PRIMO PIANO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/primo-piano/ Settimanale di informazione regionale Wed, 21 Aug 2024 15:53:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg PRIMO PIANO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/primo-piano/ 32 32 Card. Bassetti, auguri al Papa per una pronta guarigione https://www.lavoce.it/card-bassetti-auguri-papa-pronta-guarigione/ Sun, 27 Feb 2022 10:25:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65219

Il Papa “non è qui con noi per un forte dolore al ginocchio che Lo costringe a ridurre al minimo le sue attività”: “lo ricordiamo con affetto e gli assicuriamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno”. Lo ha detto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nel suo intervento a conclusione dell’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, svoltosi in questi giorni a Firenze due anni dopo l’analogo incontro promosso dalla Cei a Bari. Bassetti ha citato il “messaggio di pace” di Papa Francesco: “Ogni guerra lascia il nostro mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. “Grazie, Beatissimo Padre, le auguriamo una pronta guarigione”, le parole del presidente della Cei, che ha espresso la sua “sincera e commossa gratitudine per l’impegno profuso e la passione autentica” con cui il sindaco di Firenze, Dario Nardella, “si è speso per la riuscita di questa iniziativa”. “Sento la responsabilità di aver coinvolto e condiviso questo progetto con il pastore della Chiesa di Firenze, il caro cardinale Giuseppe Betori, che ci ha accolti con calore e premura”, l’omaggio del cardinale: “Tuttavia, sento ancora più responsabilità, perché il Santo Padre mi ha affidato il compito di concludere quest’assemblea congiunta”. M. N.
]]>

Il Papa “non è qui con noi per un forte dolore al ginocchio che Lo costringe a ridurre al minimo le sue attività”: “lo ricordiamo con affetto e gli assicuriamo la nostra vicinanza e il nostro sostegno”. Lo ha detto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nel suo intervento a conclusione dell’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, svoltosi in questi giorni a Firenze due anni dopo l’analogo incontro promosso dalla Cei a Bari. Bassetti ha citato il “messaggio di pace” di Papa Francesco: “Ogni guerra lascia il nostro mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. “Grazie, Beatissimo Padre, le auguriamo una pronta guarigione”, le parole del presidente della Cei, che ha espresso la sua “sincera e commossa gratitudine per l’impegno profuso e la passione autentica” con cui il sindaco di Firenze, Dario Nardella, “si è speso per la riuscita di questa iniziativa”. “Sento la responsabilità di aver coinvolto e condiviso questo progetto con il pastore della Chiesa di Firenze, il caro cardinale Giuseppe Betori, che ci ha accolti con calore e premura”, l’omaggio del cardinale: “Tuttavia, sento ancora più responsabilità, perché il Santo Padre mi ha affidato il compito di concludere quest’assemblea congiunta”. M. N.
]]>
Ripartono i Gr.Est per circa 3mila ragazzi. Bassetti ai giovani: “Cristo ha bisogno di voi” https://www.lavoce.it/ripartono-i-gr-est-per-circa-3mila-ragazzi-bassetti-ai-giovani-cristo-ha-bisogno-di-voi/ Wed, 02 Jun 2021 15:28:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60910

PERUGIA - "Cari giovani alzatevi e testimoniate e abbiate sogni grandi nella vostra vita per non giocare mai al ribasso, avendo gli stessi desideri del Signore Gesù. Coltivate sogni di pace, di giustizia, di solidarietà, di bontà, come dice papa Francesco, e custodite sogni per la salvaguardia del creato". Con queste parole il cardinale Gualtiero Bassetti ha affidato, nella serata del primo giugno, presso gli "Oratori Riuniti Anspi Giampiero Morettini" di San Martino in Campo, il mandato ai giovani animatori per il servizio che li attende nelle attività dei "Gr.Est", i "Gruppi Estivi", nelle circa 30 realtà oratoriali dell'archidiocesi di Perugia-Città della Pieve.

800 animatori, 3mila ragazzi, tutto in sicurezza

Realtà che vedranno impegnati 800 tra animatori, educatori e operatori per far trascorrere in serenità le vacanze estive a 3.000 ragazzi, nel rispetto delle norme sanitarie. Si tratta, come ha evidenziato anche il cardinale Bassetti, di un impegno e di un servizio degli oratori offerto a tante famiglie dove possano trovare un ambiente che accoglie, sostiene e accompagna. Il cardinale Bassetti, rivolgendosi ancora agli animatori dei "Gr.Est." (presenti in numero limitato e in rappresentanza di tutti gli oratori coinvolti nel rispetto delle disposizioni anti-Covid), ha detto: "Alzatevi giovani, Cristo ha bisogno di voi, il mondo ha bisogno di giovani generosi e critici. Diventate voi la coscienza del mondo, non criticando tanto per criticare, ma essendo una coscienza critica secondo il Vangelo. Vivete la vostra vita con gioia e passione, perché la vita è bella".

Sogni giganti

Collegandosi al tema dei "Gr.Est. 2021" - "Sogni giganti" -, ispirato al romanzo di Roald Dahl Il Grande Gigante Gentile, il presule ha posto l'accento sul fatto che "mancano oggi sognatori veri", sottolineando - riferisce l'archidiocesi - che "noi non abbiamo bisogno di gente distratta ma di persone che facciano sogni belli che precedono l'aurora. Ciascuno di voi ragazzi è una Parola del Vocabolario di Dio ed è una Parola irripetibile: quella parola la può portare a compimento solo ciascuno di noi, non facendo scintille ma essendo fuoco. Non dobbiamo attirare l'attenzione degli altri facendo scintille ma siamo chiamati a essere Luce, che risplende per indicare Gesù. Cari giovani la Chiesa guarda al futuro e fa affidamento su di voi e sulla riserva di grande speranza che ciascuno di voi incarna. Cari giovani non vendete la vostra libertà ma offritela a Cristo, in una vita splendida, perché sulle orme dei vostri passi possano sempre crescere fiori. Coraggio ragazzi, alzatevi e testimoniate".

Verso la Gmg 2023

l tema dell'alzarsi e del testimoniare ciò che i giovani vedono, trattato dal cardinale Bassetti, è uno dei temi scelti da papa Francesco per il percorso triennale di preparazione delle Giornate Mondiali della Gioventù (Gmg), che culminerà nella celebrazione internazionale dell'evento, in programma a Lisbona per il 2023 ed è anche il titolo della Veglia con l'adorazione eucaristica, che ha caratterizzato l'incontro di San Martino in Campo; Veglia organizzata dagli animatori di tutti gli oratori coordinati da don Daniele Malatacca, dalla segreteria regionale e zonale Anspi, dalla Pastorale diocesana giovanile e dal Coordinamento Oratori Perugini, trasmessa in diretta streaming sui canali social de La Voce e di Umbria Radio InBlu.]]>

PERUGIA - "Cari giovani alzatevi e testimoniate e abbiate sogni grandi nella vostra vita per non giocare mai al ribasso, avendo gli stessi desideri del Signore Gesù. Coltivate sogni di pace, di giustizia, di solidarietà, di bontà, come dice papa Francesco, e custodite sogni per la salvaguardia del creato". Con queste parole il cardinale Gualtiero Bassetti ha affidato, nella serata del primo giugno, presso gli "Oratori Riuniti Anspi Giampiero Morettini" di San Martino in Campo, il mandato ai giovani animatori per il servizio che li attende nelle attività dei "Gr.Est", i "Gruppi Estivi", nelle circa 30 realtà oratoriali dell'archidiocesi di Perugia-Città della Pieve.

800 animatori, 3mila ragazzi, tutto in sicurezza

Realtà che vedranno impegnati 800 tra animatori, educatori e operatori per far trascorrere in serenità le vacanze estive a 3.000 ragazzi, nel rispetto delle norme sanitarie. Si tratta, come ha evidenziato anche il cardinale Bassetti, di un impegno e di un servizio degli oratori offerto a tante famiglie dove possano trovare un ambiente che accoglie, sostiene e accompagna. Il cardinale Bassetti, rivolgendosi ancora agli animatori dei "Gr.Est." (presenti in numero limitato e in rappresentanza di tutti gli oratori coinvolti nel rispetto delle disposizioni anti-Covid), ha detto: "Alzatevi giovani, Cristo ha bisogno di voi, il mondo ha bisogno di giovani generosi e critici. Diventate voi la coscienza del mondo, non criticando tanto per criticare, ma essendo una coscienza critica secondo il Vangelo. Vivete la vostra vita con gioia e passione, perché la vita è bella".

Sogni giganti

Collegandosi al tema dei "Gr.Est. 2021" - "Sogni giganti" -, ispirato al romanzo di Roald Dahl Il Grande Gigante Gentile, il presule ha posto l'accento sul fatto che "mancano oggi sognatori veri", sottolineando - riferisce l'archidiocesi - che "noi non abbiamo bisogno di gente distratta ma di persone che facciano sogni belli che precedono l'aurora. Ciascuno di voi ragazzi è una Parola del Vocabolario di Dio ed è una Parola irripetibile: quella parola la può portare a compimento solo ciascuno di noi, non facendo scintille ma essendo fuoco. Non dobbiamo attirare l'attenzione degli altri facendo scintille ma siamo chiamati a essere Luce, che risplende per indicare Gesù. Cari giovani la Chiesa guarda al futuro e fa affidamento su di voi e sulla riserva di grande speranza che ciascuno di voi incarna. Cari giovani non vendete la vostra libertà ma offritela a Cristo, in una vita splendida, perché sulle orme dei vostri passi possano sempre crescere fiori. Coraggio ragazzi, alzatevi e testimoniate".

Verso la Gmg 2023

l tema dell'alzarsi e del testimoniare ciò che i giovani vedono, trattato dal cardinale Bassetti, è uno dei temi scelti da papa Francesco per il percorso triennale di preparazione delle Giornate Mondiali della Gioventù (Gmg), che culminerà nella celebrazione internazionale dell'evento, in programma a Lisbona per il 2023 ed è anche il titolo della Veglia con l'adorazione eucaristica, che ha caratterizzato l'incontro di San Martino in Campo; Veglia organizzata dagli animatori di tutti gli oratori coordinati da don Daniele Malatacca, dalla segreteria regionale e zonale Anspi, dalla Pastorale diocesana giovanile e dal Coordinamento Oratori Perugini, trasmessa in diretta streaming sui canali social de La Voce e di Umbria Radio InBlu.]]>
Chiese umbre: massima attenzione agli oratori e alla commemorazione dei defunti https://www.lavoce.it/chiese-umbre-su-oratori-e-defunti/ Sat, 24 Oct 2020 15:59:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58030

Le attività pastorali delle diocesi e delle parrocchie umbre continuano, ma con una crescente attenzione all’evoluzione del contagio da coronavirus e quindi nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste dalle disposizioni governative e amministrative locali. Per ora, dunque, le attività educative e formative, come la catechesi, e la celebrazione delle messe continuano senza variazioni, secondo quanto previsto dal Dpcm del 18 ottobre scorso e dall’ordinanza della presidente della Giunta regionale di ieri, riguardante le misure aggiuntive per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica. 

Stop agli oratori fino al 14 novembre

In una nota di oggi, destinata ai delegati di pastorale giovanile delle diocesi dell’Umbria e al coordinamento degli oratori, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra, mons. Renato Boccardo, invita a sospendere tutte le attività oratoriali di carattere sociale e ludico-aggregativo all’aperto o al chiuso in tutte le parrocchie della regione, fino al 14 novembre prossimo. Una misura che è stata indicata per questioni di opportunità e prudenza. Per il resto, citando Dpcm e ordinanza regionale, mons. Boccardo ricorda che «l'accesso ai luoghi di culto e lo svolgimento delle funzioni religiose è consentito nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'articolo 1 comma 6 lettere o) e p) del Dpcm 13 ottobre 2020», dove si legge tra l’altro che «l'accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».  Nella comunicazione inviata agli oratori, il presidente dei Vescovi umbri sottolinea come “durante la forzata interruzione delle attività non si interromperanno il pensiero e la preghiera per i bambini, i giovani e le famiglie che vivono i nostri oratori”.

A Terni si fermano anche gruppi e movimenti

Sulla stessa linea, in giornata, è arrivato anche un comunicato della diocesi di Terni-Narni-Amelia. Il vescovo Giuseppe Piemontese ritiene opportuno e prudente sospendere, fino al 14 novembre 2020, tutte quelle attività che prevedono riunioni affollate in presenza, al chiuso e all’aperto, in tutte le parrocchie della diocesi. Nel dettaglio, il riferimento va alle attività oratoriali di carattere sociale, ludico, sportivo e aggregativo e agli incontri o le riunioni di gruppi, movimenti e associazioni. A Terni viene anche sospesa la Scuola diocesana di formazione teologico-pastorale ed è rinviata a data da destinarsi la lectio magistralis di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, già in programma il 26 ottobre. “Esprimiamo la fiducia - commenta mons. Piemontese - che queste disposizioni, se correttamente seguite, possano contribuire a ridurre la diffusione della pandemia”.

Visita ai cimiteri e commemorazioni dei defunti

Il vescovo Piemontese dispone anche lo stop alle celebrazioni delle sante messe ai cimiteri di tutti i luoghi della diocesi in occasione della commemorazione dei defunti, per evitare gli assembramenti che si creerebbero. Il primo e 2 novembre, i sacerdoti dopo le messe celebrate nelle rispettive chiese parrocchiali, potranno recarsi da soli al cimitero a benedire le tombe. Le celebrazioni in chiesa delle messe, dei sacramenti e delle altre funzioni religiose, nei giorni feriali e festivi - fa sapere la diocesi ternana -, continueranno nel rispetto del distanziamento e delle indicazioni dei protocolli di contrasto alla pandemia Covid19. Allo stesso modo, continuano le attività del catechismo dei ragazzi, sempre nel rispetto delle disposizioni anti contagio. Quanto alla visita ai cimiteri e alle celebrazioni in memoria dei defunti, nei giorni scorsi gli stessi provvedimenti erano stati già presi da alcune delle otto diocesi umbre, a cominciare da Gubbio, Spoleto-Norcia e Città di Castello]]>

Le attività pastorali delle diocesi e delle parrocchie umbre continuano, ma con una crescente attenzione all’evoluzione del contagio da coronavirus e quindi nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste dalle disposizioni governative e amministrative locali. Per ora, dunque, le attività educative e formative, come la catechesi, e la celebrazione delle messe continuano senza variazioni, secondo quanto previsto dal Dpcm del 18 ottobre scorso e dall’ordinanza della presidente della Giunta regionale di ieri, riguardante le misure aggiuntive per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica. 

Stop agli oratori fino al 14 novembre

In una nota di oggi, destinata ai delegati di pastorale giovanile delle diocesi dell’Umbria e al coordinamento degli oratori, l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra, mons. Renato Boccardo, invita a sospendere tutte le attività oratoriali di carattere sociale e ludico-aggregativo all’aperto o al chiuso in tutte le parrocchie della regione, fino al 14 novembre prossimo. Una misura che è stata indicata per questioni di opportunità e prudenza. Per il resto, citando Dpcm e ordinanza regionale, mons. Boccardo ricorda che «l'accesso ai luoghi di culto e lo svolgimento delle funzioni religiose è consentito nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'articolo 1 comma 6 lettere o) e p) del Dpcm 13 ottobre 2020», dove si legge tra l’altro che «l'accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».  Nella comunicazione inviata agli oratori, il presidente dei Vescovi umbri sottolinea come “durante la forzata interruzione delle attività non si interromperanno il pensiero e la preghiera per i bambini, i giovani e le famiglie che vivono i nostri oratori”.

A Terni si fermano anche gruppi e movimenti

Sulla stessa linea, in giornata, è arrivato anche un comunicato della diocesi di Terni-Narni-Amelia. Il vescovo Giuseppe Piemontese ritiene opportuno e prudente sospendere, fino al 14 novembre 2020, tutte quelle attività che prevedono riunioni affollate in presenza, al chiuso e all’aperto, in tutte le parrocchie della diocesi. Nel dettaglio, il riferimento va alle attività oratoriali di carattere sociale, ludico, sportivo e aggregativo e agli incontri o le riunioni di gruppi, movimenti e associazioni. A Terni viene anche sospesa la Scuola diocesana di formazione teologico-pastorale ed è rinviata a data da destinarsi la lectio magistralis di Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, già in programma il 26 ottobre. “Esprimiamo la fiducia - commenta mons. Piemontese - che queste disposizioni, se correttamente seguite, possano contribuire a ridurre la diffusione della pandemia”.

Visita ai cimiteri e commemorazioni dei defunti

Il vescovo Piemontese dispone anche lo stop alle celebrazioni delle sante messe ai cimiteri di tutti i luoghi della diocesi in occasione della commemorazione dei defunti, per evitare gli assembramenti che si creerebbero. Il primo e 2 novembre, i sacerdoti dopo le messe celebrate nelle rispettive chiese parrocchiali, potranno recarsi da soli al cimitero a benedire le tombe. Le celebrazioni in chiesa delle messe, dei sacramenti e delle altre funzioni religiose, nei giorni feriali e festivi - fa sapere la diocesi ternana -, continueranno nel rispetto del distanziamento e delle indicazioni dei protocolli di contrasto alla pandemia Covid19. Allo stesso modo, continuano le attività del catechismo dei ragazzi, sempre nel rispetto delle disposizioni anti contagio. Quanto alla visita ai cimiteri e alle celebrazioni in memoria dei defunti, nei giorni scorsi gli stessi provvedimenti erano stati già presi da alcune delle otto diocesi umbre, a cominciare da Gubbio, Spoleto-Norcia e Città di Castello]]>
Papa Bergoglio torna ad Assisi alla vigilia della festa di San Francesco https://www.lavoce.it/papa-francesco-ad-assisi-il-prossimo-3-ottobre/ https://www.lavoce.it/papa-francesco-ad-assisi-il-prossimo-3-ottobre/#comments Sat, 05 Sep 2020 09:07:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57650

ASSISI - La notizia è stata confermata dalla diocesi di Assisi-Nocera-Gualdo: Papa Francesco tornerà a far visita (in forma privata) alla tomba di san Francesco il prossimo 3 ottobre, alla vigilia della festa del Santo patrono d’Italia. Bergoglio celebrerà la Santa Messa presso la tomba, e al termine firmerà l'enciclica "Fratelli tutti". È la sesta volta che Bergoglio sceglie l'Umbria, in attesa di tornarci per Economy of Francesco, evento prima virtuale (dal 19 al 21 novembre) e poi in presenza nel prossimo autunno. Tra l'altro, il Santo Padre avrebbe deciso di annullare tutti i viaggi e le visite ufficiali al 2022, in attesa di un vaccino contro il Coronavirus. Il messaggio del vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino Ancora una volta, pur in forma strettamente privata, papa Francesco sarà ad Assisi alla tomba di san Francesco il 3 ottobre alle ore 15, per dare un messaggio al mondo che trova nel Santo di Assisi ispirazione e conforto. È il messaggio della fraternità. Convertendosi pienamente a Cristo, Francesco scoprì il Padre del cielo. Le sue parole, all’atto della spogliazione, furono: “Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”. L’unico Padre del cielo è fonte dell’unica fraternità tra tutti gli esseri umani, anzi, nella spiritualità del Santo, della “fraternità cosmica” che unisce, in qualche modo, tutte le creature: frate sole, sora luna, sora acqua, sora nostra Madre Terra. Mentre il mondo soffre una pandemia che mette tanti popoli in difficoltà, e ci fa sentire fratelli nel dolore, non possiamo non sentire il bisogno di diventare soprattutto fratelli nell’amore. Non ci salveremo se non insieme. A nome di tutta questa Chiesa, che al Poverello diede i natali di luce e di fede, e lo vide contrassegnare di sé tutti gli angoli di questa Città benedetta, ringrazio papa Francesco per questo gesto che ci riempie di commozione e di gratitudine. Celebrerà alla tomba del Santo in forma riservata, negli stessi giorni in cui ad Assisi si fa festa, come sempre, per la solennità del Santo, iniziando con i vespri a Santa Maria degli Angeli, accogliendo autorità e fedeli della regione Marche, per l’omaggio a Francesco Patrono d’Italia. Anche questo gesto di papa Francesco ci dà nuovo coraggio e forza per “ripartire” nel nome della fraternità che tutti ci unisce. Grazie, papa Francesco! https://www.youtube.com/watch?v=a12-3dgk93U Il commento del sindaco di Assisi, Stefania Proietti “Il più bel dono che Papa Francesco potesse fare ad Assisi in questo momento particolarissimo della storia”. Così il sindaco Stefania Proietti sull’annuncio della visita, in forma privata, del Pontefice alla città il prossimo 3 ottobre. “Accogliamo questo annuncio straordinario con commozione e gioia immensa, ancor più perché Papa Francesco ha scelto la data del Transito del Santo Patrono d'Italia per donare al mondo un nuovo cardine del suo magistero, la sua terza enciclica che si chiamerà Fratelli tutti. Qui nella città diventata grazie a san Francesco simbolo e messaggio di dialogo, di rispetto, di pace, Papa Francesco rilancerà un valore centrale del suo magistero. I fratelli  invisibili che scappano da fame guerra e morte, Shimon Peres e Abu Mazen che si stringono la mano come esempio della fraternità che costruisce la pace, la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla “fratellanza umana” che “nasce dalla fede in Dio che è Padre di tutti e Padre della pace”. Nel ricordarci incessantemente che siamo una unica famiglia umana, Papa Francesco con questa sua visita ci da’ speranza di rinascita anche come Città: la pandemia ci mette alla prova ogni giorno ma ora abbiamo ancor più chiaro l’obiettivo. Conformarci al messaggio che san Francesco e Papa Francesco hanno lanciato da qui, da Assisi, per cambiare il mondo”. "E' con grande gioia e nella preghiera che accogliamo e attendiamo la visita privata di papa Francesco. Una tappa che evidenzierà l'importanza e la necessità della fraternità", ha dichiarato il Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti.]]>

ASSISI - La notizia è stata confermata dalla diocesi di Assisi-Nocera-Gualdo: Papa Francesco tornerà a far visita (in forma privata) alla tomba di san Francesco il prossimo 3 ottobre, alla vigilia della festa del Santo patrono d’Italia. Bergoglio celebrerà la Santa Messa presso la tomba, e al termine firmerà l'enciclica "Fratelli tutti". È la sesta volta che Bergoglio sceglie l'Umbria, in attesa di tornarci per Economy of Francesco, evento prima virtuale (dal 19 al 21 novembre) e poi in presenza nel prossimo autunno. Tra l'altro, il Santo Padre avrebbe deciso di annullare tutti i viaggi e le visite ufficiali al 2022, in attesa di un vaccino contro il Coronavirus. Il messaggio del vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino Ancora una volta, pur in forma strettamente privata, papa Francesco sarà ad Assisi alla tomba di san Francesco il 3 ottobre alle ore 15, per dare un messaggio al mondo che trova nel Santo di Assisi ispirazione e conforto. È il messaggio della fraternità. Convertendosi pienamente a Cristo, Francesco scoprì il Padre del cielo. Le sue parole, all’atto della spogliazione, furono: “Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”. L’unico Padre del cielo è fonte dell’unica fraternità tra tutti gli esseri umani, anzi, nella spiritualità del Santo, della “fraternità cosmica” che unisce, in qualche modo, tutte le creature: frate sole, sora luna, sora acqua, sora nostra Madre Terra. Mentre il mondo soffre una pandemia che mette tanti popoli in difficoltà, e ci fa sentire fratelli nel dolore, non possiamo non sentire il bisogno di diventare soprattutto fratelli nell’amore. Non ci salveremo se non insieme. A nome di tutta questa Chiesa, che al Poverello diede i natali di luce e di fede, e lo vide contrassegnare di sé tutti gli angoli di questa Città benedetta, ringrazio papa Francesco per questo gesto che ci riempie di commozione e di gratitudine. Celebrerà alla tomba del Santo in forma riservata, negli stessi giorni in cui ad Assisi si fa festa, come sempre, per la solennità del Santo, iniziando con i vespri a Santa Maria degli Angeli, accogliendo autorità e fedeli della regione Marche, per l’omaggio a Francesco Patrono d’Italia. Anche questo gesto di papa Francesco ci dà nuovo coraggio e forza per “ripartire” nel nome della fraternità che tutti ci unisce. Grazie, papa Francesco! https://www.youtube.com/watch?v=a12-3dgk93U Il commento del sindaco di Assisi, Stefania Proietti “Il più bel dono che Papa Francesco potesse fare ad Assisi in questo momento particolarissimo della storia”. Così il sindaco Stefania Proietti sull’annuncio della visita, in forma privata, del Pontefice alla città il prossimo 3 ottobre. “Accogliamo questo annuncio straordinario con commozione e gioia immensa, ancor più perché Papa Francesco ha scelto la data del Transito del Santo Patrono d'Italia per donare al mondo un nuovo cardine del suo magistero, la sua terza enciclica che si chiamerà Fratelli tutti. Qui nella città diventata grazie a san Francesco simbolo e messaggio di dialogo, di rispetto, di pace, Papa Francesco rilancerà un valore centrale del suo magistero. I fratelli  invisibili che scappano da fame guerra e morte, Shimon Peres e Abu Mazen che si stringono la mano come esempio della fraternità che costruisce la pace, la Dichiarazione di Abu Dhabi sulla “fratellanza umana” che “nasce dalla fede in Dio che è Padre di tutti e Padre della pace”. Nel ricordarci incessantemente che siamo una unica famiglia umana, Papa Francesco con questa sua visita ci da’ speranza di rinascita anche come Città: la pandemia ci mette alla prova ogni giorno ma ora abbiamo ancor più chiaro l’obiettivo. Conformarci al messaggio che san Francesco e Papa Francesco hanno lanciato da qui, da Assisi, per cambiare il mondo”. "E' con grande gioia e nella preghiera che accogliamo e attendiamo la visita privata di papa Francesco. Una tappa che evidenzierà l'importanza e la necessità della fraternità", ha dichiarato il Custode del Sacro Convento di Assisi, padre Mauro Gambetti.]]>
https://www.lavoce.it/papa-francesco-ad-assisi-il-prossimo-3-ottobre/feed/ 1
Oggi l’ingresso di monsignor Sigismondi a Todi. La celebrazione in diretta su Umbria Radio e via social https://www.lavoce.it/oggi-lingresso-di-monsignor-sigismondi-a-todi-la-celebrazione-in-diretta-su-umbria-radio-e-via-social/ Sun, 05 Jul 2020 11:07:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57357

TODI - Domenica 5 luglio, alle ore 18, il nuovo Vescovo di Orvieto-Todi, Gualtiero Sigismondi, farà il suo ingresso nella Basilica Concattedrale di Todi. La celebrazione eucaristica, che coinciderà con festa della Madonna del Campione, a cui la città è molto devota, sarà officiata dal sagrato della Cattedrale, con gli astanti disposti sulla Piazza del Popolo in oltre 600 posti numerati. A causa delle rigidissime prescrizioni per il contenimento del Coronavirus, la cerimonia sarà sottoposta a stringenti controlli per l’igiene e il distanziamento. Tutta l’area della Piazza sarà chiusa con ingressi riservati alle autorità e ai fedeli che si sono accreditati attraverso le parrocchie. La celebrazione solenne sarà trasmessa in diretta in Fm sulle frequenze di Umbria Radio e sui canali social di Umbria Radio e La Voce. https://www.youtube.com/watch?v=7VQC6_S-iqw&feature=youtu.be    ]]>

TODI - Domenica 5 luglio, alle ore 18, il nuovo Vescovo di Orvieto-Todi, Gualtiero Sigismondi, farà il suo ingresso nella Basilica Concattedrale di Todi. La celebrazione eucaristica, che coinciderà con festa della Madonna del Campione, a cui la città è molto devota, sarà officiata dal sagrato della Cattedrale, con gli astanti disposti sulla Piazza del Popolo in oltre 600 posti numerati. A causa delle rigidissime prescrizioni per il contenimento del Coronavirus, la cerimonia sarà sottoposta a stringenti controlli per l’igiene e il distanziamento. Tutta l’area della Piazza sarà chiusa con ingressi riservati alle autorità e ai fedeli che si sono accreditati attraverso le parrocchie. La celebrazione solenne sarà trasmessa in diretta in Fm sulle frequenze di Umbria Radio e sui canali social di Umbria Radio e La Voce. https://www.youtube.com/watch?v=7VQC6_S-iqw&feature=youtu.be    ]]>
Io sono italiano. Riflessioni sullo ius soli https://www.lavoce.it/italiano-riflessioni-sullo-ius-soli/ Fri, 24 Nov 2017 17:00:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50669

Sono circa un milione in Italia i bambini nati sul territorio italiano da genitori stranieri. Frequentano le scuole italiane, le associazioni territoriali, fanno sport insieme ai loro coetanei eppure non sono giuridicamente al pari dei loro compagni. Non sono infatti cittadini italiani in quanto, ad oggi, l’acquisto della cittadinanza nel nostro paese è ancora regolato dalla legge 91 del 1992 che si basa sostanzialmente sullo ius sanguinis, ovvero l’acquisizione tramite genitori italiani (vedi scheda a lato). La nuova legge sullo ius soli che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana anche ai nati in Italia da genitori stranieri in possesso però di svariati altri requisiti, si trova al momento bloccata in Senato, dopo esser stata approvata alla Camera nell’ottobre 2015. Sulla nuova legge e sul tema dello ius soli è stato organizzato l’incontro “Io sono italiano. Riflessioni intorno allo ius soli” tenutosi il 20 novembre alla sala Brugnoli di palazzo Cesaroni e promosso dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Umbria Maria Pia Serlupini. Quali sono le obiezioni più frequenti che vengono fatte alla legge sullo ius soli ? Ha risposto in merito la presidente del Consiglio della Regione Umbria Donatella Porzi: “Sono obiezioni ma più che altro paure. Si teme che la nuova legge faccia aumentare l’immigrazione, che conceda la cittadinanza automatica a chiunque venga a partorire in Italia, che l’integrazione non sia possibile e, ancora, che possa avere ripercussioni negative all’interno delle famiglie straniere in cui i figli siano cittadini italiani e i genitori no”. Si parla di ius soli nella nuova legge, ma, come spiegato da Maria Chiara Locchi, ricercatrice in Diritto pubblico comparato all’università di Perugia, “non sarebbe ius soli in forma pura. In Europa tutti i paesi prevedono una forma temperata di ius soli in cui, oltre al requisito della nascita su suolo, i genitori stranieri devono averne molti altri e l’acquisto della cittadinanza perciò non è così automatico”. “Dopo la legge di stabilità, faremo di tutto perchè venga approvata la nuova legge sulla cittadinanza” ha detto l’on. Walter Verini, della commissione Giustizia della Camera dei deputati. La nuova legge è infatti molto attesa, non solo dai diretti interessati: “La scuola vive tutti i giorni una contraddizione che lo ius soli potrebbe risolvere: forma tutti i ragazzi per essere dei cittadini, ma poi non tutti lo sono davvero” ha affermato Renzo Zuccherini del Movimento cooperazione educativa. Qual è invece la posizione della Chiesa in merito? Ha risposto il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti: “Per la Chiesa le migrazioni non sono un pericolo, ma un’occasione in più di accoglienza. La centralità della persona è al di sopra di tutto il resto”. Leggi le testimonianze di chi vorrebbe ottenere la cittadinanza italiana e come acquisirla ora e con la nuova legge sull' edizione digitale de La Voce.  ]]>

Sono circa un milione in Italia i bambini nati sul territorio italiano da genitori stranieri. Frequentano le scuole italiane, le associazioni territoriali, fanno sport insieme ai loro coetanei eppure non sono giuridicamente al pari dei loro compagni. Non sono infatti cittadini italiani in quanto, ad oggi, l’acquisto della cittadinanza nel nostro paese è ancora regolato dalla legge 91 del 1992 che si basa sostanzialmente sullo ius sanguinis, ovvero l’acquisizione tramite genitori italiani (vedi scheda a lato). La nuova legge sullo ius soli che permetterebbe di ottenere la cittadinanza italiana anche ai nati in Italia da genitori stranieri in possesso però di svariati altri requisiti, si trova al momento bloccata in Senato, dopo esser stata approvata alla Camera nell’ottobre 2015. Sulla nuova legge e sul tema dello ius soli è stato organizzato l’incontro “Io sono italiano. Riflessioni intorno allo ius soli” tenutosi il 20 novembre alla sala Brugnoli di palazzo Cesaroni e promosso dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della Regione Umbria Maria Pia Serlupini. Quali sono le obiezioni più frequenti che vengono fatte alla legge sullo ius soli ? Ha risposto in merito la presidente del Consiglio della Regione Umbria Donatella Porzi: “Sono obiezioni ma più che altro paure. Si teme che la nuova legge faccia aumentare l’immigrazione, che conceda la cittadinanza automatica a chiunque venga a partorire in Italia, che l’integrazione non sia possibile e, ancora, che possa avere ripercussioni negative all’interno delle famiglie straniere in cui i figli siano cittadini italiani e i genitori no”. Si parla di ius soli nella nuova legge, ma, come spiegato da Maria Chiara Locchi, ricercatrice in Diritto pubblico comparato all’università di Perugia, “non sarebbe ius soli in forma pura. In Europa tutti i paesi prevedono una forma temperata di ius soli in cui, oltre al requisito della nascita su suolo, i genitori stranieri devono averne molti altri e l’acquisto della cittadinanza perciò non è così automatico”. “Dopo la legge di stabilità, faremo di tutto perchè venga approvata la nuova legge sulla cittadinanza” ha detto l’on. Walter Verini, della commissione Giustizia della Camera dei deputati. La nuova legge è infatti molto attesa, non solo dai diretti interessati: “La scuola vive tutti i giorni una contraddizione che lo ius soli potrebbe risolvere: forma tutti i ragazzi per essere dei cittadini, ma poi non tutti lo sono davvero” ha affermato Renzo Zuccherini del Movimento cooperazione educativa. Qual è invece la posizione della Chiesa in merito? Ha risposto il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti: “Per la Chiesa le migrazioni non sono un pericolo, ma un’occasione in più di accoglienza. La centralità della persona è al di sopra di tutto il resto”. Leggi le testimonianze di chi vorrebbe ottenere la cittadinanza italiana e come acquisirla ora e con la nuova legge sull' edizione digitale de La Voce.  ]]>
Contro la povertà, le Regioni collaborano poco con la Caritas https://www.lavoce.it/la-poverta-le-regioni-collaborano-poco-la-caritas/ Thu, 09 Nov 2017 17:42:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50496

Dal settembre 2016 è all’opera il “Sostegno alla inclusione attiva” (Sia), a favore delle famiglie in condizioni di povertà assoluta. A partire dal gennaio 2018 entrerà in azione, al posto del Sia, il “Reddito di inclusione”. Entrambe le misure prevedono un sostegno economico accompagnato da un progetto di inclusione personalizzato, con una serie di impegni per il nucleo familiare che vi aderisce. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce]]>

Dal settembre 2016 è all’opera il “Sostegno alla inclusione attiva” (Sia), a favore delle famiglie in condizioni di povertà assoluta. A partire dal gennaio 2018 entrerà in azione, al posto del Sia, il “Reddito di inclusione”. Entrambe le misure prevedono un sostegno economico accompagnato da un progetto di inclusione personalizzato, con una serie di impegni per il nucleo familiare che vi aderisce. Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale de La Voce]]>
Vocazioni: accendere nei giovani il desiderio di donarsi https://www.lavoce.it/vocazioni-accendere-nei-giovani-desiderio-donarsi/ Sat, 04 Nov 2017 11:00:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50453 giovani elezioni

Educazione della sensibilità e sapienza digitale. Sfide nuove e avvincenti per chi si occupa di animazione vocazionale, su cui si è dibattuto lo scorso mercoledì 25 ottobre presso il pontificio seminario regionale umbro Pio XI di Assisi, durante la giornata di formazione promossa dall’Ufficio regionale per la Pastorale delle vocazioni. Il programma si è articolato attorno agli interventi di padre Amedeo Cencini , sacerdote canossiano specializzato in psicologia e docente presso l’Università Salesiana e padre Paolo Benanti , francescano, docente di teologia morale e bioetica all’Università Gregoriana. “Viviamo in una cultura che scoraggia la scelta, che la presenta come qualcosa di spaventoso, specialmente se definitiva” ha affermato padre Cencini . “L’animatore vocazionale è colui che si ostina a mostrare come ci siano opzioni per cui valga la pena impegnare tutta la propria esistenza”. Per far questo però occorre educare i giovani alla sensibilità, intesa come “orientamento emotivo impresso al mondo interiore della persona dal suo vissuto”. Una educazione su tempi lunghi e non semplicemente una proposta di cammino di specialeconsacrazione ai frequentatori più assidui degli ambienti parrocchiali. “O la pastorale è tutta vocazionale, o non è autentica pastorale cristiana. Ogni colloquio, ogni occasione pastorale o devozionale, deve essere sfruttata per educare i giovani al bello, per proporre una opzione che accenda in loro il desiderio di donarsi, di farsi carico non solo di realizzare il progetto di Dio per la propria vita ma anche della salvezza degli altri. A questi grandi ideali, incarnati al massimo livello da Cristo, ogni giovane è sensibile”. L’intervento di padre Benanti è iniziato con l’analisi dell’impatto della tecnologia digitale sulle nostre vite. “Siamo di fronte ad un tema di frontiera, e la frontiera dice l’identità. La tecnologia sembra oggi poter cambiare le domande di fondo dell’uomo. I nuovi media digitali non sono soltanto un nuovo modo di comunicare, ma uno strumento che ci fa vivere in una realtà diversa dal qui e ora, astraendoci da chi ci sta accanto. Cambiano i criteri di veridicità dell’informazione, il nostro modo di ragionare, e il modo in cui presentiamo e percepiamo noi stessi, rischiando di condurre esistenze spaccate”. La riflessione del teologo francescano ha poi investito un tema di grande attualità scientifica, i big data . “La nostra esistenza online produce una mole innumerevole di informazioni, dall’analisi dei quali oggi è possibile, ad esempio, prevedere con ottima approssimazione dove e quando consegnare un determinato prodotto acquistato online. Tuttavia ciò avviene attraverso una mutazione di paradigma scientifico: non ci si domanda più il perché di un certo fatto, ma si correlano dati. Rinunciare però a conoscere i nessi reali tra questi ultimi conduce ad una nuova forma di sapienza digitale molto rischiosa, poiché rende virtualmente possibile correlare tra loro dati che nella realtà hanno poco a che vedere”. È qui che, secondo padre Benanti, entra in gioco la necessità che uomini di fede abitino accanto ai giovani i nuovi media digitali. “Zona di frontiera significa anche scarsamente abitata. La situazione in cui viviamo richiede di non cercare nemici ma di colonizzare questo luogo di possibilità. Se noi adulti e uomini di fede lasciamo da soli i giovani in questa terra di frontiera e rinunciamo ad educarli, a trasferire a loro le nostre conoscenze e competenze, non ci sarà più spazio per la verità”.  ]]>
giovani elezioni

Educazione della sensibilità e sapienza digitale. Sfide nuove e avvincenti per chi si occupa di animazione vocazionale, su cui si è dibattuto lo scorso mercoledì 25 ottobre presso il pontificio seminario regionale umbro Pio XI di Assisi, durante la giornata di formazione promossa dall’Ufficio regionale per la Pastorale delle vocazioni. Il programma si è articolato attorno agli interventi di padre Amedeo Cencini , sacerdote canossiano specializzato in psicologia e docente presso l’Università Salesiana e padre Paolo Benanti , francescano, docente di teologia morale e bioetica all’Università Gregoriana. “Viviamo in una cultura che scoraggia la scelta, che la presenta come qualcosa di spaventoso, specialmente se definitiva” ha affermato padre Cencini . “L’animatore vocazionale è colui che si ostina a mostrare come ci siano opzioni per cui valga la pena impegnare tutta la propria esistenza”. Per far questo però occorre educare i giovani alla sensibilità, intesa come “orientamento emotivo impresso al mondo interiore della persona dal suo vissuto”. Una educazione su tempi lunghi e non semplicemente una proposta di cammino di specialeconsacrazione ai frequentatori più assidui degli ambienti parrocchiali. “O la pastorale è tutta vocazionale, o non è autentica pastorale cristiana. Ogni colloquio, ogni occasione pastorale o devozionale, deve essere sfruttata per educare i giovani al bello, per proporre una opzione che accenda in loro il desiderio di donarsi, di farsi carico non solo di realizzare il progetto di Dio per la propria vita ma anche della salvezza degli altri. A questi grandi ideali, incarnati al massimo livello da Cristo, ogni giovane è sensibile”. L’intervento di padre Benanti è iniziato con l’analisi dell’impatto della tecnologia digitale sulle nostre vite. “Siamo di fronte ad un tema di frontiera, e la frontiera dice l’identità. La tecnologia sembra oggi poter cambiare le domande di fondo dell’uomo. I nuovi media digitali non sono soltanto un nuovo modo di comunicare, ma uno strumento che ci fa vivere in una realtà diversa dal qui e ora, astraendoci da chi ci sta accanto. Cambiano i criteri di veridicità dell’informazione, il nostro modo di ragionare, e il modo in cui presentiamo e percepiamo noi stessi, rischiando di condurre esistenze spaccate”. La riflessione del teologo francescano ha poi investito un tema di grande attualità scientifica, i big data . “La nostra esistenza online produce una mole innumerevole di informazioni, dall’analisi dei quali oggi è possibile, ad esempio, prevedere con ottima approssimazione dove e quando consegnare un determinato prodotto acquistato online. Tuttavia ciò avviene attraverso una mutazione di paradigma scientifico: non ci si domanda più il perché di un certo fatto, ma si correlano dati. Rinunciare però a conoscere i nessi reali tra questi ultimi conduce ad una nuova forma di sapienza digitale molto rischiosa, poiché rende virtualmente possibile correlare tra loro dati che nella realtà hanno poco a che vedere”. È qui che, secondo padre Benanti, entra in gioco la necessità che uomini di fede abitino accanto ai giovani i nuovi media digitali. “Zona di frontiera significa anche scarsamente abitata. La situazione in cui viviamo richiede di non cercare nemici ma di colonizzare questo luogo di possibilità. Se noi adulti e uomini di fede lasciamo da soli i giovani in questa terra di frontiera e rinunciamo ad educarli, a trasferire a loro le nostre conoscenze e competenze, non ci sarà più spazio per la verità”.  ]]>
In 400 in un viaggio geografico e interiore https://www.lavoce.it/400-un-viaggio-geografico-interiore/ Sat, 09 Sep 2017 11:22:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49905

Grande partecipazione all’edizione 2017 del Sentiero di Francesco, il pellegrinaggio da Assisi a Gubbio, che si ripete ogni anno dal primo al 3 settembre, sulle strade percorse del Poverello dopo aver abbandonato la casa e le ricchezze paterne. Il cammino sull’itinerario della Via di Francesco era dedicato quest’anno alla riconciliazione con il creato ed è stato scelto dalla Conferenza episcopale italiana per ospitare la celebrazione nazionale della dodicesima Giornata per la custodia del creato. I pellegrini sono partiti venerdì 1° settembre da Assisi, dal santuario della Spogliazione, sotto una pioggia attesa per tutta l’estate; pioggia che tuttavia non ha scoraggiato i partecipanti (quasi 400 in totale nei tre giorni) impegnati a percorrere a piedi i 50 chilometri dell’itinerario tra Assisi, Valfabbrica e Gubbio. Nel saluto iniziale ai pellegrini il vescovo di Assisi - Gualdo Tadino - Nocera Umbra, mons. Domenico Sorrentino, ha detto: “Francesco in questa sala otto secoli fa si è sbarazzato di vestiti e denari, cioè dell’effimero, del superfluo, per dire al mondo che si può vivere nella semplicità. Occorre una cultura nuova, sociale ed ecologica: dobbiamo considerare l’ambiente la nostra casa comune”. Anche il vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, ha insistito sull’esempio universale di san Francesco. “Camminando - ha detto - riviviamo i luoghi del viaggio percorso da Francesco tra il 1206 e il 1207, descritti anche dalle fonti francescane. Un percorso che è insieme un viaggio geografico e interiore, per vivere un’esperienza di spiritualità e vicinanza al creato”. I pellegrini hanno fatto tappa per la prima notte nel borgo di Valfabbrica, mentre la sera successiva presso l’eremo di San Pietro in Vigneto. La mattina del terzo giorno sveglia all’alba per arrivare a Gubbio, alla chiesetta della Vittorina dove, secondo la tradizione, san Francesco ammansì il lupo. Il pellegrinaggio si è concluso con la celebrazione della messa nella chiesa di San Francesco, presieduta dal vescovo di Gubbio, mons. Ceccobelli. La liturgia, che chiudeva gli eventi legati alla Giornata della custodia del creato, è stata trasmessa in diretta su Rai Uno. Al termine della celebrazione, i pellegrini si sono salutati con un ultimo momento conviviale nel chiostro del convento di San Francesco, dove hanno potuto assistere al tentativo di un loro compagno di entrare nel Guinness dei primati per la “credenziale con il maggior numero di timbri al mondo”. Si tratta di Alberto Castellò De Pereda, un viandante spagnolo in cammino per la pace da più di tre anni sui sentieri europei: dalla Via di Francesco ai cammini lauretani, la via Francigena, passando per Santiago, Medjugorie e Gubbio. Con i suoi 1.531 timbri e una credenziale che nel complesso misura quasi 26 metri, tenterà di entrare nel Guinness World Record.]]>

Grande partecipazione all’edizione 2017 del Sentiero di Francesco, il pellegrinaggio da Assisi a Gubbio, che si ripete ogni anno dal primo al 3 settembre, sulle strade percorse del Poverello dopo aver abbandonato la casa e le ricchezze paterne. Il cammino sull’itinerario della Via di Francesco era dedicato quest’anno alla riconciliazione con il creato ed è stato scelto dalla Conferenza episcopale italiana per ospitare la celebrazione nazionale della dodicesima Giornata per la custodia del creato. I pellegrini sono partiti venerdì 1° settembre da Assisi, dal santuario della Spogliazione, sotto una pioggia attesa per tutta l’estate; pioggia che tuttavia non ha scoraggiato i partecipanti (quasi 400 in totale nei tre giorni) impegnati a percorrere a piedi i 50 chilometri dell’itinerario tra Assisi, Valfabbrica e Gubbio. Nel saluto iniziale ai pellegrini il vescovo di Assisi - Gualdo Tadino - Nocera Umbra, mons. Domenico Sorrentino, ha detto: “Francesco in questa sala otto secoli fa si è sbarazzato di vestiti e denari, cioè dell’effimero, del superfluo, per dire al mondo che si può vivere nella semplicità. Occorre una cultura nuova, sociale ed ecologica: dobbiamo considerare l’ambiente la nostra casa comune”. Anche il vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, ha insistito sull’esempio universale di san Francesco. “Camminando - ha detto - riviviamo i luoghi del viaggio percorso da Francesco tra il 1206 e il 1207, descritti anche dalle fonti francescane. Un percorso che è insieme un viaggio geografico e interiore, per vivere un’esperienza di spiritualità e vicinanza al creato”. I pellegrini hanno fatto tappa per la prima notte nel borgo di Valfabbrica, mentre la sera successiva presso l’eremo di San Pietro in Vigneto. La mattina del terzo giorno sveglia all’alba per arrivare a Gubbio, alla chiesetta della Vittorina dove, secondo la tradizione, san Francesco ammansì il lupo. Il pellegrinaggio si è concluso con la celebrazione della messa nella chiesa di San Francesco, presieduta dal vescovo di Gubbio, mons. Ceccobelli. La liturgia, che chiudeva gli eventi legati alla Giornata della custodia del creato, è stata trasmessa in diretta su Rai Uno. Al termine della celebrazione, i pellegrini si sono salutati con un ultimo momento conviviale nel chiostro del convento di San Francesco, dove hanno potuto assistere al tentativo di un loro compagno di entrare nel Guinness dei primati per la “credenziale con il maggior numero di timbri al mondo”. Si tratta di Alberto Castellò De Pereda, un viandante spagnolo in cammino per la pace da più di tre anni sui sentieri europei: dalla Via di Francesco ai cammini lauretani, la via Francigena, passando per Santiago, Medjugorie e Gubbio. Con i suoi 1.531 timbri e una credenziale che nel complesso misura quasi 26 metri, tenterà di entrare nel Guinness World Record.]]>
Amiamo con i fatti e nella verità https://www.lavoce.it/amiamo-fatti-nella-verita/ Fri, 16 Jun 2017 11:35:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49925

Il mondo di oggi non sa, o non vuole, individuare in maniera chiara la povertà. Eppure i suoi mille volti ci interpellano ogni giorno - uomini, donne, bambini oltraggiati e offesi - di fronte ai quali la nostra “ricchezza sfacciata” non produce che indifferenza. Papa Francesco li elenca tutti, questi volti, e - nel Messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri - chiede a tutta la comunità cristiana di assumere lo stile di condivisione insegnato da Francesco d’Assisi a partire dall’incontro con il lebbroso. Senza “se”, senza “però” e senza “forse”. E con una settimana d’iniziative da realizzare con i poveri - che non sono semplici destinatari di una buona pratica di volontariato - invitandoli a messa, nelle parrocchie, nel quartiere, e aprendo le nostre case per invitarli a pranzo. Come farà lo stesso Francesco, il 19 novembre, dopo la messa in piazza San Pietro, quando in aula Paolo VI pranzerà con almeno 500 poveri, ha annunciato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio. “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”. Il Papa parte da questo imperativo da cui nessun cristiano può prescindere, per denunciare la contraddizione tra le parole vuote e i fatti concreti. L’amore non ammette alibi, e l’amore per i poveri non può rimanere senza risposta. Da sempre la Chiesa ascolta il grido dei poveri, e anche se ci sono stati momenti in cui in cui i cristiani si sono lasciati contagiare dalla mentalità mondana, innumerevoli pagine di storia, in questi duemila anni, “sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri”. Tra tutti, il primo Papa della storia che ha scelto di portarne il nome cita Francesco d’Assisi, che non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per “stare” insieme con loro. “Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza”, il monito di Francesco: “Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri”. E la povertà è l’antidoto al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivi di vita. “Se desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione”, l’appello. Dolore, emarginazione, sopruso, violenza, torture, prigionia e guerra, privazione della libertà e della dignità, ignoranza e analfabetismo, emergenza sanitaria e mancanza di lavoro, tratte e schiavitù, esilio e miseria, migrazione forzata. È dettagliato, l’elenco dei mille volti della povertà, frutto dell’ingiustizia e della miseria modale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata. Il suo contrario è la ricchezza sfacciata di pochi: “Fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo”, ribadisce il Papa, secondo il quale non si può restare indifferenti “alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società”. L’invito alla prima Giornata mondiale dei poveri è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa: “Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti”. Dalle mura di casa alle parrocchie, fino ai quartieri delle nostre città: una settimana, quella che precede la Giornata, da dedicare alla “condivisione” e alla lotta contro la cultura dello scarto.  ]]>

Il mondo di oggi non sa, o non vuole, individuare in maniera chiara la povertà. Eppure i suoi mille volti ci interpellano ogni giorno - uomini, donne, bambini oltraggiati e offesi - di fronte ai quali la nostra “ricchezza sfacciata” non produce che indifferenza. Papa Francesco li elenca tutti, questi volti, e - nel Messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri - chiede a tutta la comunità cristiana di assumere lo stile di condivisione insegnato da Francesco d’Assisi a partire dall’incontro con il lebbroso. Senza “se”, senza “però” e senza “forse”. E con una settimana d’iniziative da realizzare con i poveri - che non sono semplici destinatari di una buona pratica di volontariato - invitandoli a messa, nelle parrocchie, nel quartiere, e aprendo le nostre case per invitarli a pranzo. Come farà lo stesso Francesco, il 19 novembre, dopo la messa in piazza San Pietro, quando in aula Paolo VI pranzerà con almeno 500 poveri, ha annunciato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio. “Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità”. Il Papa parte da questo imperativo da cui nessun cristiano può prescindere, per denunciare la contraddizione tra le parole vuote e i fatti concreti. L’amore non ammette alibi, e l’amore per i poveri non può rimanere senza risposta. Da sempre la Chiesa ascolta il grido dei poveri, e anche se ci sono stati momenti in cui in cui i cristiani si sono lasciati contagiare dalla mentalità mondana, innumerevoli pagine di storia, in questi duemila anni, “sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri”. Tra tutti, il primo Papa della storia che ha scelto di portarne il nome cita Francesco d’Assisi, che non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per “stare” insieme con loro. “Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza”, il monito di Francesco: “Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri”. E la povertà è l’antidoto al denaro, alla carriera, al lusso come obiettivi di vita. “Se desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione”, l’appello. Dolore, emarginazione, sopruso, violenza, torture, prigionia e guerra, privazione della libertà e della dignità, ignoranza e analfabetismo, emergenza sanitaria e mancanza di lavoro, tratte e schiavitù, esilio e miseria, migrazione forzata. È dettagliato, l’elenco dei mille volti della povertà, frutto dell’ingiustizia e della miseria modale, dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata. Il suo contrario è la ricchezza sfacciata di pochi: “Fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo”, ribadisce il Papa, secondo il quale non si può restare indifferenti “alla povertà che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi; alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova visione della vita e della società”. L’invito alla prima Giornata mondiale dei poveri è rivolto a tutti, indipendentemente dall’appartenenza religiosa: “Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti”. Dalle mura di casa alle parrocchie, fino ai quartieri delle nostre città: una settimana, quella che precede la Giornata, da dedicare alla “condivisione” e alla lotta contro la cultura dello scarto.  ]]>
Divorziati e risposati. Pur sempre battezzati https://www.lavoce.it/divorziati-e-risposati-pur-sempre-battezzati/ Thu, 23 Mar 2017 12:01:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48887

I divorziati risposati ora possono fare la comunione? Ma prima non era loro vietato? E Papa Francesco ha cambiato la dottrina e il Vangelo? Sono domande che alimentano anche infuocate polemiche nei confronti del Papa, domande di cui si è occupato il Sinodo sulla famiglia e di cui si occupa l’“Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia”, la Amoris Laetitia pubblicata il 19 marzo di un anno fa, e alla quale è stato dedicato il convegno regionale sulla famiglia tenutosi domenica scorsa a Santa Maria degli Angeli. Tra i relatori c’era padre Marco Vianelli, giudice del Tribunale ecclesiastico interdiocesano dell’Umbria e parroco di Santa Maria degli Angeli. Padre Marco da molti anni ha a che fare con i separati e con i divorziati risposati, e dunque ha una lunga esperienza di incontri personali alla quale si aggiunge quella di giudice che deve applicare la legge della Chiesa condensata nel Codice di diritto canonico. Con lui cerchiamo di capire meglio come è possibile conciliare la legge e la misericordia, come chiede Papa Francesco. Padre Marco, c’è chi anche nella Chiesa rimprovera Papa Francesco di voler sovvertire il comando evangelico della indissolubilità del matrimonio. È così? “Su questa materia non sono stati introdotti nuovi capi di nullità né una nuova teologia. Quello che è nuovo è una dimensione di prassi, dove si parte non più dalla dimensione dogmatica, che rimane e non è cambiata, ma si parte dall’ascolto della persona, del dramma che vive, della solitudine che ha vissuto. Da qui la si accompagna piano piano perché chi non vuol mettersi in cammino non potrà mai poter pretendere l’Eucarestia come rivendicazione: non è un diritto”. C’è chi teme e paventa proprio questo … “Chiunque si presenta e ha voglia di fare un cammino dovrà trovare qualcuno che lo accompagna, e questa è un’esperienza ecclesiale e un’occasione di riavvicinamento alla fede, un’occasione di verità che la persona fa sul suo stato di vita, sulle scelte che ha fatto. Questo, però, a partire non dal giudizio ma dall’ascolto del suo dramma, della sua fatica, dell’impossibilità a volte di fare delle scelte diverse da quelle che ha fatto. Questa dimensione metodologica sposta l’accento sulla persona più che sulla norma, è un cammino di formazione della coscienza affinché la persona prenda coscienza della verità che è contenuta nella norma e faccia lei stessa un discernimento. Solo così quando si troverà a mettere insieme questi pezzi sarà lei stessa a fare una scelta, a dire se può o non può fare la Comunione. Diversamente ci si muove in una logica rivendicativa”. E il prete che ruolo ha? “Dall’altra parte c’è anche il grande problema di accompagnare queste persone con dei pastori che sappiano stare di fronte al dramma di questa gente, perché te lo buttano addosso e fa male, e sai che non è facendogli ‘sconti’ che staranno meglio, perché hanno bisogno della verità, una verità fatta nella logica della carità. E quindi dire che “adesso il Papa ha dato la possibilità a tutti di fare la Comunione’ non è vero, perché non l’ha detto, e non è buono dirlo pastoralmente perché non aiuta la persona a riappropriarsi di quel gesto che ha un significato importante. La domanda di Comunione che queste persone portano dentro, fosse anche partita dall’esperienza di una frattura, è una domanda vera, è una domanda che va presa sul serio e va presa in considerazione, e la risposta deve essere proporzionata a quella domanda, non può essere uno sconto perché mi fai pena o perché io faccio fatica a starti di fronte”. Quindi è un discorso di fede? Non psicoterapeutico? “È un discorso primariamente di fede, ma che ha anche a che vedere con la dimensione dell’umano, quindi con la sua dimensione pedagogica prima terapeutica poi, se ci sono delle ferite che arrivano su quel piano. Noi il più delle volte lavoriamo con persone che sono sì ferite ma che soprattutto devo aiutarle a crescere”. L’Amoris Laetitia è dell’anno scorso, ma queste esperienze di accompagnamento già c’erano… “Già nel 2011 l’ufficio di Pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana fece un convegno su luci e ombre della famiglia ferita, e lì per la prima volta iniziammo a ritrovarci insieme tutte quelle realtà che già si prendevano cura di queste situazioni. Posso dire che la Chiesa di per sé, nei suoi documenti, fin da quello sulla pastorale dei divorziati risposati del ’79 (il divorzio in Italia arrivò nel ’74) da subito intercetta la domanda. Negli anni la Chiesa si è espressa sempre con un linguaggio molto positivo anche nei confronti di questi fratelli anche se è cambiato il modo in cui è stata espressa la visione di questi fratelli come parte integrante del corpo della Chiesa. E chi li ha accompagnati, ed ha dovuto in qualche modo capire come doveva accompagnarli, ha sempre avuto chiaro questa visione”. Possiamo dire che è anche soprattutto un problema di comunicazione se i separati e i divorziati risposati hanno sperimentato più il giudizio che l’accoglienza? “È sicuramente un problema di comunicazione ma è anche vero che la Chiesa è stata anche questo, perché non è solamente un racconto funzionale al laicismo. Molte porte in faccia la gente le ha prese davvero, forse anche per una difficoltà dei pastori di leggere con ecclesialità i documenti della Chiesa. Sono stati letti con una visione intransigente, in modo giuridicista. Dico giuridicista perché il modo giuridico ha la consapevolezza del valore della norma che al suo interno prevede anche la ‘dispensa’, per esempio, che è la declinazione o la sospensione del valore della norma ‘per la persona’, perché la persona è al centro della visione giuridica della Chiesa”. Oggi alcuni dicono che la Chiesa non rispetta più le sue stesse leggi … “In realtà nella sua visione giuridica la Chiesa pone al centro la persona, e le norme, le leggi, sono le soluzioni per la salvezza della persona. Chi le usa come dei sassi fa un riduzionismo giuridico, ma non c’è una comprensione funzionale del diritto a questo. Tante volte abbiamo letto dei documenti pastorali o dei documenti giuridici con questa dimensione tranchat che era funzionale ad una dimensione rassicurante del tipo ‘i paletti sono questi e se ci stai beene se non ci stai non è un problema nostro’. Chi invece da sempre ha accompagnato questi fratelli non solo ha scoperto la modalità diversa di approccio ma ha scoperto che non sono un problema nella Chiesa piuttosto sono una potenzialità perché aiutano la Chiesa a comprendersi meglio”. In che senso? “Quando tutti eravamo ‘cristiani’e quindi omologati non avevamo colto la possibilità che ci potessero essere modi diversi di essere cristiani. La Chiesa dei primi secoli aveva dei cammini di introduzione alla fede dove alcuni potevano fare certe cose altri ne potevano fare delle altre perché la loro relazione col Signore era diversa. Il punto è proprio questo: riscoprire il valore di questi fratelli, non come un problema da risolvere ma proprio come una occasione di una comprensione ecclesiologica diversa”. Possiamo dire che questo riporta l’attenzione all’essenziale dell’essere cristiani, ovvero alla dignità di Figli di Dio che si riceve con il Battesimo? “La cosa interessantissima è che don Carlino Panzeri, responsabile della pastorale familiare della diocesi di Albano Laziale, alcuni anni fa in un incontro alla Casa della tenerezza sottolineava come nei documenti della Chiesa, quando si parla dei fedeli divorziati e risposati, si parla di fedeli cioè si parla di Christi fideles. La Chiesa non ha mai usato la categoria sociologica di divorziati e risposati, ma parla sempre di cristiani quindi e fratelli che hanno una situazione di difficoltà. Adesso, finalmente, si può anche raccontare e dire con maggior larghezza che la loro presenza pone un tema ecclesiologico, perché avere dei fratelli che vivono una non piena Comunione è mettere in luce la dimensione comunionale, anche se non piena. E questo si può dire anche delle coppie conviventi o sposate civilmente. Va bene dire che non c’è una pienezza ma questo non vuol dire che non c’è niente. C’è qualcosa e quel qualcosa su cui lavorare è l’essenziale. Il Papa su questo chiede di approfondire quali sono le possibili forme di espressione della comunione ecclesiale. Il divorziato risposato, il convivente può fare il maestro del coro? Può fare il lettore? Forse no, o forse sì a certe condizioni perché ha un ruolo anche all’interno dell’economia e della liturgia. Su questo dobbiamo interrogarci”.  ]]>

I divorziati risposati ora possono fare la comunione? Ma prima non era loro vietato? E Papa Francesco ha cambiato la dottrina e il Vangelo? Sono domande che alimentano anche infuocate polemiche nei confronti del Papa, domande di cui si è occupato il Sinodo sulla famiglia e di cui si occupa l’“Esortazione apostolica sull’amore nella famiglia”, la Amoris Laetitia pubblicata il 19 marzo di un anno fa, e alla quale è stato dedicato il convegno regionale sulla famiglia tenutosi domenica scorsa a Santa Maria degli Angeli. Tra i relatori c’era padre Marco Vianelli, giudice del Tribunale ecclesiastico interdiocesano dell’Umbria e parroco di Santa Maria degli Angeli. Padre Marco da molti anni ha a che fare con i separati e con i divorziati risposati, e dunque ha una lunga esperienza di incontri personali alla quale si aggiunge quella di giudice che deve applicare la legge della Chiesa condensata nel Codice di diritto canonico. Con lui cerchiamo di capire meglio come è possibile conciliare la legge e la misericordia, come chiede Papa Francesco. Padre Marco, c’è chi anche nella Chiesa rimprovera Papa Francesco di voler sovvertire il comando evangelico della indissolubilità del matrimonio. È così? “Su questa materia non sono stati introdotti nuovi capi di nullità né una nuova teologia. Quello che è nuovo è una dimensione di prassi, dove si parte non più dalla dimensione dogmatica, che rimane e non è cambiata, ma si parte dall’ascolto della persona, del dramma che vive, della solitudine che ha vissuto. Da qui la si accompagna piano piano perché chi non vuol mettersi in cammino non potrà mai poter pretendere l’Eucarestia come rivendicazione: non è un diritto”. C’è chi teme e paventa proprio questo … “Chiunque si presenta e ha voglia di fare un cammino dovrà trovare qualcuno che lo accompagna, e questa è un’esperienza ecclesiale e un’occasione di riavvicinamento alla fede, un’occasione di verità che la persona fa sul suo stato di vita, sulle scelte che ha fatto. Questo, però, a partire non dal giudizio ma dall’ascolto del suo dramma, della sua fatica, dell’impossibilità a volte di fare delle scelte diverse da quelle che ha fatto. Questa dimensione metodologica sposta l’accento sulla persona più che sulla norma, è un cammino di formazione della coscienza affinché la persona prenda coscienza della verità che è contenuta nella norma e faccia lei stessa un discernimento. Solo così quando si troverà a mettere insieme questi pezzi sarà lei stessa a fare una scelta, a dire se può o non può fare la Comunione. Diversamente ci si muove in una logica rivendicativa”. E il prete che ruolo ha? “Dall’altra parte c’è anche il grande problema di accompagnare queste persone con dei pastori che sappiano stare di fronte al dramma di questa gente, perché te lo buttano addosso e fa male, e sai che non è facendogli ‘sconti’ che staranno meglio, perché hanno bisogno della verità, una verità fatta nella logica della carità. E quindi dire che “adesso il Papa ha dato la possibilità a tutti di fare la Comunione’ non è vero, perché non l’ha detto, e non è buono dirlo pastoralmente perché non aiuta la persona a riappropriarsi di quel gesto che ha un significato importante. La domanda di Comunione che queste persone portano dentro, fosse anche partita dall’esperienza di una frattura, è una domanda vera, è una domanda che va presa sul serio e va presa in considerazione, e la risposta deve essere proporzionata a quella domanda, non può essere uno sconto perché mi fai pena o perché io faccio fatica a starti di fronte”. Quindi è un discorso di fede? Non psicoterapeutico? “È un discorso primariamente di fede, ma che ha anche a che vedere con la dimensione dell’umano, quindi con la sua dimensione pedagogica prima terapeutica poi, se ci sono delle ferite che arrivano su quel piano. Noi il più delle volte lavoriamo con persone che sono sì ferite ma che soprattutto devo aiutarle a crescere”. L’Amoris Laetitia è dell’anno scorso, ma queste esperienze di accompagnamento già c’erano… “Già nel 2011 l’ufficio di Pastorale familiare della Conferenza episcopale italiana fece un convegno su luci e ombre della famiglia ferita, e lì per la prima volta iniziammo a ritrovarci insieme tutte quelle realtà che già si prendevano cura di queste situazioni. Posso dire che la Chiesa di per sé, nei suoi documenti, fin da quello sulla pastorale dei divorziati risposati del ’79 (il divorzio in Italia arrivò nel ’74) da subito intercetta la domanda. Negli anni la Chiesa si è espressa sempre con un linguaggio molto positivo anche nei confronti di questi fratelli anche se è cambiato il modo in cui è stata espressa la visione di questi fratelli come parte integrante del corpo della Chiesa. E chi li ha accompagnati, ed ha dovuto in qualche modo capire come doveva accompagnarli, ha sempre avuto chiaro questa visione”. Possiamo dire che è anche soprattutto un problema di comunicazione se i separati e i divorziati risposati hanno sperimentato più il giudizio che l’accoglienza? “È sicuramente un problema di comunicazione ma è anche vero che la Chiesa è stata anche questo, perché non è solamente un racconto funzionale al laicismo. Molte porte in faccia la gente le ha prese davvero, forse anche per una difficoltà dei pastori di leggere con ecclesialità i documenti della Chiesa. Sono stati letti con una visione intransigente, in modo giuridicista. Dico giuridicista perché il modo giuridico ha la consapevolezza del valore della norma che al suo interno prevede anche la ‘dispensa’, per esempio, che è la declinazione o la sospensione del valore della norma ‘per la persona’, perché la persona è al centro della visione giuridica della Chiesa”. Oggi alcuni dicono che la Chiesa non rispetta più le sue stesse leggi … “In realtà nella sua visione giuridica la Chiesa pone al centro la persona, e le norme, le leggi, sono le soluzioni per la salvezza della persona. Chi le usa come dei sassi fa un riduzionismo giuridico, ma non c’è una comprensione funzionale del diritto a questo. Tante volte abbiamo letto dei documenti pastorali o dei documenti giuridici con questa dimensione tranchat che era funzionale ad una dimensione rassicurante del tipo ‘i paletti sono questi e se ci stai beene se non ci stai non è un problema nostro’. Chi invece da sempre ha accompagnato questi fratelli non solo ha scoperto la modalità diversa di approccio ma ha scoperto che non sono un problema nella Chiesa piuttosto sono una potenzialità perché aiutano la Chiesa a comprendersi meglio”. In che senso? “Quando tutti eravamo ‘cristiani’e quindi omologati non avevamo colto la possibilità che ci potessero essere modi diversi di essere cristiani. La Chiesa dei primi secoli aveva dei cammini di introduzione alla fede dove alcuni potevano fare certe cose altri ne potevano fare delle altre perché la loro relazione col Signore era diversa. Il punto è proprio questo: riscoprire il valore di questi fratelli, non come un problema da risolvere ma proprio come una occasione di una comprensione ecclesiologica diversa”. Possiamo dire che questo riporta l’attenzione all’essenziale dell’essere cristiani, ovvero alla dignità di Figli di Dio che si riceve con il Battesimo? “La cosa interessantissima è che don Carlino Panzeri, responsabile della pastorale familiare della diocesi di Albano Laziale, alcuni anni fa in un incontro alla Casa della tenerezza sottolineava come nei documenti della Chiesa, quando si parla dei fedeli divorziati e risposati, si parla di fedeli cioè si parla di Christi fideles. La Chiesa non ha mai usato la categoria sociologica di divorziati e risposati, ma parla sempre di cristiani quindi e fratelli che hanno una situazione di difficoltà. Adesso, finalmente, si può anche raccontare e dire con maggior larghezza che la loro presenza pone un tema ecclesiologico, perché avere dei fratelli che vivono una non piena Comunione è mettere in luce la dimensione comunionale, anche se non piena. E questo si può dire anche delle coppie conviventi o sposate civilmente. Va bene dire che non c’è una pienezza ma questo non vuol dire che non c’è niente. C’è qualcosa e quel qualcosa su cui lavorare è l’essenziale. Il Papa su questo chiede di approfondire quali sono le possibili forme di espressione della comunione ecclesiale. Il divorziato risposato, il convivente può fare il maestro del coro? Può fare il lettore? Forse no, o forse sì a certe condizioni perché ha un ruolo anche all’interno dell’economia e della liturgia. Su questo dobbiamo interrogarci”.  ]]>
L’Umbria scivola sempre più verso Sud https://www.lavoce.it/lumbria-scivola-sempre-piu-verso-sud-2/ Thu, 26 Jan 2017 15:01:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48358

Le scosse del terremoto hanno interrotto mercoledì 18 gennaio a palazzo Cesaroni l’analisi e discussione del corposo - quasi 500 pagine - Rapporto economico e sociale 2016-17 dell’Aur (Agenzia Umbria ricerche). Un volume denso di numeri e tabelle, da cui risulta che nella cosiddetta “Italia di mezzo” la nostra regione è messa molto peggio delle confinanti Toscana e Marche, con parametri economici che sempre di più l’avvicinano all’Italia del Sud. Prima dell’interruzione dei lavori c’era stato comunque il tempo per segnalare anche alcuni fattori positivi che possono alimentare il motore per uscire da questo tunnel, tra i quali la buona “tenuta sociale” in momenti pur così difficili. La benzina di questo motore è soprattutto la valorizzazione, con servizi e innovazione tecnologica e digitale, del patrimonio artistico e paesaggistico dell’Umbria e della sua tradizione manifatturiera; impiegando i nostri giovani, che hanno un elevato livello di istruzione, superiore alla media nazionale, grazie alle due Università e altri prestigiosi enti formativi pubblici e privati. Ma il mercato del lavoro locale - come ha detto la ricercatrice Elisabetta Tondini - “privilegia strutturalmente le qualifiche più basse”, in un “sistema di basse remunerazioni, e frequenti e diffuse forme di sottoccupazione”, con “un capitale umano sotto-inquadrato”. Una Regione più due L’Umbria tra Toscana e Marche è il titolo del Rapporto, che non si limita dunque ad analizzare le dinamiche della nostra regione. Secondo la presidente Catiuscia Marini, l’assessore regionale Antonio Bartolini e la presidente del Consiglio regionale, Donatella Porzi, per la crescita sociale e economica dell’Umbria è infatti molto importante la collaborazione e cooperazione avviata con Toscana e Marche per un migliore impiego delle risorse. La maggioranza degli umbri però è contraria alle macroregioni. Il Rapporto contiene infatti anche un’indagine condotta tra 1.566 persone, dalla quale risulta che per il 55% degli interpellati l’Umbria avrebbe più da perdere che da guadagnare da una riforma di questo tipo. “La nostra politica - ha spiegato la Marini - è quella di adottare politiche integrate, così come stiamo già facendo con la Centrale unica degli acquisti in sanità e la creazione di un unico ufficio a Bruxelles che segua le varie questioni per tutte e tre le Regioni”. Per Donatella Porzi “quella della ridefinizione del ruolo, delle funzioni e degli assetti territoriali delle Regioni è ormai una questione che, posta da tempo da esperti e analisti di tematiche istituzionali, si è trasferita ormai nel confronto politico-istituzionale dell’Umbria e delle Regioni contermini di Toscana e Marche”. “Ricominciare a ragionare sull’Italia mediana alla luce delle analisi puntuali contenute nel Rapporto - ha osservato l’assessore Bartolini - consente di affrontare con maggiore consapevolezza le complesse questioni della gestione ottimale dei territori e dei servizi per il cittadino e per il mondo produttivo”. A condizione però che questo percorso verso la cosiddetta macroregione “non sia un progetto calato dall’alto” ha sottolineato la presidente del Consiglio regionale. “Le fusioni a freddo infatti - ha aggiunto Bartolini - non funzionano e non servono a niente”. Economia “pubblica” L’ Umbria - ha detto ancora la ricercatrice Elisabetta Tondini - ha imboccato il tunnel della crisi più indebolita delle altre due regioni dell’“Italia di mezzo”, e nel declino degli ultimi anni è la più sofferente. Dal 2007 al 2015 il Pil reale è calato mediamente del 2,1% all’anno (1,5% nelle Marche; 0,7% in Toscana; 1% in Italia). La nostra regione ha visto precipitare i valori della sua economia, toccando nel 2014 i minimi storici. Produttività ed export non hanno tenuto il passo rispetto alle regioni confinanti e oggi - ha aggiunto la ricercatrice - l’Umbria “presenta uno dei più bassi tassi di industrializzazione del Centro-Nord”. A produrre il maggior reddito non è l’industria ma la pubblica amministrazione. Insomma, il reddito degli umbri deriva sempre più dagli stipendi del pubblico impiego e non delle aziende private. Nel frattempo disoccupazione e povertà hanno cominciato a erodere il grado di benessere, tanto che nel 2015 quasi 3 umbri su 10 erano a rischio povertà ed esclusione sociale. Per la ricercatrice, le difficoltà del sistema economico umbro “potrebbero accrescersi nei prossimi anni” poiché i motori di sviluppo sono sempre di più i “grandi contesti urbani quali potenti generatori di reti e dinamici veicoli di conoscenza”. La grande bellezza In Umbria non ci sono le grandi città, ma “un pregevole patrimonio artistico e paesaggistico” e una “importante tradizione manifatturiera”. Sono queste le risorse di cui dispone, e su queste deve puntare. Con però - ha detto Tondini - “una industria manifatturiera sempre meno basata sulla fisicità e declinata sulle coordinate imposte dalla quarta rivoluzione industriale” e “una gestione della risorsa culturale, ove finalizzata alla fruizione turistica, imperniata su innovazione tecnologica e digitale”. Due terzi degli umbri - ha ricordato Mauro Casavecchia, un altro degli autori del Rapporto - vivono nei territori della “grande bellezza”, dove “la ricca dotazione di patrimonio culturale e paesaggistico si coniuga al meglio con le tradizioni artigianali e imprenditoriali legate alla cultura, le industrie creative, i prodotti tipici e tradizionali. Una grande poptenzialità in grado di generare crescenti impatti economici, diretti e indiretti, a patto di migliorarne la capacità di valorizzazione”. Nel Rapporto un altro ricercatore, Andrea Orlandi, sottolinea che nella gestione del patrimonio storico edilizio “l’Umbria è la regione italiana più virtuosa, con l’85% degli edifici storici in buono stato di conservazione” (in base a dati del 2011, quindi prima dei gravi danni provocati dall’ultimo terremoto). Due Comuni su tre hanno un museo e la “partecipazione culturale è superiore alla media italiana”. Sfiducia nella politica L’ultima legge di riforma del bilancio dello Stato ha introdotto i Bes (indicatori di benessere equo sostenibile) tra gli strumenti di programazione e valutazione delle politiche pubbliche. Esaminando i dati degli ultimi anni - rileva Enza Galluzzo nel Rapporto - “l’Umbria si colloca a cavallo della linea mediana della classifica delle regioni, anche se in due ambiti, istruzione e paesaggio, riesce a raggiungere posizioni di preminenza, superando la Toscana e il Settentrione”. Si colloca invece al di sotto della media italiana per le condizioni minime economiche e la sicurezza. Inoltre si segnala una diffusa sfiducia, comune però anche alle altre regioni, verso le istituzioni: il sistema partitico, quello politico e giudiziario riscuotono dai cittadini un giudizio decisamente basso. Fanno eccezione le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, gli unici - riferisce il ricercatore - a riportare una valutazione positiva. I santi testimonial Il rapporto Aur dedica un capitolo anche al “senso di appartenenza degli umbri” con una indagine di due docenti dell’Università di Perugia, Cecilia Cristofori e Jacopo Bernardini, che hanno chiesto a 1.556 residenti quale sia il personaggio che meglio rappresenta l’Umbria. La maggioranza ha indicato san Francesco, e quasi il 70% dei “votanti” ha individuato in personaggi che appartengono alla sfera religiosa i migliori testimonial della regione. Si tratta di santa Rita, santa Chiara, sant’Ubaldo, san Benedetto e san Valentino. Nei posti più alti della classifica ci sono anche il Perugino, l’imprenditore Brunello Cucinelli e l’attrice Monica Bellucci. Tra i 143 personaggi indicati ci sono poi (ma con pochi voti) alcuni esponenti politici. In testa a questa particolare classifica, ai primi posti il sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’ex sindaco di Terni Gianfranco Ciaurro e la presidente della Regione Catiuscia Marini.  ]]>

Le scosse del terremoto hanno interrotto mercoledì 18 gennaio a palazzo Cesaroni l’analisi e discussione del corposo - quasi 500 pagine - Rapporto economico e sociale 2016-17 dell’Aur (Agenzia Umbria ricerche). Un volume denso di numeri e tabelle, da cui risulta che nella cosiddetta “Italia di mezzo” la nostra regione è messa molto peggio delle confinanti Toscana e Marche, con parametri economici che sempre di più l’avvicinano all’Italia del Sud. Prima dell’interruzione dei lavori c’era stato comunque il tempo per segnalare anche alcuni fattori positivi che possono alimentare il motore per uscire da questo tunnel, tra i quali la buona “tenuta sociale” in momenti pur così difficili. La benzina di questo motore è soprattutto la valorizzazione, con servizi e innovazione tecnologica e digitale, del patrimonio artistico e paesaggistico dell’Umbria e della sua tradizione manifatturiera; impiegando i nostri giovani, che hanno un elevato livello di istruzione, superiore alla media nazionale, grazie alle due Università e altri prestigiosi enti formativi pubblici e privati. Ma il mercato del lavoro locale - come ha detto la ricercatrice Elisabetta Tondini - “privilegia strutturalmente le qualifiche più basse”, in un “sistema di basse remunerazioni, e frequenti e diffuse forme di sottoccupazione”, con “un capitale umano sotto-inquadrato”. Una Regione più due L’Umbria tra Toscana e Marche è il titolo del Rapporto, che non si limita dunque ad analizzare le dinamiche della nostra regione. Secondo la presidente Catiuscia Marini, l’assessore regionale Antonio Bartolini e la presidente del Consiglio regionale, Donatella Porzi, per la crescita sociale e economica dell’Umbria è infatti molto importante la collaborazione e cooperazione avviata con Toscana e Marche per un migliore impiego delle risorse. La maggioranza degli umbri però è contraria alle macroregioni. Il Rapporto contiene infatti anche un’indagine condotta tra 1.566 persone, dalla quale risulta che per il 55% degli interpellati l’Umbria avrebbe più da perdere che da guadagnare da una riforma di questo tipo. “La nostra politica - ha spiegato la Marini - è quella di adottare politiche integrate, così come stiamo già facendo con la Centrale unica degli acquisti in sanità e la creazione di un unico ufficio a Bruxelles che segua le varie questioni per tutte e tre le Regioni”. Per Donatella Porzi “quella della ridefinizione del ruolo, delle funzioni e degli assetti territoriali delle Regioni è ormai una questione che, posta da tempo da esperti e analisti di tematiche istituzionali, si è trasferita ormai nel confronto politico-istituzionale dell’Umbria e delle Regioni contermini di Toscana e Marche”. “Ricominciare a ragionare sull’Italia mediana alla luce delle analisi puntuali contenute nel Rapporto - ha osservato l’assessore Bartolini - consente di affrontare con maggiore consapevolezza le complesse questioni della gestione ottimale dei territori e dei servizi per il cittadino e per il mondo produttivo”. A condizione però che questo percorso verso la cosiddetta macroregione “non sia un progetto calato dall’alto” ha sottolineato la presidente del Consiglio regionale. “Le fusioni a freddo infatti - ha aggiunto Bartolini - non funzionano e non servono a niente”. Economia “pubblica” L’ Umbria - ha detto ancora la ricercatrice Elisabetta Tondini - ha imboccato il tunnel della crisi più indebolita delle altre due regioni dell’“Italia di mezzo”, e nel declino degli ultimi anni è la più sofferente. Dal 2007 al 2015 il Pil reale è calato mediamente del 2,1% all’anno (1,5% nelle Marche; 0,7% in Toscana; 1% in Italia). La nostra regione ha visto precipitare i valori della sua economia, toccando nel 2014 i minimi storici. Produttività ed export non hanno tenuto il passo rispetto alle regioni confinanti e oggi - ha aggiunto la ricercatrice - l’Umbria “presenta uno dei più bassi tassi di industrializzazione del Centro-Nord”. A produrre il maggior reddito non è l’industria ma la pubblica amministrazione. Insomma, il reddito degli umbri deriva sempre più dagli stipendi del pubblico impiego e non delle aziende private. Nel frattempo disoccupazione e povertà hanno cominciato a erodere il grado di benessere, tanto che nel 2015 quasi 3 umbri su 10 erano a rischio povertà ed esclusione sociale. Per la ricercatrice, le difficoltà del sistema economico umbro “potrebbero accrescersi nei prossimi anni” poiché i motori di sviluppo sono sempre di più i “grandi contesti urbani quali potenti generatori di reti e dinamici veicoli di conoscenza”. La grande bellezza In Umbria non ci sono le grandi città, ma “un pregevole patrimonio artistico e paesaggistico” e una “importante tradizione manifatturiera”. Sono queste le risorse di cui dispone, e su queste deve puntare. Con però - ha detto Tondini - “una industria manifatturiera sempre meno basata sulla fisicità e declinata sulle coordinate imposte dalla quarta rivoluzione industriale” e “una gestione della risorsa culturale, ove finalizzata alla fruizione turistica, imperniata su innovazione tecnologica e digitale”. Due terzi degli umbri - ha ricordato Mauro Casavecchia, un altro degli autori del Rapporto - vivono nei territori della “grande bellezza”, dove “la ricca dotazione di patrimonio culturale e paesaggistico si coniuga al meglio con le tradizioni artigianali e imprenditoriali legate alla cultura, le industrie creative, i prodotti tipici e tradizionali. Una grande poptenzialità in grado di generare crescenti impatti economici, diretti e indiretti, a patto di migliorarne la capacità di valorizzazione”. Nel Rapporto un altro ricercatore, Andrea Orlandi, sottolinea che nella gestione del patrimonio storico edilizio “l’Umbria è la regione italiana più virtuosa, con l’85% degli edifici storici in buono stato di conservazione” (in base a dati del 2011, quindi prima dei gravi danni provocati dall’ultimo terremoto). Due Comuni su tre hanno un museo e la “partecipazione culturale è superiore alla media italiana”. Sfiducia nella politica L’ultima legge di riforma del bilancio dello Stato ha introdotto i Bes (indicatori di benessere equo sostenibile) tra gli strumenti di programazione e valutazione delle politiche pubbliche. Esaminando i dati degli ultimi anni - rileva Enza Galluzzo nel Rapporto - “l’Umbria si colloca a cavallo della linea mediana della classifica delle regioni, anche se in due ambiti, istruzione e paesaggio, riesce a raggiungere posizioni di preminenza, superando la Toscana e il Settentrione”. Si colloca invece al di sotto della media italiana per le condizioni minime economiche e la sicurezza. Inoltre si segnala una diffusa sfiducia, comune però anche alle altre regioni, verso le istituzioni: il sistema partitico, quello politico e giudiziario riscuotono dai cittadini un giudizio decisamente basso. Fanno eccezione le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, gli unici - riferisce il ricercatore - a riportare una valutazione positiva. I santi testimonial Il rapporto Aur dedica un capitolo anche al “senso di appartenenza degli umbri” con una indagine di due docenti dell’Università di Perugia, Cecilia Cristofori e Jacopo Bernardini, che hanno chiesto a 1.556 residenti quale sia il personaggio che meglio rappresenta l’Umbria. La maggioranza ha indicato san Francesco, e quasi il 70% dei “votanti” ha individuato in personaggi che appartengono alla sfera religiosa i migliori testimonial della regione. Si tratta di santa Rita, santa Chiara, sant’Ubaldo, san Benedetto e san Valentino. Nei posti più alti della classifica ci sono anche il Perugino, l’imprenditore Brunello Cucinelli e l’attrice Monica Bellucci. Tra i 143 personaggi indicati ci sono poi (ma con pochi voti) alcuni esponenti politici. In testa a questa particolare classifica, ai primi posti il sindaco di Perugia Andrea Romizi, l’ex sindaco di Terni Gianfranco Ciaurro e la presidente della Regione Catiuscia Marini.  ]]>
La speranza dopo il terremoto https://www.lavoce.it/la-speranza-dopo-il-terremoto/ Thu, 22 Dec 2016 10:56:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48139 convegno

Perché non pensare che anche questo Natale vissuto nelle difficoltà che ben conosciamo a causa del terremoto non possa segnare l’inizio di una rinascita materiale (abbiamo bisogno di case e di chiese) e interiore fatta di solidarietà, di accoglienza reciproca, di collaborazione, di sostegno per guardare avanti insieme e con forza? È l’augurio che mi sento di formulare per il prossimo Natale”. Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, si appresta a celebrare il ricordo della nascita di Gesù. “Affronteremo un Natale - prosegue - nella precarietà, nella fragilità e nella trepidazione. In mezzo a tutto questo, però, la speranza non è mai venuta meno. Dalla disperazione, dalla paura e dalle macerie è possibile costruire qualche cosa di nuovo. Così è stato con l’avvento del Figlio di Dio sulla terra: in una società in disgregazione la novità della presenza di questo bambino diede il via ad un mondo nuovo”. Mons. Boccardo ricorda che la “gente ha bisogno di sicurezza e dignità. Confido che tutte le affermazioni fatte in questi mesi riguardo ad una ricostruzione seria e immediata possano trovare concretizzazione presto e bene. Ogni giorno sperimentiamo una rete enorme di solidarietà e di aiuto: tanti si fanno presenti e offrono collaborazione. È un bell’abbraccio di fraternità e vicinanza”. Per Natale pronto il Campo Caritas Un primo segno in questa direzione è l’avvio del Campo Caritas nei terreni adiacenti la Madonna delle Grazie a Norcia, ubicata lungo l’antica mulattiera per Ascoli Piceno. È stata eretta sulla preesistente edicola campestre nota come Madonna della Vaglie. Accanto alla chiesa c’è un convento con ampio recinto: fino al 1961 ha ospitato i Cappuccini, poi alcuni monaci benedettini dell’abbazia di S. Girolamo di Emmaus di Praga. Nei primi anni novanta del ‘900 è stato acquistato dalla Diocesi, in quanto l’arcivescovo Antonio Ambrosanio sognava una casa per i giovani dove svolgere campi scuola e incontri di formazione per i ragazzi e le ragazze di Spoleto-Norcia, futuro e speranza della Chiesa spoletino-nursina. Sogno che si è realizzato nel corso degli ultimi venti anni. Dopo il terremoto del 30 ottobre, la chiesa si è letteralmente sbriciolata e il grande convento è da abbattere e ricostruire. Ma la Madonna delle Grazie torna ad essere il luogo del sogno di una comunità gravemente ferita dal terremoto. L’arcivescovo Renato, insieme al presbiterio diocesano, ha voluto che lì sorgesse il Campo Caritas e il Centro di Comunità. Vi sono stati posizionati quattro container per ospitare i volontari della diocesi di Spoleto-Norcia, di quelle dell’Umbria e di quelle italiane - tantissime già le richieste pervenute - che si alterneranno nel servizio di sostegno morale e materiale alle persone. In una tensostruttura di 150 metri quadrati è stato allestito un emporio della solidarietà: sarà il punto di distribuzione dei generi di prima necessità che vengono portati dai magazzini Caritas di Spoleto. Nella stessa area sorgerà (nei primi mesi del 2017) il Centro di Comunità di Caritas Italiana: una struttura di legno per le celebrazioni eucaristiche, le attività pastorali, momenti di aggregazione e festa. Accanto al Centro Caritas, si sono trasferiti a vivere, con il loro camper, il parroco di Norcia don Marco Rufini e Rinaldo e Francesca, la coppia di sposi che dai primi di novembre è nelle zone terremotate a nome di Caritas Umbria per ascoltare e portare speranza tra la gente. Il logo del Campo Caritas è la scenda della lavanda dei piedi, gesto compiuto da Gesù ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena, che ben indica lo stile di servizio e di carità della Chiesa. Insomma, la Madonna delle Grazie diventerà il centro pastorale di Norcia per tutto il tempo della ricostruzione, il luogo del sogno come lo aveva immaginato mons. Ambrosanio.   Aiuti da Siena e l’udienza dal Papa Un importante aiuto al patrimonio artistico della Diocesi compromesso dal terremoto arriva invece dall’Opera del Duomo di Siena, la diocesi retta da mons. Antonio Buoncristiani che ha le sue origini proprio nella Chiesa spoletina, a Cerreto di Spoleto. Dal 23 dicembre 2016 al 29 ottobre 2017 la cripta della cattedrale della città toscana ospiterà la mostra “La Bellezza ferita. Norcia, Earth Heart Art Quake. La Speranza rinasce dai capolavori della città di San Benedetto”. Si tratta di un’esposizione documentaria che racconta la “ferita” subita dal patrimonio culturale della zona di Norcia, in seguito al forte terremoto che il 26 e 30 ottobre 2016 ha devastato tutte le chiese della città e dintorni. Il percorso della mostra prevede un itinerario con i capolavori prima custoditi all’interno di basiliche, santuari e pievi del territorio, con una serie di video concessi dai vigili del fuoco, e con materiali fotografici di fotoreporter locali, relativi alle fasi di recupero delle opere dopo il terremoto. La mostra è stata realizzata in collaborazione con la Soprintendenza dell’Umbria. I promotori e gli organizzatori hanno destinato un contributo economico all’archidiocesi di Spoleto-Norcia per le fasi di restauro e ricostruzione.  Intanto il 5 gennaio prossimo papa Francesco nell’Aula Paolo VI riceverà in udienza speciale i terremotati delle Diocesi inserite nel cosiddetto cratere.   Le celebrazioni di Natale Mons. Boccardo presiederà le celebrazioni di Natale in Valnerina. Sabato 24 dicembre a mezzanotte nella tensostruttura adibita a Centro pastorale. Domenica 25 dicembre, invece, a Cascia (11.30, tensostruttura di piazza Dante) e a Preci (15.00, Centro di Comunità Caritas). Nel prepararsi a queste importanti celebrazioni l’Arcivescovo ricorda la presenza del pinnacolo della basilica di San Benedetto a fianco del presepe in piazza San Pietro in Vaticano: “È il segno delle nostre chiese distrutte che indica, oltre al bisogno della ricostruzione, un richiamo all’Europa chiamata a riscoprire le proprie radici cristiane che l’hanno generata e sostenuta. Perché non pensare – conclude mons. Boccardo - che da piazza San Pietro parta questo messaggio per il Continente Europeo: ritrovare le radici cristiane per continuare a costruire una società che sia degna dell’uomo e dunque, per noi credenti, anche degna di Dio?”.  ]]>
convegno

Perché non pensare che anche questo Natale vissuto nelle difficoltà che ben conosciamo a causa del terremoto non possa segnare l’inizio di una rinascita materiale (abbiamo bisogno di case e di chiese) e interiore fatta di solidarietà, di accoglienza reciproca, di collaborazione, di sostegno per guardare avanti insieme e con forza? È l’augurio che mi sento di formulare per il prossimo Natale”. Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, si appresta a celebrare il ricordo della nascita di Gesù. “Affronteremo un Natale - prosegue - nella precarietà, nella fragilità e nella trepidazione. In mezzo a tutto questo, però, la speranza non è mai venuta meno. Dalla disperazione, dalla paura e dalle macerie è possibile costruire qualche cosa di nuovo. Così è stato con l’avvento del Figlio di Dio sulla terra: in una società in disgregazione la novità della presenza di questo bambino diede il via ad un mondo nuovo”. Mons. Boccardo ricorda che la “gente ha bisogno di sicurezza e dignità. Confido che tutte le affermazioni fatte in questi mesi riguardo ad una ricostruzione seria e immediata possano trovare concretizzazione presto e bene. Ogni giorno sperimentiamo una rete enorme di solidarietà e di aiuto: tanti si fanno presenti e offrono collaborazione. È un bell’abbraccio di fraternità e vicinanza”. Per Natale pronto il Campo Caritas Un primo segno in questa direzione è l’avvio del Campo Caritas nei terreni adiacenti la Madonna delle Grazie a Norcia, ubicata lungo l’antica mulattiera per Ascoli Piceno. È stata eretta sulla preesistente edicola campestre nota come Madonna della Vaglie. Accanto alla chiesa c’è un convento con ampio recinto: fino al 1961 ha ospitato i Cappuccini, poi alcuni monaci benedettini dell’abbazia di S. Girolamo di Emmaus di Praga. Nei primi anni novanta del ‘900 è stato acquistato dalla Diocesi, in quanto l’arcivescovo Antonio Ambrosanio sognava una casa per i giovani dove svolgere campi scuola e incontri di formazione per i ragazzi e le ragazze di Spoleto-Norcia, futuro e speranza della Chiesa spoletino-nursina. Sogno che si è realizzato nel corso degli ultimi venti anni. Dopo il terremoto del 30 ottobre, la chiesa si è letteralmente sbriciolata e il grande convento è da abbattere e ricostruire. Ma la Madonna delle Grazie torna ad essere il luogo del sogno di una comunità gravemente ferita dal terremoto. L’arcivescovo Renato, insieme al presbiterio diocesano, ha voluto che lì sorgesse il Campo Caritas e il Centro di Comunità. Vi sono stati posizionati quattro container per ospitare i volontari della diocesi di Spoleto-Norcia, di quelle dell’Umbria e di quelle italiane - tantissime già le richieste pervenute - che si alterneranno nel servizio di sostegno morale e materiale alle persone. In una tensostruttura di 150 metri quadrati è stato allestito un emporio della solidarietà: sarà il punto di distribuzione dei generi di prima necessità che vengono portati dai magazzini Caritas di Spoleto. Nella stessa area sorgerà (nei primi mesi del 2017) il Centro di Comunità di Caritas Italiana: una struttura di legno per le celebrazioni eucaristiche, le attività pastorali, momenti di aggregazione e festa. Accanto al Centro Caritas, si sono trasferiti a vivere, con il loro camper, il parroco di Norcia don Marco Rufini e Rinaldo e Francesca, la coppia di sposi che dai primi di novembre è nelle zone terremotate a nome di Caritas Umbria per ascoltare e portare speranza tra la gente. Il logo del Campo Caritas è la scenda della lavanda dei piedi, gesto compiuto da Gesù ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena, che ben indica lo stile di servizio e di carità della Chiesa. Insomma, la Madonna delle Grazie diventerà il centro pastorale di Norcia per tutto il tempo della ricostruzione, il luogo del sogno come lo aveva immaginato mons. Ambrosanio.   Aiuti da Siena e l’udienza dal Papa Un importante aiuto al patrimonio artistico della Diocesi compromesso dal terremoto arriva invece dall’Opera del Duomo di Siena, la diocesi retta da mons. Antonio Buoncristiani che ha le sue origini proprio nella Chiesa spoletina, a Cerreto di Spoleto. Dal 23 dicembre 2016 al 29 ottobre 2017 la cripta della cattedrale della città toscana ospiterà la mostra “La Bellezza ferita. Norcia, Earth Heart Art Quake. La Speranza rinasce dai capolavori della città di San Benedetto”. Si tratta di un’esposizione documentaria che racconta la “ferita” subita dal patrimonio culturale della zona di Norcia, in seguito al forte terremoto che il 26 e 30 ottobre 2016 ha devastato tutte le chiese della città e dintorni. Il percorso della mostra prevede un itinerario con i capolavori prima custoditi all’interno di basiliche, santuari e pievi del territorio, con una serie di video concessi dai vigili del fuoco, e con materiali fotografici di fotoreporter locali, relativi alle fasi di recupero delle opere dopo il terremoto. La mostra è stata realizzata in collaborazione con la Soprintendenza dell’Umbria. I promotori e gli organizzatori hanno destinato un contributo economico all’archidiocesi di Spoleto-Norcia per le fasi di restauro e ricostruzione.  Intanto il 5 gennaio prossimo papa Francesco nell’Aula Paolo VI riceverà in udienza speciale i terremotati delle Diocesi inserite nel cosiddetto cratere.   Le celebrazioni di Natale Mons. Boccardo presiederà le celebrazioni di Natale in Valnerina. Sabato 24 dicembre a mezzanotte nella tensostruttura adibita a Centro pastorale. Domenica 25 dicembre, invece, a Cascia (11.30, tensostruttura di piazza Dante) e a Preci (15.00, Centro di Comunità Caritas). Nel prepararsi a queste importanti celebrazioni l’Arcivescovo ricorda la presenza del pinnacolo della basilica di San Benedetto a fianco del presepe in piazza San Pietro in Vaticano: “È il segno delle nostre chiese distrutte che indica, oltre al bisogno della ricostruzione, un richiamo all’Europa chiamata a riscoprire le proprie radici cristiane che l’hanno generata e sostenuta. Perché non pensare – conclude mons. Boccardo - che da piazza San Pietro parta questo messaggio per il Continente Europeo: ritrovare le radici cristiane per continuare a costruire una società che sia degna dell’uomo e dunque, per noi credenti, anche degna di Dio?”.  ]]>
Dopo il Referendum. Voto cattolico: univoco allineato o pluralista divergente? https://www.lavoce.it/voto-cattolico-univoco-allineato-o-pluralista-divergente/ Fri, 16 Dec 2016 16:08:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48100

Potrà sembrare strano, ma ci sono ancora cattolici che si chiedono se il loro è un voto da “cristiani”. Ma cosa significa votare cristianamente o da cattolici? Abitualmente vi sono due linee di pensiero generiche, tra di loro contrastanti. C’è chi pensa che il voto di un cattolico debba esprimere uniformemente un pensiero univoco dominante. I sostenitori di questa posizione si appellano a una dottrina morale, fatta di princìpi e di valori, che, a loro dire, costituisce il pensiero stesso della Chiesa, al quale ci si deve sempre uniformare in ogni situazione, in particolare dove si richiede l’espressione di un voto politico. Essi infatti, sentono quasi il bisogno indispensabile che la “gerarchia ecclesiale” si schieri politicamente e indichi in modo netto una linea chiara, univoca alla quale tutti i cattolici poi devono uniformarsi. Questa posizione è stata presente soprattutto nel passato italiano, dagli anni ’30 fino agli anni ’70, in quella fase utopica, chiamata “nuova cristianità”, quando si pensava che potesse esistere un solo e univoco partito a rappresentare il pensiero ecclesiale e quindi il pensiero di tutti i cattolici italiani. Ancora oggi vi sono nostalgici di questa posizione, perché essa garantiva una certa sicurezza alle coscienze cristiane, le quali non dovevano far altro che uniformarsi al pensiero e ai desideri della “gerarchia ecclesiale” in ambito sociale e soprattutto politico. Purtroppo questi nostalgici non conoscono o hanno dimenticato che già il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze da questa linea di pensiero ecclesiale, quando nella Gaudium et spes, n. 76, si dichiarava: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori”. Il Concilio ribadiva la libertà e nello stesso tempo la responsabilità di una coscienza cristiana, che è chiamata ad agire “autonomamente”, certo non dai propri princìpi e valori cristiani, ma da qualsiasi sistema dottrinale che imponga una visione oligarchica e autoritaria. Infatti si ribadisce l’indipendenza o, se volete, l’autonomia della Chiesa da qualsiasi sistema politico: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”. Più recentemente il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 573, ha ribadito con maggiore incisività: “Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche, che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo”. L’altra linea di pensiero, più recente, intende il voto politico dei cattolici come un voto totalmente sganciato da ogni riferimento alla fede, ai suoi princìpi morali e ai doveri morali a essa legati. I sostenitori di questa posizione vedono il cattolico fuori dalla Chiesa, cioè come un semplice cittadino, che deve lasciare in chiesa il suo vestito da cristiano e vestire gli abiti della “laicità”, rinunciando alla sua identità cristiana. Questa posizione chiaramente laicista è altrettanto nefasta della precedente, in quanto in modo evidente propone una vera e propria finzione alla coscienza, costringendola a una nevrosi intellettuale: essa scinde l’identità cristiana, che al contrario pervade non solo la vita spirituale dell’uomo, ma ogni espressione della sua vita sociale, compresa quella politica. In poche parole, non si può essere cristiani solo in chiesa, ma lo si è soprattutto fuori, se lo si è veramente dentro. Questa posizione è stata altrettanto criticata: “Questa negazione [dell’identità cristiana] non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 572). Come dovrà essere dunque il voto dei cattolici? Libero, consapevole e responsabile. Libero dai pregiudizi, dalle paure, dalle forzature ideologiche; ma non potrà ignorare o dimenticare i princìpi morali della fede, ribaditi dal Magistero ecclesiale, in particolare quando i valori cristiani sono minacciati o totalmente sovvertiti da scelte politiche e legislative. “Consapevole” significa che il cristiano deve formarsi una coscienza critica, informata attentamente sulle questioni politiche, anche le più complesse. Questo richiede che la scelta politica del cristiano, anche se è individuale e personale, non può prescindere - per avere una piena consapevolezza - da quel proficuo dialogo con gli altri cattolici all’interno delle singole comunità cristiane (parrocchie, movimenti, associazioni). Responsabile, infine: si intende che l’espressione libera e consapevole del proprio voto non può essere un semplice subire la moda del momento, o un adempiere asetticamente a un dovere morale, ma deve esprimere la presa di coscienza responsabile della propria partecipazione attiva alla costruzione di una società migliore, fondata sul bene comune e sul rispetto della dignità di ogni essere umano, princìpi e valori fondamentali della fede e di una società civile. Infine, rispondendo alla domanda del titolo, un sano pluralismo è l’anima stessa della Chiesa; dove le divergenze sono ricchezza e opportunità di crescita, se ricondotte all’unità dei princìpi e dei valori morali contenuti nel Vangelo ed espressi nell’unica fede in Cristo.  ]]>

Potrà sembrare strano, ma ci sono ancora cattolici che si chiedono se il loro è un voto da “cristiani”. Ma cosa significa votare cristianamente o da cattolici? Abitualmente vi sono due linee di pensiero generiche, tra di loro contrastanti. C’è chi pensa che il voto di un cattolico debba esprimere uniformemente un pensiero univoco dominante. I sostenitori di questa posizione si appellano a una dottrina morale, fatta di princìpi e di valori, che, a loro dire, costituisce il pensiero stesso della Chiesa, al quale ci si deve sempre uniformare in ogni situazione, in particolare dove si richiede l’espressione di un voto politico. Essi infatti, sentono quasi il bisogno indispensabile che la “gerarchia ecclesiale” si schieri politicamente e indichi in modo netto una linea chiara, univoca alla quale tutti i cattolici poi devono uniformarsi. Questa posizione è stata presente soprattutto nel passato italiano, dagli anni ’30 fino agli anni ’70, in quella fase utopica, chiamata “nuova cristianità”, quando si pensava che potesse esistere un solo e univoco partito a rappresentare il pensiero ecclesiale e quindi il pensiero di tutti i cattolici italiani. Ancora oggi vi sono nostalgici di questa posizione, perché essa garantiva una certa sicurezza alle coscienze cristiane, le quali non dovevano far altro che uniformarsi al pensiero e ai desideri della “gerarchia ecclesiale” in ambito sociale e soprattutto politico. Purtroppo questi nostalgici non conoscono o hanno dimenticato che già il Concilio Vaticano II aveva preso le distanze da questa linea di pensiero ecclesiale, quando nella Gaudium et spes, n. 76, si dichiarava: “È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro Pastori”. Il Concilio ribadiva la libertà e nello stesso tempo la responsabilità di una coscienza cristiana, che è chiamata ad agire “autonomamente”, certo non dai propri princìpi e valori cristiani, ma da qualsiasi sistema dottrinale che imponga una visione oligarchica e autoritaria. Infatti si ribadisce l’indipendenza o, se volete, l’autonomia della Chiesa da qualsiasi sistema politico: “La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”. Più recentemente il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al n. 573, ha ribadito con maggiore incisività: “Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche, che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa: la sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo”. L’altra linea di pensiero, più recente, intende il voto politico dei cattolici come un voto totalmente sganciato da ogni riferimento alla fede, ai suoi princìpi morali e ai doveri morali a essa legati. I sostenitori di questa posizione vedono il cattolico fuori dalla Chiesa, cioè come un semplice cittadino, che deve lasciare in chiesa il suo vestito da cristiano e vestire gli abiti della “laicità”, rinunciando alla sua identità cristiana. Questa posizione chiaramente laicista è altrettanto nefasta della precedente, in quanto in modo evidente propone una vera e propria finzione alla coscienza, costringendola a una nevrosi intellettuale: essa scinde l’identità cristiana, che al contrario pervade non solo la vita spirituale dell’uomo, ma ogni espressione della sua vita sociale, compresa quella politica. In poche parole, non si può essere cristiani solo in chiesa, ma lo si è soprattutto fuori, se lo si è veramente dentro. Questa posizione è stata altrettanto criticata: “Questa negazione [dell’identità cristiana] non può essere accolta da alcuna forma di legittimo pluralismo, perché mina le basi stesse della convivenza umana” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 572). Come dovrà essere dunque il voto dei cattolici? Libero, consapevole e responsabile. Libero dai pregiudizi, dalle paure, dalle forzature ideologiche; ma non potrà ignorare o dimenticare i princìpi morali della fede, ribaditi dal Magistero ecclesiale, in particolare quando i valori cristiani sono minacciati o totalmente sovvertiti da scelte politiche e legislative. “Consapevole” significa che il cristiano deve formarsi una coscienza critica, informata attentamente sulle questioni politiche, anche le più complesse. Questo richiede che la scelta politica del cristiano, anche se è individuale e personale, non può prescindere - per avere una piena consapevolezza - da quel proficuo dialogo con gli altri cattolici all’interno delle singole comunità cristiane (parrocchie, movimenti, associazioni). Responsabile, infine: si intende che l’espressione libera e consapevole del proprio voto non può essere un semplice subire la moda del momento, o un adempiere asetticamente a un dovere morale, ma deve esprimere la presa di coscienza responsabile della propria partecipazione attiva alla costruzione di una società migliore, fondata sul bene comune e sul rispetto della dignità di ogni essere umano, princìpi e valori fondamentali della fede e di una società civile. Infine, rispondendo alla domanda del titolo, un sano pluralismo è l’anima stessa della Chiesa; dove le divergenze sono ricchezza e opportunità di crescita, se ricondotte all’unità dei princìpi e dei valori morali contenuti nel Vangelo ed espressi nell’unica fede in Cristo.  ]]>
Dopo il Referendum. Nuovo attivismo dei cattolici in politica? Non proprio https://www.lavoce.it/macche-nuovo-attivismo-dei-cattolici-in-politica/ Fri, 16 Dec 2016 15:34:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48098

Con il movimento di Todi (2011-2013), supporto superfluo allo strapotere quirinalizio (agito nel caso da Giorgio Napolitano e incarnato – maluccio – da Monti), il rapporto tra cattolici e politica è tornato ai tempi del “patto Gentiloni”. Le autorità ecclesiastiche promettono appoggio al potente di turno prestando qualche volto - ricompensato da una buona prebenda - in cambio di legislazioni o elargizioni. Non funzionò né nel 1913 né nel ’23-24, ma la coazione a ripetere è un male pressoché incurabile. Con Renzi (2013-2016) la figura dell’“indipendente” di successo ha raggiunto i suoi massimi. Renzi, giurando laicità, ha posto il giusto sigillo sull’annichilimento di ogni possibilità di “cattolicesimo politico”. “Neoclericali” o “indipendenti”, la formula è la stessa: massimo di visibilità, minimo di rilevanza. Massimo di visibilità dei cattolici in politica, minimo di rilevanza del cattolicesimo per la politica. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. Di questa formula esiste una declinazione movimentista e una da salotto, una declinazione di destra (i “valori non negoziabili”) e una di sinistra (oggi in salsa “peronista”), ma la sostanza non cambia. Dalla vita della Chiesa è stato cancellato anche il nome dell’apostolato dei laici; e nonostante i formali ossequi al Concilio, i Pastori preferiscono indeterminate aggregazioni laicali. Così il laico crede di essere impegnato quando si impegna in “pastorale”, che invece è l’apostolato dei Pastori, e quando fa il cittadino si affida ai dogmi della laicità. Ma con la laicità il laicato cattolico evapora. Ne restano solo fumi, vaghi ricordi e cartacce come il giorno dopo sui prati che hanno ospitato i grandi raduni religiosi. Se tagli la radice, l’albero si secca. Le radici della rilevanza politica del cattolicesimo per la verità erano due. L’altra era quella del cattolicesimo politico italiano: cattolici organizzati politicamente (corrente, gruppo, partito: poco importa), autonomi da poteri ecclesiastici e da altri poteri, politici e non politici. Cattolici che fanno politica con alcuni (anche non cattolici) e in competizione con altri (anche cattolici), che hanno scopi e non hanno orrore del compromesso, ma che, sotto una certa soglia, non accettano compromessi. Liberi nella politica perché liberi dalla politica. Senza autonomia organizzativa e ideale, non si dà né autonomia in politica né selezione di gruppi dirigenti politici; insomma, non si dà rilevanza politica. Si badi, per essere rilevanti in politica non è assolutamente necessario che i cattolici siano uniti. Tanti sono stati i cattolicesimi politici. L’unico che ha sfiorato l’unità politica dei cattolici è stato il “popolare” De Gasperi (minoranza anche nella Dc) che considerò l’unità politica dei cattolici un effetto del programma, e non viceversa. Le condizioni interne e internazionali lo aiutarono non poco, ma questa è la lezione della Storia (se mai la Storia dà lezioni). Il referendum del 4 dicembre, e il suo esito - sciagurato, per chi scrive -, non è altro che la tappa più recente della irrilevanza politica del cattolicesimo italiano. La riforma era brutta e l’Italicum tutt’altro che buono, ma insieme avrebbero tenuto aperta una strada che oggi i “no” hanno sbarrato. Prima del referendum la Cei ha detto “informatevi”: che sforzo di immaginazione! La civiltà cattolica ha chiamato “discernimento” una cosa che è meglio non qualificare. Le parrocchie hanno ospitato confronti come affittano il campo da calcetto. Le “aggregazioni” hanno seguito ciascuna i propri istinti, o le rabbie, o le convenienze. Riflessioni nel merito? Zero. Iniziativa? Meno che zero. Un po’ voyerismo, un po’ opportunismo. Il risultato? Una vita ecclesiale più disincarnata, sempre più ridotta a intrattenimento religioso. Una vita politica nazionale sempre più affetta da involuzione. Venticinque anni fa, con Scoppola e Ruffilli, con la Fuci e tanta parte delle Acli e dell’Azione cattolica, con la Cisl, il cattolicesimo italiano aveva aperto e guidato la via delle riforme istituzionali, e all’inizio con successo. Il suo senso era avere meno politica e migliore politica. Il suo scopo era restituire lo scettro politico all’elettore (alternanza, competizione politica, primarie, ecc.). La resistenza della “repubblica dei partiti” si è arroccata intorno al Quirinale: dai ribaltoni di Scalfaro ai governi di Napolitano, all’attuale melina di Mattarella. Era legittimo che si difendessero, era necessario che fossero combattuti meglio. Segni, Berlusconi, Bossi, Prodi (poco), Veltroni (per un attimo) e Renzi ci hanno provato. Renzi è stato il migliore (giudizio relativo, ovviamente), ma neppure lui è stato all’altezza della prova. Ha perso. (Gli è servito recidere ogni legame con il cattolicesimo politico?). In questi venticinque anni tanti cattolici italiani si sono schierati dietro o “sotto” il Quirinale (senza pretese di rilevanza), tanti altri hanno ispirato e guidato la battaglia per le riforme. Oggi quelli stanno vincendo e questi perdendo; e così siamo tornati alla Prima Repubblica. La lezione è chiara, e per nulla nuova. In un Paese come l’Italia, senza cattolicesimo politico è difficile che si affermi una prospettiva riformista. E senza cattolicesimo politico è difficile che la ecclesia non si riduca a tempio, a intrattenimento religioso. Solo se c’è apostololato laicale c’è ecclesia.]]>

Con il movimento di Todi (2011-2013), supporto superfluo allo strapotere quirinalizio (agito nel caso da Giorgio Napolitano e incarnato – maluccio – da Monti), il rapporto tra cattolici e politica è tornato ai tempi del “patto Gentiloni”. Le autorità ecclesiastiche promettono appoggio al potente di turno prestando qualche volto - ricompensato da una buona prebenda - in cambio di legislazioni o elargizioni. Non funzionò né nel 1913 né nel ’23-24, ma la coazione a ripetere è un male pressoché incurabile. Con Renzi (2013-2016) la figura dell’“indipendente” di successo ha raggiunto i suoi massimi. Renzi, giurando laicità, ha posto il giusto sigillo sull’annichilimento di ogni possibilità di “cattolicesimo politico”. “Neoclericali” o “indipendenti”, la formula è la stessa: massimo di visibilità, minimo di rilevanza. Massimo di visibilità dei cattolici in politica, minimo di rilevanza del cattolicesimo per la politica. Non facciamoci ingannare dalle apparenze. Di questa formula esiste una declinazione movimentista e una da salotto, una declinazione di destra (i “valori non negoziabili”) e una di sinistra (oggi in salsa “peronista”), ma la sostanza non cambia. Dalla vita della Chiesa è stato cancellato anche il nome dell’apostolato dei laici; e nonostante i formali ossequi al Concilio, i Pastori preferiscono indeterminate aggregazioni laicali. Così il laico crede di essere impegnato quando si impegna in “pastorale”, che invece è l’apostolato dei Pastori, e quando fa il cittadino si affida ai dogmi della laicità. Ma con la laicità il laicato cattolico evapora. Ne restano solo fumi, vaghi ricordi e cartacce come il giorno dopo sui prati che hanno ospitato i grandi raduni religiosi. Se tagli la radice, l’albero si secca. Le radici della rilevanza politica del cattolicesimo per la verità erano due. L’altra era quella del cattolicesimo politico italiano: cattolici organizzati politicamente (corrente, gruppo, partito: poco importa), autonomi da poteri ecclesiastici e da altri poteri, politici e non politici. Cattolici che fanno politica con alcuni (anche non cattolici) e in competizione con altri (anche cattolici), che hanno scopi e non hanno orrore del compromesso, ma che, sotto una certa soglia, non accettano compromessi. Liberi nella politica perché liberi dalla politica. Senza autonomia organizzativa e ideale, non si dà né autonomia in politica né selezione di gruppi dirigenti politici; insomma, non si dà rilevanza politica. Si badi, per essere rilevanti in politica non è assolutamente necessario che i cattolici siano uniti. Tanti sono stati i cattolicesimi politici. L’unico che ha sfiorato l’unità politica dei cattolici è stato il “popolare” De Gasperi (minoranza anche nella Dc) che considerò l’unità politica dei cattolici un effetto del programma, e non viceversa. Le condizioni interne e internazionali lo aiutarono non poco, ma questa è la lezione della Storia (se mai la Storia dà lezioni). Il referendum del 4 dicembre, e il suo esito - sciagurato, per chi scrive -, non è altro che la tappa più recente della irrilevanza politica del cattolicesimo italiano. La riforma era brutta e l’Italicum tutt’altro che buono, ma insieme avrebbero tenuto aperta una strada che oggi i “no” hanno sbarrato. Prima del referendum la Cei ha detto “informatevi”: che sforzo di immaginazione! La civiltà cattolica ha chiamato “discernimento” una cosa che è meglio non qualificare. Le parrocchie hanno ospitato confronti come affittano il campo da calcetto. Le “aggregazioni” hanno seguito ciascuna i propri istinti, o le rabbie, o le convenienze. Riflessioni nel merito? Zero. Iniziativa? Meno che zero. Un po’ voyerismo, un po’ opportunismo. Il risultato? Una vita ecclesiale più disincarnata, sempre più ridotta a intrattenimento religioso. Una vita politica nazionale sempre più affetta da involuzione. Venticinque anni fa, con Scoppola e Ruffilli, con la Fuci e tanta parte delle Acli e dell’Azione cattolica, con la Cisl, il cattolicesimo italiano aveva aperto e guidato la via delle riforme istituzionali, e all’inizio con successo. Il suo senso era avere meno politica e migliore politica. Il suo scopo era restituire lo scettro politico all’elettore (alternanza, competizione politica, primarie, ecc.). La resistenza della “repubblica dei partiti” si è arroccata intorno al Quirinale: dai ribaltoni di Scalfaro ai governi di Napolitano, all’attuale melina di Mattarella. Era legittimo che si difendessero, era necessario che fossero combattuti meglio. Segni, Berlusconi, Bossi, Prodi (poco), Veltroni (per un attimo) e Renzi ci hanno provato. Renzi è stato il migliore (giudizio relativo, ovviamente), ma neppure lui è stato all’altezza della prova. Ha perso. (Gli è servito recidere ogni legame con il cattolicesimo politico?). In questi venticinque anni tanti cattolici italiani si sono schierati dietro o “sotto” il Quirinale (senza pretese di rilevanza), tanti altri hanno ispirato e guidato la battaglia per le riforme. Oggi quelli stanno vincendo e questi perdendo; e così siamo tornati alla Prima Repubblica. La lezione è chiara, e per nulla nuova. In un Paese come l’Italia, senza cattolicesimo politico è difficile che si affermi una prospettiva riformista. E senza cattolicesimo politico è difficile che la ecclesia non si riduca a tempio, a intrattenimento religioso. Solo se c’è apostololato laicale c’è ecclesia.]]>
Rifugiati: i dati veri https://www.lavoce.it/46723/ Thu, 14 Jul 2016 09:00:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46723 Presentato-sito-Rifugiati-in-Umbria_Anci_CMYKQuanti sono i rifugiati accolti in Umbria? Dove e come sono collocati? Da oggi sarà possibile rispondere a queste domande in maniera veloce, attendibile e facilmente fruibile da tutti grazie al nuovo portale web “Rifugiati in Umbria” (www. rifugiati-anciumbria.it) firmato dall’Anci (Associazione Comuni) e presentato martedì mattina presso la sede di Perugia.
Uno spazio virtuale, diviso in numerose sezioni tematiche con dati aggiornati al 31 dicembre 2015, dove confluiscono informazioni, dati statistici e approfondimenti a tutto tondo sul tema dell’accoglienza in Umbria: flussi migratori, progetti di assistenza, esperienze, servizi offerti, enti coinvolti e molto altro. Il tutto con un aggiornamento costante ogni sei mesi per evidenziare punti di forza e criticità del “modello umbro”.
“La nostra regione – ha evidenziato il coordinatore della Consulta immigrazione Anci Umbria e sindaco di Panicale, Giulio Cherubini – può vantare un sistema di accoglienza considerato un ‘modello’, in quanto caratterizzato da servizi diffusi su tutto il territorio. Grazie a questo portale, tutti potranno appurarlo e accedere a un’informazione di qualità che contrasti anche la diffusione di notizie spesso frammentarie, confuse e distorte”.
In numeri, per i richiedenti asilo il “modello umbro” conta 11 progetti attivi, di cui 6 per categorie ordinarie, 3 per minori non accompagnati, 2 per persone con disagio mentale o disabilità, per un totale di 370 posti di accoglienza e 7 enti locali umbri titolari (Perugia, Terni, Narni, Marsciano, Foligno, Spoleto, Panicale). A cui a breve si andranno ad aggiungere altri 4 progetti in altrettanti Comuni del territorio.
L’Umbria è stata tra le prime regioni d’Italia ad entrare nella rete nazionale, aderendo nel 2001 al Programma nazionale asilo (Pna) con il Comune di Perugia e Todi; da allora il numero degli assistiti è costantemente cresciuto.
Vanno poi aggiunti i migranti che appartengono ai cosiddetti “flussi straordinari”, arrivati negli ultimi due anni nella nostra regione a seguito del forte intensificarsi del fenomeno migratorio. Parliamo – stando ai dati forniti dalle prefetture di Perugia e Terni al 7 luglio – di 1.610 presenze in provincia di Perugia accolte in 29 Comuni, e 407 nella provincia di Terni accolte in 12 Comuni. “Ma parlare di ‘flussi straordinari’ è diventato ormai un errore – ha spiegato il vice prefetto vicario di Perugia, Tiziana Tombesi -. Dobbiamo abbandonare l’idea di interventi di tipo emergenziale: le migrazioni sono un processo strutturale stabile, e come tali vanno affrontate. L’Umbria è chiamata a farsi carico dell’1,85% del totale nazionale di migranti accolti. Una percentuale che, se ripartita fra tutti i 59 Comuni del territorio, o comunque fra la maggior parte, permetterebbe di evitare senza problemi situazioni di eccessivo stress a cui, invece, sono sottoposti determinati territori”.
“L’altro grande nodo da affrontare – ha concluso Edi Cicchi, presidente della commissione Welfare e politiche sociali di Anci nazionale, coordinatrice della consulta Welfare e politiche sociali di Anci Umbria e assessore del Comune di Perugia – è quello di gestire l’uscita di queste persone dai progetti Sprar e di accoglienza, garantendo loro assistenza, servizi e l’inserimento lavorativo”.

]]>
La Quaresima e l’arte del digiuno “ben fatto” https://www.lavoce.it/la-quaresima-e-larte-del-digiuno-ben-fatto/ Mon, 22 Feb 2016 09:16:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45469 pane-cmykApparentemente può sembrare una richiesta arcaica o legata a una cultura ‘auto-punitiva’; in realtà, proprio negli ultimi anni, l’abitudine di privarsi di alcuni alimenti o di non mangiare per brevi intervalli di tempo è diventata una tecnica per dialogare con se stessi e, contemporaneamente, per comunicare al mondo la propria identità”, ha riconosciuto Scott Hutchins, pubblicista e artista americano, sul Corriere della sera, in margine all’iniziativa quaresimale presa lo scorso anno da Papa Francesco, per poi aggiungere: il digiuno è “un segnale molto forte di ribellione… un gesto rivoluzionario contro le schiavitù dei nostri tempi”.

Gli faceva eco il card. Gianfranco Ravasi, scrivendo che il digiuno è “un archetipo universale, presente nelle varie religioni e significativo anche nel mondo laico”, che di fatto non ha mancato di dare la propria convinta adesione all’iniziativa del Pontefice.

Diciamo subito che la disciplina ecclesiastica in merito ha registrato delle attenuazioni che, di fatto, hanno finito per svuotare questa pratica di tutta la sua incidenza nel vissuto cristiano. Soprattutto in ambito monastico, il digiuno comportava sostanzialmente un unico pasto, sia pure frugale e senza uso di carni rosse, che veniva spostato nel primo pomeriggio, così da essere intermedio tra pranzo e cena. Formula alternativa era quella di assumere una triplice modalità: o totale astensione dal cibo nell’arco di una giornata, o ricorso a sola frutta oppure pane e acqua. Queste due ultime modalità favorivano un minimo di apporto energetico, senza con questo risultare sazievoli.

Con l’andare del tempo si cominciò a dire: arrivare dal risveglio alle 3 del pomeriggio per il consueto, sia pure sobrio, pranzo è un lasso di tempo eccessivo; facciamo una piccola colazione, che venne eufemisticamente definita frustulum. Si dovette poi convenire, secondo il proverbio “chi va a letto senza cena, tutta notte si dimena”, che dalle 3 del pomeriggio alla prima colazione del giorno dopo l’intervallo era eccessivo, quindi si provvide con una coenula, una pudica cenetta.

Di questo passo la disciplina si venne svuotando di tutto il suo significato. Si aggiunga che, con il tramonto di una cultura sostanzialmente agricola, anche la celebrazione delle “quattro tempora” andò in disuso. Questa comportava le cosiddette “rogazioni”, ossia riti propiziatori delle benedizioni divine sulla campagna allo scadere delle quattro stagioni, accompagnati da pratiche penitenziali soprattutto il mercoledì, il venerdì e il sabato.

Dobbiamo riconoscere che, se da parte confessionale il digiuno ha conosciuto una sorta di eclisse, da parte laica si è venuto via via imponendo, considerato lo scorretto rapporto con cibi e bevande che purtroppo caratterizza la nostra società opulenta.

Volendo quindi ridare vigore a tale pratica, quali concreti suggerimenti possiamo formulare? Ci soffermeremo su una duplice serie di considerazioni. Anzitutto relative al digiuno propriamente alimentare, poi ad altre forme alternative e/o integrative di “digiuno” – altrimenti detto, di sobrietà, di moderazione – che si impongono nel mondo d’oggi in considerazione di un’ecologia non puramente cosmica, ma anzitutto umana e sociale.

Quanto al digiuno alimentare, suggeriamo come primo impegno di osservarsi mentre mangiamo! Facciamone un esercizio ascetico, e vedremo quante cose ci rivela di noi stessi. Per non dire che simile osservazione inciderà sul ritmo con cui assumiamo cibi e bevande, ritmo che è la prima regola dietetica se vogliamo che il cibo sia la nostra prima medicina. Nel box qui sotto compare il Decalogo a mensa: fatene una copia e portatela a tavola.

Sugli altri digiuni rimandiamo a una recente pubblicazione (8 digiuni per vivere meglio… e salvare il pianeta, ed. Àncora) che ne tratta in modo essenziale e pertinente. Eccone l’elenco, già di sua natura molto eloquente: verbale, informatico, visivo, uditivo, anti-consumista, ludico e dalla fretta.

 

Decalogo a mensa – Il giusto mangia per nutrire l’anima

1. Porsi in stato di consapevolezza, così da rendersi coscienti di ogni aspetto di quanto stiamo vivendo, nonché della natura, della preparazione, del gusto dei cibi. Mangiando consapevolmente vedremo che ogni pasto si trasforma in un rituale. Per favorire tutto ciò, può essere utile fare silenzio a mensa, almeno una volta alla settimana (ad esempio il venerdì).

2. Osservarsi mentre si mangia: in che attitudine ci poniamo nei confronti dei cibi, quantità che ne prendiamo, “volume” dei bocconi, ritmo con cui li assumiamo: pacato, avido, abbuffatorio, a imbuto… La mensa è un test: nel modo con cui mangiamo riveliamo il nostro stato d’animo, il nostro modo di rapportarci con le cose, noi stessi, gli altri.

3. Accogliere, non divorare, considerando gli alimenti come un dono offerto alla nostra gustosa e dilettevole consumazione. Questo favorisce un migliore dosaggio dei cibi e previene la sovralimentazione.

4. Mangiare, trattenendo in bocca e masticando i cibi fino a renderli insipidi, dal momento che la loro sostanza vitale viene ceduta al palato. La prima digestione si verifica in bocca.

5. Trattare i liquidi da solidi e rendere i solidi liquidi, così da essere gustati fino in fondo e deglutiti senza sforzo.

6. Mangiare solo a tavola e non assumere cibo fuori pasto, salvo il caso che si tratti di frutta, che è preferibile scorporare dai pasti e consumare da sola. Ai pasti, disertare il dessert.

7. Bere poco durante i pasti, evitando un’eccessiva diluizione dei succhi gastrici, e bere molto fuori pasto.

8. Si chiamano “posate” perché vanno deposte sulla tavola tra un boccone e un altro, e non brandite come armi con cui combattere la lotta per la fame.

9. Esistono tre bocconi: il boccone della sobrietà (è il boccone di meno, quando ci si allontana da tavola con un residuo di appetito); il boccone della sazietà (quando si raggiunge la misura di cibo sufficiente); il boccone della golosità (è il boccone in più, che prepara le nostre malattie future e che prendiamo a tutto beneficio di medici e medicine). Riempire lo stomaco per un terzo delle sue capacità.

10. Preferire il meno (… grosso, buono, condito, appetitoso) e condividere o cedere agli altri il meglio. Uno degli accorgimenti che vengono suggeriti per moderare l’accesso agli alimenti è quello di evitare i piatti stracolmi, purtroppo oggi di norma nei ristoranti e non solo. Detti piatti possono fornire un surplus calorico che arriva alle 150 calorie per ogni commensale. Di qui l’invito a riempire i piatti (evidentemente normali!) all’80% dei cibi di cui intendiamo servirci.

Ringraziamo. Il cibo infine riveste un significato antropologico, coinvolgendo corpo e spirito, nonché la dimensione sensoriale/affettiva, e simbolico, unendo convivialità a sacralità. La mensa è il luogo dove sperimentiamo la Provvidenza che regola l’ordine cosmico e nel contempo beneficiamo di un’opportunità che affratella. Di conseguenza, prima e dopo i pasti invochiamo e trasmettiamo (con l’imposizione delle mani sulle vivande) la benedizione divina, ringraziando con il cuore il Padre celeste, datore d’ogni bene; il Creato che ci offre gli alimenti, e l’Uomo che li coltiva, li trasforma,e ce li offre.

]]>
L’appello dei rifugiati la risposta del Vangelo https://www.lavoce.it/lappello-dei-rifugiati-la-risposta-del-vangelo/ Fri, 15 Jan 2016 22:11:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45012 migrantiSi intitola Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2016, che si celebra questa domenica, 17 gennaio.

Nel testo, Bergoglio richiama subito il fatto che il Giubileo da poco iniziato ci chiama “a tenere fisso lo sguardo sulla Misericordia, per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre”. Per poi proseguire con una serie di dati sociologici che fanno riflettere: “Nella nostra epoca i flussi migratori sono in continuo aumento in ogni area del pianeta: profughi e persone in fuga dalle loro patrie interpellano i singoli e le collettività, sfidando il tradizionale modo di vivere e, talvolta, sconvolgendo l’orizzonte culturale e sociale con cui vengono a confronto. Sempre più spesso le vittime della violenza e della povertà, abbandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltraggio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso il sogno di un futuro migliore. Se poi sopravvivono agli abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dove si annidano sospetti e paure. Non di rado, infine, incontrano la carenza di normative chiare e praticabili, che regolino l’accoglienza e prevedano itinerari di integrazione a breve e a lungo termine, con attenzione ai diritti e ai doveri di tutti”.

In sostanza, “i flussi migratori sono ormai una realtà strutturale ”, perciò “la prima questione che si impone riguarda il superamento della fase di emergenza per dare spazio a programmi che tengano conto delle cause delle migrazioni, dei cambiamenti che si producono e delle conseguenze che imprimono volti nuovi alle società e ai popoli” [corsivi nostri.

Si chiede quindi: “Come fare in modo che l’integrazione diventi vicendevole arricchimento, apra positivi percorsi alle comunità e prevenga il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia?… La Rivelazione biblica incoraggia l’accoglienza dello straniero, motivandola con la certezza che così facendo si aprono le porte a Dio e nel volto dell’altro si manifestano i tratti di Gesù Cristo”. In concreto, “molte istituzioni, associazioni, movimenti, gruppi impegnati, organismi diocesani, nazionali e internazionali sperimentano lo stupore e la gioia della festa dell’incontro, dello scambio e della solidarietà… Eppure non cessano di moltiplicarsi anche i dibattiti sulle condizioni e sui limiti da porre all’accoglienza, non solo nelle politiche degli Stati, ma anche in alcune comunità parrocchiali che vedono minacciata la tranquillità tradizionale…

Di fronte a tali questioni, come può agire la Chiesa se non ispirandosi all’esempio e alle parole di Gesù Cristo? La risposta del Vangelo è la misericordia”.

Francesco offre alcuni esempi di risposta cristiana alla crisi migratoria, che non consiste solo nel creare leggi e strutture: “La cura di buoni contatti personali e la capacità di superare pregiudizi e paure sono ingredienti essenziali per coltivare la cultura dell’incontro, dove si è disposti non solo a dare, ma anche a ricevere dagli altri. L’ospitalità, infatti, vive del dare e del ricevere…

In questa prospettiva, è importante guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti, in particolar modo quando assumono responsabilmente dei doveri nei confronti di chi li accoglie, rispettando con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del Paese che li ospita, obbedendo alle sue leggi e contribuendo ai suoi oneri”.

Ma – ribadisce – “non si possono ridurre le migrazioni alla dimensione politica e normativa, ai risvolti economici e alla mera compresenza di culture differenti sul medesimo territorio. Questi aspetti sono complementari alla difesa e alla promozione della persona umana, alla cultura dell’incontro dei popoli e dell’unità, dove il Vangelo della misericordia ispira e incoraggia itinerari che rinnovano e trasformano l’intera umanità…

 

La Chiesa affianca tutti coloro che si sforzano per difendere il diritto di ciascuno a vivere con dignità, anzitutto esercitando il diritto a non emigrare [corsivo nostro] per contribuire allo sviluppo del Paese d’origine. Questo processo dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi. Così si conferma che la solidarietà, la cooperazione, l’interdipendenza internazionale e l’equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale”.

La Giornata dalle origini a oggi

La Giornata per i migranti è nata inizialmente per la sola Chiesa italiana, nel 1914, per volontà di Pio X e dietro sollecitazione di alcuni vescovi quali Scalabrini e Bonomelli. Si aveva in mente all’epoca – all’alba della Prima guerra mondiale – il dramma di tanti profughi e rifugiati, soprattutto italiani, che, emigrati all’estero, perdevano là ogni cosa ed erano costretti a rientrare in Italia. Dal 1952, da nazionale la Giornata divenne infine mondiale. Questa domenica, 17 gennaio , saranno coinvolte nelle iniziative della Giornata 27 mila le parrocchie italiane. Le celebrazioni principali si terranno quest’anno in Lazio, regione che in centro Italia risulta capofila per numero di immigrati, delle loro comunità cattoliche, ma anche per numero di emigranti. Oltre 5.000 migranti di 30 nazionalità parteciperanno domenica a Roma dapprima all’ Angelus in piazza San Pietro, poi, passando la porta santa, alla celebrazione eucaristica in basilica presieduta dal card. Antonio M. Vegliò , presidente del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti.

“E c’è – spiega il porporato – una cosa particolare: ai piedi dell’altare della Cattedra [quello principale di San Pietro], ci sarà la Croce di Lampedusa.

Questo anche per ricordare il viaggio drammatico che per oltre 3.700 persone, tra cui quasi 8 mila bambini, nel 2015, si è concluso in fondo al Mediterraneo. Le ostie che verranno consacrate e quindi consumate nella celebrazione della messa sono state donate dai detenuti, anche stranieri, del carcere di Opera, il carcere di Milano, che hanno attivato un progetto-laboratorio”. “Non si tratta commenta mons. Guerino di Tora , presidente della Fondazione Migrantes – di cifre, di numeri, ma di persone.

Ogni persona con una sua dignità, con una sua storia, con una sua realtà. Quindi il discorso dell’accoglienza diventa empatia: non semplicemente ‘sistemare una situazione’, ma renderci partecipi di qualcosa di più grande, nella quale noi stiamo vivendo”.

 

 

]]>
Un Giubileo che sa di Umbria https://www.lavoce.it/un-giubileo-che-sa-di-umbria/ Fri, 15 Jan 2016 16:32:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44958 catiuscia-MariniC’è molta Umbria in questo Giubileo straordinario, che Papa Francesco ha voluto dedicare alla Misericordia. Ciò ci riempie di orgoglio e gioia, ma ci chiama anche a una grande responsabilità. Accogliere nella nostra terra in maniera adeguata, con spirito di fratellanza, i tanti pellegrini che sceglieranno di visitare l’Umbria, a partire da Assisi e Collevalenza, i luoghi più vicini proprio al tema di questo Anno santo: la misericordia appunto.

In questo tempo così difficile per la pacifica convivenza e il dialogo tra i popoli e le religioni in tutto il mondo, il Giubileo straordinario come è scritto nella bolla pontificia che lo ha indetto – vuole rimettere al centro dell’azione della Chiesa di Papa Francesco proprio la necessità di porre in essere atti di apertura al dialogo.

L’Umbria – come sappiamo – è particolarmente coinvolta nel Giubileo in quanto proprio qui a Perugia, 800 anni fa papa Onorio III emise la ‘bolla pontificia’ per il Perdono di Assisi, fortemente voluta da san Francesco d’Assisi. Inoltre ricorre proprio quest’anno il 30° anniversario della Giornata internazionale di preghiera tra tutte le religioni mondiali, voluta da Papa Giovanni Paolo II e svoltasi ad Assisi. Circostanza in cui il Papa visitò la città di Perugia. Infine vi è Collevalenza, luogo dove è sorto il primo santuario al mondo dedicato alla Misericordia.

In virtù di ciò, ci attendiamo una mobilitazione generale della nostra comunità; mobilitazione che si è già manifestata proprio in occasione dell’apertura delle porte sante in tutte le diocesi umbre. Così come – e vi sono già primi concreti segnali in tal senso – forte sarà la presenza di pellegrini in Umbria nel corso di questo anno, provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Per questo abbiamo voluto definire insieme alla Conferenza epi- scopale umbra un “protocollo d’intesa” che ha l’obiettivo di favorire un’adeguata accoglienza.

Siamo infatti consapevoli, dell’esistenza di forti elementi di coerenza e profondi legami tra gli obiettivi e le azioni della Regione Umbria e della Conferenza episcopale umbra, tali da rendere opportuna e necessaria l’identificazione di comuni e articolate forme di collaborazione e cooperazione nelle attività di preparazione e in quelle di svolgimento degli eventi connessi al Giubileo della Misericordia.

Il territorio e le comunità dell’Umbria, come ho detto, saranno fortemente interessate dallo svolgimento degli eventi giubilari, anche perché l’Umbria è sede di importantissimi santuari, tra cui Assisi, Collevalenza, Cascia, Norcia, che custodiscono memorie e propongono messaggi di grande valenza per la cristianità e per l’umanità intera.

Come Regione Umbria, dunque, siamo impegnati nella programmazione e nella partecipazione alle iniziative intraprese a livello locale e nazionale per il Giubileo della Misericordia, nonché a realizzare, soprattutto con le Regioni confinanti del centro Italia, forme di collaborazione. Essendo poi il Giubileo straordinario 2015-2016 incentrato sul tema della misericordia, esso contiene anche un preciso richiamo alla pratica del pellegrinaggio; pertanto particolare rilievo assumono i Cammini presenti in Italia, la maggior parte dei quali risulta già molto strutturata e attiva in Umbria.

Il nostro auspicio e desiderio è che in questo Anno santo essi vengano percorsi da tanti pellegrini, e che da questo pellegrinaggio possa uscire ancor più forte l’insegnamento di pace di san Francesco e lo stesso “spirito di Assisi”, che richiama il dialogo tra popoli e religioni.

 

]]>
Non c’è Dio senza misericordia https://www.lavoce.it/non-ce-dio-senza-misericordia/ Fri, 11 Dec 2015 09:21:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44648 Papa_AperturaPorta_2_CMYKUn abbraccio “a porte aperte”: si può riassumere con quest’immagine una giornata già di per sé consegnata alla Storia. Papa Francesco ha aperto il suo primo Giubileo con un abbraccio fraterno con il suo predecessore, che dopo l’Angelus ha chiesto di salutare alle almeno 70 mila persone presenti in piazza San Pietro. La porta santa della basilica vaticana si è aperta alle 11.10. Francesco ha spinto più volte i preziosi battenti intarsiati; quando la porta finalmente si è aperta, ha sostato in preghiera sulla soglia. Quindi è entrato in basilica solo, per primo, seguito dai concelebranti e da sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici. Subito dopo di lui, Benedetto XVI. La lunga processione ha percorso tutta la navata centrale fino ad arrivare all’altare della Confessione, dove si è svolto il rito conclusivo della messa. Dopo aver rievocato l’apertura della porta santa a Bangui (Repubblica Centrafricana), Bergoglio ha fatto riferimento al Concilio, di cui erano stati letti brani tratti dalle dichiarazioni e dai decreti prima dell’inizio del rito. Ora, esattamente 50 anni dopo, il Papa evoca “un’altra porta”, quella spalancata dai Padri conciliari: “Il Concilio è stato un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo”. Allora come oggi, la Chiesa deve “uscire dalle secche per riprendere con entusiasmo il cammino missionario”. Allora come oggi, si tratta di “andare incontro a ogni uomo là dove vive”. Nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro, “dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio”.

 

“È questa la porta del Signore. Apritemi le porte della giustizia. Per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa, Signore”. Sono le tre frasi pronunciate dal Papa subito prima di aprire la porta santa, che ha varcato come primo pellegrino dell’anno giubilare, ripetendo il gesto che aveva fatto il 29 novembre nella cattedrale di Bangui. “Donaci di vivere un anno di grazia” chiedeva la preghiera per il Giubileo. “Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio sarà sempre nella luce della Sua misericordia”, è stato l’invito centrale dell’omelia, incentrata sul parallelo tra la solennità dell’Immacolata e il significato dell’Anno santo. “Nella nostra vita tutto è dono, tutto è misericordia”, che è “la parola-sintesi del Vangelo. Non si può capire un cristiano vero che non sia misericordioso, come non si può capire Dio senza la Sua misericordia”. “Non abbiamo paura”, ha aggiunto il Papa nell’omelia e dopo l’Angelus, rievocando indirettamente san Giovanni Paolo II, così come nelle parole pronunciate prima di aprire la porta santa: Gesù “è la Porta”. Ancora, nell’omelia: “Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma”. E all’Angelus, a braccio: “Non abbiamo paura: lasciamoci abbracciare dalla misericordia di Dio che ci aspetta e perdona tutto. Nulla è più dolce della Sua misericordia. Lasciamoci accarezzare da Dio: è tanto buono, il Signore, e perdona tutto”. Ha poi parlato della “tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio”. Entrare per la porta santa, invece, “significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e a ognuno va incontro personalmente… È Lui che ci cerca, è Lui che ci viene incontro!”, ha aggiunto, sempre fuori testo. Ha così dipinto il ritratto di Maria: “Madre di una umanità nuova, aurora della nuova creazione attuata dalla divina misericordia”. Celebrare il Giubileo, ha spiegato Francesco, comporta quindi due cose: “Accogliere pienamente Dio e la Sua grazia misericordiosa nella nostra vita” e “diventare a nostra volta artefici di misericordia mediante un cammino evangelico… La festa dell’Immacolata diventa la festa di tutti noi se, con i nostri sì quotidiani, riusciamo a vincere il nostro egoismo e a rendere più lieta la vita dei nostri fratelli, a donare loro speranza, asciugando qualche lacrima e donando un po’ di gioia”. Così il nostro volto assomiglierà almeno un po’ al volto di Cristo: “Quel volto che noi riconosciamo quando va incontro a tutti, quando guarisce gli ammalati, quando siede a tavola con i peccatori, e soprattutto quando, inchiodato sulla croce, perdona”.

]]>