeriali, e l’assessore Coletto ha specificato che sarà anche possibile optare per il ricovero ospedaliero, per chi lo chiedesse, ma sicuramente non avrà bisogno di specificarlo formalmente: non si può certo vietare a livello regionale il ricovero ospedaliero, qualora ce ne fossero i presupposti clinici, a prescindere dal fatto che si parli di aborto o meno.

In Umbria: mobilitazioni a sostegno della vita

Vedremo piuttosto se ci saranno iniziative della amministrazione per organizzare in Umbria una farmacovigilanza adeguata al nuovo corso abortivo farmacologico. Ma non è tutto: ricordiamo che nella nostra regione si sta lavorando anche a un altro tavolo, fortemente richiesto dal Movimento per la Vita: fondi di sostegno alle maternità difficili.

Nelle settimane scorse, nel pieno delle polemiche sull’aborto, abbiamo chiesto alla politica locale un cambio di passo: sosteniamo la vita! Dobbiamo farlo soprattutto quando ci sono condizioni difficili: tante donne in gravidanza, se sostenute adeguatamente, diventerebbero felicemente madri e non affronterebbero l’esperienza più drammatica che una donna può fare nella sua vita, quella dell’aborto.

È una ingiustizia evidente e radicale quella di uno stato che, a una donna incinta in difficoltà, offre solamente la possibilità di rinunciare al figlio, e non dà invece quella solidarietà concreta e fattiva che consentirebbe di farlo nascere.

L’esperienza del Movimento per la Vita dice che fra le migliaia di donne che sono riuscite a diventare madri perché hanno trovato l’aiuto liberamente richiesto, nessuna si è mai pentita di averlo fatto, ma ognuna è rifiorita, ha trovato in sé energie e forza e competenze inaspettate, che l’hanno accompagnata nella vita insieme al proprio bambino.

La politica in Umbria ha risposto al nostro appello. In regione, rappresentanti dell’opposizione civica hanno già presentato una proposta di legge a sostegno della natalità, con aiuti per maternità difficili, mentre politici della maggioranza hanno annunciato un testo riguardante la famiglia. Anche a livello di amministrazione comunale ci sono state iniziative. Il lavoro continua.

Le novità del Css

L e nuove linee di indirizzo annunciate dal ministro Speranza via Twitter, e anticipate con una circolare ministeriale, si basano su un parere del Consiglio superiore di sanità (Css) molto contraddittorio. Innanzitutto non si capisce perchè siano state modificate quelle vigenti: non ci sono novità giuridiche né scientifiche, i prodotti chimici usati sono sempre gli stessi, e soprattutto non vengono mai messi in discussione i presupposti con cui i precedenti tre pareri del Css concordano nel ricovero ospedaliero.

Al contrario, vengono confermate tutte le caratteristiche del metodo farmacologico, che lo rendono incerto, imprevedibile e più pericoloso di quello chirurgico. Senza ricovero ospedaliero, infatti, è possibile che l’emorragia che segna l’inizio dell’aborto avvenga ovunque si trovi la donna – a casa, al lavoro, in giro – con tutte le conseguenze del caso. Impressiona leggere i criteri non clinici di ammissione al metodo: la donna non deve essere ansiosa, non deve avere una bassa soglia di tolleranza del dolore, non deve avere condizioni abitative troppo precarie, deve avere la possibilità di raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale entro un’ora.

È poi significativo il fatto che per le minori che abortiscono con la RU486 continui l’indicazione per il ricovero ospedaliero. Ma se fosse un metodo tanto migliore di quello chirurgico e meno invasivo, dovrebbero essere proprio le minori ad avere un accesso garantito: perché negarglielo?

È esteso il limite da 7 a 9 settimane di gravidanza, mostrando esplicitamente che gli eventi avversi raddoppiano in percentuale e, al contrario, commentando che l’aumento è lieve. E soprattutto ad applicare le linee ministeriali si rischiano fino a tre anni di reclusione: l’articolo 19 della Legge 194 prevede queste sanzioni per chi pratica l’aborto al di fuori delle modalità previste negli artt.5 e 8, cioè anche per aborti effettuati al di fuori delle strutture del Ssn esplicitate. E il domicilio delle donne, e i consultori sono nel nuovo indirizzo ministeriale, ma non nella legge. (A.M.)

*pres. Movimento per la Vita - Umbria

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Medico perugino in azione tra le corsie a Londra https://www.lavoce.it/medico-perugino-in-azione-tra-le-corsie-a-londra/ Wed, 15 Apr 2020 08:00:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56866

In un mondo sempre più interconnesso, anche l’emergenza sanitaria da Covid-19 diventa un problema globale. Grazie a Luca Molinari, umbro doc, classe 1971, abbiamo provato a capire cosa succede oltre Manica, nel Regno Unito. Pediatra di Perugia, da sei anni Molinari lavora al Guy’s and St Thomas, uno degli ospedali più grandi di Londra. Con un passato da deejay ad Umbria Radio - quando ancora si chiamava Radio Augusta Perusia - Luca ha vissuto l’arrivo della pandemia con una coscienza maggiore rispetto alla popolazione inglese. “Con preoccupazione ho visto i numeri italiani aumentare di giorno in giorno. È stato come vedere un film”. Una sensazione affine a tutta la comunità italiana a Londra, circa 600 mila persone. “Lavoro in una clinica di medici italiani con i quali abbiamo creato una task force con il Consolato italiano per aiutare i nostri connazionali che in questo periodo sono in difficoltà. Ho molti amici che sono voluti rientrare in Italia perché spaventati dalla prima reazione del Governo inglese”. Inizialmente infatti il primo ministro Boris Johnson (attualmente ricoverato in terapia intensiva), annunciò di voler raggiungere un immunità di gregge: “Una decisione - commenta Luca - assolutamente contraria a tutto ciò che il resto del mondo stava facendo”. Non procedere con misure restrittive “avrebbe voluto dire serie ripercussioni sul sistema sanitario nazionale inglese (il Nhs), che - spiega - non ha le capacità strutturali e di personale di quello italiano. Ci sono molti meno posti di terapia intensiva, meno medici e infermieri”. In Inghilterra, però, la diffusione del virus è “in ritardo rispetto all’Italia: questo ci dà il tempo per organizzarci, anche se il numero delle vittime sta salendo molto velocemente”.

Lockdown. Il Governo blocca tutto

Dal 23 marzo, però il clima è cambiato. Il Governo ha deciso di bloccare tutto e con il lockdown anche l’economia inglese ha subito serie ripercussioni. “È stata approvata - racconta Luca - una manovra economica notevole, in cui sono state stanziate 330 miliardi di sterline (375 miliardi di euro). Verrà pagato l’80% degli stipendi a tutti quelli che, in questo periodo, non percepiscono reddito”. Il coronavirus non ha solo colpito le tasche degli inglesi ma ha cambiato la vita di tutti, come quella di Luca Molinari. “L’Nhs si è completamente ristrutturato. Tutti gli appuntamenti non essenziali sono trasformati in video-consultazioni. Tutti i medici di base e i pediatri sono stati forniti di materiale tecnologico per fare video-consultazioni. Alcuni reparti non urgenti sono stati chiusi, e il personale sanitario reindirizzato verso reparti in cui c’è più bisogno. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuali - aggiunge - ci sono mascherine, occhiali e tute che vengono indossate da chi è a contatto diretto con pazienti Covid-19. La distribuzione di questi dispositivi, però, è ancora indietro, quindi non tutti gli ospedali hanno Dpi sufficienti. Un problema che so essere anche degli ospedali italiani”.

Dall’emergenza sanitaria si uscirà solo con il vaccino

Secondo Molinari “non è con i lockdown che si sconfigge il virus: serve semplicemente a far sì che non ci si ammali tutti contemporaneamente”. In attesa dei progressi sulla ricerca, però, “non possiamo rimanere chiusi in casa. Qui in Inghilterra, anche se il picco non è ancora arrivato, si pensa già alla fase due. Probabilmente ci sarà una riapertura scaglionata delle varie attività per continuare a diluire il numero dei contagi. Penso che si partirà con la riapertura delle realtà più piccole, poi man mano tutte le altre, fino a una normalizzazione della situazione che, speriamo, arrivi entro l’estate. È comunque difficile dire una tempistica e credo - continua il medico -, che i numeri e l’epidemiologia guideranno queste decisioni”. Annalisa Marzano]]>

In un mondo sempre più interconnesso, anche l’emergenza sanitaria da Covid-19 diventa un problema globale. Grazie a Luca Molinari, umbro doc, classe 1971, abbiamo provato a capire cosa succede oltre Manica, nel Regno Unito. Pediatra di Perugia, da sei anni Molinari lavora al Guy’s and St Thomas, uno degli ospedali più grandi di Londra. Con un passato da deejay ad Umbria Radio - quando ancora si chiamava Radio Augusta Perusia - Luca ha vissuto l’arrivo della pandemia con una coscienza maggiore rispetto alla popolazione inglese. “Con preoccupazione ho visto i numeri italiani aumentare di giorno in giorno. È stato come vedere un film”. Una sensazione affine a tutta la comunità italiana a Londra, circa 600 mila persone. “Lavoro in una clinica di medici italiani con i quali abbiamo creato una task force con il Consolato italiano per aiutare i nostri connazionali che in questo periodo sono in difficoltà. Ho molti amici che sono voluti rientrare in Italia perché spaventati dalla prima reazione del Governo inglese”. Inizialmente infatti il primo ministro Boris Johnson (attualmente ricoverato in terapia intensiva), annunciò di voler raggiungere un immunità di gregge: “Una decisione - commenta Luca - assolutamente contraria a tutto ciò che il resto del mondo stava facendo”. Non procedere con misure restrittive “avrebbe voluto dire serie ripercussioni sul sistema sanitario nazionale inglese (il Nhs), che - spiega - non ha le capacità strutturali e di personale di quello italiano. Ci sono molti meno posti di terapia intensiva, meno medici e infermieri”. In Inghilterra, però, la diffusione del virus è “in ritardo rispetto all’Italia: questo ci dà il tempo per organizzarci, anche se il numero delle vittime sta salendo molto velocemente”.

Lockdown. Il Governo blocca tutto

Dal 23 marzo, però il clima è cambiato. Il Governo ha deciso di bloccare tutto e con il lockdown anche l’economia inglese ha subito serie ripercussioni. “È stata approvata - racconta Luca - una manovra economica notevole, in cui sono state stanziate 330 miliardi di sterline (375 miliardi di euro). Verrà pagato l’80% degli stipendi a tutti quelli che, in questo periodo, non percepiscono reddito”. Il coronavirus non ha solo colpito le tasche degli inglesi ma ha cambiato la vita di tutti, come quella di Luca Molinari. “L’Nhs si è completamente ristrutturato. Tutti gli appuntamenti non essenziali sono trasformati in video-consultazioni. Tutti i medici di base e i pediatri sono stati forniti di materiale tecnologico per fare video-consultazioni. Alcuni reparti non urgenti sono stati chiusi, e il personale sanitario reindirizzato verso reparti in cui c’è più bisogno. Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuali - aggiunge - ci sono mascherine, occhiali e tute che vengono indossate da chi è a contatto diretto con pazienti Covid-19. La distribuzione di questi dispositivi, però, è ancora indietro, quindi non tutti gli ospedali hanno Dpi sufficienti. Un problema che so essere anche degli ospedali italiani”.

Dall’emergenza sanitaria si uscirà solo con il vaccino

Secondo Molinari “non è con i lockdown che si sconfigge il virus: serve semplicemente a far sì che non ci si ammali tutti contemporaneamente”. In attesa dei progressi sulla ricerca, però, “non possiamo rimanere chiusi in casa. Qui in Inghilterra, anche se il picco non è ancora arrivato, si pensa già alla fase due. Probabilmente ci sarà una riapertura scaglionata delle varie attività per continuare a diluire il numero dei contagi. Penso che si partirà con la riapertura delle realtà più piccole, poi man mano tutte le altre, fino a una normalizzazione della situazione che, speriamo, arrivi entro l’estate. È comunque difficile dire una tempistica e credo - continua il medico -, che i numeri e l’epidemiologia guideranno queste decisioni”. Annalisa Marzano]]>
Avis di Perugia: diretta Facebook per raccogliere fondi per l’ospedale di Perugia https://www.lavoce.it/avis-di-perugia-diretta-facebook-per-raccogliere-fondi-per-lospedale-di-perugia/ Fri, 03 Apr 2020 11:23:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56799

"Da soli non si salva nessuno, insieme ce la faremo" è il titolo della diretta Facebook che si tiene il 4 aprile, a partire dalle ore 10, sulla pagina Facebook di Avis Perugia. L'iniziativa, condotta da Mauro Casciari, servirà per raccogliere fondi per l'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Tanti gli ospiti del programma. La quarantena non ferma dunque l'Avis Perugia, che per aiutare e sostenere l’Ospedale di Perugia e i suoi operatori ha pensato di realizzare una diretta Facebook di un’intera giornata sulla pagina ufficiale "Avis Comunale di Perugia". Durante la giornata verranno ospitati volontari, sportivi, medici e amici della città. Sarà una giornata all’insegna dell’approfondimento, si parlerà di donazione di sangue, ma anche di esperienze di vita e professionali.

Raccolta fondi

Nel corso della diretta si promuoverà una raccolta fondi da destinare all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. IBAN per le donazioni: IT49W0538703000000035023875.

Gli ospiti

A partire dalle ore 10 appuntamento con il presidente Avis Perugia, Fabrizio Rasimelli in collegamento dal Centro trasfusionale, affiancato dal primario del Centro trasfusionale, Mauro Marchesi. Saranno coinvolti anche i donatori presenti al SIT. Alle ore 10.40 sarà la volta di Susanna Perazzini, dirigente medico responsabile Hospice Perugia; una persona che con la sofferenza convive, che condivide quotidianamente con malati e familiari l'esperienza per un dignitoso distacco dalla vita. Alle ore 10.55 sarà in collegamento il direttore sanitario dell’Ospedale Maugeri di Pavia, Gigliola Rosignoli, che racconterà l’esperienza della loro Regione in questo momento così difficile per tutti. A seguire diretta con Massimo Max Colaci, atleta della Sir Safety Conad Perugia, nonché libero della Nazionale italiana di Volley. Max è diventato papà di Virginia, nata all'Ospedale di Perugia, solo poche settimane fa, in piena emergenza Coronavirus. Racconterà la sua esperienza di neo padre in questo momento e parlerà anche delle mancate olimpiadi. Alle ore 11.30 collegamento con Brunangelo Falini, direttore di Ematologia dell'Ospedale di Perugia, scienziato di livello internazionale. Un uomo che ha fatto dell'assistenza e della ricerca in campo sanitario una ragione di vita. Seguirà alle ore 11.45 il commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera, Antonio Onnis. Alle ore 12.05 si parlerà di come riuscire ad affrontare questi momenti di privazione e reclusione con lo psichiatra Silvio D’Alessandro. La diretta si concluderà per la prima parte alle ore 12.25 con il Gruppo Giovani Avis Perugia che mostreranno filmati, foto e testimonianze.

Il pomeriggio

Alle ore 15 appuntamento con il calciatore del Perugia calcio Diego Falcinelli. Alle ore 15.20 si collegherà in diretta anche il presidente Avis nazionale Gianpietro Briola, per esprimere anche a lui la solidarietà e la vicinanza a tutto il personale medico. Briola annuncerà anche che l'Assemblea nazionale Avis che si sarebbe dovuta svolgere a Perugia il prossimo maggio è stata rimandata a novembre, con data da definire. A seguire Casciari si collegherà con tre ragazze perugine che sono a Siviglia per il programma Erasmus: racconteranno la loro esperienza e di come stanno vivendo questo momento lontane da casa. Dopo di loro si collegherà con il Rettore dell’Università di Perugia Maurizio Oliviero, che racconterà come il mondo universitario stia reagendo a questa pandemia. Alle ore 15.45 sarà la volta del sindaco di Perugia, Andrea Romizi, che parlerà alla città e a tutti i volontari e medici che in questi giorni stanno facendo l’impossibile per la nostra città. Alle ore 16.10 in collegamento con Casciari ci sarà anche il presidente del Consiglio regionale, Marco Squarta. Seguirà l’intervento dell’atleta della Bartoccini Perugia Volley, Giada Cecchetto, che sta prendendo la seconda laurea per diventare nutrizionista. Alle ore 16.45 si collegherà il primario di Oncologia Fausto Roila, che illustrerà la situazione in questo momento per i malati oncologici. A suo sostegno anche l’intervento di Giuseppe Caforio, presidente dell’Aucc e Federico Cenci, consigliere di Avanti Tutta. Si farà il punto anche sulla situazione scolastica dei giovani con la dirigente scolastica Rita Coccia. Alle ore 17.25 si collegherà con Avis anche Jean Luc Bertoni, editore e amico di Avis, che parlerà della sua iniziativa nazionale rivolta alle case editrici per la raccolta fondi da destinare agli ospedali, tramite la vendita di libri. La diretta si concluderà alle ore 18 con il presidente Rasimelli e tutti i volontari di Avis Perugia.]]>

"Da soli non si salva nessuno, insieme ce la faremo" è il titolo della diretta Facebook che si tiene il 4 aprile, a partire dalle ore 10, sulla pagina Facebook di Avis Perugia. L'iniziativa, condotta da Mauro Casciari, servirà per raccogliere fondi per l'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. Tanti gli ospiti del programma. La quarantena non ferma dunque l'Avis Perugia, che per aiutare e sostenere l’Ospedale di Perugia e i suoi operatori ha pensato di realizzare una diretta Facebook di un’intera giornata sulla pagina ufficiale "Avis Comunale di Perugia". Durante la giornata verranno ospitati volontari, sportivi, medici e amici della città. Sarà una giornata all’insegna dell’approfondimento, si parlerà di donazione di sangue, ma anche di esperienze di vita e professionali.

Raccolta fondi

Nel corso della diretta si promuoverà una raccolta fondi da destinare all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia. IBAN per le donazioni: IT49W0538703000000035023875.

Gli ospiti

A partire dalle ore 10 appuntamento con il presidente Avis Perugia, Fabrizio Rasimelli in collegamento dal Centro trasfusionale, affiancato dal primario del Centro trasfusionale, Mauro Marchesi. Saranno coinvolti anche i donatori presenti al SIT. Alle ore 10.40 sarà la volta di Susanna Perazzini, dirigente medico responsabile Hospice Perugia; una persona che con la sofferenza convive, che condivide quotidianamente con malati e familiari l'esperienza per un dignitoso distacco dalla vita. Alle ore 10.55 sarà in collegamento il direttore sanitario dell’Ospedale Maugeri di Pavia, Gigliola Rosignoli, che racconterà l’esperienza della loro Regione in questo momento così difficile per tutti. A seguire diretta con Massimo Max Colaci, atleta della Sir Safety Conad Perugia, nonché libero della Nazionale italiana di Volley. Max è diventato papà di Virginia, nata all'Ospedale di Perugia, solo poche settimane fa, in piena emergenza Coronavirus. Racconterà la sua esperienza di neo padre in questo momento e parlerà anche delle mancate olimpiadi. Alle ore 11.30 collegamento con Brunangelo Falini, direttore di Ematologia dell'Ospedale di Perugia, scienziato di livello internazionale. Un uomo che ha fatto dell'assistenza e della ricerca in campo sanitario una ragione di vita. Seguirà alle ore 11.45 il commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera, Antonio Onnis. Alle ore 12.05 si parlerà di come riuscire ad affrontare questi momenti di privazione e reclusione con lo psichiatra Silvio D’Alessandro. La diretta si concluderà per la prima parte alle ore 12.25 con il Gruppo Giovani Avis Perugia che mostreranno filmati, foto e testimonianze.

Il pomeriggio

Alle ore 15 appuntamento con il calciatore del Perugia calcio Diego Falcinelli. Alle ore 15.20 si collegherà in diretta anche il presidente Avis nazionale Gianpietro Briola, per esprimere anche a lui la solidarietà e la vicinanza a tutto il personale medico. Briola annuncerà anche che l'Assemblea nazionale Avis che si sarebbe dovuta svolgere a Perugia il prossimo maggio è stata rimandata a novembre, con data da definire. A seguire Casciari si collegherà con tre ragazze perugine che sono a Siviglia per il programma Erasmus: racconteranno la loro esperienza e di come stanno vivendo questo momento lontane da casa. Dopo di loro si collegherà con il Rettore dell’Università di Perugia Maurizio Oliviero, che racconterà come il mondo universitario stia reagendo a questa pandemia. Alle ore 15.45 sarà la volta del sindaco di Perugia, Andrea Romizi, che parlerà alla città e a tutti i volontari e medici che in questi giorni stanno facendo l’impossibile per la nostra città. Alle ore 16.10 in collegamento con Casciari ci sarà anche il presidente del Consiglio regionale, Marco Squarta. Seguirà l’intervento dell’atleta della Bartoccini Perugia Volley, Giada Cecchetto, che sta prendendo la seconda laurea per diventare nutrizionista. Alle ore 16.45 si collegherà il primario di Oncologia Fausto Roila, che illustrerà la situazione in questo momento per i malati oncologici. A suo sostegno anche l’intervento di Giuseppe Caforio, presidente dell’Aucc e Federico Cenci, consigliere di Avanti Tutta. Si farà il punto anche sulla situazione scolastica dei giovani con la dirigente scolastica Rita Coccia. Alle ore 17.25 si collegherà con Avis anche Jean Luc Bertoni, editore e amico di Avis, che parlerà della sua iniziativa nazionale rivolta alle case editrici per la raccolta fondi da destinare agli ospedali, tramite la vendita di libri. La diretta si concluderà alle ore 18 con il presidente Rasimelli e tutti i volontari di Avis Perugia.]]>
Adesso si apprezza la Sanità. Era ora https://www.lavoce.it/apprezza-sanita-ora/ Fri, 13 Mar 2020 15:44:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56478 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Tutti a dirle “brava”, e “grazie”, dopo che la sua primaria ha pubblicato la foto di lei che, stremata da una notte tremenda passata come infermiera ad assistere i contagiati dal coronavirus nel pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, alle 6 di mattina crolla e si addormenta sulla tastiera del computer, senza neanche togliersi la mascherina. Ma lei, Elena Pagliarini, 40 anni, non è per nulla conquistata dal tam-tam mediatico che la dipinge come una sorta di eroina.

“Io vivo nelle retrovie. E in un momento normale - è stata la sua lucida osservazione - in tanti avrebbero commentato negativamente, magari dicendo ‘ecco l’infermiera che si addormenta invece di lavorare’”. Molto consapevole, Elena, del fatto che chi lavora in sanità - a ogni livello, nei tempi di prima del virus - non è che abbia ricevuta tutta questa considerazione.

La cosiddetta malasanità ha riempito la cronaca e fatto da supporto ideologico, neanche tanto nascosto, a quelle scelte della classe politica che, in dieci anni, hanno depauperato il settore di risorse, prima di tutto umane, che in questo momento di grande emergenza sarebbero servite ad affrontare meglio il contagio.

E a permettere a Elena e ai tanti medici, infermieri e altro personale sanitario, di fare semplicemente il proprio dovere, con la massima efficacia e senza avere quasi l’obbligo, etico e professionale, di passare per eroi.

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lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Tutti a dirle “brava”, e “grazie”, dopo che la sua primaria ha pubblicato la foto di lei che, stremata da una notte tremenda passata come infermiera ad assistere i contagiati dal coronavirus nel pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, alle 6 di mattina crolla e si addormenta sulla tastiera del computer, senza neanche togliersi la mascherina. Ma lei, Elena Pagliarini, 40 anni, non è per nulla conquistata dal tam-tam mediatico che la dipinge come una sorta di eroina.

“Io vivo nelle retrovie. E in un momento normale - è stata la sua lucida osservazione - in tanti avrebbero commentato negativamente, magari dicendo ‘ecco l’infermiera che si addormenta invece di lavorare’”. Molto consapevole, Elena, del fatto che chi lavora in sanità - a ogni livello, nei tempi di prima del virus - non è che abbia ricevuta tutta questa considerazione.

La cosiddetta malasanità ha riempito la cronaca e fatto da supporto ideologico, neanche tanto nascosto, a quelle scelte della classe politica che, in dieci anni, hanno depauperato il settore di risorse, prima di tutto umane, che in questo momento di grande emergenza sarebbero servite ad affrontare meglio il contagio.

E a permettere a Elena e ai tanti medici, infermieri e altro personale sanitario, di fare semplicemente il proprio dovere, con la massima efficacia e senza avere quasi l’obbligo, etico e professionale, di passare per eroi.

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Il migliore antivirus è il senso di responsabilità https://www.lavoce.it/il-migliore-antivirus-e-il-senso-di-responsabilita/ Thu, 12 Mar 2020 13:47:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56428

Stiamo affrontando una crisi collettiva, e la linea temporale su cui viaggiamo è la stessa: ogni forma di fatalismo è un ‘assist’ all’ Martedì 10 marzo epidemia”. Così lo scrittore Paolo Giordano scrive del virus che ha fatto diventare l’Italia intera zona rossa, ammonisce a non praticare il diffuso vezzo dell’I don’t care, “non me ne importa”. Sono i numeri che riguardano il contagio a non consentirlo: c’è chi ha calcolato che, con una proiezione di raddoppio ogni quattro giorni, in due settimane i malati saranno 50 mila, e 400 mila a fine marzo. Se permane l’attuale tasso di mortalità, il 5 per cento, i decessi potrebbero essere 18 mila in Italia. “Non si sa quando sarà raggiunto il picco” ha ripetuto in più occasioni Silvio Brusaferro, capo dell’Istituto superiore di sanità. Il mondo scientifico, dopo una fase iniziale punteggiata di troppe asserzioni contraddittorie, su un punto è unanime: il coronavirus ‘cammina’ sulle gambe delle persone.

Italia in quarantena

E dunque, tutta Italia in quarantena. Anche con l’intento di imporre dall’alto quel senso di responsabilità, verso se stessi e verso gli altri, che in molti, in troppi, hanno dimostrato di non possedere in queste giornate invece cruciali per provare a rallentare il contagio. Ma chi non dimostra questo senso di condivisione rischia che si inneschi, anche a causa dei suoi comportamenti superficiali, uno scenario di guerra: con gli ospedali intasati di contagiati e impossibilitati a fornire a tutti i pazienti il massimo e il meglio delle cure che meritano. “È già come in guerra. Si cerca di salvare la pelle solo a chi ce la può fare” ha ammesso il dottor Christian Salaroli, che lavora nella Rianimazione dell’ospedale di Bergamo.

Serve più solidarietà

Serve dunque un di più - rispetto al recente passato - di solidarietà e, come reclama Andrea Riccardi, di autodisciplina. Servirà - ha ribadito il sindaco di Milano, Beppe Sala - “tanto e tanto buon senso di chi governa e dei singoli cittadini”. Occorre attuare “azioni di buon vicinato”, dando sfogo alle “capacità del bene”, ha suggerito l’arcivescovo del capoluogo lombardo, Mario Delpini. In una parola, dopo un lungo periodo in cui ognuno di noi si è potuto concentrare sui propri diritti, è ora chiamato a procedere dando la precedenza ai propri doveri. Adattandosi alle regole, e alle inevitabili ristrettezze, che i nostri nonni e genitori hanno sperimentato in tempo di guerra. Non è semplice, se anche Papa Francesco, nell’Angelus di domenica 8 marzo pronunciato dalla Biblioteca vaticana, si è definito “ingabbiato”. Non è agevole rinunciare a uno stile di vita da un giorno all’altro: specialmente se non c’è un colpevole da odiare ma un’emergenza comune da affrontare. “Stiamo scambiando quote di libertà con quote di responsabilità” dice il giornalista Ezio Mauro, e questo - soprattutto in un sistema mondiale globalizzato - rischia di diventare sempre più frequente. Perché i popoli si sono avvicinati, ma le disuguaglianze sono cresciute a dismisura: non in ogni Paese del mondo vigono le stesse regole di trasparenza, né le stesse precauzioni di controllo sanitario. Così si globalizzano e si contaminano le culture, ma - in base allo stesso meccanismo - si estende il contagio tra le persone. Quello che ci viene richiesto nella fase attuale (nessuno sa quanto lunga) è di uscire dalla gabbia di presunzione autoreferenziale in cui la società dei social media sembra aver fatto sprofondare la maggioranza delle persone. Dobbiamo giocoforza “accettare di essere parte”, come ci ricorda nel suo ultimo libro, Odiare l’odio, Walter Veltroni. Non esiste occasione migliore di questa per “sentirci parte”. Anche perché altre strade non ce ne sono. Daris Giancarlini]]>

Stiamo affrontando una crisi collettiva, e la linea temporale su cui viaggiamo è la stessa: ogni forma di fatalismo è un ‘assist’ all’ Martedì 10 marzo epidemia”. Così lo scrittore Paolo Giordano scrive del virus che ha fatto diventare l’Italia intera zona rossa, ammonisce a non praticare il diffuso vezzo dell’I don’t care, “non me ne importa”. Sono i numeri che riguardano il contagio a non consentirlo: c’è chi ha calcolato che, con una proiezione di raddoppio ogni quattro giorni, in due settimane i malati saranno 50 mila, e 400 mila a fine marzo. Se permane l’attuale tasso di mortalità, il 5 per cento, i decessi potrebbero essere 18 mila in Italia. “Non si sa quando sarà raggiunto il picco” ha ripetuto in più occasioni Silvio Brusaferro, capo dell’Istituto superiore di sanità. Il mondo scientifico, dopo una fase iniziale punteggiata di troppe asserzioni contraddittorie, su un punto è unanime: il coronavirus ‘cammina’ sulle gambe delle persone.

Italia in quarantena

E dunque, tutta Italia in quarantena. Anche con l’intento di imporre dall’alto quel senso di responsabilità, verso se stessi e verso gli altri, che in molti, in troppi, hanno dimostrato di non possedere in queste giornate invece cruciali per provare a rallentare il contagio. Ma chi non dimostra questo senso di condivisione rischia che si inneschi, anche a causa dei suoi comportamenti superficiali, uno scenario di guerra: con gli ospedali intasati di contagiati e impossibilitati a fornire a tutti i pazienti il massimo e il meglio delle cure che meritano. “È già come in guerra. Si cerca di salvare la pelle solo a chi ce la può fare” ha ammesso il dottor Christian Salaroli, che lavora nella Rianimazione dell’ospedale di Bergamo.

Serve più solidarietà

Serve dunque un di più - rispetto al recente passato - di solidarietà e, come reclama Andrea Riccardi, di autodisciplina. Servirà - ha ribadito il sindaco di Milano, Beppe Sala - “tanto e tanto buon senso di chi governa e dei singoli cittadini”. Occorre attuare “azioni di buon vicinato”, dando sfogo alle “capacità del bene”, ha suggerito l’arcivescovo del capoluogo lombardo, Mario Delpini. In una parola, dopo un lungo periodo in cui ognuno di noi si è potuto concentrare sui propri diritti, è ora chiamato a procedere dando la precedenza ai propri doveri. Adattandosi alle regole, e alle inevitabili ristrettezze, che i nostri nonni e genitori hanno sperimentato in tempo di guerra. Non è semplice, se anche Papa Francesco, nell’Angelus di domenica 8 marzo pronunciato dalla Biblioteca vaticana, si è definito “ingabbiato”. Non è agevole rinunciare a uno stile di vita da un giorno all’altro: specialmente se non c’è un colpevole da odiare ma un’emergenza comune da affrontare. “Stiamo scambiando quote di libertà con quote di responsabilità” dice il giornalista Ezio Mauro, e questo - soprattutto in un sistema mondiale globalizzato - rischia di diventare sempre più frequente. Perché i popoli si sono avvicinati, ma le disuguaglianze sono cresciute a dismisura: non in ogni Paese del mondo vigono le stesse regole di trasparenza, né le stesse precauzioni di controllo sanitario. Così si globalizzano e si contaminano le culture, ma - in base allo stesso meccanismo - si estende il contagio tra le persone. Quello che ci viene richiesto nella fase attuale (nessuno sa quanto lunga) è di uscire dalla gabbia di presunzione autoreferenziale in cui la società dei social media sembra aver fatto sprofondare la maggioranza delle persone. Dobbiamo giocoforza “accettare di essere parte”, come ci ricorda nel suo ultimo libro, Odiare l’odio, Walter Veltroni. Non esiste occasione migliore di questa per “sentirci parte”. Anche perché altre strade non ce ne sono. Daris Giancarlini]]>
Coronavirus e profughi siriani. Dove sta l’UE? https://www.lavoce.it/coronavirus-e-profughi-siriani-dove-sta-lue/ Sun, 08 Mar 2020 20:00:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56415

L’Europa assediata da virus e migrazioni rischia di sbriciolarsi sotto la pressione di interessi che, anche di fronte a un contagio che non conosce confini o frontiere, faticano a trovare un punto d’incontro che permetta di arginare e minimizzare i danni - sanitari prima di tutto, ma anche economici e sociali - che il diffondersi dell’epidemia sta già producendo. La dimensione del Continente europeo - 513 milioni di abitanti - e soprattutto la sua organizzazione politica e monetaria dovrebbero di per sé consentire di approcciare problemi inattesi (come il Covid-19, che ha innescato la peggiore crisi sanitaria del secondo dopoguerra) o stranoti (come quello dei profughi che fuggono dalle guerre e dalle carestie) con qualcosa di più e di meglio dell’approccio incerto e tardivo che i vari organismi comunitari - a partire dalla nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen - hanno messo in atto nelle ultime, convulse settimane. Ora si parla di una forza d’intervento per affrontare a livello comunitario il problema sanitario e quello economico (altrettanto rilevante) a esso collegato. “Il livello di rischio è salito da moderato ad alto”, ha riconosciuto la Presidente della Commissione Ue: verrebbe da dire - rischiando di essere tacciati di antieuropeismo - che il rischio legato al coronavirus è stato sottovalutato finché i casi hanno riguardato soltanto l’Italia. A fronte delle cui richieste di sostegni economici, e non solo, i Paesi del Nord europa hanno opposto il solito, scontato rifiuto, ritenendolo come ennesimo stratagemma levantino e furbesco per aumentare il deficit e sforare i parametri di spesa. Il commissario europeo all’economia, l’italiano Paolo Gentiloni, almeno lui ha avuto parole di comprensione: “In casi eccezionali - ha ribadito - come quello in atto, la flessibilità è prevista e regolata”. Quello che serve in realtà, ora che i casi di contagio sono oltre 2.100 in 18 Paesi dell’Unione, è quella che lo stesso Gentiloni ha definito “una risposta coordinata a livello europeo”. Che finora è mancata, prima di tutto a livello sanitario. È noto che la materia sanitaria è titolarità esclusiva dei singoli Stati, ma nel caso di un’epidemia come quella in corso la comunità scientifica e medica ha il dovere di muoversi in modo coordinato a livello sovranazionale. Non è successo: Francia e Germania avevano isolato il ceppo di coronavirus qualche settimana prima dello “Spallanzani” di Roma. Ma non lo avevano comunicato. Adesso però che alla parola ‘contagio’ si associa il termine ‘recessione’, anche i freddi Paesi nordici sembrano cedere di fronte alla necessità di attivare un grande piano europeo di sostegno all’economia. Anche perché in una settimana le Borse hanno perso più del 10 per cento, e solo quella italiana ha bruciato 20 miliardi in quattro sedute. E mentre si cerca una risposta comune per la tutela della salute del Continente e la difesa dell’economia, quello che risulta evidente è che le risposte che i singoli Stati hanno dato sinora non sono bastate e non basteranno. L’altro banco di prova per la tenuta dell’Unione è il vero e proprio ricatto messo in atto nelle ultime settimane dalla Turchia con la riapertura dei flussi dei profughi siriani verso la rotta balcanica. Quei flussi che l’Europa, su spinta quasi esclusivamente tedesca, aveva bloccato ‘regalando’ alla Turchia e al suo presidente, Recep Tayip Erdogan, ben 6 miliardi di euro. Ora da quel Paese che fa da cerniera tra l’Europa, la Russia, il Medio Oriente e l’Asia arriva la richiesta di altri fondi per fermare i migranti, ora confinati nelle isole greche. “Una questione ben più drammatica del coronavirus” osserva il missionario comboniano e direttore di Nigrizia padre Ganapini, mentre Emma Bonino, esperta di questioni internazionali, rimarca “l’incapacità di governare da europei” il problema del Medio Oriente in costante ebollizione. Una carenza, questa, che danneggia anche e soprattutto l’Italia. La quale, in questa fase, non ha altra possibilità che quella di scommettere, nonostante tutto, sull’Europa. A condizione che l’Unione riesca a parlare, politicamente, con una voce sola. Daris Giancarlini]]>

L’Europa assediata da virus e migrazioni rischia di sbriciolarsi sotto la pressione di interessi che, anche di fronte a un contagio che non conosce confini o frontiere, faticano a trovare un punto d’incontro che permetta di arginare e minimizzare i danni - sanitari prima di tutto, ma anche economici e sociali - che il diffondersi dell’epidemia sta già producendo. La dimensione del Continente europeo - 513 milioni di abitanti - e soprattutto la sua organizzazione politica e monetaria dovrebbero di per sé consentire di approcciare problemi inattesi (come il Covid-19, che ha innescato la peggiore crisi sanitaria del secondo dopoguerra) o stranoti (come quello dei profughi che fuggono dalle guerre e dalle carestie) con qualcosa di più e di meglio dell’approccio incerto e tardivo che i vari organismi comunitari - a partire dalla nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen - hanno messo in atto nelle ultime, convulse settimane. Ora si parla di una forza d’intervento per affrontare a livello comunitario il problema sanitario e quello economico (altrettanto rilevante) a esso collegato. “Il livello di rischio è salito da moderato ad alto”, ha riconosciuto la Presidente della Commissione Ue: verrebbe da dire - rischiando di essere tacciati di antieuropeismo - che il rischio legato al coronavirus è stato sottovalutato finché i casi hanno riguardato soltanto l’Italia. A fronte delle cui richieste di sostegni economici, e non solo, i Paesi del Nord europa hanno opposto il solito, scontato rifiuto, ritenendolo come ennesimo stratagemma levantino e furbesco per aumentare il deficit e sforare i parametri di spesa. Il commissario europeo all’economia, l’italiano Paolo Gentiloni, almeno lui ha avuto parole di comprensione: “In casi eccezionali - ha ribadito - come quello in atto, la flessibilità è prevista e regolata”. Quello che serve in realtà, ora che i casi di contagio sono oltre 2.100 in 18 Paesi dell’Unione, è quella che lo stesso Gentiloni ha definito “una risposta coordinata a livello europeo”. Che finora è mancata, prima di tutto a livello sanitario. È noto che la materia sanitaria è titolarità esclusiva dei singoli Stati, ma nel caso di un’epidemia come quella in corso la comunità scientifica e medica ha il dovere di muoversi in modo coordinato a livello sovranazionale. Non è successo: Francia e Germania avevano isolato il ceppo di coronavirus qualche settimana prima dello “Spallanzani” di Roma. Ma non lo avevano comunicato. Adesso però che alla parola ‘contagio’ si associa il termine ‘recessione’, anche i freddi Paesi nordici sembrano cedere di fronte alla necessità di attivare un grande piano europeo di sostegno all’economia. Anche perché in una settimana le Borse hanno perso più del 10 per cento, e solo quella italiana ha bruciato 20 miliardi in quattro sedute. E mentre si cerca una risposta comune per la tutela della salute del Continente e la difesa dell’economia, quello che risulta evidente è che le risposte che i singoli Stati hanno dato sinora non sono bastate e non basteranno. L’altro banco di prova per la tenuta dell’Unione è il vero e proprio ricatto messo in atto nelle ultime settimane dalla Turchia con la riapertura dei flussi dei profughi siriani verso la rotta balcanica. Quei flussi che l’Europa, su spinta quasi esclusivamente tedesca, aveva bloccato ‘regalando’ alla Turchia e al suo presidente, Recep Tayip Erdogan, ben 6 miliardi di euro. Ora da quel Paese che fa da cerniera tra l’Europa, la Russia, il Medio Oriente e l’Asia arriva la richiesta di altri fondi per fermare i migranti, ora confinati nelle isole greche. “Una questione ben più drammatica del coronavirus” osserva il missionario comboniano e direttore di Nigrizia padre Ganapini, mentre Emma Bonino, esperta di questioni internazionali, rimarca “l’incapacità di governare da europei” il problema del Medio Oriente in costante ebollizione. Una carenza, questa, che danneggia anche e soprattutto l’Italia. La quale, in questa fase, non ha altra possibilità che quella di scommettere, nonostante tutto, sull’Europa. A condizione che l’Unione riesca a parlare, politicamente, con una voce sola. Daris Giancarlini]]>
Messe: anche in Umbria celebrazioni sospese fino al 3 aprile. La nota Ceu https://www.lavoce.it/messe-anche-in-umbria-celebrazioni-sospese-fino-al-3-aprile-la-nota-ceu/ Sun, 08 Mar 2020 19:35:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56411 assemblea

La celebrazione della messa è sospesa in tutte le chiese della regione fino a venerdì 3 aprile. Lo ha stabilito la Conferenza episcopale umbra con una decisione che accoglie le indicazioni fornite dalla Cei nella stessa giornata. La nota del presidente Ceu, l'arcivescovo di Spoleto - Norcia mons. Renato Boccardo, è arrivata nella tarda serta di questa domenica 8 marzo. Pubblichiamo il testo integrale. «A seguito del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri entrato in vigore quest’oggi 8 marzo per contrastare la diffusione del “coronavirus”, e a completamento della Nota della Conferenza Episcopale Umbra del 5 marzo u.s. i Vescovi della Regione Ecclesiastica stabiliscono la sospensione della celebrazione di tutte le SS. Messe feriali e festive con la presenza dei fedeli in tutte le chiese e santuari della Regione, fino a venerdì 3 aprile p.v. compreso. Tra le “cerimonie civili e religiose” il Decreto governativo include esplicitamente anche i funerali. Il rito funebre dovrà dunque essere celebrato senza Messa, direttamente al cimitero, alla presenza dei soli stretti familiari, secondo quanto previsto al cap. IV del Rito delle Esequie. Queste ulteriori restrizioni generano sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. Attraverso il grave sacrificio richiesto ai credenti, la comunità cristiana intende assicurare il proprio significativo contributo alla tutela della salute pubblica, collaborando lealmente con le Istituzioni civili in questo momento di emergenza nazionale. Nell’impossibilità di adempiere al precetto festivo ai sensi del can. 1248§2, i fedeli sono invitati a dedicare un tempo conveniente all’ascolto della Parola di Dio, alla preghiera e alla carità; possono essere d’aiuto le celebrazioni trasmesse tramite radio, televisione e in streaming sui siti internet e sui social. L’accesso ai luoghi di culto sia consentito ai singoli fedeli che vogliano recarvisi per la preghiera individuale, avendo cura che venga osservata la distanza di precauzione igienica».]]>
assemblea

La celebrazione della messa è sospesa in tutte le chiese della regione fino a venerdì 3 aprile. Lo ha stabilito la Conferenza episcopale umbra con una decisione che accoglie le indicazioni fornite dalla Cei nella stessa giornata. La nota del presidente Ceu, l'arcivescovo di Spoleto - Norcia mons. Renato Boccardo, è arrivata nella tarda serta di questa domenica 8 marzo. Pubblichiamo il testo integrale. «A seguito del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri entrato in vigore quest’oggi 8 marzo per contrastare la diffusione del “coronavirus”, e a completamento della Nota della Conferenza Episcopale Umbra del 5 marzo u.s. i Vescovi della Regione Ecclesiastica stabiliscono la sospensione della celebrazione di tutte le SS. Messe feriali e festive con la presenza dei fedeli in tutte le chiese e santuari della Regione, fino a venerdì 3 aprile p.v. compreso. Tra le “cerimonie civili e religiose” il Decreto governativo include esplicitamente anche i funerali. Il rito funebre dovrà dunque essere celebrato senza Messa, direttamente al cimitero, alla presenza dei soli stretti familiari, secondo quanto previsto al cap. IV del Rito delle Esequie. Queste ulteriori restrizioni generano sofferenze e difficoltà nei Pastori, nei sacerdoti e nei fedeli. Attraverso il grave sacrificio richiesto ai credenti, la comunità cristiana intende assicurare il proprio significativo contributo alla tutela della salute pubblica, collaborando lealmente con le Istituzioni civili in questo momento di emergenza nazionale. Nell’impossibilità di adempiere al precetto festivo ai sensi del can. 1248§2, i fedeli sono invitati a dedicare un tempo conveniente all’ascolto della Parola di Dio, alla preghiera e alla carità; possono essere d’aiuto le celebrazioni trasmesse tramite radio, televisione e in streaming sui siti internet e sui social. L’accesso ai luoghi di culto sia consentito ai singoli fedeli che vogliano recarvisi per la preghiera individuale, avendo cura che venga osservata la distanza di precauzione igienica».]]>
Coronavirus Umbria. Farmaci a domicilio per anziani e persone con patologie https://www.lavoce.it/coronavirus-umbria-farmaci-domicilio/ Thu, 05 Mar 2020 16:05:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56371 Farmacia consegna farmaci a domicilio

“In questa fase di emergenza legata alla diffusione del coronavirus l’Umbria non lascia sole le persone anziane e i pazienti con patologie croniche o immunodepressi”: lo rende noto l’assessore regionale alla sanità Luca Coletto. “Siamo molto attenti alla tutela delle persone più fragili – ha detto Coletto - e grazie ad un accordo con Federfarma Umbria e Assofarm, in accordo con la Federazione italiana medici di medicina generale, la Regione Umbria, proprio per evitare che chi è affetto da particolari patologie e avanti negli anni esca di casa, ha attivato un servizio di consegna a domicilio dei farmaci necessari a pazienti anziani con più di 75 anni di età o ai pazienti con più di 65 anni, ma affetti da patologie croniche”.

Come funziona il servizio

Il servizio, che coinvolge le farmacie pubbliche e private del territorio, si attiva con una chiamata da parte del cittadino al numero verde “800189521” messo a disposizione da Federfarma, al quale risponde un operatore che geolocalizza la chiamata e passa la richiesta per la consegna dei farmaci alla farmacia più vicina all’abitazione del soggetto che ha attivato per telefono la richiesta”. “Nel caso in cui il paziente non rientri nella fascia di età oltre i 65 anni, ma con patologie conclamate per le quali è consigliabile non uscire di casa in questo periodo e che non possono delegare altri soggetti – aggiunge l’assessore – il medico di medicina generale può attivare il servizio”. Ringraziando i farmacisti che operano sul territorio e tutti gli operatori per il grande impegno e per la proficua collaborazione che si rinnova in questo momento difficile per tutto il paese, l’assessore ha annunciato che “nella distribuzione dei farmaci a domicilio saranno coinvolte, con opportune modalità, anche le farmacie ospedaliere”.]]>
Farmacia consegna farmaci a domicilio

“In questa fase di emergenza legata alla diffusione del coronavirus l’Umbria non lascia sole le persone anziane e i pazienti con patologie croniche o immunodepressi”: lo rende noto l’assessore regionale alla sanità Luca Coletto. “Siamo molto attenti alla tutela delle persone più fragili – ha detto Coletto - e grazie ad un accordo con Federfarma Umbria e Assofarm, in accordo con la Federazione italiana medici di medicina generale, la Regione Umbria, proprio per evitare che chi è affetto da particolari patologie e avanti negli anni esca di casa, ha attivato un servizio di consegna a domicilio dei farmaci necessari a pazienti anziani con più di 75 anni di età o ai pazienti con più di 65 anni, ma affetti da patologie croniche”.

Come funziona il servizio

Il servizio, che coinvolge le farmacie pubbliche e private del territorio, si attiva con una chiamata da parte del cittadino al numero verde “800189521” messo a disposizione da Federfarma, al quale risponde un operatore che geolocalizza la chiamata e passa la richiesta per la consegna dei farmaci alla farmacia più vicina all’abitazione del soggetto che ha attivato per telefono la richiesta”. “Nel caso in cui il paziente non rientri nella fascia di età oltre i 65 anni, ma con patologie conclamate per le quali è consigliabile non uscire di casa in questo periodo e che non possono delegare altri soggetti – aggiunge l’assessore – il medico di medicina generale può attivare il servizio”. Ringraziando i farmacisti che operano sul territorio e tutti gli operatori per il grande impegno e per la proficua collaborazione che si rinnova in questo momento difficile per tutto il paese, l’assessore ha annunciato che “nella distribuzione dei farmaci a domicilio saranno coinvolte, con opportune modalità, anche le farmacie ospedaliere”.]]>
Quaresima e Coronavirus. Cautele, senza panico https://www.lavoce.it/quaresima-coronavirus-cautele-panico/ Thu, 27 Feb 2020 16:22:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56352 quaresima

È l’inizio di un cammino quaresimale del tutto “speciale” per la Chiesa italiana e umbra. Il tam tam delle notizie che si rincorrono su giornali, piccolo schermo, in radio e sul web occupa il personale “palinsesto” informativo di ognuno di noi. Di riflesso, condiziona in modo pesante in questi giorni anche la vita delle comunità dei credenti.

Già all’inizio della settimana la presidenza della Conferenza episcopale italiana dichiara una piena collaborazione con le autorità dello Stato e delle Regioni per contenere il rischio epidemico. “Davanti al diffondersi del Coronavirus, alla notizia dei primi decessi, alla necessità di tutelare la salute pubblica, arginando il più possibile il pericolo del contagio, in questi giorni – e in queste ore – si susseguono richieste relative a linee comuni anche per le nostre comunità ecclesiali”.

A Bari, nella celebrazione presieduta da papa Francesco a conclusione dell’incontro del Mediterraneo, la Chiesa aveva pregato per quanti sono colpiti dal virus e per i loro familiari. Preghiera estesa anche a medici e infermieri delle strutture sanitarie, chiamati ad affrontare in “prima linea” questa fase di emergenza, e per chi ha la responsabilità di adottare misure precauzionali e restrittive.

“Ci impegniamo a fare la nostra parte - aveva concluso il card. Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve - per ridurre smarrimenti e paure, che spingerebbero a una sterile chiusura: questo è il tempo in cui ritrovare motivi di realismo, di fiducia e di speranza, che consentano di affrontare insieme questa difficile situazione”.

Lungo la Penisola - seguendo le direttive emanate dalle autorità civili locali e nazionali, diversificate secondo le distanze dai focolai epidemici - le diocesi hanno messo in atto provvedimenti di vario genere, fino alla chiusura dei luoghi di culto, alla sospensione delle celebrazioni liturgiche e di ogni attività pastorale.

In Umbria

Nelle otto diocesi dell’Umbria c’è cautela ma anche il desiderio di non allarmare in alcun modo i fedeli, considerata la situazione più tranquilla rispetto ad altre regioni del centro-nord. Nelle diocesi di Perugia-Città della Pieve e di Foligno i parroci sono stati invitati a osservare alcune misure precauzionali durante le celebrazioni eucaristiche, in attesa di ulteriori disposizioni da parte delle amministrazioni pubbliche. In particolare si raccomanda la comunione eucaristica distribuita in mano, niente acqua benedetta all’ingresso delle chiese e niente strette di mano per lo scambio della pace, come anche evitare toni allarmistici durante le predicazioni.

Nelle Marche

Nelle vicine Marche, i vescovi hanno recepito l’ordinanza del governatore regionale con misure restrittive e urgenti per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Chiese aperte ma solo per la preghiera individuale, sospendendo le celebrazioni feriali e festive fino al 4 marzo. Funerali limitati al rito delle esequie e solo con parenti stretti, acquasantiere vuote, niente scambio della pace e comunione ricevuta sulla mano. Sospese anche le benedizioni pasquali, gli incontri di catechismo, dei gruppi parrocchiali e ogni genere di aggregazione.

“Cerchiamo di vivere questo tempo forte di Quaresima invitano i pastori delle diocesi marchigiane - in unità di cuori e di preghiera, ricordando soprattutto i malati, quanti sono colpiti dal Coronavirus e quanti in modi diversi si adoperano per limitarne le conseguenze, in particolare il personale sanitario e di ricerca scientifica”. Con il Mercoledì delle Ceneri - di fatto - si è aperto un cammino di preparazione alla Pasqua più “intimo” e solitario per molti cattolici italiani, chiamati dai parroci alla preghiera personale e a seguire le celebrazioni attraverso tv, web e social media.

Daniele Morini

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quaresima

È l’inizio di un cammino quaresimale del tutto “speciale” per la Chiesa italiana e umbra. Il tam tam delle notizie che si rincorrono su giornali, piccolo schermo, in radio e sul web occupa il personale “palinsesto” informativo di ognuno di noi. Di riflesso, condiziona in modo pesante in questi giorni anche la vita delle comunità dei credenti.

Già all’inizio della settimana la presidenza della Conferenza episcopale italiana dichiara una piena collaborazione con le autorità dello Stato e delle Regioni per contenere il rischio epidemico. “Davanti al diffondersi del Coronavirus, alla notizia dei primi decessi, alla necessità di tutelare la salute pubblica, arginando il più possibile il pericolo del contagio, in questi giorni – e in queste ore – si susseguono richieste relative a linee comuni anche per le nostre comunità ecclesiali”.

A Bari, nella celebrazione presieduta da papa Francesco a conclusione dell’incontro del Mediterraneo, la Chiesa aveva pregato per quanti sono colpiti dal virus e per i loro familiari. Preghiera estesa anche a medici e infermieri delle strutture sanitarie, chiamati ad affrontare in “prima linea” questa fase di emergenza, e per chi ha la responsabilità di adottare misure precauzionali e restrittive.

“Ci impegniamo a fare la nostra parte - aveva concluso il card. Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve - per ridurre smarrimenti e paure, che spingerebbero a una sterile chiusura: questo è il tempo in cui ritrovare motivi di realismo, di fiducia e di speranza, che consentano di affrontare insieme questa difficile situazione”.

Lungo la Penisola - seguendo le direttive emanate dalle autorità civili locali e nazionali, diversificate secondo le distanze dai focolai epidemici - le diocesi hanno messo in atto provvedimenti di vario genere, fino alla chiusura dei luoghi di culto, alla sospensione delle celebrazioni liturgiche e di ogni attività pastorale.

In Umbria

Nelle otto diocesi dell’Umbria c’è cautela ma anche il desiderio di non allarmare in alcun modo i fedeli, considerata la situazione più tranquilla rispetto ad altre regioni del centro-nord. Nelle diocesi di Perugia-Città della Pieve e di Foligno i parroci sono stati invitati a osservare alcune misure precauzionali durante le celebrazioni eucaristiche, in attesa di ulteriori disposizioni da parte delle amministrazioni pubbliche. In particolare si raccomanda la comunione eucaristica distribuita in mano, niente acqua benedetta all’ingresso delle chiese e niente strette di mano per lo scambio della pace, come anche evitare toni allarmistici durante le predicazioni.

Nelle Marche

Nelle vicine Marche, i vescovi hanno recepito l’ordinanza del governatore regionale con misure restrittive e urgenti per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Chiese aperte ma solo per la preghiera individuale, sospendendo le celebrazioni feriali e festive fino al 4 marzo. Funerali limitati al rito delle esequie e solo con parenti stretti, acquasantiere vuote, niente scambio della pace e comunione ricevuta sulla mano. Sospese anche le benedizioni pasquali, gli incontri di catechismo, dei gruppi parrocchiali e ogni genere di aggregazione.

“Cerchiamo di vivere questo tempo forte di Quaresima invitano i pastori delle diocesi marchigiane - in unità di cuori e di preghiera, ricordando soprattutto i malati, quanti sono colpiti dal Coronavirus e quanti in modi diversi si adoperano per limitarne le conseguenze, in particolare il personale sanitario e di ricerca scientifica”. Con il Mercoledì delle Ceneri - di fatto - si è aperto un cammino di preparazione alla Pasqua più “intimo” e solitario per molti cattolici italiani, chiamati dai parroci alla preghiera personale e a seguire le celebrazioni attraverso tv, web e social media.

Daniele Morini

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Coronavirus. Card. Bassetti: “Qualsiasi disposizione per tutelare la salute” https://www.lavoce.it/coronavirus-card-bassetti/ Sun, 23 Feb 2020 11:16:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56338 coronavirus

“Agirò in totale accordo col ministro, non abbiamo i dati precisi, ma siamo disposti per tutelare la salute ad attuare qualsiasi disposizione”. Così il card. Gualtiero Bassetti ai giornalisti che a Bari gli chiedevano quali conseguenze ci potranno essere anche in futuro in merito alle precauzioni da prendere rispetto al Coronavirus Covid-19. “Ancora non ho avuto contatti con il ministro, esco da un turbillon durato quattro giorni. Sono preoccupato? Sì perché sono cose che riguardano la salute e il bene delle persone, ma sono convinto che non bisogna usare allarmismo, servono precauzioni da osservare”. Incalzato ancora, il cardinale ha quindi ribadito: “Prenderemo i provvedimenti stabiliti per legge, noi non siamo l’autorità civile. Dobbiamo quindi distinguere molto bene le nostre competenze. Non posso prendere provvedimenti che non siano stati suggeriti dall’autorità civile perché diffonderei un timore eccessivo”. Oggi a Bari 40mila persone per la messa celebrata da Papa Francesco. A chi chiedeva se ci saranno novità riguardo a questo evento, sempre per il rischio contagio virus, il presidente della Cei ha detto: “La messa è tutta regolare, non c’è ragione perché non lo sia”. A chi invece chiede della situazione a Perugia, il cardinale ha risposto: “A Perugia c’è una università per stranieri e molti vengono dall’oriente, ma credo che già l’autorità civile abbia preso cautele”.]]>
coronavirus

“Agirò in totale accordo col ministro, non abbiamo i dati precisi, ma siamo disposti per tutelare la salute ad attuare qualsiasi disposizione”. Così il card. Gualtiero Bassetti ai giornalisti che a Bari gli chiedevano quali conseguenze ci potranno essere anche in futuro in merito alle precauzioni da prendere rispetto al Coronavirus Covid-19. “Ancora non ho avuto contatti con il ministro, esco da un turbillon durato quattro giorni. Sono preoccupato? Sì perché sono cose che riguardano la salute e il bene delle persone, ma sono convinto che non bisogna usare allarmismo, servono precauzioni da osservare”. Incalzato ancora, il cardinale ha quindi ribadito: “Prenderemo i provvedimenti stabiliti per legge, noi non siamo l’autorità civile. Dobbiamo quindi distinguere molto bene le nostre competenze. Non posso prendere provvedimenti che non siano stati suggeriti dall’autorità civile perché diffonderei un timore eccessivo”. Oggi a Bari 40mila persone per la messa celebrata da Papa Francesco. A chi chiedeva se ci saranno novità riguardo a questo evento, sempre per il rischio contagio virus, il presidente della Cei ha detto: “La messa è tutta regolare, non c’è ragione perché non lo sia”. A chi invece chiede della situazione a Perugia, il cardinale ha risposto: “A Perugia c’è una università per stranieri e molti vengono dall’oriente, ma credo che già l’autorità civile abbia preso cautele”.]]>
Giornata del malato. Un ambulatorio della solidarietà per chi non può pagarsi le cure https://www.lavoce.it/giornata-malato-ambulatorio/ Tue, 11 Feb 2020 08:21:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56249 ambulatorio

È attivo già da qualche tempo, ma sarà presentato ufficialmente ed entrerà a pieno regime martedì 11 febbraio, giorno in cui la Chiesa celebra la festa liturgica della Beata Vergine di Lourdes e la Giornata mondiale del malato. Si tratta dell’ “Ambulatorio della solidarietà” con sede presso la casa di cura “Clinica Lami” di Perugia, per pazienti indigenti, coloro che non hanno la possibilità economica di pagarsi una visita specialistica o degli accertamenti clinici e per tale motivo non si curano o spesso fanno richiesta alla Caritas.

Il progetto è infatti promosso da Caritas diocesana, dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute e dalla sezione perugina dell’Associazione medici cattolici italiana (Amci) in collaborazione con la clinica Lami.

Le cure non sono offerte dallo Stato?

Come mai c’è bisogno di un ambulatorio come questo dal momento che in Italia il Servizio sanitario nazionale è improntato proprio sul garantire assistenza a tutti i cittadini? Lo abbiamo chiesto al presidente di Amci Perugia Marco Dottorini. “I costi per la salute variano in base al reddito. 

Nella nostra regione siamo divisi in fasce di reddito e la fascia “R1” comprende le persone che hanno un reddito da 0 a 36.000 euro lordi annui. Coloro che si avvicinano più a zero che a 36.000 non possono permettersi di pagare esami o visite mediche specialistiche” spiega Dottorini.

Esami, analisi e visite specialistiche richiedono infatti sempre un costo per la prestazione. “Quello che chiamiamo ‘ticket’ - specifica Dottorini - è la maggiorazione sul costo di base della prestazione che varia a seconda della fascia di reddito. Ma ciò non toglie che ci sia comunque un costo di base invariabile che molti non possono permettersi”.

Quante sono le persone che non possono pagarsi le cure

In tutta l’Umbria, spiegano i promotori dell’Ambulatorio della solidarietà, le persone con un reddito talmente basso da non potersi permettere le cure sono circa 200.000, 70.000 solo nel perugino. “Le segnalazioni di questo problema ci sono arrivate sia dalla Caritas che dai medici di base, i quali prescrivono esami o visite che alcuni pazienti poi non fanno proprio perchè non possono pagare” ha aggiunto Dottorini.

Come funziona l'ambulatorio

L’Ambulatorio è aperto nei locali messi a disposizione dalla clinica Lami, ogni sabato. Qualora le persone accolte, oltre alla visita specialistica, avessero bisogno anche di fare analisi o esami, potranno farle sempre alla Lami gratuitamente e il costo sarà poi coperto dalla Diocesi di Perugia-Città della Pieve. I pazienti accedono all’Ambulatorio su segnalazione dei medici di base e di Caritas, per fare in modo che riceva le prestazioni solo chi ne ha effettivamente bisogno.

Cercasi volontari

“Ora con la campagna ‘Ho bisogno di te’ rivolta a medici specialisti, stiamo cercando di sensibilizzare i colleghi per trovare più volontari disposti a offrire un’ora del proprio tempo libero e della propria professionalità da dedicare a quest’ambulatorio”. “Più volontari abbiamo - aggiunge Dottorini - e più il servizio diventa leggero per tutti, con turni e ricambi”. Per candidarsi basta mandare una mail ad amciperugia@gmail.com fornendo i propri dati.

Valentina Russo

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ambulatorio

È attivo già da qualche tempo, ma sarà presentato ufficialmente ed entrerà a pieno regime martedì 11 febbraio, giorno in cui la Chiesa celebra la festa liturgica della Beata Vergine di Lourdes e la Giornata mondiale del malato. Si tratta dell’ “Ambulatorio della solidarietà” con sede presso la casa di cura “Clinica Lami” di Perugia, per pazienti indigenti, coloro che non hanno la possibilità economica di pagarsi una visita specialistica o degli accertamenti clinici e per tale motivo non si curano o spesso fanno richiesta alla Caritas.

Il progetto è infatti promosso da Caritas diocesana, dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute e dalla sezione perugina dell’Associazione medici cattolici italiana (Amci) in collaborazione con la clinica Lami.

Le cure non sono offerte dallo Stato?

Come mai c’è bisogno di un ambulatorio come questo dal momento che in Italia il Servizio sanitario nazionale è improntato proprio sul garantire assistenza a tutti i cittadini? Lo abbiamo chiesto al presidente di Amci Perugia Marco Dottorini. “I costi per la salute variano in base al reddito. 

Nella nostra regione siamo divisi in fasce di reddito e la fascia “R1” comprende le persone che hanno un reddito da 0 a 36.000 euro lordi annui. Coloro che si avvicinano più a zero che a 36.000 non possono permettersi di pagare esami o visite mediche specialistiche” spiega Dottorini.

Esami, analisi e visite specialistiche richiedono infatti sempre un costo per la prestazione. “Quello che chiamiamo ‘ticket’ - specifica Dottorini - è la maggiorazione sul costo di base della prestazione che varia a seconda della fascia di reddito. Ma ciò non toglie che ci sia comunque un costo di base invariabile che molti non possono permettersi”.

Quante sono le persone che non possono pagarsi le cure

In tutta l’Umbria, spiegano i promotori dell’Ambulatorio della solidarietà, le persone con un reddito talmente basso da non potersi permettere le cure sono circa 200.000, 70.000 solo nel perugino. “Le segnalazioni di questo problema ci sono arrivate sia dalla Caritas che dai medici di base, i quali prescrivono esami o visite che alcuni pazienti poi non fanno proprio perchè non possono pagare” ha aggiunto Dottorini.

Come funziona l'ambulatorio

L’Ambulatorio è aperto nei locali messi a disposizione dalla clinica Lami, ogni sabato. Qualora le persone accolte, oltre alla visita specialistica, avessero bisogno anche di fare analisi o esami, potranno farle sempre alla Lami gratuitamente e il costo sarà poi coperto dalla Diocesi di Perugia-Città della Pieve. I pazienti accedono all’Ambulatorio su segnalazione dei medici di base e di Caritas, per fare in modo che riceva le prestazioni solo chi ne ha effettivamente bisogno.

Cercasi volontari

“Ora con la campagna ‘Ho bisogno di te’ rivolta a medici specialisti, stiamo cercando di sensibilizzare i colleghi per trovare più volontari disposti a offrire un’ora del proprio tempo libero e della propria professionalità da dedicare a quest’ambulatorio”. “Più volontari abbiamo - aggiunge Dottorini - e più il servizio diventa leggero per tutti, con turni e ricambi”. Per candidarsi basta mandare una mail ad amciperugia@gmail.com fornendo i propri dati.

Valentina Russo

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Torna la Lotteria del Chianelli, i proventi finanzieranno una borsa di studio sui tumori pediatrici https://www.lavoce.it/lotteria-chianelli-tumori-pediatrici/ Thu, 24 Oct 2019 12:53:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55566 chianelli

Domenica 27 ottobre alle 16.30 torna la tradizionale Lotteria della solidarietà del Comitato per la Vita “Daniele Chianelli”. I proventi, come ogni anno saranno devoluti al finanziamento di un progetto di ricerca sui tumori pediatrici. Oltre all’estrazione della lotteria, l’appuntamento è anche un’occasione per festeggiare il Compleanno del Comitato per la Vita “Daniele Chianelli” fondato il 26 ottobre 1990 a pochi mesi dalla scomparsa di Daniele, da Franco e Luciana Chianelli e da un gruppo di genitori che insieme a loro aveva condiviso il dramma della malattia dei propri figli. Non mancheranno musica e divertimento per grandi e piccini con il musicoterapeuta Lorenzo Capolsini ed un gruppo di ex pazienti e gli amici Vip Clown di Perugia. Per rallegrare i bambini ci sarà il mago Kenzo con giochi di prestigio e di magia. Sette i premi da estrarre: una Lancia Ypsilon; una cociera Msc nel Mediterraneo per due persone; un buono Viaggio da 700 euro; un televisore Sharp 40”; uno smartphone Honor Wiev10 Lite; una bicicletta Mtb da uomo ed una bicicletta Mtb da donna.]]>
chianelli

Domenica 27 ottobre alle 16.30 torna la tradizionale Lotteria della solidarietà del Comitato per la Vita “Daniele Chianelli”. I proventi, come ogni anno saranno devoluti al finanziamento di un progetto di ricerca sui tumori pediatrici. Oltre all’estrazione della lotteria, l’appuntamento è anche un’occasione per festeggiare il Compleanno del Comitato per la Vita “Daniele Chianelli” fondato il 26 ottobre 1990 a pochi mesi dalla scomparsa di Daniele, da Franco e Luciana Chianelli e da un gruppo di genitori che insieme a loro aveva condiviso il dramma della malattia dei propri figli. Non mancheranno musica e divertimento per grandi e piccini con il musicoterapeuta Lorenzo Capolsini ed un gruppo di ex pazienti e gli amici Vip Clown di Perugia. Per rallegrare i bambini ci sarà il mago Kenzo con giochi di prestigio e di magia. Sette i premi da estrarre: una Lancia Ypsilon; una cociera Msc nel Mediterraneo per due persone; un buono Viaggio da 700 euro; un televisore Sharp 40”; uno smartphone Honor Wiev10 Lite; una bicicletta Mtb da uomo ed una bicicletta Mtb da donna.]]>