PERSONAGGI Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/personaggi/ Settimanale di informazione regionale Thu, 17 Oct 2024 12:27:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg PERSONAGGI Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/personaggi/ 32 32 Don Claudio Regni, una vita, una vocazione “per gli altri” https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/ https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/#comments Tue, 15 Oct 2024 06:27:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77992

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>
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Don Orlando Sbicca, il parroco missionario https://www.lavoce.it/don-orlando-sbicca/ https://www.lavoce.it/don-orlando-sbicca/#respond Tue, 09 Jul 2024 23:21:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76935 Don Orlando Sbicca a destra in veste liturgica bianca scringe la mano al vescovo Ennio Antonelli, a sinistra, in veste liturgica color oro e rosso.

Monsignor Orlando Sbicca racconta la sua chiamata alla vita sacerdotale ricevendoci nella sacrestia della cattedrale di San Lorenzo dove è approdato come canonico confessore lo scorso ottobre, dopo essere stato missionario in Burundi e poi parroco ai Santi Biagio e Savino di Perugia, a Tavernelle di Panicale e Colle San Paolo. Nel frattempo, due riconoscimenti non di poco conto: monsignore cappellano di Sua Santità e canonico onorario del Santo Sepolcro. Infine, parroco a Casalina e a Castelleone di Deruta, un ritorno a casa… Gli si illuminano gli occhi quando pronuncia il nome del luogo in cui è nato, Castelleone di Deruta, l’11 gennaio 1941, e quando parla della sua famiglia di contadini, molto politicizzata di sinistra. «Sono cresciuto nel periodo delle lotte contadine comuniste che ha segnato la mia infanzia – racconta –. Entrai in Seminario grazie al parroco, don Redento Becci, che mi privilegiava pur non andando quasi mai in chiesa. Ci andavo rare volte con la mamma perché lei era una Veschini, di famiglia praticante. Il fratello di mamma, lo zio Gigiotto, era il babbo di mio cugino don Alberto divenuto anche lui sacerdote, l’attuale parroco di Ponte Felcino. Don Becci mi cercava sempre e forse era il Signore a volerlo, perché Lui ha le sue strade ed io ne ho imboccata una, quella che mi ha condotto a farmi prete. Quando la gente del posto seppe che il figlio degli Sbicca sarebbe entrato in Seminario, rimase incredula domandandosi: “Orlando prete? Appartiene a una famiglia di comunisti, di mangiapreti!”. Ci fu quasi una rivolta in paese dai toni persecutori: “Non ti vergogni di volerti fare prete?”. Il babbo, però, non mi ostacolò nella mia scelta ed entrai, a 12 anni, in Seminario, a Perugia». Un aneddoto degli anni trascorsi in Seminario? «Ricordo quando il cardinale Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, il futuro papa Giovanni XXIII venne in visita al Seminario. In chiesa gli prepararono un inginocchiatoio dove potersi raccogliere in preghiera davanti al Santissimo, ma era troppo piccolo per la sua pancia “abbondante” e dovette inginocchiarsi direttamente a terra, sul tappeto… Allora la vita del Seminario (prima a Perugia con il rettore mons. Italiani e poi a Montemorcino con don Carlo Urru divenuto poi vescovo) era abbastanza severa..., ma la ricordo e l’assolvo tutta senza recriminazioni…». Lei privilegia molto la missione, ha da poco lasciato l’incarico di direttore dell’Ufficio diocesano missionario… «Negli anni di seminario nacque in me l’interesse per le missioni, entrando a far parte del gruppo missionario. Questo interesse per la vita missionaria, che fu anche un’inquietudine interiore, accrebbe in me quando arrivai in Seminario Regionale ad Assisi, maturando l’idea di farmi missionario… Nel contempo volevo ostacolare quest’idea, mandarla via, perché a quei tempi la missione era qualcosa anche di eroico… Quando ero nella chiesa del Seminario, a volte piangevo chiedendo al Signore di non farmi questa chiamata. Cammin facendo mi accorsi, invece, che era la mia strada! Andai a formarmi dai missionari Saveriani, a Parma, dove ricevetti l’ordinazione sacerdotale il 15 ottobre 1967.

Don Orlando missionario in Burundi

Dopo cinque anni di preparazione come animatore missionario in Piemonte e in Lombardia, nel 1972, partii per il Burundi. Fu un’esperienza bellissima, perché la missione ti tara, se sei in crisi ti brucia, se non lo sei ti dà qualcosa che ti cambia la vita. Ho avuto un amore grande per la gente e dalla gente del Burundi corrisposto in maniera edificante, che porto sempre nel mio cuore. Era gente che sapeva capirti ed ogni missionario aveva il suo soprannome ed io ne avevo due, uno positivo, che non ho detto mai a nessuno e lo porterò con me in Paradiso, l’altro “igniundo” (martello), perché i chiodi li mandavo giù tutti…». La vita in Burundi non è stata facile. Don Orlando, perché ha poi abbandonato la missione? «Ci sono stati anche momenti di sofferenza, di prova in un periodo in cui in Burundi furono commessi numerosi eccidi, oltre 150mila morti. Venivano da me tante vedove a dirmi: “padre mi hanno rubato la piantagione di caffè, di palme, ecc.…”. Dall’altare iniziai a denunciare queste ingiustizie, ma questo alle autorità locali non piacque e iniziarono le persecuzioni con un dossier tremendo su di me. Mi salvò una vedova di nome Maria che ero solito aiutare, perché molto povera, testimoniando la mia completa innocenza. Addirittura, diventai amico delle autorità non solo locali, ma anche del ministro dell’Interno, un cristiano molto buono. In Burundi, un Paese piccolo, la voce si sparse subito… Quando il presidente della Repubblica ebbe uno scontro durissimo con la Chiesa, iniziò il periodo delle espulsioni di missionari il sottoscritto incluso. Ricordo che il ministro degli Interni, l’amico colonnello Stanislao Mandi, mi fece pervenire un messaggio tramite il mio vescovo Roger Mpungu: mi assicurava che avrebbe fatto di tutto per farmi rientrare in Burundi. Dovetti lasciare il Paese nel 1979. In quei giorni drammatici, ricordo che una vedova in una assemblea in chiesa mi disse: “Padre Orlando, tu sei nei nostri cuori, ti ringraziamo perché per noi vedove sei stato nostro padre, nostro marito, nostro Dio”. Questa è la testimonianza di quanto la gente amasse noi missionari. Poi furono martirizzati in Burundi due confratelli, uno era padre Ottorino Maule, mio compagno di ordinazione ed una missionaria laica Catina Gubert. L’espulsione dal Burundi fu per me una prova particolarmente dolorosa, accompagnata da una crisi di fede. Chiesi ai superiori di fare un “anno sabatico”, di “silenzio” per rimettermi “in piedi”.

Il rientro a Perugia, in parrocchia

Poi per gravi motivi familiari tornai a Perugia, dove fui incardinato nel Clero diocesano e nominato dall’arcivescovo Ennio Antonelli, nel 1989, parroco dei Santi Biagio e Savino; e così il progetto di rientrare nel mio amato Burundi andò in fumo…». È stata la sua prima parrocchia, la sua prima “missione” ad “intra”. L’incontro con l’Abbé Pierre... «È stata un’esperienza nella quale devo ringraziare Dio per aver trovato nel mio predecessore una cara persona, don Genesio Censi, fondatore della comunità parrocchiale. Dodici anni di fraternità: don Genesio non mi fu di intralcio nella mia missione pastorale. Si meravigliò di questo bel rapporto una personalità ecclesiale di fama mondiale, che ospitai in parrocchia, l’Abbé Pierre, il fondatore delle Comunità Emmaus per poveri ed emarginati. Venne a Perugia per un incontro all’aperto, in piazza della Repubblica; io gli feci da interprete. Il giorno dopo lo accompagnai ad Assisi e durante il viaggio mi disse: “Padre, mi devo congratulare con lei, perché va d’accordo con il suo predecessore (l’“ancien curé”), di solito non è così!”. Con don Genesio avevamo affinità anche politiche, perché entrambi condividevamo gli ideali democristiani di sinistra». Dopo la comunità dei Santi Biagio e Savino, le altre parrocchie da lei guidate... «Tempi addietro, da preti, si entrava in città, mai il contrario… A me è toccato di andare controcorrente, uscendo dalla città, quando l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti, che mi stimava tanto (immeritatamente!), nel 2002, mi mandò parroco a Tavernelle e Colle San Paolo facendomi vivere un’esperienza positiva di “curato di campagna” a 360 gradi. Non sempre fu facile (era considerata la zona più scristianizzata della diocesi, parrocchie molto “dure”, molto politicizzate dove il partito comunista aveva maggioranze bulgare…), ma con i giovani è stato bellissimo. Io credo al sacramento della confessione e nel confessionale ho incontrato tanta santità… Poi il cardinale Gualtiero Bassetti mi affidò tutte le parrocchie (cinque) del comune di Panicale.

Don Orlando Sbicca parroco con l'anima missionaria

Ho proseguito la mia missione maturata ai Santi Biagio e Savino, dall’oratorio ai tanti campi estivi. Ricordo l’attenzione dei ragazzi durante le mie catechesi che sfioravano l’ora! Ho avuto sempre una venerazione per loro! Quando sento certe bestialità commesse da preti nei confronti di ragazzi e ragazze mi viene la pelle d’oca… Non molto tempo fa, vari animatori li ho rivisti ad un pranzo a Tuoro sul Trasimeno, da don Marco Cappellato; oggi sono sposati con figli. È stato molto bello!». A proposito del suo rapporto con i giovani, ha accompagnato qualcuno di loro al sacerdozio? «Il Signore non mi ha concesso il “privilegio” di accompagnare al sacerdozio dei giovani, uno l’ho avuto come adolescente, ma non so quanto io abbia influito nella sua scelta vocazionale». [Ho contattato questo giovane sacerdote, don Simone Pascarosa, attuale vicario episcopale per la Pastorale, e mi ha confermato che don Orlando Sbicca ha influito non poco sulla sua chiamata al sacerdozio, soprattutto per il suo carisma missionario]. Avviandoci alla conclusione, l’ultimo lustro di don Orlando parroco-missionario… «L’ho vissuto nella zona della mia fanciullezza, a Casalina e Castelleone, quasi un soggiorno salutare, prima di ritornare in città, questa volta da canonico confessore della cattedrale, incarico affidatomi dal nostro vescovo don Ivan. Giunto al 57° anno di sacerdozio, posso dire di avere una certa delusione, quella di vedere preti (soprattutto giovani) poco sensibili alla dimensione missionaria della pastorale. Sono ancora valide le parole di Gesù: “andate in tutto il mondo”! Vorrei umilmente dire loro: ricordatevi che è Cristo che ha salvato il mondo…, siate uomini di contemplazione per poi essere pastori che lasciano traccia e non tamburi che fanno chiasso».]]>
Don Orlando Sbicca a destra in veste liturgica bianca scringe la mano al vescovo Ennio Antonelli, a sinistra, in veste liturgica color oro e rosso.

Monsignor Orlando Sbicca racconta la sua chiamata alla vita sacerdotale ricevendoci nella sacrestia della cattedrale di San Lorenzo dove è approdato come canonico confessore lo scorso ottobre, dopo essere stato missionario in Burundi e poi parroco ai Santi Biagio e Savino di Perugia, a Tavernelle di Panicale e Colle San Paolo. Nel frattempo, due riconoscimenti non di poco conto: monsignore cappellano di Sua Santità e canonico onorario del Santo Sepolcro. Infine, parroco a Casalina e a Castelleone di Deruta, un ritorno a casa… Gli si illuminano gli occhi quando pronuncia il nome del luogo in cui è nato, Castelleone di Deruta, l’11 gennaio 1941, e quando parla della sua famiglia di contadini, molto politicizzata di sinistra. «Sono cresciuto nel periodo delle lotte contadine comuniste che ha segnato la mia infanzia – racconta –. Entrai in Seminario grazie al parroco, don Redento Becci, che mi privilegiava pur non andando quasi mai in chiesa. Ci andavo rare volte con la mamma perché lei era una Veschini, di famiglia praticante. Il fratello di mamma, lo zio Gigiotto, era il babbo di mio cugino don Alberto divenuto anche lui sacerdote, l’attuale parroco di Ponte Felcino. Don Becci mi cercava sempre e forse era il Signore a volerlo, perché Lui ha le sue strade ed io ne ho imboccata una, quella che mi ha condotto a farmi prete. Quando la gente del posto seppe che il figlio degli Sbicca sarebbe entrato in Seminario, rimase incredula domandandosi: “Orlando prete? Appartiene a una famiglia di comunisti, di mangiapreti!”. Ci fu quasi una rivolta in paese dai toni persecutori: “Non ti vergogni di volerti fare prete?”. Il babbo, però, non mi ostacolò nella mia scelta ed entrai, a 12 anni, in Seminario, a Perugia». Un aneddoto degli anni trascorsi in Seminario? «Ricordo quando il cardinale Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, il futuro papa Giovanni XXIII venne in visita al Seminario. In chiesa gli prepararono un inginocchiatoio dove potersi raccogliere in preghiera davanti al Santissimo, ma era troppo piccolo per la sua pancia “abbondante” e dovette inginocchiarsi direttamente a terra, sul tappeto… Allora la vita del Seminario (prima a Perugia con il rettore mons. Italiani e poi a Montemorcino con don Carlo Urru divenuto poi vescovo) era abbastanza severa..., ma la ricordo e l’assolvo tutta senza recriminazioni…». Lei privilegia molto la missione, ha da poco lasciato l’incarico di direttore dell’Ufficio diocesano missionario… «Negli anni di seminario nacque in me l’interesse per le missioni, entrando a far parte del gruppo missionario. Questo interesse per la vita missionaria, che fu anche un’inquietudine interiore, accrebbe in me quando arrivai in Seminario Regionale ad Assisi, maturando l’idea di farmi missionario… Nel contempo volevo ostacolare quest’idea, mandarla via, perché a quei tempi la missione era qualcosa anche di eroico… Quando ero nella chiesa del Seminario, a volte piangevo chiedendo al Signore di non farmi questa chiamata. Cammin facendo mi accorsi, invece, che era la mia strada! Andai a formarmi dai missionari Saveriani, a Parma, dove ricevetti l’ordinazione sacerdotale il 15 ottobre 1967.

Don Orlando missionario in Burundi

Dopo cinque anni di preparazione come animatore missionario in Piemonte e in Lombardia, nel 1972, partii per il Burundi. Fu un’esperienza bellissima, perché la missione ti tara, se sei in crisi ti brucia, se non lo sei ti dà qualcosa che ti cambia la vita. Ho avuto un amore grande per la gente e dalla gente del Burundi corrisposto in maniera edificante, che porto sempre nel mio cuore. Era gente che sapeva capirti ed ogni missionario aveva il suo soprannome ed io ne avevo due, uno positivo, che non ho detto mai a nessuno e lo porterò con me in Paradiso, l’altro “igniundo” (martello), perché i chiodi li mandavo giù tutti…». La vita in Burundi non è stata facile. Don Orlando, perché ha poi abbandonato la missione? «Ci sono stati anche momenti di sofferenza, di prova in un periodo in cui in Burundi furono commessi numerosi eccidi, oltre 150mila morti. Venivano da me tante vedove a dirmi: “padre mi hanno rubato la piantagione di caffè, di palme, ecc.…”. Dall’altare iniziai a denunciare queste ingiustizie, ma questo alle autorità locali non piacque e iniziarono le persecuzioni con un dossier tremendo su di me. Mi salvò una vedova di nome Maria che ero solito aiutare, perché molto povera, testimoniando la mia completa innocenza. Addirittura, diventai amico delle autorità non solo locali, ma anche del ministro dell’Interno, un cristiano molto buono. In Burundi, un Paese piccolo, la voce si sparse subito… Quando il presidente della Repubblica ebbe uno scontro durissimo con la Chiesa, iniziò il periodo delle espulsioni di missionari il sottoscritto incluso. Ricordo che il ministro degli Interni, l’amico colonnello Stanislao Mandi, mi fece pervenire un messaggio tramite il mio vescovo Roger Mpungu: mi assicurava che avrebbe fatto di tutto per farmi rientrare in Burundi. Dovetti lasciare il Paese nel 1979. In quei giorni drammatici, ricordo che una vedova in una assemblea in chiesa mi disse: “Padre Orlando, tu sei nei nostri cuori, ti ringraziamo perché per noi vedove sei stato nostro padre, nostro marito, nostro Dio”. Questa è la testimonianza di quanto la gente amasse noi missionari. Poi furono martirizzati in Burundi due confratelli, uno era padre Ottorino Maule, mio compagno di ordinazione ed una missionaria laica Catina Gubert. L’espulsione dal Burundi fu per me una prova particolarmente dolorosa, accompagnata da una crisi di fede. Chiesi ai superiori di fare un “anno sabatico”, di “silenzio” per rimettermi “in piedi”.

Il rientro a Perugia, in parrocchia

Poi per gravi motivi familiari tornai a Perugia, dove fui incardinato nel Clero diocesano e nominato dall’arcivescovo Ennio Antonelli, nel 1989, parroco dei Santi Biagio e Savino; e così il progetto di rientrare nel mio amato Burundi andò in fumo…». È stata la sua prima parrocchia, la sua prima “missione” ad “intra”. L’incontro con l’Abbé Pierre... «È stata un’esperienza nella quale devo ringraziare Dio per aver trovato nel mio predecessore una cara persona, don Genesio Censi, fondatore della comunità parrocchiale. Dodici anni di fraternità: don Genesio non mi fu di intralcio nella mia missione pastorale. Si meravigliò di questo bel rapporto una personalità ecclesiale di fama mondiale, che ospitai in parrocchia, l’Abbé Pierre, il fondatore delle Comunità Emmaus per poveri ed emarginati. Venne a Perugia per un incontro all’aperto, in piazza della Repubblica; io gli feci da interprete. Il giorno dopo lo accompagnai ad Assisi e durante il viaggio mi disse: “Padre, mi devo congratulare con lei, perché va d’accordo con il suo predecessore (l’“ancien curé”), di solito non è così!”. Con don Genesio avevamo affinità anche politiche, perché entrambi condividevamo gli ideali democristiani di sinistra». Dopo la comunità dei Santi Biagio e Savino, le altre parrocchie da lei guidate... «Tempi addietro, da preti, si entrava in città, mai il contrario… A me è toccato di andare controcorrente, uscendo dalla città, quando l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti, che mi stimava tanto (immeritatamente!), nel 2002, mi mandò parroco a Tavernelle e Colle San Paolo facendomi vivere un’esperienza positiva di “curato di campagna” a 360 gradi. Non sempre fu facile (era considerata la zona più scristianizzata della diocesi, parrocchie molto “dure”, molto politicizzate dove il partito comunista aveva maggioranze bulgare…), ma con i giovani è stato bellissimo. Io credo al sacramento della confessione e nel confessionale ho incontrato tanta santità… Poi il cardinale Gualtiero Bassetti mi affidò tutte le parrocchie (cinque) del comune di Panicale.

Don Orlando Sbicca parroco con l'anima missionaria

Ho proseguito la mia missione maturata ai Santi Biagio e Savino, dall’oratorio ai tanti campi estivi. Ricordo l’attenzione dei ragazzi durante le mie catechesi che sfioravano l’ora! Ho avuto sempre una venerazione per loro! Quando sento certe bestialità commesse da preti nei confronti di ragazzi e ragazze mi viene la pelle d’oca… Non molto tempo fa, vari animatori li ho rivisti ad un pranzo a Tuoro sul Trasimeno, da don Marco Cappellato; oggi sono sposati con figli. È stato molto bello!». A proposito del suo rapporto con i giovani, ha accompagnato qualcuno di loro al sacerdozio? «Il Signore non mi ha concesso il “privilegio” di accompagnare al sacerdozio dei giovani, uno l’ho avuto come adolescente, ma non so quanto io abbia influito nella sua scelta vocazionale». [Ho contattato questo giovane sacerdote, don Simone Pascarosa, attuale vicario episcopale per la Pastorale, e mi ha confermato che don Orlando Sbicca ha influito non poco sulla sua chiamata al sacerdozio, soprattutto per il suo carisma missionario]. Avviandoci alla conclusione, l’ultimo lustro di don Orlando parroco-missionario… «L’ho vissuto nella zona della mia fanciullezza, a Casalina e Castelleone, quasi un soggiorno salutare, prima di ritornare in città, questa volta da canonico confessore della cattedrale, incarico affidatomi dal nostro vescovo don Ivan. Giunto al 57° anno di sacerdozio, posso dire di avere una certa delusione, quella di vedere preti (soprattutto giovani) poco sensibili alla dimensione missionaria della pastorale. Sono ancora valide le parole di Gesù: “andate in tutto il mondo”! Vorrei umilmente dire loro: ricordatevi che è Cristo che ha salvato il mondo…, siate uomini di contemplazione per poi essere pastori che lasciano traccia e non tamburi che fanno chiasso».]]>
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Don Giuseppe Ricci si racconta… Il suo affetto alla sua Chiesa e alla sua gente https://www.lavoce.it/giuseppe-ricci/ https://www.lavoce.it/giuseppe-ricci/#respond Mon, 13 May 2024 11:00:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76156 Mons. Giuseppe Ricci nel suo studio nella canonica a Ponte Felcino. Accanto, appesa al muro la foto di Chiara Lubich con il Papa.

Monsignor Giuseppe Ricci compirà sessant’anni di sacerdozio, il 1° luglio, e ottantacinque di età, il 15 maggio. È stato il primo economo diocesano perugino a mettere a frutto i contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa cattolica. Fu chiamato dall’arcivescovo Cesare Pagani alla guida dell’Ufficio economato nell’anno della revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sancì la nascita dello “strumento finanziario” denominato “8xmille” di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla sua introduzione (1984-2024). Don Giuseppe, come preferisce essere chiamato, si racconta nell’apprestarsi a “tagliare” questi suoi due traguardi molto significativi, testimoniando il “buon investimento” dei contribuenti italiani, che firmano ogni anno l’8xmille, su di lui e su tanti sacerdoti. Don Giuseppe, il suo primo pensiero di parroco emerito… «È curioso, alla veneranda età di 85 anni, trovarsi quasi conteso da parroci che dicono di avere bisogno del mio aiuto. Attualmente sono collaboratore di un parroco che ha cinque parrocchie… Grazie a Dio la salute mi è sufficiente per aiutarlo e sono ben contento di farlo. Ogni giorno ringrazio il Signore, perché ho svolto tanti ruoli in quasi sessant’anni di sacerdozio, iniziando come cappellano a San Donato all’Elce di Perugia e poi parroco a San Valentino della Collina. Con l’arrivo dell’arcivescovo Cesare Pagani sono diventato suo segretario e canonico della cattedrale di San Lorenzo. Sempre Pagani mi incaricò di realizzare la sede della radio diocesana in alcuni locali del Capitolo dei Canonici di San Lorenzo. Al riguardo ricordo un particolare, quello di avergli presentato il preventivo delle spese per finanziare il progetto della radio (spese pagate interamente di tasca sua), il cui consuntivo risultò inferiore. Fu un caso davvero molto raro, perché è quasi sempre l’inverso per i tanti imprevisti in corso d’opera. Non so se questo risparmio sulla somma preventivata sia stato il motivo ispiratore per affidarmi la guida dell’Ufficio economato diocesano, incarico che mi ha visto impegnato per 17 anni».

Economo ma anche parroco

Così si è trovato ad amministrare il patrimonio materiale della Chiesa, “trascurando” il suo essere pastore di anime? «Non è andata proprio così, mi riservo di parlarne più avanti, perché per tutto il periodo di economo diocesano ho guidato pastoralmente una piccola, ma molto significativa comunità parrocchiale di periferia, che mi ha dato tantissimo nell’aiutarmi a non farmi assorbire totalmente dai “bilanci materiali”. Quando ho poi ricevuto il dono di tornare a fare il parroco a tempo pieno, a Marsciano e dintorni, dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, affidandomi una comunità parrocchiale di circa 10mila anime, ho accolto con gioia questo dono che non mi ha visto impreparato grazie all’esperienza della piccola parrocchia di periferia. Altro dono l’ho ricevuto dal nostro giovane arcivescovo Ivan Maffeis nel benedire il mio progetto, quello di venire a Ponte Felcino, con il parroco don Alberto Veschini, a fare vita comune». Lei è tra i sacerdoti “pionieri” dell’esperienza d’Unità pastorale che vede protagonisti in primis presbiteri affiancati, dove è possibile, dai diaconi, ma come si trova a Ponte Felcino? «Io mi trovo molto bene in quest’esperienza di vita, perché sono insieme ad un fratello e tra noi c’è una gara di Amore l’uno per l’altro. Anche per questo ringrazio il Signore, perché adesso mi è rimasta la parte più facile della missione sacerdotale, quella di distribuire la grazia di Dio attraverso i sacramenti, non avendo gli impegni prettamente pastorali della parrocchia. Mi resta il “dolce” delle celebrazioni liturgiche: le confessioni e l’Eucaristia, perché ho tutto il tempo a mia disposizione per prepararle bene ed anche questo è un dono del Signore che mi dà serenità e mi fa sentire in qualche modo utile alla Chiesa».

La vocazione di don Giuseppe

Come è nata in lei la chiamata-vocazione al Sacerdozio? «Ripercorrendo la mia vita a volo d’uccello, ho avuto il momento di grande dolore dal punto di vista umano a cui ha fatto seguito uno successivo dove è partito il progetto di Dio su di me. Il dolore provato ad appena cinque anni d’età fu causato dalla perdita del papà, cavatore di lignite a San Martino in Campo, unica fonte di reddito della nostra modestissima famiglia di quattro figli… Intervenne l’assistenza sociale che fece accogliere me e mio fratello, i figli più piccoli, nell’orfanotrofio delle suore di Gesù Redentore, nel quartiere Bellocchio di Perugia, all’epoca la Casa Generalizia di questa congregazione ancora oggi presente in città con le sue opere socio-educative e caritative. Per me chiusa una “porta” si è poi aperto un “portone”, perché la madre generale, illuminata, intravvide in me qualche segno di vocazione da coltivare affidandomi alle cure del cappellano don Rino Valigi, una bella figura di sacerdote, quasi un secondo padre per me, che mi suggerì di fare la domanda per entrare al Seminario Minore. Essendo stato “adottato pienamente” dalle suore di Gesù Redentore, la loro casa era la mia casa, fino a quando sono diventato sacerdote, sostenendo loro le spese per la mia istruzione-formazione in Seminario. Ho potuto godere anche dell’ospitalità delle loro case religiose in Italia e all’estero. Una provvidenza del Signore che mi ha aiutato molto a portare a compimento i miei studi e a maturare la mia vocazione al sacerdozio». Nel suo studio campeggia su una parete una grande immagine di Chiara Lubich… «Altra esperienza determinante per la mia formazione è stato il contatto con la spiritualità del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich con cui ho avuto la possibilità di incontri personali e scambi epistolari. La ricchezza di questo carisma donato alla Chiesa ha condizionato nel bene la mia vita sia personale sia pastorale. Anche questa scelta di venire a fare “focolare sacerdotale” con don Alberto, che condivide pienamente questa spiritualità, è quanto di meglio potessi ricevere in dono dal Signore».

Don Giuseppe Ricci: “Benedetto 8xmille

Tornando al delicato ruolo di economo, come ha utilizzato i finanziamenti derivanti dall’8xmille? «Ho benedetto il momento in cui monsignor Attilio Nicora, poi divenuto cardinale, è stato l’ispiratore di quell’accordo provvidenziale per le risorse dell’8xmille, preziosissime per compiere tante opere di sostegno, di intervento nelle strutture necessarie agli enti ecclesiastici. Come non ricordare due grandi opere della nostra Chiesa particolare negli anni in cui ho ricoperto la responsabilità di economo, il Centro “Mater Gratiae” e la Casa del Clero. Il primo fu realizzato con il recupero del complesso un tempo Seminario Minore ridotto a un immenso deposito di 4mila mq, senza nessun utilizzo pastorale, mentre io vedevo l’urgenza per il nostro Clero di avere un luogo dignitoso dove incontrarsi mensilmente e dove poter promuovere e ospitare convegni, incontri, ritiri… All’interno di questo complesso vennero realizzate la grande sala riunioni, poi intitolata all’arcivescovo Pagani, e diverse aule, oltre alla struttura ricettiva del Centro “Mater Gratiae”, con annessi ambienti adibiti ad uffici e foresteria; il tutto con un ampio parcheggio a poco meno di due chilometri dal centro storico. Altra opera è stata la ristrutturazione della “Casa del Clero” del complesso della Cattedrale, un’altra esigenza condivisa con i pastori per garantire ai nostri sacerdoti un luogo per le loro necessità una volta espletato in parrocchia il servizio pastorale e in assenza di una dignitosa assistenza con l’avanzare dell’età. Con mia gioia vedo oggi valorizzare la “Casa del Clero” dall’arcivescovo Ivan, perché è ritornata pienamente funzionante e con le sue originali finalità». Non ha trascurato nemmeno la nascita di opere di carità… «Quando sono stato parroco di Marsciano e Schiavo, abbiamo dato vita all’Emporio Caritas “Betlemme” (Casa del Pane), il quarto aperto in diocesi per volontà del cardinale Gualtiero Bassetti, per la cui realizzazione è stato determinante l’aiuto dell’8xmille. Inoltre è stata fondamentale l’opera svolta da operatori e volontari guidati dal diacono Luciano Cerati, il cui sostegno è stato non poco significativo prendendo a cuore questo funzionante progetto di carità concreta, che va avanti ancora oggi grazie allo stesso diacono Luciano e al mio successore, il giovane parroco don Marco Pezzanera».

Gli anni in parrocchia

A Marsciano ha lasciato un segno anche in questa parrocchia “prestigiosa ma complessa” «Arrivai a Marsciano salutando i miei nuovi parrocchiani con queste parole: " rimboccarsi le maniche e seguire Cristo, vero ed unico pastore, dovunque avesse voluto Lui". Dopo 17 anni, al momento del congedo, una parrocchiana mi scrisse: “Da saggio e umile servo nella vigna del Signore, Lei, don Giuseppe Ricci, ha mantenuto fede al Suo impegno, vivendo fino in fondo l'esperienza del ‘buon pastore’ che, come dice Papa Francesco, conosce le sue pecore e sa quando è il momento di stare in mezzo ad esse e, a volte, anche dietro di loro. Una volta Lei ha presentato la vita della nostra Comunità con l’immagine di un operoso cantiere, dove ognuno è invitato a collaborare: questo ci ha aiutato a comprendere il valore e la funzione dell'Unità Pastorale, intesa come ‘un modo nuovo di offrire il Vangelo’, integrando le risorse del territorio e sostenendo il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione. Ripercorrere gli anni che vanno dal 2001 al 2018 significa capire quanti doni di Grazia abbiamo ricevuto nel cercare di fare della nostra Comunità ‘la casa di tutti’, sostenuti dal Suo ‘Avanti con coraggio!’ e alla scuola di quella ‘spiritualità di comunione’ che secondo San Giovanni Paolo II ci educa a vedere ‘il fratello come primo strumento prezioso’ per andare a Dio”. Sono stato e sono tutt’ora un convinto sostenitore delle Unità pastorali, espressioni concrete anche della comunione tra sacerdoti. Non mi dilungo oltre, aggiungo solo un’opera realizzata per i giovani, l’“OSMA” (Oratorio Santa Maria Assunta), anch’essa con il contributo dell’8xmille. Ben presto l’“OSMA” si rivelò un punto di riferimento per tutta la comunità marscianese, perché gli oratori parrocchiali svolgono anche una funzione sociale come del resto noi sacerdoti». Don Giuseppe Ricci, avviandoci alla conclusione di questo piacevole dialogo-intervista, ci rivela il nome di quella «piccola parrocchia di periferia» che le ha permesso di continuare ad essere curato di anime mentre “curava”, teneva in ordine i conti dell’intera Diocesi? «È la parrocchia di Castelvieto, nel comune di Corciano, una comunità di appena cinquecento abitanti dove ho trovato persone e famiglie meravigliose. Ricordo, quando ero segretario dell’arcivescovo…, venivano in Curia genitori a chiedere a monsignor Pagani un prete per i loro figli, perché il parroco era malato. Chiese a me di seguire questa comunità almeno la domenica, ma io iniziai quasi subito ad andarci ogni sera, perché, trovando del terreno fertile, diedi vita a degli incontri formativi. Vi celebrai il mio 25° di sacerdozio e fu meraviglioso… Quando dovetti lasciarla, perché nominato parroco a Marsciano, ricevetti dai giovani di Castelvieto una lettera commovente che conservo tra le mie carte più care. Scrissero un toccante “arrivederci, ad una persona, un padre, un amico, un fratello che è stato per ben 17 anni con noi, anzi, è meglio dire fra noi… È arrivato quasi in punta di piedi, don Giuseppe…, ma ha fatto subito capire che a Castelvieto non era giunta una personalità come tante altre, ma un ciclone dalle idee meravigliose e dalle maniere esaltanti, coinvolgenti; un gentiluomo, oltre che un parroco…, un motivatore! Non era facile farsi apprezzare, e soprattutto seguire, dalla gioventù così bella e piena di potenzialità, ma anche così restia al coinvolgimento..., ebbene lei, don Giuseppe, ci è riuscito.

Il “grazie” dei giovani a don Giuseppe Ricci

Non si deve pensare di chissà quali alchimie o miracoli sia stato autore, serviva una cosa tanto semplice ma così complicata allo stesso tempo… affetto! Con tanto affetto e amore, don Giuseppe, lei ha plasmato un gruppo di giovani assetati di opere buone tra di noi e verso gli altri. La ringraziamo per averci portato un ideale, per essere intervenuto ai nostri incontri, per aver organizzato i nostri incontri, per aver fatto confluire la nostra creatività in quelle belle feste di Natale e dell’Epifania, per averci consigliato, per averci prestato una spalla quando dovevamo piangere, per averci telefonato tutte quelle volte quando si accorgeva che ci stavamo allontanando, per averci sgridato quando ce lo meritavamo… Siamo felici per i giovani della sua nuova parrocchia, perché potranno godere della sua vicinanza, anzi, forse è meglio dire che siamo un po’ invidiosi…”». Anche dalla testimonianza dei giovani della piccola Castelvieto traspare nitidamente l’affetto di don Giuseppe alla sua Chiesa e alla sua gente, un “investimento”, soprattutto umano e spirituale, andato a buon fine per il bene dell’intera società. [gallery size="large" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Mons. Giuseppe Ricci" ids="76178,76180,76183,76179,76184,76185,76182,76181"]]]>
Mons. Giuseppe Ricci nel suo studio nella canonica a Ponte Felcino. Accanto, appesa al muro la foto di Chiara Lubich con il Papa.

Monsignor Giuseppe Ricci compirà sessant’anni di sacerdozio, il 1° luglio, e ottantacinque di età, il 15 maggio. È stato il primo economo diocesano perugino a mettere a frutto i contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa cattolica. Fu chiamato dall’arcivescovo Cesare Pagani alla guida dell’Ufficio economato nell’anno della revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sancì la nascita dello “strumento finanziario” denominato “8xmille” di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla sua introduzione (1984-2024). Don Giuseppe, come preferisce essere chiamato, si racconta nell’apprestarsi a “tagliare” questi suoi due traguardi molto significativi, testimoniando il “buon investimento” dei contribuenti italiani, che firmano ogni anno l’8xmille, su di lui e su tanti sacerdoti. Don Giuseppe, il suo primo pensiero di parroco emerito… «È curioso, alla veneranda età di 85 anni, trovarsi quasi conteso da parroci che dicono di avere bisogno del mio aiuto. Attualmente sono collaboratore di un parroco che ha cinque parrocchie… Grazie a Dio la salute mi è sufficiente per aiutarlo e sono ben contento di farlo. Ogni giorno ringrazio il Signore, perché ho svolto tanti ruoli in quasi sessant’anni di sacerdozio, iniziando come cappellano a San Donato all’Elce di Perugia e poi parroco a San Valentino della Collina. Con l’arrivo dell’arcivescovo Cesare Pagani sono diventato suo segretario e canonico della cattedrale di San Lorenzo. Sempre Pagani mi incaricò di realizzare la sede della radio diocesana in alcuni locali del Capitolo dei Canonici di San Lorenzo. Al riguardo ricordo un particolare, quello di avergli presentato il preventivo delle spese per finanziare il progetto della radio (spese pagate interamente di tasca sua), il cui consuntivo risultò inferiore. Fu un caso davvero molto raro, perché è quasi sempre l’inverso per i tanti imprevisti in corso d’opera. Non so se questo risparmio sulla somma preventivata sia stato il motivo ispiratore per affidarmi la guida dell’Ufficio economato diocesano, incarico che mi ha visto impegnato per 17 anni».

Economo ma anche parroco

Così si è trovato ad amministrare il patrimonio materiale della Chiesa, “trascurando” il suo essere pastore di anime? «Non è andata proprio così, mi riservo di parlarne più avanti, perché per tutto il periodo di economo diocesano ho guidato pastoralmente una piccola, ma molto significativa comunità parrocchiale di periferia, che mi ha dato tantissimo nell’aiutarmi a non farmi assorbire totalmente dai “bilanci materiali”. Quando ho poi ricevuto il dono di tornare a fare il parroco a tempo pieno, a Marsciano e dintorni, dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, affidandomi una comunità parrocchiale di circa 10mila anime, ho accolto con gioia questo dono che non mi ha visto impreparato grazie all’esperienza della piccola parrocchia di periferia. Altro dono l’ho ricevuto dal nostro giovane arcivescovo Ivan Maffeis nel benedire il mio progetto, quello di venire a Ponte Felcino, con il parroco don Alberto Veschini, a fare vita comune». Lei è tra i sacerdoti “pionieri” dell’esperienza d’Unità pastorale che vede protagonisti in primis presbiteri affiancati, dove è possibile, dai diaconi, ma come si trova a Ponte Felcino? «Io mi trovo molto bene in quest’esperienza di vita, perché sono insieme ad un fratello e tra noi c’è una gara di Amore l’uno per l’altro. Anche per questo ringrazio il Signore, perché adesso mi è rimasta la parte più facile della missione sacerdotale, quella di distribuire la grazia di Dio attraverso i sacramenti, non avendo gli impegni prettamente pastorali della parrocchia. Mi resta il “dolce” delle celebrazioni liturgiche: le confessioni e l’Eucaristia, perché ho tutto il tempo a mia disposizione per prepararle bene ed anche questo è un dono del Signore che mi dà serenità e mi fa sentire in qualche modo utile alla Chiesa».

La vocazione di don Giuseppe

Come è nata in lei la chiamata-vocazione al Sacerdozio? «Ripercorrendo la mia vita a volo d’uccello, ho avuto il momento di grande dolore dal punto di vista umano a cui ha fatto seguito uno successivo dove è partito il progetto di Dio su di me. Il dolore provato ad appena cinque anni d’età fu causato dalla perdita del papà, cavatore di lignite a San Martino in Campo, unica fonte di reddito della nostra modestissima famiglia di quattro figli… Intervenne l’assistenza sociale che fece accogliere me e mio fratello, i figli più piccoli, nell’orfanotrofio delle suore di Gesù Redentore, nel quartiere Bellocchio di Perugia, all’epoca la Casa Generalizia di questa congregazione ancora oggi presente in città con le sue opere socio-educative e caritative. Per me chiusa una “porta” si è poi aperto un “portone”, perché la madre generale, illuminata, intravvide in me qualche segno di vocazione da coltivare affidandomi alle cure del cappellano don Rino Valigi, una bella figura di sacerdote, quasi un secondo padre per me, che mi suggerì di fare la domanda per entrare al Seminario Minore. Essendo stato “adottato pienamente” dalle suore di Gesù Redentore, la loro casa era la mia casa, fino a quando sono diventato sacerdote, sostenendo loro le spese per la mia istruzione-formazione in Seminario. Ho potuto godere anche dell’ospitalità delle loro case religiose in Italia e all’estero. Una provvidenza del Signore che mi ha aiutato molto a portare a compimento i miei studi e a maturare la mia vocazione al sacerdozio». Nel suo studio campeggia su una parete una grande immagine di Chiara Lubich… «Altra esperienza determinante per la mia formazione è stato il contatto con la spiritualità del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich con cui ho avuto la possibilità di incontri personali e scambi epistolari. La ricchezza di questo carisma donato alla Chiesa ha condizionato nel bene la mia vita sia personale sia pastorale. Anche questa scelta di venire a fare “focolare sacerdotale” con don Alberto, che condivide pienamente questa spiritualità, è quanto di meglio potessi ricevere in dono dal Signore».

Don Giuseppe Ricci: “Benedetto 8xmille

Tornando al delicato ruolo di economo, come ha utilizzato i finanziamenti derivanti dall’8xmille? «Ho benedetto il momento in cui monsignor Attilio Nicora, poi divenuto cardinale, è stato l’ispiratore di quell’accordo provvidenziale per le risorse dell’8xmille, preziosissime per compiere tante opere di sostegno, di intervento nelle strutture necessarie agli enti ecclesiastici. Come non ricordare due grandi opere della nostra Chiesa particolare negli anni in cui ho ricoperto la responsabilità di economo, il Centro “Mater Gratiae” e la Casa del Clero. Il primo fu realizzato con il recupero del complesso un tempo Seminario Minore ridotto a un immenso deposito di 4mila mq, senza nessun utilizzo pastorale, mentre io vedevo l’urgenza per il nostro Clero di avere un luogo dignitoso dove incontrarsi mensilmente e dove poter promuovere e ospitare convegni, incontri, ritiri… All’interno di questo complesso vennero realizzate la grande sala riunioni, poi intitolata all’arcivescovo Pagani, e diverse aule, oltre alla struttura ricettiva del Centro “Mater Gratiae”, con annessi ambienti adibiti ad uffici e foresteria; il tutto con un ampio parcheggio a poco meno di due chilometri dal centro storico. Altra opera è stata la ristrutturazione della “Casa del Clero” del complesso della Cattedrale, un’altra esigenza condivisa con i pastori per garantire ai nostri sacerdoti un luogo per le loro necessità una volta espletato in parrocchia il servizio pastorale e in assenza di una dignitosa assistenza con l’avanzare dell’età. Con mia gioia vedo oggi valorizzare la “Casa del Clero” dall’arcivescovo Ivan, perché è ritornata pienamente funzionante e con le sue originali finalità». Non ha trascurato nemmeno la nascita di opere di carità… «Quando sono stato parroco di Marsciano e Schiavo, abbiamo dato vita all’Emporio Caritas “Betlemme” (Casa del Pane), il quarto aperto in diocesi per volontà del cardinale Gualtiero Bassetti, per la cui realizzazione è stato determinante l’aiuto dell’8xmille. Inoltre è stata fondamentale l’opera svolta da operatori e volontari guidati dal diacono Luciano Cerati, il cui sostegno è stato non poco significativo prendendo a cuore questo funzionante progetto di carità concreta, che va avanti ancora oggi grazie allo stesso diacono Luciano e al mio successore, il giovane parroco don Marco Pezzanera».

Gli anni in parrocchia

A Marsciano ha lasciato un segno anche in questa parrocchia “prestigiosa ma complessa” «Arrivai a Marsciano salutando i miei nuovi parrocchiani con queste parole: " rimboccarsi le maniche e seguire Cristo, vero ed unico pastore, dovunque avesse voluto Lui". Dopo 17 anni, al momento del congedo, una parrocchiana mi scrisse: “Da saggio e umile servo nella vigna del Signore, Lei, don Giuseppe Ricci, ha mantenuto fede al Suo impegno, vivendo fino in fondo l'esperienza del ‘buon pastore’ che, come dice Papa Francesco, conosce le sue pecore e sa quando è il momento di stare in mezzo ad esse e, a volte, anche dietro di loro. Una volta Lei ha presentato la vita della nostra Comunità con l’immagine di un operoso cantiere, dove ognuno è invitato a collaborare: questo ci ha aiutato a comprendere il valore e la funzione dell'Unità Pastorale, intesa come ‘un modo nuovo di offrire il Vangelo’, integrando le risorse del territorio e sostenendo il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione. Ripercorrere gli anni che vanno dal 2001 al 2018 significa capire quanti doni di Grazia abbiamo ricevuto nel cercare di fare della nostra Comunità ‘la casa di tutti’, sostenuti dal Suo ‘Avanti con coraggio!’ e alla scuola di quella ‘spiritualità di comunione’ che secondo San Giovanni Paolo II ci educa a vedere ‘il fratello come primo strumento prezioso’ per andare a Dio”. Sono stato e sono tutt’ora un convinto sostenitore delle Unità pastorali, espressioni concrete anche della comunione tra sacerdoti. Non mi dilungo oltre, aggiungo solo un’opera realizzata per i giovani, l’“OSMA” (Oratorio Santa Maria Assunta), anch’essa con il contributo dell’8xmille. Ben presto l’“OSMA” si rivelò un punto di riferimento per tutta la comunità marscianese, perché gli oratori parrocchiali svolgono anche una funzione sociale come del resto noi sacerdoti». Don Giuseppe Ricci, avviandoci alla conclusione di questo piacevole dialogo-intervista, ci rivela il nome di quella «piccola parrocchia di periferia» che le ha permesso di continuare ad essere curato di anime mentre “curava”, teneva in ordine i conti dell’intera Diocesi? «È la parrocchia di Castelvieto, nel comune di Corciano, una comunità di appena cinquecento abitanti dove ho trovato persone e famiglie meravigliose. Ricordo, quando ero segretario dell’arcivescovo…, venivano in Curia genitori a chiedere a monsignor Pagani un prete per i loro figli, perché il parroco era malato. Chiese a me di seguire questa comunità almeno la domenica, ma io iniziai quasi subito ad andarci ogni sera, perché, trovando del terreno fertile, diedi vita a degli incontri formativi. Vi celebrai il mio 25° di sacerdozio e fu meraviglioso… Quando dovetti lasciarla, perché nominato parroco a Marsciano, ricevetti dai giovani di Castelvieto una lettera commovente che conservo tra le mie carte più care. Scrissero un toccante “arrivederci, ad una persona, un padre, un amico, un fratello che è stato per ben 17 anni con noi, anzi, è meglio dire fra noi… È arrivato quasi in punta di piedi, don Giuseppe…, ma ha fatto subito capire che a Castelvieto non era giunta una personalità come tante altre, ma un ciclone dalle idee meravigliose e dalle maniere esaltanti, coinvolgenti; un gentiluomo, oltre che un parroco…, un motivatore! Non era facile farsi apprezzare, e soprattutto seguire, dalla gioventù così bella e piena di potenzialità, ma anche così restia al coinvolgimento..., ebbene lei, don Giuseppe, ci è riuscito.

Il “grazie” dei giovani a don Giuseppe Ricci

Non si deve pensare di chissà quali alchimie o miracoli sia stato autore, serviva una cosa tanto semplice ma così complicata allo stesso tempo… affetto! Con tanto affetto e amore, don Giuseppe, lei ha plasmato un gruppo di giovani assetati di opere buone tra di noi e verso gli altri. La ringraziamo per averci portato un ideale, per essere intervenuto ai nostri incontri, per aver organizzato i nostri incontri, per aver fatto confluire la nostra creatività in quelle belle feste di Natale e dell’Epifania, per averci consigliato, per averci prestato una spalla quando dovevamo piangere, per averci telefonato tutte quelle volte quando si accorgeva che ci stavamo allontanando, per averci sgridato quando ce lo meritavamo… Siamo felici per i giovani della sua nuova parrocchia, perché potranno godere della sua vicinanza, anzi, forse è meglio dire che siamo un po’ invidiosi…”». Anche dalla testimonianza dei giovani della piccola Castelvieto traspare nitidamente l’affetto di don Giuseppe alla sua Chiesa e alla sua gente, un “investimento”, soprattutto umano e spirituale, andato a buon fine per il bene dell’intera società. [gallery size="large" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Mons. Giuseppe Ricci" ids="76178,76180,76183,76179,76184,76185,76182,76181"]]]>
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Omaggio a don Francesco Spingola con concerto e messa https://www.lavoce.it/omaggio-a-don-francesco-spingola-con-concerto-e-messa/ https://www.lavoce.it/omaggio-a-don-francesco-spingola-con-concerto-e-messa/#respond Wed, 17 Jan 2024 16:44:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74558

Il 5 novembre del 2020, dopo una dolorosa malattia, ci lasciava Monsignor Francesco Spingola, sacerdote e musicista di altissimo profilo, che ha tracciato segni indelebili nella cultura della musica sacra nazionale e internazionale. Dalla natia Calabria dove era iniziato il suo cammino religioso, educativo e artistico, don Francesco è approdato a Perugia nel 1970 ottenendo anche in Umbria il riconoscimento della sua grandezza di pastore e maestro nella vita e nell'arte. La sua fede cristallina e potente ha consegnato orientamenti sicuri ai tanti suoi allievi del seminario di Cassano all’Ionio, dove ha esercitato l'insegnamento dopo l'ordinazione sacerdotale ricevuta nel 1955. A testimonianza di quel periodo assume uno speciale significato il documento (scritto in parte a mano e in parte con una vecchia macchina da scrivere) nel quale il giovane don Francesco aveva fissato i suoi pensieri sulla Via Crucis con una straordinaria intensità. Nella fase terminale della sua malattia, don Francesco mi consegnò questo materiale ben conoscendo il mio immenso amore per Gesù e la mia particolare devozione per il venerdì santo. I pensieri contenuti in tale lavoro di riflessione presentano anche risvolti di intima tensione emotiva legata sia al ministero religioso, sia alla quotidianità della condizione umana. La via della Croce è la strada che percorrono ogni giorno quanti si trovano nel dolore, troppo spesso vittime dell'indifferenza generata dall'egoismo, ed è al tempo stesso un cammino interiore, fra travaglio e ristoro, che conduce alla comprensione del senso più profondo del messaggio cristiano e cioè che non c'è estasi senza agonia e non c'è resurrezione senza morte. Della lunga esperienza sacerdotale di don Francesco resta vivo il ricordo della voce chiara e sicura con cui spiegava il Vangelo nel corso della Messa: una voce densa di autenticità e sempre attenta a coinvolgere l'uditorio nella sua totalità, perché la fede è una tensione verso il bene che ci rende fratelli e necessita di essere testimoniata nell'amore per la verità. Monsignor Spingola è stato maestro in ogni fibra dell'essere e il proprio eccelso talento musicale ha sempre sostenuto la sua intenzionalità educativa e pastorale. Diplomatosi al Conservatorio di Bari sotto la guida del maestro Nino Rota, ha coniugato, attraverso l'esercizio e l'insegnamento del canto corale, le proprie vocazioni sacerdotale e artistica fondando un coro polifonico nella diocesi di Cassano all’Ionio e conferendo nuova e vivace linfa al canto gregoriano.

Il coro “San Faustino” e l'Istituto “Frescobaldi”

Lasciata la Calabria per motivi familiari, a Perugia ha ricominciato con umiltà, determinazione e pazienza a tessere la tela dell'arte musicale coristica gettando le basi per la fondazione di un nuovo coro con i bambini e i ragazzi del quartiere in cui don Francesco esercitava il proprio magistero pastorale. Si è andato così formando il coro polifonico San Faustino destinato nel tempo a esibirsi in varie località dell'Italia, dell'Europa e degli Stati Uniti d'America, senza mai dismettere il proprio abito di accompagnamento alla liturgia e agli eventi religiosi del mondo cristiano. Dal 5 novembre scorso, in occasione del terzo anniversario della scomparsa di don Francesco, il coro polifonico San Faustino ha assunto anche il nome del suo fondatore e storico direttore. Inoltre monsignor Spingola è stato impegnato nella direzione dell'Istituto Diocesano di Musica Sacra “Girolamo Frescobaldi” succedendo a monsignor Pietro Squartini che aveva avviato l’attività dello stesso Istituto, da lui diretto fino alla morte. [caption id="attachment_74589" align="alignnone" width="640"]zona absidale della chiesa con pareti chiare, quadro sul fondo e altri quadri ai lati. In basso un organo e due pianoforti. L'Auditorium Marianum dell'Istituto Frescobaldi[/caption]

Spingola: la musica come elevazione spirituale

Nel corso della sua lunghissima esperienza direttiva, il maestro Spigola ha investito copiose energie per sensibilizzare genitori, scuole, e soprattutto giovani e giovanissimi sull'importanza della musica come mezzo di elevazione spirituale, formazione culturale e disciplina interiore. I corsi generali e di strumento presso l'Istituto “Frescobaldi” sono andati così via via aumentando facendo della scuola musicale diocesana un importante riferimento culturale e artistico per la città di Perugia, anche per le frequenti iniziative di eventi musicali con la partecipazione di grandi artisti di ogni parte del mondo. Enorme è l'eredità che don Francesco ha lasciato attraverso le numerosissime composizioni musicali e le preziose pubblicazioni di carattere storico, linguistico, letterario e antropologico, alcune delle quali realizzate per l'istituto “Frescobaldi”, come, ad esempio, la rivista di musicologia Studi e documentazioni e il testo Organi e Organari dell'Umbria: opere che testimoniano il valore riconosciuto da don Francesco alla memoria come strumento d’elezione in campo educativo. Fra i molteplici aspetti della versatilità artistica, tanto musicale che letteraria, di don Francesco non può essere taciuto l'interesse antropologico e linguistico del maestro per il lessico e le tradizioni della sua terra natale. Interesse che ha prodotto opere di grande spessore e assoluta originalità dalle quali si evince facilmente lo stretto legame che tiene insieme i luoghi, le parole e la musica.

Opere di mons. Spingola

Don Francesco, infatti, oltre ad aver scritto un  dizionario del dialetto di Verbicaro (suo paese d'origine in provincia di Cosenza) ha dato alla luce due raccolte poetiche, sempre scritte nel dialetto della sua terra, di grande valore antropologico e letterario: Quisquilie e Ninne Nanne Jocarieddhi Canzuneddi e Prighieri ‘i Vruvicaru (di quest'ultimo lavoro è doveroso evidenziare anche la trascrizione musicale riportata dall'autore con arte non comune). Di assoluto rilievo antropologico è infine quella che può essere considerata una sorta di “summa” in questo ambito di lavoro artistico: la fedele trascrizione di parole e musica dei Canti della tradizione religiosa di Verbicaro. Si può dunque parlare, senza tema di smentita, di un uomo straordinario e di un artista al tempo stesso peculiare e universale per la specificità e la vastità dei suoi interessi e dei suoi talenti, serviti, nell'arco di tutta una vita, con costanti dedizione e impegno, anche nei momenti difficili dei lutti familiari e della malattia.

Iniziativa per ricordare don Spingola

Il prossimo 21 gennaio 2024 alle ore 18 presso l'Auditorium Marianum sito al numero 184 di Corso Cavour a Perugia, sarà celebrata da don Francesco Verzini una Santa Messa solenne in memoria di monsignor Francesco Spingola. Durante la celebrazione liturgica, saranno eseguiti, in omaggio al maestro, canti scritti da don Francesco dal Coro Polifonico San Faustino Francesco Spingola diretto dal maestro Daniele Lupo.
Al termine della Messa sarà donato ai presenti che lo desiderino il libro di Leonardo Alario Monsignor Francesco Spingola una vita piena di Fede, Amore e Musica per volontà del fratello Emanuele che è autore dell'introduzione al testo, in cui viene delineato un commuovente profilo umano del compianto don Francesco Spingola che è sempre nel cuore di quanti lo hanno conosciuto e amato.
Antonella Ubaldi
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Il 5 novembre del 2020, dopo una dolorosa malattia, ci lasciava Monsignor Francesco Spingola, sacerdote e musicista di altissimo profilo, che ha tracciato segni indelebili nella cultura della musica sacra nazionale e internazionale. Dalla natia Calabria dove era iniziato il suo cammino religioso, educativo e artistico, don Francesco è approdato a Perugia nel 1970 ottenendo anche in Umbria il riconoscimento della sua grandezza di pastore e maestro nella vita e nell'arte. La sua fede cristallina e potente ha consegnato orientamenti sicuri ai tanti suoi allievi del seminario di Cassano all’Ionio, dove ha esercitato l'insegnamento dopo l'ordinazione sacerdotale ricevuta nel 1955. A testimonianza di quel periodo assume uno speciale significato il documento (scritto in parte a mano e in parte con una vecchia macchina da scrivere) nel quale il giovane don Francesco aveva fissato i suoi pensieri sulla Via Crucis con una straordinaria intensità. Nella fase terminale della sua malattia, don Francesco mi consegnò questo materiale ben conoscendo il mio immenso amore per Gesù e la mia particolare devozione per il venerdì santo. I pensieri contenuti in tale lavoro di riflessione presentano anche risvolti di intima tensione emotiva legata sia al ministero religioso, sia alla quotidianità della condizione umana. La via della Croce è la strada che percorrono ogni giorno quanti si trovano nel dolore, troppo spesso vittime dell'indifferenza generata dall'egoismo, ed è al tempo stesso un cammino interiore, fra travaglio e ristoro, che conduce alla comprensione del senso più profondo del messaggio cristiano e cioè che non c'è estasi senza agonia e non c'è resurrezione senza morte. Della lunga esperienza sacerdotale di don Francesco resta vivo il ricordo della voce chiara e sicura con cui spiegava il Vangelo nel corso della Messa: una voce densa di autenticità e sempre attenta a coinvolgere l'uditorio nella sua totalità, perché la fede è una tensione verso il bene che ci rende fratelli e necessita di essere testimoniata nell'amore per la verità. Monsignor Spingola è stato maestro in ogni fibra dell'essere e il proprio eccelso talento musicale ha sempre sostenuto la sua intenzionalità educativa e pastorale. Diplomatosi al Conservatorio di Bari sotto la guida del maestro Nino Rota, ha coniugato, attraverso l'esercizio e l'insegnamento del canto corale, le proprie vocazioni sacerdotale e artistica fondando un coro polifonico nella diocesi di Cassano all’Ionio e conferendo nuova e vivace linfa al canto gregoriano.

Il coro “San Faustino” e l'Istituto “Frescobaldi”

Lasciata la Calabria per motivi familiari, a Perugia ha ricominciato con umiltà, determinazione e pazienza a tessere la tela dell'arte musicale coristica gettando le basi per la fondazione di un nuovo coro con i bambini e i ragazzi del quartiere in cui don Francesco esercitava il proprio magistero pastorale. Si è andato così formando il coro polifonico San Faustino destinato nel tempo a esibirsi in varie località dell'Italia, dell'Europa e degli Stati Uniti d'America, senza mai dismettere il proprio abito di accompagnamento alla liturgia e agli eventi religiosi del mondo cristiano. Dal 5 novembre scorso, in occasione del terzo anniversario della scomparsa di don Francesco, il coro polifonico San Faustino ha assunto anche il nome del suo fondatore e storico direttore. Inoltre monsignor Spingola è stato impegnato nella direzione dell'Istituto Diocesano di Musica Sacra “Girolamo Frescobaldi” succedendo a monsignor Pietro Squartini che aveva avviato l’attività dello stesso Istituto, da lui diretto fino alla morte. [caption id="attachment_74589" align="alignnone" width="640"]zona absidale della chiesa con pareti chiare, quadro sul fondo e altri quadri ai lati. In basso un organo e due pianoforti. L'Auditorium Marianum dell'Istituto Frescobaldi[/caption]

Spingola: la musica come elevazione spirituale

Nel corso della sua lunghissima esperienza direttiva, il maestro Spigola ha investito copiose energie per sensibilizzare genitori, scuole, e soprattutto giovani e giovanissimi sull'importanza della musica come mezzo di elevazione spirituale, formazione culturale e disciplina interiore. I corsi generali e di strumento presso l'Istituto “Frescobaldi” sono andati così via via aumentando facendo della scuola musicale diocesana un importante riferimento culturale e artistico per la città di Perugia, anche per le frequenti iniziative di eventi musicali con la partecipazione di grandi artisti di ogni parte del mondo. Enorme è l'eredità che don Francesco ha lasciato attraverso le numerosissime composizioni musicali e le preziose pubblicazioni di carattere storico, linguistico, letterario e antropologico, alcune delle quali realizzate per l'istituto “Frescobaldi”, come, ad esempio, la rivista di musicologia Studi e documentazioni e il testo Organi e Organari dell'Umbria: opere che testimoniano il valore riconosciuto da don Francesco alla memoria come strumento d’elezione in campo educativo. Fra i molteplici aspetti della versatilità artistica, tanto musicale che letteraria, di don Francesco non può essere taciuto l'interesse antropologico e linguistico del maestro per il lessico e le tradizioni della sua terra natale. Interesse che ha prodotto opere di grande spessore e assoluta originalità dalle quali si evince facilmente lo stretto legame che tiene insieme i luoghi, le parole e la musica.

Opere di mons. Spingola

Don Francesco, infatti, oltre ad aver scritto un  dizionario del dialetto di Verbicaro (suo paese d'origine in provincia di Cosenza) ha dato alla luce due raccolte poetiche, sempre scritte nel dialetto della sua terra, di grande valore antropologico e letterario: Quisquilie e Ninne Nanne Jocarieddhi Canzuneddi e Prighieri ‘i Vruvicaru (di quest'ultimo lavoro è doveroso evidenziare anche la trascrizione musicale riportata dall'autore con arte non comune). Di assoluto rilievo antropologico è infine quella che può essere considerata una sorta di “summa” in questo ambito di lavoro artistico: la fedele trascrizione di parole e musica dei Canti della tradizione religiosa di Verbicaro. Si può dunque parlare, senza tema di smentita, di un uomo straordinario e di un artista al tempo stesso peculiare e universale per la specificità e la vastità dei suoi interessi e dei suoi talenti, serviti, nell'arco di tutta una vita, con costanti dedizione e impegno, anche nei momenti difficili dei lutti familiari e della malattia.

Iniziativa per ricordare don Spingola

Il prossimo 21 gennaio 2024 alle ore 18 presso l'Auditorium Marianum sito al numero 184 di Corso Cavour a Perugia, sarà celebrata da don Francesco Verzini una Santa Messa solenne in memoria di monsignor Francesco Spingola. Durante la celebrazione liturgica, saranno eseguiti, in omaggio al maestro, canti scritti da don Francesco dal Coro Polifonico San Faustino Francesco Spingola diretto dal maestro Daniele Lupo.
Al termine della Messa sarà donato ai presenti che lo desiderino il libro di Leonardo Alario Monsignor Francesco Spingola una vita piena di Fede, Amore e Musica per volontà del fratello Emanuele che è autore dell'introduzione al testo, in cui viene delineato un commuovente profilo umano del compianto don Francesco Spingola che è sempre nel cuore di quanti lo hanno conosciuto e amato.
Antonella Ubaldi
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Don Lorenzo Milani, la sua scuola un modello vivente https://www.lavoce.it/don-lorenzo-milani-la-sua-scuola-un-modello-vivente/ https://www.lavoce.it/don-lorenzo-milani-la-sua-scuola-un-modello-vivente/#respond Tue, 30 May 2023 21:00:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=71788

di Erica Cassetta *

La figura di don Lorenzo Milani, la sua vita e la sua azione di sacerdote e di maestro, hanno attraversato in modo carsico la nostra storia. I suoi scritti “pastorali” ed educativi non hanno mai smesso di interrogare non solo i docenti più avveduti, ma anche quelle istituzioni religiose e scolastiche che lo hanno apertamente avversato. Nel primo caso è di capitale importanza il finanziamento a Barbiana da parte di Papa Paolo VI, nei giorni dell’invito all’ "escardinazione” da parte del vescovo di Firenze, Florit.

2017, l'anno della riabilitazione per don Lorenzo Milani

Il 2017 è l’anno della riabilitazione piena di don Milani da parte delle autorità religiose con Papa Francesco che visita Barbiana, prega sulla tomba di don Milani e riconosce apertamente l’errore della curia fiorentina, nello stesso tempo il Ministero dell’Istruzione dà vita ad un Convegno nel quale riconosce la sua figura di grande educatore, ne parla come di un “ispiratore”, di un “grande illuminato educatore”.

Don Lorenzo Milani non è né comunista, né marxista

Don Milani non è comunista, né marxista, non auspica nessuna rivoluzione sociale o economica; stringe relazioni ed alleanze con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che possano aiutarlo nella sua missione di accompagnare i poveri in un percorso reale di emancipazione e giustizia. Da grande educatore sa leggere il contesto nel quale è stato esiliato ed utilizza quegli strumenti didattici, quei metodi che gli possono permettere di raggiungere il suo fine. Oggi in una dimensione di individualismo dominante il suo insegnamento è certamente di grande attualità.

La scuola di don Lorenzo Milani era inclusiva

La scuola di don Milani è inclusiva, non discriminante, è contemporanea: si leggono i giornali e ci si interessa del mondo. E' una scuola cooperativa: si studia intorno ad un unico tavolo ed i più grandi insegnano ai più piccoli; valorizza i talenti e le inclinazioni di ciascuno, è una scuola non meritocratica e che non boccia. La scuola di don Milani porta il mondo dentro la scuola e si apre al mondo.

La scuola di oggi

La scuola italiana di oggi non è sicuramente più quella degli anni ’60 e la sua trasformazione ha risentito del dibattito in sede EU e dell’accoglimento di esperienze e modelli della nostra tradizione e di quella internazionale. I temi ed azioni sviluppati sulle Competenze, Valutazione, Orientamento, Continuità…, i Progetti di singole scuole o di scuole in rete, i nuovi approcci didattici, le nuove metodologie, sono esempi di innovazione condivisibili, ma che non hanno trovato una sistemazione organica, strutturale.

Questa scuola sembra essere “una scuola senz’anima”! Se don Milani fosse vissuto ai nostri giorni, da questa scuola sarebbe partito ed il suo spirito critico si sarebbe esercitato su una scuola di massa, si sarebbe preso cura dei giovani di oggi, degli insegnanti e i genitori del presente. Per don Milani la lingua era l’elemento fondamentale per essere e diventare cittadini, in un paese in cui la maggioranza della popolazione era sostanzialmente analfabeta. Dopo il Covid 19 e nella crisi valoriale e sociale attuale quali sono gli analfabetismi attuali?

I nuovi strumenti di comunicazione

I nuovi strumenti di comunicazione cambiano e si affermano con una rapidità che li rende velocemente superati. Il linguaggio dei social è oggi la lingua che fa uguali?! I docenti devono saperli far usare criticamente, insegnando ai ragazzi a saper selezionare le informazioni, distinguendo quelle vere dalle false.

L'importanza della relazione umana ed educativa

Servono la stabilità del personale e la formazione obbligatoria da contratto durante tutto il percorso professionale. Gli studenti hanno anche bisogno di sentirsi “amati, accompagnati, guidati”. Il nucleo centrale è “la relazione” umana prima, educativa dopo. La scuola anaffettiva non ha prodotto risultati positivi in questi anni. L’affetto schietto ed autorevole (proprio di Don Milani) nel rapporto insegnante-docente è importante per consentire la disponibilità ad imparare. In un momento in cui la denatalità sta riducendo drasticamente le nostre classi, si dovrebbe intervenire sull’attuale legislazione. Classi di 15 alunni sono la dimensione ottimale per personalizzare la relazione docente-alunno e l’istaurarsi della dimensione affettiva.

* Segretaria regionale Cisl Scuola Umbria Componente Comitato nazionale celebrazioni centenario della nascita di Don Milani (1923-2023)

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di Erica Cassetta *

La figura di don Lorenzo Milani, la sua vita e la sua azione di sacerdote e di maestro, hanno attraversato in modo carsico la nostra storia. I suoi scritti “pastorali” ed educativi non hanno mai smesso di interrogare non solo i docenti più avveduti, ma anche quelle istituzioni religiose e scolastiche che lo hanno apertamente avversato. Nel primo caso è di capitale importanza il finanziamento a Barbiana da parte di Papa Paolo VI, nei giorni dell’invito all’ "escardinazione” da parte del vescovo di Firenze, Florit.

2017, l'anno della riabilitazione per don Lorenzo Milani

Il 2017 è l’anno della riabilitazione piena di don Milani da parte delle autorità religiose con Papa Francesco che visita Barbiana, prega sulla tomba di don Milani e riconosce apertamente l’errore della curia fiorentina, nello stesso tempo il Ministero dell’Istruzione dà vita ad un Convegno nel quale riconosce la sua figura di grande educatore, ne parla come di un “ispiratore”, di un “grande illuminato educatore”.

Don Lorenzo Milani non è né comunista, né marxista

Don Milani non è comunista, né marxista, non auspica nessuna rivoluzione sociale o economica; stringe relazioni ed alleanze con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che possano aiutarlo nella sua missione di accompagnare i poveri in un percorso reale di emancipazione e giustizia. Da grande educatore sa leggere il contesto nel quale è stato esiliato ed utilizza quegli strumenti didattici, quei metodi che gli possono permettere di raggiungere il suo fine. Oggi in una dimensione di individualismo dominante il suo insegnamento è certamente di grande attualità.

La scuola di don Lorenzo Milani era inclusiva

La scuola di don Milani è inclusiva, non discriminante, è contemporanea: si leggono i giornali e ci si interessa del mondo. E' una scuola cooperativa: si studia intorno ad un unico tavolo ed i più grandi insegnano ai più piccoli; valorizza i talenti e le inclinazioni di ciascuno, è una scuola non meritocratica e che non boccia. La scuola di don Milani porta il mondo dentro la scuola e si apre al mondo.

La scuola di oggi

La scuola italiana di oggi non è sicuramente più quella degli anni ’60 e la sua trasformazione ha risentito del dibattito in sede EU e dell’accoglimento di esperienze e modelli della nostra tradizione e di quella internazionale. I temi ed azioni sviluppati sulle Competenze, Valutazione, Orientamento, Continuità…, i Progetti di singole scuole o di scuole in rete, i nuovi approcci didattici, le nuove metodologie, sono esempi di innovazione condivisibili, ma che non hanno trovato una sistemazione organica, strutturale.

Questa scuola sembra essere “una scuola senz’anima”! Se don Milani fosse vissuto ai nostri giorni, da questa scuola sarebbe partito ed il suo spirito critico si sarebbe esercitato su una scuola di massa, si sarebbe preso cura dei giovani di oggi, degli insegnanti e i genitori del presente. Per don Milani la lingua era l’elemento fondamentale per essere e diventare cittadini, in un paese in cui la maggioranza della popolazione era sostanzialmente analfabeta. Dopo il Covid 19 e nella crisi valoriale e sociale attuale quali sono gli analfabetismi attuali?

I nuovi strumenti di comunicazione

I nuovi strumenti di comunicazione cambiano e si affermano con una rapidità che li rende velocemente superati. Il linguaggio dei social è oggi la lingua che fa uguali?! I docenti devono saperli far usare criticamente, insegnando ai ragazzi a saper selezionare le informazioni, distinguendo quelle vere dalle false.

L'importanza della relazione umana ed educativa

Servono la stabilità del personale e la formazione obbligatoria da contratto durante tutto il percorso professionale. Gli studenti hanno anche bisogno di sentirsi “amati, accompagnati, guidati”. Il nucleo centrale è “la relazione” umana prima, educativa dopo. La scuola anaffettiva non ha prodotto risultati positivi in questi anni. L’affetto schietto ed autorevole (proprio di Don Milani) nel rapporto insegnante-docente è importante per consentire la disponibilità ad imparare. In un momento in cui la denatalità sta riducendo drasticamente le nostre classi, si dovrebbe intervenire sull’attuale legislazione. Classi di 15 alunni sono la dimensione ottimale per personalizzare la relazione docente-alunno e l’istaurarsi della dimensione affettiva.

* Segretaria regionale Cisl Scuola Umbria Componente Comitato nazionale celebrazioni centenario della nascita di Don Milani (1923-2023)

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Cei, il cardinale Bassetti racconta come vive gli ultimi giorni da presidente https://www.lavoce.it/cardinale-bassetti-cei-ultimi-giorni-presidente/ Wed, 18 May 2022 07:24:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=66763

Siamo alla vigilia dell’assemblea dei vescovi italiani che si terrà a Roma dal 23 al 27 maggio, nella quale i vescovi eleggeranno una terna di nomi tra i quali Papa Francesco sceglierà il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, il successore del cardinale Gualtiero Bassetti. Un appuntamento importante che segna un forte cambiamento nella vita di Bassetti, che negli ultimi 13 anni è stato arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Il Cardinale ci riceve nel suo studio che affaccia su piazza IV Novembre, con cordialità e con l’affetto del Pastore di questa diocesi. Ha molti impegni ma ci concede questa intervista. Sa che verrà pubblicata nei “suoi” mezzi di comunicazione: il settimanale cartaceo e questo suo sito e, in forma più breve, su Umbria Radio InBlu che la pubblicherà in podcast sul suo sito. Eminenza, la prossima settimana sarà importante, ma una data ancora più importante l’ha festeggiata in aprile quando ha compiuto 80 anni. Anni che parlano di una vita vissuta molto intensamente al servizio della Chiesa, una vita piena di sorprese tra cui il cardinalato che lei stesso non s’aspettava! Una vita per Cristo, nella Chiesa. Lei ha sempre detto che che vale la pena viverla. Oggi come spiegherebbe ad un non credente perché vale la pena vivere nella Chiesa? “La Chiesa è stata il grembo materno in cui sono cresciuto. Fin da piccolino, nel mio paesino di montagna, ho vissuto accanto alla parrocchia e poi sono entrato in seminario a 14 anni. Noi che abbiamo fatto il seminario minore in qualche modo, forse più di altri, siamo abituati a sentire questa maternità della Chiesa. Prima ancora di essere un fatto di mente e di fede, per me la Chiesa è un grembo materno che mi ha accolto e non mi ha mai abbandonato. E questo ce l’hanno fatto gustare i nostri superiori fin dal Seminario minore. Ma indipendentemente dall’essere vissuto nella fede, che è una grande luce, e nella Chiesa, che è questo grembo materno, ogni vita, anche per chi non crede, vale per come è spesa e per come è impiegata, perché anche indipendente dalla fede vale per tutti il comandamento di amare il prossimo come se stessi. Naturalmente per chi ha fede questo fatto è radicato in Dio e per chi non ha fede questo fatto è radicato nella comune natura umana. Come disse l’imam di Abu Dhabi nel colloquio con Papa Francesco, noi tutti apparteniamo ad un’unica natura umana, quindi già per questo siamo fratelli e vale il comandamento dell’amore”. Lei ha avuto una vita intensa in particolare in questi ultimi anni come presidente della Cei, ma anche prima. Ha girato il mondo, ha conosciuto tante realtà, incontrato molte personalità. Ha vissuto momenti molto belli. Dalla prossima settimana non sarà più presidente della Cei e poi, quando vorrà il Papa, ci sarà un nuovo vescovo anche qui a Perugia. Ma un sacerdote non va mai in “pensione”. Come sta vivendo questo momento di passaggio? “Il Signore mi dona una vera serenità, una calma interiore, per cui non mi agito pensando al ‘dopo’. Io penso a vivere con intensità e pienezza quello che devo fare ora, giorno per giorno e momento per momento. Anche perché arrivati a ottant’anni si sente anche di più la fragilità della condizione umana, e ogni momento può essere buono per la chiamata del Signore. Ho capito questo anche attraverso la vita dei Santi. Chiesero a san Domenico Savio: se ti dicessero che il Signore ti porta via tra un quarto d’ora tu che faresti? Rispose: continuerei a giocare!. Ecco forse bisogna vivere un pochino anche facendo con rettitudine, onestà e grande amore, le cose che dobbiamo fare”. Comunque un minimo di organizzazione deve averla. Per esempio in diocesi ci si chiede dove andrà a vivere il nostro Vescovo? “Questa è la quarta diocesi che servo. Sono cresciuto nella diocesi di Firenze e lì sono stato ordinato prete e vescovo. Poi sono stato per cinque anni vescovo di Massa Marittima - Piombino, dieci anni vescovo di Arezzo e da tredici anni sono a Perugia - Città della Pieve. Ho pensato di rimanere in questa ultima diocesi che la provvidenza mi ha affidato, andando ad abitare a Città della Pieve e lì riposarmi e rendere qualche servizio pastorale se potrà essere utile”. Alla Pieve si sentirà un po’ più vicino alla sua Toscana… “Sì, da lì si vede tutta la zona del Chianti fino all’Amiata, quindi ho la visione di tutta la Toscana pur essendo ancora all’interno del territorio di questa Chiesa. E questo mi dà anche pace e serenità”. Questo suo riferimento allo “sguardo” mi fa venire in mente che durante il Covid, quando non ci si poteva muovere, lei disse che affacciandosi alla finestra della sua camera con lo sguardo sorvolava i tetti di Perugia e pregava per la sua gente. Poi il Covid lei l’ha conosciuto da vicino, tanto da essere ricoverato in ospedale. Quando è stato dimesso, in una intervista ad Avvenire disse che “quando si è prossimi a rendere conto della propria vita vengono in mente le enormi possibilità di bene che Dio ti ha prospettato e che non hai sfruttato per i tuoi limiti o per le tue omissioni”. E ha aggiunto “è come se volessi recuperare tutto quello che non sei riuscito a fare”... “Io ho chiesto al Signore: se tu mi dai i tempi supplementari per giocare questa meravigliosa partita che è il gioco della vita, io cercherò di fare al meglio per colmare quelle lacune che ci sono state nella mia vita. L’ho detto tante volte: i peccati di fragilità il Signore ce li perdona, ma le omissioni non tornano più come casi di Grazia, o perlomeno in quella forma. Poi il Signore è misericordioso, è buono, ti manderà altre occasioni…”. ...e lei si è impegnato perché si è rimesso in corsa e non si è risparmiato. Ma c’è ancora qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha potuto? “Avrei voluto fare bene la visita pastorale in questa diocesi, ma l’ho dovuta fare un po’ affrettata. Prima, per dieci anni sono stato visitatore dei seminari in Italia. Poi sono diventato vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e poi presidente. Il mio rimpianto, ma non potevo fare diversamente, è quello di non avere dato a questa Chiesa tutto quello che volevo. Per esempio avrei voluto fare anche un Sinodo, ma ho dovuto fare i conti con i miei limiti e soprattutto con il tempo”. Veniamo all’oggi. In questi ultimi anni abbiamo vissuto prima la pandemia e ora anche la guerra. Pensando ai responsabili dei popoli quale è la cosa importante che vorrebbe che facessero? “Credo che questo sia il momento e di riflettere e di mandare continuamente segni di dialogo e di pace. Io mi rifaccio ai due incontri che ho promosso, il primo a Bari solo coi Vescovi, il secondo a Firenze anche con i Sindaci dei paesi del Mediterraneo. A Firenze nel mese di febbraio con i Sindaci e i Vescovi è stata scritta una Carta che ho portato anche al Presidente della Repubblica e che potrebbe essere presentata anche all’Onu. In questi incontri ho visto che i Sindaci e i Vescovi esprimevano gli stessi desideri, forse perché sono le persone più vicine alla gente per una missione analoga che essi hanno. La gente ha bisogno di pace, la gente ha bisogno di essere unita. Se noi riuscissimo a mettere in pratica quello che ci ha dato il Papa nella Fratelli tutti... c’è tutto: c’è il rispetto dell’ambiente, c’è la fraternità vissuta e condivisa, c’è la pace, c’è la lotta perché questa è la lotta per la giustizia. Io credo che da Firenze nascerà qualche cosa che potrà incidere anche sul Mediterraneo e oltre”. Stiamo vivendo come Chiesa universale un momento importante: il Sinodo sulla sinodalità. Il Papa ha voluto che fossero coinvolti anche i singoli fedeli e l’assemblea dei Vescovi farà un bilancio di questo primo anno che si è concluso e che era dedicato all’ascolto. Quale è il suo primo personale bilancio? “Non lo dico per piaggeria ma perché ne sono profondamente convinto. Il Papa ha avuto una intuizione formidabile, veramente ispirata da Dio, anche su come ha impostato il Sinodo per la Chiesa universale, cioè sull’ascolto. Io da principio dissi ‘ma è così importante?’. Non solo è importante: è fondamentale. E anche nei quasi duecento gruppi che abbiamo fatto in diocesi avevo paura che per un motivo o per un altro - la pandemia che non è finita e la guerra in Ucraina che in qualche modo ha anche coinvolto tutti noi - avevo paura che il Sinodo diventasse una specie di Cenerentola. Ma non è andata così perché la gente è stata attratta proprio da questo desiderio di parlare, di esprimersi. Cominciando dagli adolescenti! Quando hanno posto la domanda a un gruppo di adolescenti ‘Ma a voi, chi vi ascolta?’, hanno risposto: ‘Nessuno perché in famiglia hanno da fare. Il babbo è stanco, la mamma c’ha i suoi problemi e a scuola parlano i maestri e nella Chiesa parlano i preti’. Anche dalla sintesi della nostra diocesi, che veramente invito tutti a leggere e a meditare, sono venute fuori parole molto coraggiose, di una Chiesa che tutto sommato è ancora molto clericale. È venuta fuori una Chiesa che ha veramente bisogno di dialogo, di ascolto, di essere meno clericale e di valorizzare fino in fondo i laici. Noi non stiamo valorizzando i laici come Dio comanda e come anche il Papa ha suggerito in quello stupendo documento che è la Evangelii Gaudium”. Concludiamo il colloquio con un grande augurio per la prossima settimana, e il Cardinale ci risponde con un grazie, un invito e una battuta… “Grazie! Io non so ancora cosa dirò. E chiedo alla Chiesa di cui sono ancora vescovo, almeno fino all’assemblea, di pregare perché il Signore ci illumini. Perché se il Signore illumina 228 vescovi allora, diceva La Pira, l’affare è fatto! Ci convertiamo tutti”.

Il video integrale dell'intervista

https://www.youtube.com/watch?v=KeSpGyrkasw]]>

Siamo alla vigilia dell’assemblea dei vescovi italiani che si terrà a Roma dal 23 al 27 maggio, nella quale i vescovi eleggeranno una terna di nomi tra i quali Papa Francesco sceglierà il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, il successore del cardinale Gualtiero Bassetti. Un appuntamento importante che segna un forte cambiamento nella vita di Bassetti, che negli ultimi 13 anni è stato arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Il Cardinale ci riceve nel suo studio che affaccia su piazza IV Novembre, con cordialità e con l’affetto del Pastore di questa diocesi. Ha molti impegni ma ci concede questa intervista. Sa che verrà pubblicata nei “suoi” mezzi di comunicazione: il settimanale cartaceo e questo suo sito e, in forma più breve, su Umbria Radio InBlu che la pubblicherà in podcast sul suo sito. Eminenza, la prossima settimana sarà importante, ma una data ancora più importante l’ha festeggiata in aprile quando ha compiuto 80 anni. Anni che parlano di una vita vissuta molto intensamente al servizio della Chiesa, una vita piena di sorprese tra cui il cardinalato che lei stesso non s’aspettava! Una vita per Cristo, nella Chiesa. Lei ha sempre detto che che vale la pena viverla. Oggi come spiegherebbe ad un non credente perché vale la pena vivere nella Chiesa? “La Chiesa è stata il grembo materno in cui sono cresciuto. Fin da piccolino, nel mio paesino di montagna, ho vissuto accanto alla parrocchia e poi sono entrato in seminario a 14 anni. Noi che abbiamo fatto il seminario minore in qualche modo, forse più di altri, siamo abituati a sentire questa maternità della Chiesa. Prima ancora di essere un fatto di mente e di fede, per me la Chiesa è un grembo materno che mi ha accolto e non mi ha mai abbandonato. E questo ce l’hanno fatto gustare i nostri superiori fin dal Seminario minore. Ma indipendentemente dall’essere vissuto nella fede, che è una grande luce, e nella Chiesa, che è questo grembo materno, ogni vita, anche per chi non crede, vale per come è spesa e per come è impiegata, perché anche indipendente dalla fede vale per tutti il comandamento di amare il prossimo come se stessi. Naturalmente per chi ha fede questo fatto è radicato in Dio e per chi non ha fede questo fatto è radicato nella comune natura umana. Come disse l’imam di Abu Dhabi nel colloquio con Papa Francesco, noi tutti apparteniamo ad un’unica natura umana, quindi già per questo siamo fratelli e vale il comandamento dell’amore”. Lei ha avuto una vita intensa in particolare in questi ultimi anni come presidente della Cei, ma anche prima. Ha girato il mondo, ha conosciuto tante realtà, incontrato molte personalità. Ha vissuto momenti molto belli. Dalla prossima settimana non sarà più presidente della Cei e poi, quando vorrà il Papa, ci sarà un nuovo vescovo anche qui a Perugia. Ma un sacerdote non va mai in “pensione”. Come sta vivendo questo momento di passaggio? “Il Signore mi dona una vera serenità, una calma interiore, per cui non mi agito pensando al ‘dopo’. Io penso a vivere con intensità e pienezza quello che devo fare ora, giorno per giorno e momento per momento. Anche perché arrivati a ottant’anni si sente anche di più la fragilità della condizione umana, e ogni momento può essere buono per la chiamata del Signore. Ho capito questo anche attraverso la vita dei Santi. Chiesero a san Domenico Savio: se ti dicessero che il Signore ti porta via tra un quarto d’ora tu che faresti? Rispose: continuerei a giocare!. Ecco forse bisogna vivere un pochino anche facendo con rettitudine, onestà e grande amore, le cose che dobbiamo fare”. Comunque un minimo di organizzazione deve averla. Per esempio in diocesi ci si chiede dove andrà a vivere il nostro Vescovo? “Questa è la quarta diocesi che servo. Sono cresciuto nella diocesi di Firenze e lì sono stato ordinato prete e vescovo. Poi sono stato per cinque anni vescovo di Massa Marittima - Piombino, dieci anni vescovo di Arezzo e da tredici anni sono a Perugia - Città della Pieve. Ho pensato di rimanere in questa ultima diocesi che la provvidenza mi ha affidato, andando ad abitare a Città della Pieve e lì riposarmi e rendere qualche servizio pastorale se potrà essere utile”. Alla Pieve si sentirà un po’ più vicino alla sua Toscana… “Sì, da lì si vede tutta la zona del Chianti fino all’Amiata, quindi ho la visione di tutta la Toscana pur essendo ancora all’interno del territorio di questa Chiesa. E questo mi dà anche pace e serenità”. Questo suo riferimento allo “sguardo” mi fa venire in mente che durante il Covid, quando non ci si poteva muovere, lei disse che affacciandosi alla finestra della sua camera con lo sguardo sorvolava i tetti di Perugia e pregava per la sua gente. Poi il Covid lei l’ha conosciuto da vicino, tanto da essere ricoverato in ospedale. Quando è stato dimesso, in una intervista ad Avvenire disse che “quando si è prossimi a rendere conto della propria vita vengono in mente le enormi possibilità di bene che Dio ti ha prospettato e che non hai sfruttato per i tuoi limiti o per le tue omissioni”. E ha aggiunto “è come se volessi recuperare tutto quello che non sei riuscito a fare”... “Io ho chiesto al Signore: se tu mi dai i tempi supplementari per giocare questa meravigliosa partita che è il gioco della vita, io cercherò di fare al meglio per colmare quelle lacune che ci sono state nella mia vita. L’ho detto tante volte: i peccati di fragilità il Signore ce li perdona, ma le omissioni non tornano più come casi di Grazia, o perlomeno in quella forma. Poi il Signore è misericordioso, è buono, ti manderà altre occasioni…”. ...e lei si è impegnato perché si è rimesso in corsa e non si è risparmiato. Ma c’è ancora qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha potuto? “Avrei voluto fare bene la visita pastorale in questa diocesi, ma l’ho dovuta fare un po’ affrettata. Prima, per dieci anni sono stato visitatore dei seminari in Italia. Poi sono diventato vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e poi presidente. Il mio rimpianto, ma non potevo fare diversamente, è quello di non avere dato a questa Chiesa tutto quello che volevo. Per esempio avrei voluto fare anche un Sinodo, ma ho dovuto fare i conti con i miei limiti e soprattutto con il tempo”. Veniamo all’oggi. In questi ultimi anni abbiamo vissuto prima la pandemia e ora anche la guerra. Pensando ai responsabili dei popoli quale è la cosa importante che vorrebbe che facessero? “Credo che questo sia il momento e di riflettere e di mandare continuamente segni di dialogo e di pace. Io mi rifaccio ai due incontri che ho promosso, il primo a Bari solo coi Vescovi, il secondo a Firenze anche con i Sindaci dei paesi del Mediterraneo. A Firenze nel mese di febbraio con i Sindaci e i Vescovi è stata scritta una Carta che ho portato anche al Presidente della Repubblica e che potrebbe essere presentata anche all’Onu. In questi incontri ho visto che i Sindaci e i Vescovi esprimevano gli stessi desideri, forse perché sono le persone più vicine alla gente per una missione analoga che essi hanno. La gente ha bisogno di pace, la gente ha bisogno di essere unita. Se noi riuscissimo a mettere in pratica quello che ci ha dato il Papa nella Fratelli tutti... c’è tutto: c’è il rispetto dell’ambiente, c’è la fraternità vissuta e condivisa, c’è la pace, c’è la lotta perché questa è la lotta per la giustizia. Io credo che da Firenze nascerà qualche cosa che potrà incidere anche sul Mediterraneo e oltre”. Stiamo vivendo come Chiesa universale un momento importante: il Sinodo sulla sinodalità. Il Papa ha voluto che fossero coinvolti anche i singoli fedeli e l’assemblea dei Vescovi farà un bilancio di questo primo anno che si è concluso e che era dedicato all’ascolto. Quale è il suo primo personale bilancio? “Non lo dico per piaggeria ma perché ne sono profondamente convinto. Il Papa ha avuto una intuizione formidabile, veramente ispirata da Dio, anche su come ha impostato il Sinodo per la Chiesa universale, cioè sull’ascolto. Io da principio dissi ‘ma è così importante?’. Non solo è importante: è fondamentale. E anche nei quasi duecento gruppi che abbiamo fatto in diocesi avevo paura che per un motivo o per un altro - la pandemia che non è finita e la guerra in Ucraina che in qualche modo ha anche coinvolto tutti noi - avevo paura che il Sinodo diventasse una specie di Cenerentola. Ma non è andata così perché la gente è stata attratta proprio da questo desiderio di parlare, di esprimersi. Cominciando dagli adolescenti! Quando hanno posto la domanda a un gruppo di adolescenti ‘Ma a voi, chi vi ascolta?’, hanno risposto: ‘Nessuno perché in famiglia hanno da fare. Il babbo è stanco, la mamma c’ha i suoi problemi e a scuola parlano i maestri e nella Chiesa parlano i preti’. Anche dalla sintesi della nostra diocesi, che veramente invito tutti a leggere e a meditare, sono venute fuori parole molto coraggiose, di una Chiesa che tutto sommato è ancora molto clericale. È venuta fuori una Chiesa che ha veramente bisogno di dialogo, di ascolto, di essere meno clericale e di valorizzare fino in fondo i laici. Noi non stiamo valorizzando i laici come Dio comanda e come anche il Papa ha suggerito in quello stupendo documento che è la Evangelii Gaudium”. Concludiamo il colloquio con un grande augurio per la prossima settimana, e il Cardinale ci risponde con un grazie, un invito e una battuta… “Grazie! Io non so ancora cosa dirò. E chiedo alla Chiesa di cui sono ancora vescovo, almeno fino all’assemblea, di pregare perché il Signore ci illumini. Perché se il Signore illumina 228 vescovi allora, diceva La Pira, l’affare è fatto! Ci convertiamo tutti”.

Il video integrale dell'intervista

https://www.youtube.com/watch?v=KeSpGyrkasw]]>
L’ultimo saluto al vescovo Chiaretti. L’affetto dei fedeli e dei preti, l’omaggio delle autorità https://www.lavoce.it/vescovo-chiaretti-ultimo-saluto-laffetto-dei-fedeli-e-dei-preti-lomaggio-delle-autorita/ Sat, 04 Dec 2021 13:54:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63835

In una affollata cattedrale di san Lorenzo in Perugia questa mattina 4 dicembre 2021 si respirava un clima sereno e commosso per l’ultimo saluto a mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo di Perugia-Città della Pieve dal 1995 al 2009. Ha presieduto il rito delle esequie l’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve Cardinale Gualtiero Bassetti, il Cardinale Ennio Antonelli, rispettivamente successore e predecessore di Chiaretti , ed il Cardinale Giuseppe Betori, legato a mons. Giuseppe Chiaretti da una amicizia di lunga data.

I Vescovi concelebranti

Erano presenti anche i vescovi umbri attuali ed emeriti: mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto – Norcia (diocesi di origine di mons. Chiaretti) e presidente della Conferenza episcopale umbra, il vescovi emeriti Mario Ceccobelli, già vicario della diocesi di Perugia con mons. Chiaretti, quando è sato nominato vescovo di Gubbio ), Vincenzo Paglia (vescovo emerito di Terni), i vescovi Gualtiero Sigismondi già vicario generale della diocesi perugina e nominato vescovo al tempo del vescovo Chiaretti, ed oggi vescovo di Orvieto Todi e Assistente generale dell'Azine Cattolica, Domenico Sorrentino, vescovo delle diocesi di Assisi e di Foligno), Domenico Cancian vescovo di Città di Castello, Paolo Giulietti sarcedote della diocesi di Perugia e oggi vescovo di Lucca, Riccardo Fontana già vescovo di Spoleto - Norcia ed oggi di Arezzo, e il Vescovo Ausiliare di Perugia-Città della Pieve Mons. Marco Salvi. Hanno partecipato alle esequie molti sacerdoti e fedeli tra cui il sindaco di Perugia Andrea Romizi, ed anche una delegazione proveniente da Leonessa con il sindaco Gianluca Gizzi, paese natale di mons. Giuseppe Chiaretti, e una delegazione della diocesi di Montalto e Ripatransone - San Benedetto del Tronto nella cui cattedrale mons. Chiaretti ha chiesto di essere sepolto. Sulla bara posata a terra ai piedi del presbiterio erano posti i segni dell’episcopato di mons. Chiaretti: il suo Pastorale, la Mitra e il libro della Parola Di Dio. LE FOTO DELLA CELEBRAZIONE

Il testamento spirituale del vescovo Chiaretti

I presenti si sono stretti con commozione, affetto e nella preghiera, ai familiari presenti. C'era la sorella Piera che è stata sempre accanto al fratello Vescovo, non solo negli anni del dopo episcopato (solo negli ultimi mesi mons. Chiaretti era stato accolto nella Residenza Protetta Fontenuovo a Perugia) ma anche nel tempo del suo episcopato perugino. Erano presenti anche i nipoti, tra cui don Antonio Paoletti che al termine della liturgia ha letto il testamento spirituale che mons Chiaretti aveva già preparato nel 2011: «A DIO! Sta ormai avvicinandosi il tempo di concludere il mio viaggio su questa bella aiuola del creato (che ho amato e desiderato sempre più ricca di giustizia, di bontà, di onestà, di fraternità) per tornare alla patria definitiva: la “casa” e il “cuore” di quel Dio che Gesù mi ha fatto conoscere come Padre che ama e perdona. In questo Dio ho creduto e credo, ed ora spero di incontrarlo finalmente faccia a faccia e di vederlo così come egli è (1Gv3,2), svelandomi il suo volto che ho tanto desiderato conoscere: “il tuo volto, Signore, io cerco: non nascondermi il tuo volto!” (Sal 27). Mi prenda per mano in questa trasferta, accompagnandomi nel tunnel del passaggio, la Vergine Maria, la mamma tenerissima di Gesù e madre della mia identità cristiana, del mio sacerdozio, del mio episcopato: Lei, augusta protettrice della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto come “Virgo Lauretana”, e dell’arcidiocesi di Perugia – Città della Pieve come “Mater gratiarum”, invocata innumerevoli volte con l’antica preghiera della Chiesa: “Prega per me, peccatore ma figlio tuo, adesso e nell’ora della mia morte”! Mi accompagni anche il mio santo concittadino GIUSEPPE, per la cui migliore conoscenza mi sono a lungo adoperato. E con la sua ultima invocazione intendo chiudere anch’io la mia esistenza terrena: “Sancta Maria, succurre miseris!”. Intendo rinnovare anche alla fine l’offerta che fu della mia giovinezza: “Signore, ti do tutto. Ma tu dammi un sacerdozio splendido!”. Lui è stato di parola; io, forse, non sempre! E per questo torno a chiedergli di nascondermi nella ferita del suo cuore. † Giuseppe Chiaretti 19 aprile 2011 Quanto al luogo della sepoltura sia consentito esprimere un legittimo desiderio: gradirei essere sepolto nella cattedrale della mia prima diocesi, San Benedetto del Tronto. È diocesi da me fondata per volontà del grande papa San Giovanni Paolo II, che desiderò far visita a questa sua “creatura” da me restaurata e decorata con un grandioso affresco absidale dedicato ai miei genitori Assunta e Felice Chiaretti. Sono grato che questo mio desiderio potrà essere soddisfatto. Quale che sia la terra che mi accoglierà, sarà sempre residenza provvisoria in attesa della resurrezione per vivere in eterno nel cielo di Dio, Padre misericordioso! † Giuseppe Chiaretti 19 aprile 2013»

Portato a spalla dai preti da lui ordinati

Al termine del rito i cardinali, vescovi e i sacerdoti concelebranti hanno accompagnato il feretro fino alla porta della cattedrale. https://youtu.be/2Pld9qwk4n4 I sacerdoti che sono stati ordinati da mons. Chiaretti hanno voluto rendergli un ultimo gesto di affetto portando a spalla la bara lungo la navata della cattedrale fino alla strada, affidandolo quindi a coloro che lo hanno portato nel luogo di sepoltura da lui indicato: la cattedrale di San Benedetto del Tronto nella quale alle ore 15.00 viene accolto con celebrazione presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani. La liturgia è stata trasmessa in diretta social. Qui il video completo https://youtu.be/nbzfhiZx_ZA  ]]>

In una affollata cattedrale di san Lorenzo in Perugia questa mattina 4 dicembre 2021 si respirava un clima sereno e commosso per l’ultimo saluto a mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo di Perugia-Città della Pieve dal 1995 al 2009. Ha presieduto il rito delle esequie l’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve Cardinale Gualtiero Bassetti, il Cardinale Ennio Antonelli, rispettivamente successore e predecessore di Chiaretti , ed il Cardinale Giuseppe Betori, legato a mons. Giuseppe Chiaretti da una amicizia di lunga data.

I Vescovi concelebranti

Erano presenti anche i vescovi umbri attuali ed emeriti: mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto – Norcia (diocesi di origine di mons. Chiaretti) e presidente della Conferenza episcopale umbra, il vescovi emeriti Mario Ceccobelli, già vicario della diocesi di Perugia con mons. Chiaretti, quando è sato nominato vescovo di Gubbio ), Vincenzo Paglia (vescovo emerito di Terni), i vescovi Gualtiero Sigismondi già vicario generale della diocesi perugina e nominato vescovo al tempo del vescovo Chiaretti, ed oggi vescovo di Orvieto Todi e Assistente generale dell'Azine Cattolica, Domenico Sorrentino, vescovo delle diocesi di Assisi e di Foligno), Domenico Cancian vescovo di Città di Castello, Paolo Giulietti sarcedote della diocesi di Perugia e oggi vescovo di Lucca, Riccardo Fontana già vescovo di Spoleto - Norcia ed oggi di Arezzo, e il Vescovo Ausiliare di Perugia-Città della Pieve Mons. Marco Salvi. Hanno partecipato alle esequie molti sacerdoti e fedeli tra cui il sindaco di Perugia Andrea Romizi, ed anche una delegazione proveniente da Leonessa con il sindaco Gianluca Gizzi, paese natale di mons. Giuseppe Chiaretti, e una delegazione della diocesi di Montalto e Ripatransone - San Benedetto del Tronto nella cui cattedrale mons. Chiaretti ha chiesto di essere sepolto. Sulla bara posata a terra ai piedi del presbiterio erano posti i segni dell’episcopato di mons. Chiaretti: il suo Pastorale, la Mitra e il libro della Parola Di Dio. LE FOTO DELLA CELEBRAZIONE

Il testamento spirituale del vescovo Chiaretti

I presenti si sono stretti con commozione, affetto e nella preghiera, ai familiari presenti. C'era la sorella Piera che è stata sempre accanto al fratello Vescovo, non solo negli anni del dopo episcopato (solo negli ultimi mesi mons. Chiaretti era stato accolto nella Residenza Protetta Fontenuovo a Perugia) ma anche nel tempo del suo episcopato perugino. Erano presenti anche i nipoti, tra cui don Antonio Paoletti che al termine della liturgia ha letto il testamento spirituale che mons Chiaretti aveva già preparato nel 2011: «A DIO! Sta ormai avvicinandosi il tempo di concludere il mio viaggio su questa bella aiuola del creato (che ho amato e desiderato sempre più ricca di giustizia, di bontà, di onestà, di fraternità) per tornare alla patria definitiva: la “casa” e il “cuore” di quel Dio che Gesù mi ha fatto conoscere come Padre che ama e perdona. In questo Dio ho creduto e credo, ed ora spero di incontrarlo finalmente faccia a faccia e di vederlo così come egli è (1Gv3,2), svelandomi il suo volto che ho tanto desiderato conoscere: “il tuo volto, Signore, io cerco: non nascondermi il tuo volto!” (Sal 27). Mi prenda per mano in questa trasferta, accompagnandomi nel tunnel del passaggio, la Vergine Maria, la mamma tenerissima di Gesù e madre della mia identità cristiana, del mio sacerdozio, del mio episcopato: Lei, augusta protettrice della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto come “Virgo Lauretana”, e dell’arcidiocesi di Perugia – Città della Pieve come “Mater gratiarum”, invocata innumerevoli volte con l’antica preghiera della Chiesa: “Prega per me, peccatore ma figlio tuo, adesso e nell’ora della mia morte”! Mi accompagni anche il mio santo concittadino GIUSEPPE, per la cui migliore conoscenza mi sono a lungo adoperato. E con la sua ultima invocazione intendo chiudere anch’io la mia esistenza terrena: “Sancta Maria, succurre miseris!”. Intendo rinnovare anche alla fine l’offerta che fu della mia giovinezza: “Signore, ti do tutto. Ma tu dammi un sacerdozio splendido!”. Lui è stato di parola; io, forse, non sempre! E per questo torno a chiedergli di nascondermi nella ferita del suo cuore. † Giuseppe Chiaretti 19 aprile 2011 Quanto al luogo della sepoltura sia consentito esprimere un legittimo desiderio: gradirei essere sepolto nella cattedrale della mia prima diocesi, San Benedetto del Tronto. È diocesi da me fondata per volontà del grande papa San Giovanni Paolo II, che desiderò far visita a questa sua “creatura” da me restaurata e decorata con un grandioso affresco absidale dedicato ai miei genitori Assunta e Felice Chiaretti. Sono grato che questo mio desiderio potrà essere soddisfatto. Quale che sia la terra che mi accoglierà, sarà sempre residenza provvisoria in attesa della resurrezione per vivere in eterno nel cielo di Dio, Padre misericordioso! † Giuseppe Chiaretti 19 aprile 2013»

Portato a spalla dai preti da lui ordinati

Al termine del rito i cardinali, vescovi e i sacerdoti concelebranti hanno accompagnato il feretro fino alla porta della cattedrale. https://youtu.be/2Pld9qwk4n4 I sacerdoti che sono stati ordinati da mons. Chiaretti hanno voluto rendergli un ultimo gesto di affetto portando a spalla la bara lungo la navata della cattedrale fino alla strada, affidandolo quindi a coloro che lo hanno portato nel luogo di sepoltura da lui indicato: la cattedrale di San Benedetto del Tronto nella quale alle ore 15.00 viene accolto con celebrazione presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani. La liturgia è stata trasmessa in diretta social. Qui il video completo https://youtu.be/nbzfhiZx_ZA  ]]>
Le immagini del funerale del vescovo emerito di Perugia mons. Giuseppe Chiaretti https://www.lavoce.it/le-immagini-del-funerale-del-vescovo-emerito-di-perugia-mons-giuseppe-chiaretti/ Sat, 04 Dec 2021 13:00:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63843

Le immagini della celebrazione del rito delle esequie di mons. Giuseppe Chiaretti. Il funerale è stato celebrato il 4 dicembre 2021 nella Cattedrale di San Lorenzo in Perugia e presiedute dall’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve Cardinale Gualtiero Bassetti, il Cardinale Ennio Antonelli, rispettivamente successore e predecessore di Chiaretti , ed il Cardinale Giuseppe Betori, legato a mons. Giuseppe Chiaretti da una amicizia di lunga data. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="63856,63847,63868,63848,63869,63850,63851,63873,63872,63852,63858,63853,63854,63857,63875,63855,63876,63877"]    ]]>

Le immagini della celebrazione del rito delle esequie di mons. Giuseppe Chiaretti. Il funerale è stato celebrato il 4 dicembre 2021 nella Cattedrale di San Lorenzo in Perugia e presiedute dall’arcivescovo di Perugia – Città della Pieve Cardinale Gualtiero Bassetti, il Cardinale Ennio Antonelli, rispettivamente successore e predecessore di Chiaretti , ed il Cardinale Giuseppe Betori, legato a mons. Giuseppe Chiaretti da una amicizia di lunga data. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="63856,63847,63868,63848,63869,63850,63851,63873,63872,63852,63858,63853,63854,63857,63875,63855,63876,63877"]    ]]>
Omaggio al vescovo Chiaretti. Tutti gli articoli e i suoi commenti su La Voce, e alcune immagini https://www.lavoce.it/omaggio-al-vescovo-chiaretti-tutti-gli-articoli-e-i-suoi-commenti-su-la-voce-e-alcune-immagini/ Thu, 02 Dec 2021 14:00:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63757 Giuseppe Chiaretti

Mons. Giuseppe Chiaretti è rimasto nel cuore dei di chi lo ha avuto come Vescovo, anche se sono passati 12 anni da quando ha lasciato la diocesi. Lasciato nella guida, ma non nel cuore, tanto che finché la salute glielo ha concesso ha partecipato agli eventi diocesani ai quali era sempre invitato e non rifiutava gli inviti che gli arrivavano dai "suoi" preti. Lo ricordiamo come persona attenta e schiva allo stesso tempo, uomo di cultura cresciuto nel rigore della ricerca storica e della riflessione teologica, che amava la Chiesa e il “popolo” che Dio gli aveva affidato. Molto abbiamo scritto su di lui sulle pagine del giornale, e molto abbiamo pubblicato, anche di suoi testi e commenti. Non mancava mai l'appuntamento con la rubrica “Parola di Vescovo”, uno spazio in cui a turno gli otto vescovi delle diocesi umbre offrivano la loro riflessione su temi scelti a loro discrezione, ciascuno con il proprio stile.

“Autore” oltre che estimatore de La Voce

Chiaretti sceglieva l'argomento sapendo che doveva essere pubblicato sul giornale e ci lavorava con cura cercando sempre di stare sulla attualità (“sul pezzo” come si dige in gergo giornalistico) portandovi lo sguardo del Pastore e la Parola di Dio, senza farne una "predica". Per questo abbiamo ricercato tutti gli articoli in cui si parla di lui o nei quali è lui che parla e ve li offriamo insieme ad alcune immagini che abbiamo tirato fuori dal nostro archivio. Un modo per ringraziarlo anche per l'affetto, l'attenzione e la stima con cui seguiva il nostro lavoro. Gli articoli in cui lui è citato (QUI)   [gallery td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Alcuni momenti con mons. Chiaretti" ids="63780,63782,63783,63784,63785,63786,63787,63788,63789,63790,63791,63792"]]]>
Giuseppe Chiaretti

Mons. Giuseppe Chiaretti è rimasto nel cuore dei di chi lo ha avuto come Vescovo, anche se sono passati 12 anni da quando ha lasciato la diocesi. Lasciato nella guida, ma non nel cuore, tanto che finché la salute glielo ha concesso ha partecipato agli eventi diocesani ai quali era sempre invitato e non rifiutava gli inviti che gli arrivavano dai "suoi" preti. Lo ricordiamo come persona attenta e schiva allo stesso tempo, uomo di cultura cresciuto nel rigore della ricerca storica e della riflessione teologica, che amava la Chiesa e il “popolo” che Dio gli aveva affidato. Molto abbiamo scritto su di lui sulle pagine del giornale, e molto abbiamo pubblicato, anche di suoi testi e commenti. Non mancava mai l'appuntamento con la rubrica “Parola di Vescovo”, uno spazio in cui a turno gli otto vescovi delle diocesi umbre offrivano la loro riflessione su temi scelti a loro discrezione, ciascuno con il proprio stile.

“Autore” oltre che estimatore de La Voce

Chiaretti sceglieva l'argomento sapendo che doveva essere pubblicato sul giornale e ci lavorava con cura cercando sempre di stare sulla attualità (“sul pezzo” come si dige in gergo giornalistico) portandovi lo sguardo del Pastore e la Parola di Dio, senza farne una "predica". Per questo abbiamo ricercato tutti gli articoli in cui si parla di lui o nei quali è lui che parla e ve li offriamo insieme ad alcune immagini che abbiamo tirato fuori dal nostro archivio. Un modo per ringraziarlo anche per l'affetto, l'attenzione e la stima con cui seguiva il nostro lavoro. Gli articoli in cui lui è citato (QUI)   [gallery td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Alcuni momenti con mons. Chiaretti" ids="63780,63782,63783,63784,63785,63786,63787,63788,63789,63790,63791,63792"]]]>
È tornato alla Casa del Padre mons. Siro Nofrini , decano del Clero diocesano perugino-pievese. https://www.lavoce.it/e-tornato-alla-casa-del-padre-mons-siro-nofrini-decano-del-clero-diocesano-perugino-pievese/ https://www.lavoce.it/e-tornato-alla-casa-del-padre-mons-siro-nofrini-decano-del-clero-diocesano-perugino-pievese/#comments Sun, 28 Nov 2021 15:24:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63377

“Il Signore ha chiamato a sé mons. Siro Nofrini, decano del nostro Clero diocesano, punto di riferimento per i confratelli e per generazioni di fedeli pievesi”. Ad annunciarlo è don Simone Sorbaioli, arciprete della concattedrale dei Santi Gervasio e Protasio e parroco di Città della Pieve. Le esequie avranno luogo lunedì 29 novembre (ore 15), nella concattedrale di Città della Pieve e saranno presiedute dall'arcivescovo di Perugia - Città della Pieve il cardinale Gualtiero Bassetti. La camera ardente è stata allestita presso la chiesa del Gesù, luogo di culto pievese di cui mons. Nofrini è stato parroco per quasi 40 anni. Mons. Nofrini era nato 96 anni fa, il 6 novembre 1925, e lo scorso 29 giugno aveva compiuto 70 anni di sacerdozio.

L'ultimo incontro con il Cardinale Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti, che lo ha visitato poche ore prima del decesso, avvenuto il 27 novembre, presso la residenza protetta “Brizi-Bittoni” di Città della Pieve dove l’anziano sacerdote era ospite da tempo, appena appresa la notizia si è raccolto in preghiera di suffragio e ha espresso ai familiari e alla comunità pievese il suo cordoglio e dell’intero Presbiterio diocesano. Lo stesso presule, alcuni anni fa, richiese alla Santa Sede per don Siro l’onorificenza di cappellano di Sua Santità con il titolo di monsignore.

Il ricordo di don Sorbaioli

“Sacerdote di cultura classica e di grande sensibilità – così lo ricorda don Simone Sorbaioli –, don Siro ha sempre nutrito una grande devozione alla Madonna unita ad un fervente spirito di preghiera e di affezione alla Chiesa che ha servito con abnegazione fino a quando la salute glielo ha consentito. Anche da ospite della ‘Brizi-Bittoni’ ha continuato a celebrare la Santa Messa e a svolgere il suo ministero sacerdotale in mezzo agli anziani degenti”.

Chi era don Siro

Figlio di Francesco e Isolina Gobbi, era nato a Tavernelle di Panicale (Pg) il 6 novembre 1925 e battezzato il 6 dicembre successivo. Fu cresimato il 6 agosto 1933. Il 4 novembre 1939 entrava nel Seminario diocesano di Città della Pieve e successivamente, il 5 ottobre 1944, nel Pontificio Seminario Umbro “Pio XI” di Assisi dove porta a compimento gli studi teologici. È stato ordinato sacerdote a Tavernelle, dal vescovo di Città della Pieve mons. Ezio Barbieri, il 29 giugno 1951. Successivamente è nominato canonico della cattedrale di Città della Pieve e contestualmente  insegnante di lettere nel Seminario diocesano. Il 1 ottobre 1970 viene nominato parroco della parrocchia urbana del Gesù in Città della Pieve ove è rimasto fino alla soppressione della medesima. È stato anche nominato, fino alla pensione (1990) rettore del primo Santuario italiano intitolato alla Madonna di Fatima in Città della Pieve.]]>

“Il Signore ha chiamato a sé mons. Siro Nofrini, decano del nostro Clero diocesano, punto di riferimento per i confratelli e per generazioni di fedeli pievesi”. Ad annunciarlo è don Simone Sorbaioli, arciprete della concattedrale dei Santi Gervasio e Protasio e parroco di Città della Pieve. Le esequie avranno luogo lunedì 29 novembre (ore 15), nella concattedrale di Città della Pieve e saranno presiedute dall'arcivescovo di Perugia - Città della Pieve il cardinale Gualtiero Bassetti. La camera ardente è stata allestita presso la chiesa del Gesù, luogo di culto pievese di cui mons. Nofrini è stato parroco per quasi 40 anni. Mons. Nofrini era nato 96 anni fa, il 6 novembre 1925, e lo scorso 29 giugno aveva compiuto 70 anni di sacerdozio.

L'ultimo incontro con il Cardinale Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti, che lo ha visitato poche ore prima del decesso, avvenuto il 27 novembre, presso la residenza protetta “Brizi-Bittoni” di Città della Pieve dove l’anziano sacerdote era ospite da tempo, appena appresa la notizia si è raccolto in preghiera di suffragio e ha espresso ai familiari e alla comunità pievese il suo cordoglio e dell’intero Presbiterio diocesano. Lo stesso presule, alcuni anni fa, richiese alla Santa Sede per don Siro l’onorificenza di cappellano di Sua Santità con il titolo di monsignore.

Il ricordo di don Sorbaioli

“Sacerdote di cultura classica e di grande sensibilità – così lo ricorda don Simone Sorbaioli –, don Siro ha sempre nutrito una grande devozione alla Madonna unita ad un fervente spirito di preghiera e di affezione alla Chiesa che ha servito con abnegazione fino a quando la salute glielo ha consentito. Anche da ospite della ‘Brizi-Bittoni’ ha continuato a celebrare la Santa Messa e a svolgere il suo ministero sacerdotale in mezzo agli anziani degenti”.

Chi era don Siro

Figlio di Francesco e Isolina Gobbi, era nato a Tavernelle di Panicale (Pg) il 6 novembre 1925 e battezzato il 6 dicembre successivo. Fu cresimato il 6 agosto 1933. Il 4 novembre 1939 entrava nel Seminario diocesano di Città della Pieve e successivamente, il 5 ottobre 1944, nel Pontificio Seminario Umbro “Pio XI” di Assisi dove porta a compimento gli studi teologici. È stato ordinato sacerdote a Tavernelle, dal vescovo di Città della Pieve mons. Ezio Barbieri, il 29 giugno 1951. Successivamente è nominato canonico della cattedrale di Città della Pieve e contestualmente  insegnante di lettere nel Seminario diocesano. Il 1 ottobre 1970 viene nominato parroco della parrocchia urbana del Gesù in Città della Pieve ove è rimasto fino alla soppressione della medesima. È stato anche nominato, fino alla pensione (1990) rettore del primo Santuario italiano intitolato alla Madonna di Fatima in Città della Pieve.]]>
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COVID-19. La testimonianza di Simone Biagioli https://www.lavoce.it/covid-19-simone-biagioli/ Thu, 18 Feb 2021 16:03:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59244 Simone Biagioli, coordinatore dell'oratorio di Prepo a Perugia, racconta il suo ricovero a causa del Covid

Simone Biagioli è il coordinatore dell’oratorio “San Giovanni Paolo II” delle parrocchie di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino (diocesi Perugia-Città della Pieve). Ha 42 anni, è sposato e ha tre figli: Anna, Marco e Celeste. Lo scorso gennaio ha contratto il Covid-19 che l’ha portato a un ricovero ospedaliero a causa di una polmonite bilaterale. La sua è una storia di rinascita.

“Il 27 gennaio saluto mia moglie Francesca e i miei figli Anna, Marco e Celeste, per compiere anch’io il pericoloso cammino aperto per me da un contagio covid inaspettato. Dopo un anno di lockdown e zone colorate, mascherine, igienizzanti, distanze, Dad, protocolli scritti per fare l’attività estiva (Grest) nell’oratorio in cui lavoro da quindici anni come coordinatore, il virus ha infatti raggiunto la nostra casa intorno all’Epifania, tramite il contagio di mio suocero, ricoverato da dicembre in ospedale per altre questioni.

In pochi giorni diventiamo quasi tutti positivi, tranne uno dei miei figli, che presterò alla scienza per studi sperimentali: tre tamponi negativi di seguito.

Praticamente, un alieno! Nel mio ‘borsone’ porto anche le malattie pregresse: diabete e ipertensione. Mi ricoverano in Pronto Soccorso – Obi. Manca il respiro. La situazione precipita in due giorni. Intravedo la soglia della rianimazione, che non sarò chiamato a oltrepassare, come invece accadrà per altri miei compagni di stanza, alcuni dei quali purtroppo non ce l’hanno fatta. Fondamentale è il casco Cpap, che genera un piccolo miglioramento e motiva i medici a trasferirmi con fiducia al reparto di Pneumologia, presso l’Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (Utir) diretta dal dottor Stefano Baglioni. Ho due certezze: da grande non farò mai l’astronauta; inoltre, sento che in quella notte sto ‘ufficialmente’ riaprendo quel reparto. Dopo di me ascendono al piano altri tre pazienti. La terapia ad alto flusso e la ventilazione ancora non bastano. Passo all’unità intensiva con ventilatori più potenti. Cerco di capire come respirare, ora assecondando la macchina ora guidandola.

Un passo al giorno, svezzato dall’ossigeno, le cose migliorano. ‘Esco’ dall’ombra oscura della polmonite bilaterale: i polmoni tornano a scambiarsi ossigeno con maggiore elasticità. E ora mi trovo qui a raccontare questo cammino.

Il telefono è la porta virtuale che fa entrare in corsia un popolo numeroso che, in preghiera costante, chiede la mia guarigione: famiglie, bambini, anziani, consacrati, fratelli e sorelle carissimi, persone sconosciute che pregano per me dall’Italia e dall’estero, raccomandandosi a Santi ‘conclamati’ e Santi della porta accanto. Non sono solo! Sento la forza della preghiera che mi raggiunge e mi fa camminare e collaborare con le terapie per guarire. Un passo alla volta.

Tale forza raggiunge questi luoghi di particolare dolore e fatica, per chi soffre e per chi s’offre a curare. Siamo nel periodo peggiore che la nostra amata regione ha conosciuto dall’inizio della pandemia.

Medici, infermieri, operatori socio sanitari, sono in trincea affrontando un’impresa più che ‘complicata’: tuta sigillata, tre paia di guanti, calzascarpe, due mascherine sovrapposte, occhiali e visiera. Mi basta dire loro ‘grazie’ per il semplice fatto di entrare nella mia stanza con questa pesante armatura, che lascia intercettare solo gli occhi, sempre generosi di quell’attenzione su cui la relazione di cura è fondata. 

Nei giorni della prova, i nostri occhi sono diventati reciprocamente “complici” del percorso di guarigione. Con la voce e i gesti, competenti e professionali, la mia carne ferita è stata ascoltata, toccata, guidata, incoraggiata e consolata. Come instancabili cercatori d’oro, ho visto tutti tuffarsi instancabilmente nei rivoli martoriati e poco generosi delle mie arterie, per setacciare quelle pepite preziose e parlanti delle EGA (emogas analisi), dove, purtroppo, non sempre tutto brilla e la fatica della “cerca” a volte riduce l’orizzonte dell’entusiasmo più fiducioso. Ma, quando quel “rotolo di pergamena” ha iniziato a cantare un’incoraggiante melodia di speranza, improvvisamente è diventato un vessillo di vittoria da sventolare in aria. Prendendo in prestito le parole del messaggio di Papa Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2021): “la vicinanza è come un balsamo” che ci dà sostegno e consolazione. Questa prossimità di cui non sono certo l’unico testimone, l’ho vissuta come una “vicinanza comunitaria”, dove ciascuno ha messo se stesso in gioco e in dono per me, per raggiungere il medesimo obiettivo: farsi carico della mia fragilità e guarirmi. Quale straordinario impegno! Ben oltre il contratto, gli orari, lo “standard”, le questioni organizzative. Nella stessa trincea, un servizio prezioso è quello Pastorale Ospedaliero curato dalla Comunità dei Frati Minori: fra Luigi e i suoi confratelli, sono i nuovi “Padre Cristoforo” di questo lazzaretto contemporaneo. Non mi hanno fatto mancare mai la misericordia, la Parola di Dio e Gesù Eucarestia, il “farmaco” dei Dieci lebbrosi del Vangelo. I miei genitori mi hanno educato, fin da piccolissimo, a dire “grazie” sia a Dio che agli uomini. Per questo, ringraziare questi operatori di quotidiano e ordinario eroismo, è stato per me naturalmente necessario, anche per ogni doloroso prelievo (dopo i primi venti ho perso il conto). Nell’Oratorio “San Giovanni Paolo II” delle parrocchie di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino, dove vivo insieme alla mia famiglia, abbiamo un motto storico, un grido di pace adatto a ogni tempo di battaglia, per tutti, credenti e non: 'A fossi a greppi… purché si vada!' I fossi e i greppi (i lettori autoctoni sanno cosa sono) rappresentano le fatiche della vita: i luoghi impervi che stanno sul nostro cammino verso la meta; gli inciampi che ci fanno cadere, le paure ma anche le difficoltà, le incomprensioni, ecc. Il motto significa che, nonostante tutte le difficoltà incontrate nel cammino della vita, l’importante è non perdere la speranza e camminare insieme verso la meta. Per noi dell’oratorio questa frase è decisamente più di un motto stampato sulla 'maglia ufficiale': è un’esperienza di vita che ci è stata fatta respirare con amore fin da piccoli, 'a pieni polmoni' e che, spero anche con la mia vicenda, sia arrivata tra le corsie e le stanze, come un soffio leggero di ossigeno puro. È necessario che, attorno a questo esercito in battaglia, sia permanentemente accampata una milizia stabile e “in piedi” che, come Sentinelle con le mani alzate verso Dio, circondi sempre questa “città nella città” con un “muro di fuoco” di compassione, sostegno e amore. E voi, siete già arruolati?"

Simone Biagioli

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Simone Biagioli, coordinatore dell'oratorio di Prepo a Perugia, racconta il suo ricovero a causa del Covid

Simone Biagioli è il coordinatore dell’oratorio “San Giovanni Paolo II” delle parrocchie di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino (diocesi Perugia-Città della Pieve). Ha 42 anni, è sposato e ha tre figli: Anna, Marco e Celeste. Lo scorso gennaio ha contratto il Covid-19 che l’ha portato a un ricovero ospedaliero a causa di una polmonite bilaterale. La sua è una storia di rinascita.

“Il 27 gennaio saluto mia moglie Francesca e i miei figli Anna, Marco e Celeste, per compiere anch’io il pericoloso cammino aperto per me da un contagio covid inaspettato. Dopo un anno di lockdown e zone colorate, mascherine, igienizzanti, distanze, Dad, protocolli scritti per fare l’attività estiva (Grest) nell’oratorio in cui lavoro da quindici anni come coordinatore, il virus ha infatti raggiunto la nostra casa intorno all’Epifania, tramite il contagio di mio suocero, ricoverato da dicembre in ospedale per altre questioni.

In pochi giorni diventiamo quasi tutti positivi, tranne uno dei miei figli, che presterò alla scienza per studi sperimentali: tre tamponi negativi di seguito.

Praticamente, un alieno! Nel mio ‘borsone’ porto anche le malattie pregresse: diabete e ipertensione. Mi ricoverano in Pronto Soccorso – Obi. Manca il respiro. La situazione precipita in due giorni. Intravedo la soglia della rianimazione, che non sarò chiamato a oltrepassare, come invece accadrà per altri miei compagni di stanza, alcuni dei quali purtroppo non ce l’hanno fatta. Fondamentale è il casco Cpap, che genera un piccolo miglioramento e motiva i medici a trasferirmi con fiducia al reparto di Pneumologia, presso l’Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (Utir) diretta dal dottor Stefano Baglioni. Ho due certezze: da grande non farò mai l’astronauta; inoltre, sento che in quella notte sto ‘ufficialmente’ riaprendo quel reparto. Dopo di me ascendono al piano altri tre pazienti. La terapia ad alto flusso e la ventilazione ancora non bastano. Passo all’unità intensiva con ventilatori più potenti. Cerco di capire come respirare, ora assecondando la macchina ora guidandola.

Un passo al giorno, svezzato dall’ossigeno, le cose migliorano. ‘Esco’ dall’ombra oscura della polmonite bilaterale: i polmoni tornano a scambiarsi ossigeno con maggiore elasticità. E ora mi trovo qui a raccontare questo cammino.

Il telefono è la porta virtuale che fa entrare in corsia un popolo numeroso che, in preghiera costante, chiede la mia guarigione: famiglie, bambini, anziani, consacrati, fratelli e sorelle carissimi, persone sconosciute che pregano per me dall’Italia e dall’estero, raccomandandosi a Santi ‘conclamati’ e Santi della porta accanto. Non sono solo! Sento la forza della preghiera che mi raggiunge e mi fa camminare e collaborare con le terapie per guarire. Un passo alla volta.

Tale forza raggiunge questi luoghi di particolare dolore e fatica, per chi soffre e per chi s’offre a curare. Siamo nel periodo peggiore che la nostra amata regione ha conosciuto dall’inizio della pandemia.

Medici, infermieri, operatori socio sanitari, sono in trincea affrontando un’impresa più che ‘complicata’: tuta sigillata, tre paia di guanti, calzascarpe, due mascherine sovrapposte, occhiali e visiera. Mi basta dire loro ‘grazie’ per il semplice fatto di entrare nella mia stanza con questa pesante armatura, che lascia intercettare solo gli occhi, sempre generosi di quell’attenzione su cui la relazione di cura è fondata. 

Nei giorni della prova, i nostri occhi sono diventati reciprocamente “complici” del percorso di guarigione. Con la voce e i gesti, competenti e professionali, la mia carne ferita è stata ascoltata, toccata, guidata, incoraggiata e consolata. Come instancabili cercatori d’oro, ho visto tutti tuffarsi instancabilmente nei rivoli martoriati e poco generosi delle mie arterie, per setacciare quelle pepite preziose e parlanti delle EGA (emogas analisi), dove, purtroppo, non sempre tutto brilla e la fatica della “cerca” a volte riduce l’orizzonte dell’entusiasmo più fiducioso. Ma, quando quel “rotolo di pergamena” ha iniziato a cantare un’incoraggiante melodia di speranza, improvvisamente è diventato un vessillo di vittoria da sventolare in aria. Prendendo in prestito le parole del messaggio di Papa Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2021): “la vicinanza è come un balsamo” che ci dà sostegno e consolazione. Questa prossimità di cui non sono certo l’unico testimone, l’ho vissuta come una “vicinanza comunitaria”, dove ciascuno ha messo se stesso in gioco e in dono per me, per raggiungere il medesimo obiettivo: farsi carico della mia fragilità e guarirmi. Quale straordinario impegno! Ben oltre il contratto, gli orari, lo “standard”, le questioni organizzative. Nella stessa trincea, un servizio prezioso è quello Pastorale Ospedaliero curato dalla Comunità dei Frati Minori: fra Luigi e i suoi confratelli, sono i nuovi “Padre Cristoforo” di questo lazzaretto contemporaneo. Non mi hanno fatto mancare mai la misericordia, la Parola di Dio e Gesù Eucarestia, il “farmaco” dei Dieci lebbrosi del Vangelo. I miei genitori mi hanno educato, fin da piccolissimo, a dire “grazie” sia a Dio che agli uomini. Per questo, ringraziare questi operatori di quotidiano e ordinario eroismo, è stato per me naturalmente necessario, anche per ogni doloroso prelievo (dopo i primi venti ho perso il conto). Nell’Oratorio “San Giovanni Paolo II” delle parrocchie di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino, dove vivo insieme alla mia famiglia, abbiamo un motto storico, un grido di pace adatto a ogni tempo di battaglia, per tutti, credenti e non: 'A fossi a greppi… purché si vada!' I fossi e i greppi (i lettori autoctoni sanno cosa sono) rappresentano le fatiche della vita: i luoghi impervi che stanno sul nostro cammino verso la meta; gli inciampi che ci fanno cadere, le paure ma anche le difficoltà, le incomprensioni, ecc. Il motto significa che, nonostante tutte le difficoltà incontrate nel cammino della vita, l’importante è non perdere la speranza e camminare insieme verso la meta. Per noi dell’oratorio questa frase è decisamente più di un motto stampato sulla 'maglia ufficiale': è un’esperienza di vita che ci è stata fatta respirare con amore fin da piccoli, 'a pieni polmoni' e che, spero anche con la mia vicenda, sia arrivata tra le corsie e le stanze, come un soffio leggero di ossigeno puro. È necessario che, attorno a questo esercito in battaglia, sia permanentemente accampata una milizia stabile e “in piedi” che, come Sentinelle con le mani alzate verso Dio, circondi sempre questa “città nella città” con un “muro di fuoco” di compassione, sostegno e amore. E voi, siete già arruolati?"

Simone Biagioli

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Diocesi in lutto per la morte di monsignor Sandro Sciaboletta https://www.lavoce.it/diocesi-in-lutto-per-la-morte-di-monsignor-sandro-sciaboletta/ Tue, 02 Feb 2021 10:30:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59071

TERNI- Nel pomeriggio di lunedì 1 febbraio è morto, all’età di 86 anni, monsignor Sandro Sciaboletta, all’Ospedale Santa Maria di Terni, dove era ricoverato in terapia intensiva per affezione da Covid19. Cappellano di Sua Santità, canonico del Capitolo della Cattedrale di Terni, parroco per cinquant'anni della parrocchia di Santa Maria Regina a Terni, sacerdote molto conosciuto e amato in città e nell’intera diocesi per le sue doti umane e spirituali, ha svolto il suo ministero nello spirito del Concilio Vaticano II, avviando in diocesi il diaconato permanente, i ministri straordinari della Comunione, dedicandosi alla formazione dei giovani nell’oratorio, nelle attività sportive, nelle attività estive nella casa parrocchiale di Castel del Monte, nelle corali per l’animazione delle celebrazioni, dove introdusse le chitarre e altri strumenti. Negli anni Sessanta è stato cappellano del lavoro alle Acciaieria di Terni, e per gli operai che venivano da fuori città, costruì un centro di accoglienza nei locali dell’ex Seminario a Terni dove venne istituito anche il Circolo ricreativo Tinarelli. Un sacerdote dal carattere apparentemente burbero ma ricco di grande umanità, che lo ha portato nel 2003 ad aiutare i bambini malati in Kosovo, stringendo un gemellaggio con la città di Ferizaj e avviando un progetto di accoglienza a Terni per gli studenti universitari kosovari e per seminaristi. Attività di solidarietà alle quali si è dedicato con passione e altruismo, coinvolgendo la sua comunità parrocchiale, la città e creando forti legami di solidarietà e amicizia.

Monsignor Sandro Sciaboletta, era nato a Terni il 16 dicembre del 1934. Aveva svolto gli studi presso il Seminario diocesano di Narni e il Pontificio seminario regionale Umbro Pio XI di Assisi, ordinato sacerdote il 29 giugno 1957 da monsignor Giovanni Battista dal PràAll’inizio del suo ministero è stato viceparroco a Sangemini e nella Cattedrale di Terni. Nel 1969 è divenuto parroco di Santa Maria Regina a Terni dove è rimasto fino al 2018 per divenire quindi parroco emerito della stessa parrocchia.

Ha svolto numerosi incarichi in diocesi, dal 1958 al 1969 vice cancelliere vescovile e notaio della Curia di Terni, assistente regionale della Giac, cappellano del Lavoro. Nel 1978 è stato nominato delegato episcopale per la diaconia, dal 1981 al 1987 vice presidente dell’Istituto diocesano sostentamento clero, dal 2001 al 2011 vicario foraneo di Terni centro, membro del consiglio diocesano per gli affari economici e del consiglio presbiterale diocesano e responsabile della casa Sant’Alò dal 2006 al 2014.

La camera ardente sarà allestita presso la chiesa di Santa Maria Regina, martedì 2 febbraio alle ore 17. Si invitano tutti coloro che vorranno rendere omaggio a don Sandro a rispettare scrupolosamente le disposizioni anti Covid e di evitare assembramenti e contatti diretti. Il funerale sarà celebrato giovedì 4 febbraio alle 15.30 nella Cattedrale di Terni, presieduto dal vescovo Giuseppe Piemontese. La cerimonia, sarà trasmessa sui canali Facebook e Youtube della Diocesi e potrà essere seguita anche dalla chiesa di Santa Maria Regina.]]>

TERNI- Nel pomeriggio di lunedì 1 febbraio è morto, all’età di 86 anni, monsignor Sandro Sciaboletta, all’Ospedale Santa Maria di Terni, dove era ricoverato in terapia intensiva per affezione da Covid19. Cappellano di Sua Santità, canonico del Capitolo della Cattedrale di Terni, parroco per cinquant'anni della parrocchia di Santa Maria Regina a Terni, sacerdote molto conosciuto e amato in città e nell’intera diocesi per le sue doti umane e spirituali, ha svolto il suo ministero nello spirito del Concilio Vaticano II, avviando in diocesi il diaconato permanente, i ministri straordinari della Comunione, dedicandosi alla formazione dei giovani nell’oratorio, nelle attività sportive, nelle attività estive nella casa parrocchiale di Castel del Monte, nelle corali per l’animazione delle celebrazioni, dove introdusse le chitarre e altri strumenti. Negli anni Sessanta è stato cappellano del lavoro alle Acciaieria di Terni, e per gli operai che venivano da fuori città, costruì un centro di accoglienza nei locali dell’ex Seminario a Terni dove venne istituito anche il Circolo ricreativo Tinarelli. Un sacerdote dal carattere apparentemente burbero ma ricco di grande umanità, che lo ha portato nel 2003 ad aiutare i bambini malati in Kosovo, stringendo un gemellaggio con la città di Ferizaj e avviando un progetto di accoglienza a Terni per gli studenti universitari kosovari e per seminaristi. Attività di solidarietà alle quali si è dedicato con passione e altruismo, coinvolgendo la sua comunità parrocchiale, la città e creando forti legami di solidarietà e amicizia.

Monsignor Sandro Sciaboletta, era nato a Terni il 16 dicembre del 1934. Aveva svolto gli studi presso il Seminario diocesano di Narni e il Pontificio seminario regionale Umbro Pio XI di Assisi, ordinato sacerdote il 29 giugno 1957 da monsignor Giovanni Battista dal PràAll’inizio del suo ministero è stato viceparroco a Sangemini e nella Cattedrale di Terni. Nel 1969 è divenuto parroco di Santa Maria Regina a Terni dove è rimasto fino al 2018 per divenire quindi parroco emerito della stessa parrocchia.

Ha svolto numerosi incarichi in diocesi, dal 1958 al 1969 vice cancelliere vescovile e notaio della Curia di Terni, assistente regionale della Giac, cappellano del Lavoro. Nel 1978 è stato nominato delegato episcopale per la diaconia, dal 1981 al 1987 vice presidente dell’Istituto diocesano sostentamento clero, dal 2001 al 2011 vicario foraneo di Terni centro, membro del consiglio diocesano per gli affari economici e del consiglio presbiterale diocesano e responsabile della casa Sant’Alò dal 2006 al 2014.

La camera ardente sarà allestita presso la chiesa di Santa Maria Regina, martedì 2 febbraio alle ore 17. Si invitano tutti coloro che vorranno rendere omaggio a don Sandro a rispettare scrupolosamente le disposizioni anti Covid e di evitare assembramenti e contatti diretti. Il funerale sarà celebrato giovedì 4 febbraio alle 15.30 nella Cattedrale di Terni, presieduto dal vescovo Giuseppe Piemontese. La cerimonia, sarà trasmessa sui canali Facebook e Youtube della Diocesi e potrà essere seguita anche dalla chiesa di Santa Maria Regina.]]>
Ci ha lasciati don Spingola, sacerdote con la passione per la musica sacra https://www.lavoce.it/ci-ha-lasciati-don-spingola-sacerdote-con-la-passione-per-la-musica-sacra/ Thu, 05 Nov 2020 14:40:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58123

Dopo una lunga e grave malattia, questa mattina, 5 novembre, è tornato alla Casa del Padre il sacerdote e musicista mons. Francesco Spingola, direttore dell’Istituto diocesano musicale “G. Frescobaldi” di Perugia. Ad annunciarlo al Clero è stato il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, esprimendo il profondo cordoglio dell’intera Chiesa perugino-pievese ai familiari e alle comunità parrocchiali dell’Unità pastorale di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino dove per lunghi anni don Francesco ha svolto il suo ministero sacerdotale.

Una vita al servizio della Musica sacra

Conosciuto e stimato da tutta la comunità diocesana per il suo servizio alla Chiesa attraverso la sua passione per lo studio della musica sacra (musicalmente si è formato in organo e canto gregoriano frequentando alcuni dei più noti Conservatori statali dell’Italia meridionale), mons. Spingola ha trasmesso a generazioni di allievi la sua stessa passione. Lascia un grande vuoto anche per aver saputo trasmettere l’amore per l’arte della musica canora a diverse realtà parrocchiali. Realtà che ha sostenuto nel dare vita o nel riorganizzare le loro corali. Memorabili sono i raduni in cattedrale dei cori parrocchiali per l’annuale festa liturgica di santa Cecilia, patrona dei musicisti, che don Spingola ha diretto tutti insieme.

Perugino con la Calabria nel cuore

Nato a Verbicaro, in provincia di Cosenza, il 20 marzo 1932, dopo gli studi in Filosofia e Teologia con i padri Gesuiti presso il Pontificio Seminario “Pio” XI di Reggio Calabria, fu ordinato sacerdote diocesano di Cassano Allo Jonio (Cs) il 29 giugno 1955. Trasferitosi a Perugia nel 1970 per motivi familiari, è stato sempre legato alla Parrocchia di San Faustino, ricoprendo il ruolo di vicario parrocchiale, fondando il Coro di “Voci bianche” e il Coro polifonico “San Faustino”. Due cori che si sono esibiti anche in diversi Paesi europei e negli Usa. Per essere riuscito ad annunciare la Parola di Dio anche attraverso la musica e il canto e per i suoi non comuni meriti in campo culturale, è stato nominato cappellano di Sua Santità, con il titolo di monsignore, da papa Giovanni Paolo II.   Mons. Spingola ha ricoperto per più di 40 anni, fino ad oggi, l’incarico di direttore dell’Istituto diocesano musicale “G. Frescobaldi”, presso l’Auditorium Marianum di Perugia, promuovendolo non poco a livello culturale e dirigendo le sedici edizioni del Concorso nazionale pianistico “Piccole mani - Pietro Squartini”. Don Fabrizio Crocioni, suo amico e parroco, lo ricorda come il «sacerdote servitore del Regno di Dio attraverso la musica e il canto».

Le esequie a Madonna Alta

Sarà lo stesso don Crocioni a presiedere le esequie di mons. Spingola, che si terranno venerdì 6 novembre, alle ore 15, nella chiesa parrocchiale di San Raffaele Arcangelo in Madonna Alta, con la partecipazione dei parroci della città. Sempre in questa chiesa, a partire dalle ore 11.30, sarà allestita la camera ardente per quanti vorranno raccogliersi in preghiera (rispettando le norme sanitarie di prevenzione del contagio da Covid-19). Mentre nella serata di giovedì 5 novembre (ore 21), nella chiesa della Madonna delle Grazie di via Caprera a Perugia, dove per lunghi anni don Francesco Spingola ha celebrato l’Eucaristia, si terrà la preghiera del S. Rosario a lui dedicata. Riccardo Liguori  ]]>

Dopo una lunga e grave malattia, questa mattina, 5 novembre, è tornato alla Casa del Padre il sacerdote e musicista mons. Francesco Spingola, direttore dell’Istituto diocesano musicale “G. Frescobaldi” di Perugia. Ad annunciarlo al Clero è stato il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, esprimendo il profondo cordoglio dell’intera Chiesa perugino-pievese ai familiari e alle comunità parrocchiali dell’Unità pastorale di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino dove per lunghi anni don Francesco ha svolto il suo ministero sacerdotale.

Una vita al servizio della Musica sacra

Conosciuto e stimato da tutta la comunità diocesana per il suo servizio alla Chiesa attraverso la sua passione per lo studio della musica sacra (musicalmente si è formato in organo e canto gregoriano frequentando alcuni dei più noti Conservatori statali dell’Italia meridionale), mons. Spingola ha trasmesso a generazioni di allievi la sua stessa passione. Lascia un grande vuoto anche per aver saputo trasmettere l’amore per l’arte della musica canora a diverse realtà parrocchiali. Realtà che ha sostenuto nel dare vita o nel riorganizzare le loro corali. Memorabili sono i raduni in cattedrale dei cori parrocchiali per l’annuale festa liturgica di santa Cecilia, patrona dei musicisti, che don Spingola ha diretto tutti insieme.

Perugino con la Calabria nel cuore

Nato a Verbicaro, in provincia di Cosenza, il 20 marzo 1932, dopo gli studi in Filosofia e Teologia con i padri Gesuiti presso il Pontificio Seminario “Pio” XI di Reggio Calabria, fu ordinato sacerdote diocesano di Cassano Allo Jonio (Cs) il 29 giugno 1955. Trasferitosi a Perugia nel 1970 per motivi familiari, è stato sempre legato alla Parrocchia di San Faustino, ricoprendo il ruolo di vicario parrocchiale, fondando il Coro di “Voci bianche” e il Coro polifonico “San Faustino”. Due cori che si sono esibiti anche in diversi Paesi europei e negli Usa. Per essere riuscito ad annunciare la Parola di Dio anche attraverso la musica e il canto e per i suoi non comuni meriti in campo culturale, è stato nominato cappellano di Sua Santità, con il titolo di monsignore, da papa Giovanni Paolo II.   Mons. Spingola ha ricoperto per più di 40 anni, fino ad oggi, l’incarico di direttore dell’Istituto diocesano musicale “G. Frescobaldi”, presso l’Auditorium Marianum di Perugia, promuovendolo non poco a livello culturale e dirigendo le sedici edizioni del Concorso nazionale pianistico “Piccole mani - Pietro Squartini”. Don Fabrizio Crocioni, suo amico e parroco, lo ricorda come il «sacerdote servitore del Regno di Dio attraverso la musica e il canto».

Le esequie a Madonna Alta

Sarà lo stesso don Crocioni a presiedere le esequie di mons. Spingola, che si terranno venerdì 6 novembre, alle ore 15, nella chiesa parrocchiale di San Raffaele Arcangelo in Madonna Alta, con la partecipazione dei parroci della città. Sempre in questa chiesa, a partire dalle ore 11.30, sarà allestita la camera ardente per quanti vorranno raccogliersi in preghiera (rispettando le norme sanitarie di prevenzione del contagio da Covid-19). Mentre nella serata di giovedì 5 novembre (ore 21), nella chiesa della Madonna delle Grazie di via Caprera a Perugia, dove per lunghi anni don Francesco Spingola ha celebrato l’Eucaristia, si terrà la preghiera del S. Rosario a lui dedicata. Riccardo Liguori  ]]>
Morto il salesiano don Giorgio Colajacomo per Covid https://www.lavoce.it/morto-il-salesiano-don-giorgio-colajacomo-per-covid/ Thu, 08 Oct 2020 14:21:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57962

È morto questa mattina, 8 ottobre, dopo aver contratto il Covid-19 don Giorgio Colajacomo, direttore dell'Istituto Salesiano di Alassio (Savona), fino a pochi mesi fa direttore dell'Istituto Salesiano di Perugia, dove era molto conosciuto e apprezzato. Don Giorgio,  80 anni, era stato ricoverato lo scorso 25 settembre nell'ospedale di Albenga, risultando il giorno dopo positivo al virus. Per questo erano scattate le procedure preventive all'interno dell'istituto, che ospita scuole medie e superiori, con la temporanea chiusura e sanificazione. In seguito le sue condizioni erano peggiorate portando prima al trasferimento nell'ospedale di Savona e poi all'ingresso nel reparto di terapia intensiva. Fatali i gravi problemi respiratori legati ad un quadro clinico compromesso e aggravato dal Covid. Don Giorgio Colajacomo era nato a Genova il 31 luglio del 1940 ed ordinato sacerdote il 5 marzo 1966. Da appena un mese  era tornato a dirigere l'istituto di Alassio con l'obiettivo di rilanciarlo. Le esequie di don Giorgio saranno celebrate nella chiesa dell’Istituto “Madonna degli Angeli” di Alassio sabato 10 ottobre, alle ore 15.00.

Il cordoglio del Cardinale Bassetti

«Apprendo con molto dolore la notizia della morte di don Giorgio Colajacomo. E’ uno dei tanti figli della nostra Chiesa, che, nell’adempimento del ministero sacerdotale, è stato portato via da questo virus. Il Signore accolga il caro don Giorgio nella sua pace e gli doni la ricompensa dei servi buoni e fedeli». Con voce commossa il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, che oggi si trova a Roma, ha commentato il decesso di don Colajacomo, direttore dell’Istituto salesiano “Don Bosco” di Perugia dal 2014 fino allo scorso agosto. Il cardinale, anche a nome dell’intera Chiesa diocesana perugino-pievese, ha espresso a tutta la comunità salesiana le sue profonde condoglianze e la sua vicinanza spirituale. “Nei sei anni che don Giorgio Colajacomo ha trascorso alla guida della famiglia salesiana di Perugia, incarnando fino in fondo lo spirito di Don Bosco – sottolineano in Curia –, non si è risparmiato nel promuovere diverse iniziative per il rilancio del Centro di formazione professionale, dell’Oratorio e delle attività educative e sportive rivolte alle giovani generazioni. Ha saputo tessere proficui rapporti con le Istituzioni civili umbre, esprimendo soddisfazione per il varo della recente legge regionale sulla formazione professionale».

A Perugia preghiera per don Giorgio

A Perugia la comunità Salesiana e tutti i suoi amici si raccoglieranno in preghiera per la recita del Santo Rosario, venerdì 9 ottobre, alle ore 19, presso la sede dell’Istituto “Don Bosco. Il neo direttore, don Giovanni Molinari, ha espresso il profondo dolore della comunità salesiana per la morte del suo predecessore, ringraziando “il Signore per il dono di don Giorgio alla Congregazione salesiana, alla famiglia salesiana di Perugia e ai tantissimi amici che con tanta dedizione e passione ha amato e servito”.

Il cordoglio della Regione

“Una triste notizia – scrive l’assessore regionale Michele Fioroni dopo aver appreso la notizia della scomparsa di Don Giorgio Colayacomo, già direttore dell’Istituto Salesiano di Perugia - . “Ricordo la passione con cui si è occupato fino alla fine di formazione professionale – afferma l’assessore Fioroni - e l'attenzione che ha sempre riposto sul tema della formazione e del lavoro. Si spenge quella che è stata una luce guida per tanti ragazzi del nostro territorio. Ho avuto l'onore di raccogliere in questo anno di delega sul lavoro molti utili suggerimenti di cui sapremo tenere traccia”.

Il cordoglio del sindaco di Perugia Romizi

Il sindaco Andrea Romizi e l’Amministrazione comunale esprimono vivo e profondo cordoglio per la scomparsa di Don Giorgio Colajacomo, per anni direttore del Don Bosco di Perugia. “Noto per la sua umanità e disponibilità, il direttore Colajacomo lascia un grande vuoto nella comunità salesiana che ha contributo ad arricchire con impegno, passione e dedizione”.  ]]>

È morto questa mattina, 8 ottobre, dopo aver contratto il Covid-19 don Giorgio Colajacomo, direttore dell'Istituto Salesiano di Alassio (Savona), fino a pochi mesi fa direttore dell'Istituto Salesiano di Perugia, dove era molto conosciuto e apprezzato. Don Giorgio,  80 anni, era stato ricoverato lo scorso 25 settembre nell'ospedale di Albenga, risultando il giorno dopo positivo al virus. Per questo erano scattate le procedure preventive all'interno dell'istituto, che ospita scuole medie e superiori, con la temporanea chiusura e sanificazione. In seguito le sue condizioni erano peggiorate portando prima al trasferimento nell'ospedale di Savona e poi all'ingresso nel reparto di terapia intensiva. Fatali i gravi problemi respiratori legati ad un quadro clinico compromesso e aggravato dal Covid. Don Giorgio Colajacomo era nato a Genova il 31 luglio del 1940 ed ordinato sacerdote il 5 marzo 1966. Da appena un mese  era tornato a dirigere l'istituto di Alassio con l'obiettivo di rilanciarlo. Le esequie di don Giorgio saranno celebrate nella chiesa dell’Istituto “Madonna degli Angeli” di Alassio sabato 10 ottobre, alle ore 15.00.

Il cordoglio del Cardinale Bassetti

«Apprendo con molto dolore la notizia della morte di don Giorgio Colajacomo. E’ uno dei tanti figli della nostra Chiesa, che, nell’adempimento del ministero sacerdotale, è stato portato via da questo virus. Il Signore accolga il caro don Giorgio nella sua pace e gli doni la ricompensa dei servi buoni e fedeli». Con voce commossa il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, che oggi si trova a Roma, ha commentato il decesso di don Colajacomo, direttore dell’Istituto salesiano “Don Bosco” di Perugia dal 2014 fino allo scorso agosto. Il cardinale, anche a nome dell’intera Chiesa diocesana perugino-pievese, ha espresso a tutta la comunità salesiana le sue profonde condoglianze e la sua vicinanza spirituale. “Nei sei anni che don Giorgio Colajacomo ha trascorso alla guida della famiglia salesiana di Perugia, incarnando fino in fondo lo spirito di Don Bosco – sottolineano in Curia –, non si è risparmiato nel promuovere diverse iniziative per il rilancio del Centro di formazione professionale, dell’Oratorio e delle attività educative e sportive rivolte alle giovani generazioni. Ha saputo tessere proficui rapporti con le Istituzioni civili umbre, esprimendo soddisfazione per il varo della recente legge regionale sulla formazione professionale».

A Perugia preghiera per don Giorgio

A Perugia la comunità Salesiana e tutti i suoi amici si raccoglieranno in preghiera per la recita del Santo Rosario, venerdì 9 ottobre, alle ore 19, presso la sede dell’Istituto “Don Bosco. Il neo direttore, don Giovanni Molinari, ha espresso il profondo dolore della comunità salesiana per la morte del suo predecessore, ringraziando “il Signore per il dono di don Giorgio alla Congregazione salesiana, alla famiglia salesiana di Perugia e ai tantissimi amici che con tanta dedizione e passione ha amato e servito”.

Il cordoglio della Regione

“Una triste notizia – scrive l’assessore regionale Michele Fioroni dopo aver appreso la notizia della scomparsa di Don Giorgio Colayacomo, già direttore dell’Istituto Salesiano di Perugia - . “Ricordo la passione con cui si è occupato fino alla fine di formazione professionale – afferma l’assessore Fioroni - e l'attenzione che ha sempre riposto sul tema della formazione e del lavoro. Si spenge quella che è stata una luce guida per tanti ragazzi del nostro territorio. Ho avuto l'onore di raccogliere in questo anno di delega sul lavoro molti utili suggerimenti di cui sapremo tenere traccia”.

Il cordoglio del sindaco di Perugia Romizi

Il sindaco Andrea Romizi e l’Amministrazione comunale esprimono vivo e profondo cordoglio per la scomparsa di Don Giorgio Colajacomo, per anni direttore del Don Bosco di Perugia. “Noto per la sua umanità e disponibilità, il direttore Colajacomo lascia un grande vuoto nella comunità salesiana che ha contributo ad arricchire con impegno, passione e dedizione”.  ]]>
“Libertà di scelta per le donne”: Bassetti e Tesei in redazione https://www.lavoce.it/bassetti-e-tesei-redazione/ Tue, 01 Sep 2020 10:44:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57659 Bassetti e Tesei in visita alla redazione de La “Libertà di scelta per le donne”: Bassetti e Tesei in redazione Voce e Umbria radio

Una visita di cortesia certo, ma anche un sincero interesse per le proposte, i dibattiti e i temi portati in primo piano dalla nuova Voce. E poi uno scambio di battute in via informale, lontano da telecamere e microfoni, che la dice lunga sui rapporti di collaborazione e stima reciproca che ci sono tra la Regione e la Diocesi.

Questo, ma anche molto altro, è stata la giornata di mercoledì 26 agosto, con la visita della presidente della Regione Umbria Donatella Tesei e del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo della Diocesi di Perugia-Città della Pieve.

Insieme hanno visitato i nuovi locali redazionali che ospitano i giornalisti di Umbria Radio e La Voce, dopo aver salutato la redazione al gran completo.

Ma, come detto, non è stata solo una visita di cortesia. C’è stata anche carne al fuoco, parecchia. D’altronde, la ‘mission’ de La Voce è chiara: “Fornire uno sguardo cristianamente ispirato su avvenimenti locali e non solo, stimolare il confronto, suscitando un dialogo sia interno alla Chiesa umbra, sia tra la Chiesa e il mondo”.

Lo spunto è stato dato dalle novità giunte recentemente sul fronte dell’interruzione volontaria di gravidanza, un tema cui anche recentemente abbiamo dedicato molto spazio cercando di farlo in maniera costruttiva.

Dopo la scelta della Giunta regionale di ricoverare per 3 giorni le donne che avessero fatto richiesta di RU486, e le polemiche che ne sono seguite a livello nazionale, il ministro della salute Roberto Speranza ha chiesto un nuovo parere al Consiglio superiore di sanità per aggiornare le linee guida che regolano l’aborto farmacologico.

Il Css ha così ‘smontato’ la delibera della giunta Tesei, confermando sostanzialmente la possibilità di assumere la pillola anche in regime di day hospital, e estendendone il limite di utilizzo fino alle nove settimane di gravidanza, contro le sette precedenti.

“Sono stata attaccata in maniera del tutto ideologica, per una delibera che non ha fatto altro che applicare una legge dello Stato”, ha ribadito la Tesei. Sulle nuove linee guida, la governatrice ha fornito un’importante anticipazione: “Le esaminerò per adottare i provvedimenti di adeguamento richiesti, ma valuteremo la possibilità di mantenere il ricovero ospedaliero: sarà una libera scelta, a facoltà delle donne, che potranno optare per l’una o per l’altra soluzione. Non voglio togliere a chi deve affrontare una situazione di questo genere, la possibilità di farlo in sicurezza, in ospedale e con l’assistenza necessaria”.

Abbiamo scritto più volte di quanto l’aborto sia una scelta drammatica, difficile, pesante dal punto di vista umano e psicologico, e che quindi per quanto possibile non va affrontata in solitudine. Quella della giunta Tesei insomma, sembra un’apertura importante, e probabilmente anche una scelta meno divisiva.

Adeguare la norma alle nuove linee guida, ma lasciare comunque la possibilità di scegliere il ricovero ospedaliero piuttosto che il day hospital. Certamente però, alla base c’è un tema che è per sua natura terreno di scontro.

“Il problema è che siamo portati a reificare tutto, a ridurre tutto a delle semplici cose e non partire più dalla centralità della persona: prima il feto e l’embrione, ora anche la donna”, aggiunge il cardinale Bassetti, che mostra di apprezzare la scelta della governatrice: “Voglio dirle grazie e voglio darle anche tutto il mio sostegno morale e della Chiesa”.

Ed effettivamente il presidente della Cei ha più volte difeso questa posizione, soprattutto pubblicamente, come nella recente intervista al Meeting di Rimini.

Quello che resta alla fine è un paradosso, e l’arcivescovo lo coglie in pieno: “Per me è un po’ triste dirlo come vescovo, ma siccome noi dobbiamo sempre scegliere il minor male, almeno l’applicazione della Legge 194 garantisce la sicurezza della donna. D’altronde, di fronte a certe esagerazioni e a certe idee che sono contrarie anche alla vita e alla dignità della persona, noi siamo chiamati a scegliere in ogni caso la vita”.

E su questo si basa anche la proposta, più volte rilanciata su queste pagine, nata dal Movimento per la Vita: non una battaglia ideologica, ma un impegno concreto a favore delle donne e della natalità.

L’idea è che questo si trasformi in un fondo a sostegno delle gravidanze difficili. Una sfida anche per la classe politica locale, che per una volta dovrebbe mostrarsi concretamente attenta al bene comune.

Quello che è certo è che in questo senso l’unità di intenti tra i vertici religiosi e politici dell’Umbria pare esserci: “Ho sempre tenuto ad avere un rapporto cordiale e di collaborazione con le nostre istituzioni”, dice Bassetti. Alla fine, auguri di buon lavoro reciproco e visita ai nuovi locali della redazione. Noi, con il nostro punto di vista, continueremo su questa strada.

Francesco Mariucci

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Bassetti e Tesei in visita alla redazione de La “Libertà di scelta per le donne”: Bassetti e Tesei in redazione Voce e Umbria radio

Una visita di cortesia certo, ma anche un sincero interesse per le proposte, i dibattiti e i temi portati in primo piano dalla nuova Voce. E poi uno scambio di battute in via informale, lontano da telecamere e microfoni, che la dice lunga sui rapporti di collaborazione e stima reciproca che ci sono tra la Regione e la Diocesi.

Questo, ma anche molto altro, è stata la giornata di mercoledì 26 agosto, con la visita della presidente della Regione Umbria Donatella Tesei e del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo della Diocesi di Perugia-Città della Pieve.

Insieme hanno visitato i nuovi locali redazionali che ospitano i giornalisti di Umbria Radio e La Voce, dopo aver salutato la redazione al gran completo.

Ma, come detto, non è stata solo una visita di cortesia. C’è stata anche carne al fuoco, parecchia. D’altronde, la ‘mission’ de La Voce è chiara: “Fornire uno sguardo cristianamente ispirato su avvenimenti locali e non solo, stimolare il confronto, suscitando un dialogo sia interno alla Chiesa umbra, sia tra la Chiesa e il mondo”.

Lo spunto è stato dato dalle novità giunte recentemente sul fronte dell’interruzione volontaria di gravidanza, un tema cui anche recentemente abbiamo dedicato molto spazio cercando di farlo in maniera costruttiva.

Dopo la scelta della Giunta regionale di ricoverare per 3 giorni le donne che avessero fatto richiesta di RU486, e le polemiche che ne sono seguite a livello nazionale, il ministro della salute Roberto Speranza ha chiesto un nuovo parere al Consiglio superiore di sanità per aggiornare le linee guida che regolano l’aborto farmacologico.

Il Css ha così ‘smontato’ la delibera della giunta Tesei, confermando sostanzialmente la possibilità di assumere la pillola anche in regime di day hospital, e estendendone il limite di utilizzo fino alle nove settimane di gravidanza, contro le sette precedenti.

“Sono stata attaccata in maniera del tutto ideologica, per una delibera che non ha fatto altro che applicare una legge dello Stato”, ha ribadito la Tesei. Sulle nuove linee guida, la governatrice ha fornito un’importante anticipazione: “Le esaminerò per adottare i provvedimenti di adeguamento richiesti, ma valuteremo la possibilità di mantenere il ricovero ospedaliero: sarà una libera scelta, a facoltà delle donne, che potranno optare per l’una o per l’altra soluzione. Non voglio togliere a chi deve affrontare una situazione di questo genere, la possibilità di farlo in sicurezza, in ospedale e con l’assistenza necessaria”.

Abbiamo scritto più volte di quanto l’aborto sia una scelta drammatica, difficile, pesante dal punto di vista umano e psicologico, e che quindi per quanto possibile non va affrontata in solitudine. Quella della giunta Tesei insomma, sembra un’apertura importante, e probabilmente anche una scelta meno divisiva.

Adeguare la norma alle nuove linee guida, ma lasciare comunque la possibilità di scegliere il ricovero ospedaliero piuttosto che il day hospital. Certamente però, alla base c’è un tema che è per sua natura terreno di scontro.

“Il problema è che siamo portati a reificare tutto, a ridurre tutto a delle semplici cose e non partire più dalla centralità della persona: prima il feto e l’embrione, ora anche la donna”, aggiunge il cardinale Bassetti, che mostra di apprezzare la scelta della governatrice: “Voglio dirle grazie e voglio darle anche tutto il mio sostegno morale e della Chiesa”.

Ed effettivamente il presidente della Cei ha più volte difeso questa posizione, soprattutto pubblicamente, come nella recente intervista al Meeting di Rimini.

Quello che resta alla fine è un paradosso, e l’arcivescovo lo coglie in pieno: “Per me è un po’ triste dirlo come vescovo, ma siccome noi dobbiamo sempre scegliere il minor male, almeno l’applicazione della Legge 194 garantisce la sicurezza della donna. D’altronde, di fronte a certe esagerazioni e a certe idee che sono contrarie anche alla vita e alla dignità della persona, noi siamo chiamati a scegliere in ogni caso la vita”.

E su questo si basa anche la proposta, più volte rilanciata su queste pagine, nata dal Movimento per la Vita: non una battaglia ideologica, ma un impegno concreto a favore delle donne e della natalità.

L’idea è che questo si trasformi in un fondo a sostegno delle gravidanze difficili. Una sfida anche per la classe politica locale, che per una volta dovrebbe mostrarsi concretamente attenta al bene comune.

Quello che è certo è che in questo senso l’unità di intenti tra i vertici religiosi e politici dell’Umbria pare esserci: “Ho sempre tenuto ad avere un rapporto cordiale e di collaborazione con le nostre istituzioni”, dice Bassetti. Alla fine, auguri di buon lavoro reciproco e visita ai nuovi locali della redazione. Noi, con il nostro punto di vista, continueremo su questa strada.

Francesco Mariucci

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Giampiero Morettini sulla via della santità. Inizia il percorso diocesano https://www.lavoce.it/giampiero-morettini-sulla-via-della-santita-inizia-il-percorso-diocesano/ https://www.lavoce.it/giampiero-morettini-sulla-via-della-santita-inizia-il-percorso-diocesano/#comments Thu, 20 Aug 2020 12:12:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57625

Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti ha annunciato la prossima celebrazione dell'Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù eroiche e la fama di santità e di segni del seminarista Giampiero Morettini ritornato alla Casa del Padre il 21 agosto 2014. Nell'Editto con cui viene accolta la richiesta canonica presentata dal Postulatore don Francesco Buono, il cardinale invita tutti i fedeli a fornire notizie utili riguardanti la Causa, rivolgendosi al cancelliere arcivescovile, don Marco Pezzanera. La raccolta sia delle testimonianze di quanti hanno conosciuto Giampiero sia delle segnalazioni di grazie ottenute per sua intercessione costituisce un momento decisivo nella prassi canonica, per poter constatare anzitutto la fama di santità del seminarista in vita e la sua persistenza post mortem, così come per prendere atto della solidità del sensus fidelium che in lui ravvisa un valido intercessore presso Dio. [gallery size="medium" td_select_gallery_slide="slide" ids="46411,46410,46409,46408,46407,27769,27766"]

Due Messe in ricordo del seminarista.

In occasione del VI anniversario della nascita in cielo di Giampiero, domenica 23 agosto, alle ore 10, presso la chiesa San Pio da Pietrelcina in Castel del Piano di Perugia, vi sarà la santa Messa presieduta dal vescovo ausiliare monsignor Marco Salvi, con l’introduzione di suor Roberta Vinerba e la conclusione di don Francesco Buono. Lo stesso giorno, alle ore 18, al cimitero di Sant’Angelo di Celle, ci sarà la santa Messa presieduta da don Giordano Commodi e concelebrata da don Gino Ciacci.

Con lui Dio non si era sbagliato.

Per volontà dello stesso cardinale Bassetti, con la sua prefazione, nel 2016 per i Tipi delle Paoline, è stato pubblicato il volume di suor Roberta Vinerba dal titolo: Giampiero Morettini. Con lui Dio non si era sbagliato, che ricostruisce la vita del seminarista a partire dalle testimonianze di chi lo conobbe in vita.

Costante pellegrinaggio alla sua tomba.

Da subito e in maniera costante, la tomba di Giampiero è visitata da persone che lo conobbero in vita, ma molti sono quelli che attraverso canali differenti (amicizie in comune, la lettura del libro, la testimonianza di grazie ricevute) vi si recano, senza averlo conosciuto in vita, per pregare e chiedere grazie. “Molti chiedono la sua preghiera per la guarigione di bambini ammalati od anche per avere un figlio, altri riconoscono che la preghiera alla tomba di Giampiero è per loro fonte di profonda pace interiore, altri raccontano di grazie ricevute come il sollievo da un tormento, l’accompagnamento ad una buona morte, la guarigione di un figlio, la conversione di una persona amata. Intorno alla sua tomba in maniera silente ma continua, vi è dunque un flusso di persone che vi si reca perché la riconosce essere un luogo nel quale Dio si fa loro vicino e sentono Giampiero un amico vivo che è capace di essere ponte tra loro e Dio” (Libello).

Un avvenimento che lo segnerà irreversibilmente.

[caption id="attachment_46410" align="alignleft" width="162"] I genitori[/caption] Giampiero, nato in Sardegna nel 1977, si stabilizza in Umbria con la sua famiglia a Sant’Angelo di Celle, due anni dopo. [Leggi la testimonianza dei genitori Mario e Caterina] Un “normale” bambino e adolescente, immerso nella vita del paese, al centro di una robusta rete di amicizie, che, dopo un’esperienza lavorativa nell’azienda agraria di famiglia, insieme alla madre, apre un negozio di frutta e verdura a Castel del Piano. Estraneo alla vita di fede, il 13 marzo 2006 nel suo negozio entra una suora per la benedizione pasquale che chiede a Giampiero di pregare per lui. Il giovane poco convintamente acconsente e la suora pronuncia una brevissima preghiera posandogli la mano sulla fronte e segnandolo con la croce. Un avvenimento che lo segnerà irreversibilmente e che confiderà, sempre con estremo pudore, a pochi amici. Dirà ai suoi confidenti di aver sentito un fuoco interiore e di essersi come assentato per un attimo. Lo stesso pomeriggio Giampiero si recherà dal parroco di Castel del Piano, don Francesco Buono, per confidargli l’accaduto.

Regalare la vita a Dio.

Prende così il via “la prima parte della sua formazione spirituale: il riavvicinamento al confessionale, la presenza costante al percorso dei Dieci Comandamenti, la partecipazione assidua all’adorazione eucaristica” (Libello), fino all’ottobre del 2010 quando entra in seminario. Al Rettore, don Nazzareno Marconi (oggi arcivescovo di Macerata) si presenta con queste parole: “Vorrei regalare la mia vita a Dio”. “Gli anni del seminario sono segnati dalla grande fatica dello studio, che porta avanti con una dedizione ammirevole, convinto che lo studio sia necessario per essere un buon sacerdote” (Libello).

Con il sorriso dinanzi al Padre.

“Il 29 maggio 2014, mentre stava terminando il terzo anno, ebbe un malore in seminario che svelerà una grave malformazione cardiaca congenita che necessitava con la massima urgenza un delicato intervento chirurgico” (dal Libello). Si prepara serenamente all’intervento, promettendo a uno dei ragazzi del gruppo parrocchiale, incontrato la sera prima del ricovero, che si sarebbero rivisti “nel posto giusto al momento giusto”. È operato il 24 luglio. Da lì l’inizio del calvario che lo porterà alla morte il 21 agosto ed anche che svelerà a tutti la fibra spirituale di cui è fatto. In questo mese Giampiero affronta il peggiorare delle sue condizioni sempre con serenità, totalmente offerto alla volontà di Dio, con il sorriso nonostante le grandi sofferenze che doveva sopportare, infondendo lui pace e speranza a coloro che lo visitavano.

Una moltitudine di persone alle esequie.

La veglia di preghiera in preparazione alle esequie “e alle stesse esequie, una moltitudine di persone, giovani in particolare, molti che non avevano conosciuto in vita Giampiero, si riversò nella chiesa di San Pio a Castel del Piano in un clima di grande compostezza e preghiera. I sacerdoti che in quelle ore prestarono il servizio del sacramento della riconciliazione, ricordano di aver confessato molti giovani e di aver constatato quanto l’abbandono a Dio di Giampiero durante la malattia, avesse profondamente colpito tanti e fatti decidere per un ritorno al sacramento della penitenza e un riavvicinamento alla Chiesa” (Libello).]]>

Il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti ha annunciato la prossima celebrazione dell'Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù eroiche e la fama di santità e di segni del seminarista Giampiero Morettini ritornato alla Casa del Padre il 21 agosto 2014. Nell'Editto con cui viene accolta la richiesta canonica presentata dal Postulatore don Francesco Buono, il cardinale invita tutti i fedeli a fornire notizie utili riguardanti la Causa, rivolgendosi al cancelliere arcivescovile, don Marco Pezzanera. La raccolta sia delle testimonianze di quanti hanno conosciuto Giampiero sia delle segnalazioni di grazie ottenute per sua intercessione costituisce un momento decisivo nella prassi canonica, per poter constatare anzitutto la fama di santità del seminarista in vita e la sua persistenza post mortem, così come per prendere atto della solidità del sensus fidelium che in lui ravvisa un valido intercessore presso Dio. [gallery size="medium" td_select_gallery_slide="slide" ids="46411,46410,46409,46408,46407,27769,27766"]

Due Messe in ricordo del seminarista.

In occasione del VI anniversario della nascita in cielo di Giampiero, domenica 23 agosto, alle ore 10, presso la chiesa San Pio da Pietrelcina in Castel del Piano di Perugia, vi sarà la santa Messa presieduta dal vescovo ausiliare monsignor Marco Salvi, con l’introduzione di suor Roberta Vinerba e la conclusione di don Francesco Buono. Lo stesso giorno, alle ore 18, al cimitero di Sant’Angelo di Celle, ci sarà la santa Messa presieduta da don Giordano Commodi e concelebrata da don Gino Ciacci.

Con lui Dio non si era sbagliato.

Per volontà dello stesso cardinale Bassetti, con la sua prefazione, nel 2016 per i Tipi delle Paoline, è stato pubblicato il volume di suor Roberta Vinerba dal titolo: Giampiero Morettini. Con lui Dio non si era sbagliato, che ricostruisce la vita del seminarista a partire dalle testimonianze di chi lo conobbe in vita.

Costante pellegrinaggio alla sua tomba.

Da subito e in maniera costante, la tomba di Giampiero è visitata da persone che lo conobbero in vita, ma molti sono quelli che attraverso canali differenti (amicizie in comune, la lettura del libro, la testimonianza di grazie ricevute) vi si recano, senza averlo conosciuto in vita, per pregare e chiedere grazie. “Molti chiedono la sua preghiera per la guarigione di bambini ammalati od anche per avere un figlio, altri riconoscono che la preghiera alla tomba di Giampiero è per loro fonte di profonda pace interiore, altri raccontano di grazie ricevute come il sollievo da un tormento, l’accompagnamento ad una buona morte, la guarigione di un figlio, la conversione di una persona amata. Intorno alla sua tomba in maniera silente ma continua, vi è dunque un flusso di persone che vi si reca perché la riconosce essere un luogo nel quale Dio si fa loro vicino e sentono Giampiero un amico vivo che è capace di essere ponte tra loro e Dio” (Libello).

Un avvenimento che lo segnerà irreversibilmente.

[caption id="attachment_46410" align="alignleft" width="162"] I genitori[/caption] Giampiero, nato in Sardegna nel 1977, si stabilizza in Umbria con la sua famiglia a Sant’Angelo di Celle, due anni dopo. [Leggi la testimonianza dei genitori Mario e Caterina] Un “normale” bambino e adolescente, immerso nella vita del paese, al centro di una robusta rete di amicizie, che, dopo un’esperienza lavorativa nell’azienda agraria di famiglia, insieme alla madre, apre un negozio di frutta e verdura a Castel del Piano. Estraneo alla vita di fede, il 13 marzo 2006 nel suo negozio entra una suora per la benedizione pasquale che chiede a Giampiero di pregare per lui. Il giovane poco convintamente acconsente e la suora pronuncia una brevissima preghiera posandogli la mano sulla fronte e segnandolo con la croce. Un avvenimento che lo segnerà irreversibilmente e che confiderà, sempre con estremo pudore, a pochi amici. Dirà ai suoi confidenti di aver sentito un fuoco interiore e di essersi come assentato per un attimo. Lo stesso pomeriggio Giampiero si recherà dal parroco di Castel del Piano, don Francesco Buono, per confidargli l’accaduto.

Regalare la vita a Dio.

Prende così il via “la prima parte della sua formazione spirituale: il riavvicinamento al confessionale, la presenza costante al percorso dei Dieci Comandamenti, la partecipazione assidua all’adorazione eucaristica” (Libello), fino all’ottobre del 2010 quando entra in seminario. Al Rettore, don Nazzareno Marconi (oggi arcivescovo di Macerata) si presenta con queste parole: “Vorrei regalare la mia vita a Dio”. “Gli anni del seminario sono segnati dalla grande fatica dello studio, che porta avanti con una dedizione ammirevole, convinto che lo studio sia necessario per essere un buon sacerdote” (Libello).

Con il sorriso dinanzi al Padre.

“Il 29 maggio 2014, mentre stava terminando il terzo anno, ebbe un malore in seminario che svelerà una grave malformazione cardiaca congenita che necessitava con la massima urgenza un delicato intervento chirurgico” (dal Libello). Si prepara serenamente all’intervento, promettendo a uno dei ragazzi del gruppo parrocchiale, incontrato la sera prima del ricovero, che si sarebbero rivisti “nel posto giusto al momento giusto”. È operato il 24 luglio. Da lì l’inizio del calvario che lo porterà alla morte il 21 agosto ed anche che svelerà a tutti la fibra spirituale di cui è fatto. In questo mese Giampiero affronta il peggiorare delle sue condizioni sempre con serenità, totalmente offerto alla volontà di Dio, con il sorriso nonostante le grandi sofferenze che doveva sopportare, infondendo lui pace e speranza a coloro che lo visitavano.

Una moltitudine di persone alle esequie.

La veglia di preghiera in preparazione alle esequie “e alle stesse esequie, una moltitudine di persone, giovani in particolare, molti che non avevano conosciuto in vita Giampiero, si riversò nella chiesa di San Pio a Castel del Piano in un clima di grande compostezza e preghiera. I sacerdoti che in quelle ore prestarono il servizio del sacramento della riconciliazione, ricordano di aver confessato molti giovani e di aver constatato quanto l’abbandono a Dio di Giampiero durante la malattia, avesse profondamente colpito tanti e fatti decidere per un ritorno al sacramento della penitenza e un riavvicinamento alla Chiesa” (Libello).]]>
https://www.lavoce.it/giampiero-morettini-sulla-via-della-santita-inizia-il-percorso-diocesano/feed/ 2
Fra Piloni: “questo è il dono del Perdono: l’errore non ha l’ultima parola” https://www.lavoce.it/fra-piloni-questo-e-il-dono-del-perdono-lerrore-non-ha-lultima-parola/ Sat, 01 Aug 2020 08:05:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57596

Quest’anno la festa del Perdono di Assisi arriva subito dopo l’elezione di fra Francesco Piloni a nuovo ministro provinciale dei Frati minori per Umbria e Sardegna. Ne approfittiamo per intervistarlo sulle sue linee programmatiche e, allo stesso tempo, sul valore del Perdono, atteggiamento così profondamente francescano.

Il Capitolo: cosa rappresenta questo momento per la vostra fraternità?

“Il Capitolo rappresenta un momento fondamentale della nostra fraternità francescana. È un momento in cui ci si riunisce, circa 50 frati, espressione di tutte le nostre realtà non solo dell’Umbria e Sardegna ma anche missionarie, e ci si ritrova per verificare il sessennio trascorso attraverso relazioni di verifica, di confronto, sulle nostre aree principali, la nostra identità carismatica di vita fraterna, la vita in Dio, anche la formazione iniziale e permanente delle nostre strutture economiche, ma soprattutto i nostri impegni nelle aree di evangelizzazione”.

Avreste dovuto celebrarlo prima?

“Abbiamo celebrato il Capitolo in un tempo decisamente particolare, tanto che a causa dell’emergenza coronavirus è stato rimandato di due mesi e mezzo, e questo tempo resta una grande sfida. Vogliamo - ed è stata una voce corale, forte - stare vicini alla gente, al popolo, in particolar modo alle famiglie e alle realtà che stanno maggiormente accusando il dolore. Abbiamo rinnovato il desiderio di prenderci cura degli altri come il buon samaritano, per esempio con le cappellanie del carcere, oltre alla cappellania del ‘Silvestrini’ a Perugia dove già operano i nostri frati, vicini al personale sanitario ma anche ai malati, e oltre alla realtà della ‘Papa Francesco’ che in Santa Maria degli Angeli già accoglie i poveri e gli emarginati. Il frate minore oggi può offrire una condivisione, una vicinanza e una compassione che ancora di più abbiamo ritrovato viva dentro le nostre scelte”.
Chi è fra Francesco Piloni Fra Francesco Piloni è nato a Crema, in Lombardia, il 24 giugno 1969. Laureato in Psicologia clinica e di comunità, dopo il baccalaureato (laurea) in Teologia ha conseguito un master in Pastoral Counseling. Nel 2002 è stato ordinato sacerdote, e dallo stesso anno è impegnato nel servizio di responsabile del Servizio orientamento giovani (Sog), ovvero nell’accoglienza ed evangelizzazione delle migliaia di giovani che vengono ad Assisi per i corsi. Negli ultimi anni, dal 2015 in particolare, ha curato la formazione di sacerdoti e religiosi per quanto riguarda la pastorale vocazionale, attraverso l’istituzione di un master di Pastorale vocazionale. Fra Francesco, che succede a fra Claudio Durighetto, rimarrà in carica per i prossimi sei anni, affiancato dal vicario e dal nuovo “Definitorio” provinciale.

Alla celebrazione conclusiva del Capitolo, ha consegnato tre parole ai frati. Quali?

“Sono: gratitudine, insieme, Francesco e il francescanesimo. Gratitudine, ossia avere nei nostri occhi, nei nostri pensieri, nelle nostre parole ogni giorno parole di ringraziamento. È il piede giusto per entrare nella giornata, per entrare nei confronti, che possono essere anche scontri, ma che diventano incontro. La seconda parola è insieme, è ciò che Gesù dice nel Vangelo: ‘Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’. È quella che Francesco di Assisi racconta come fraternità; è quella che oggi la Chiesa di Papa Francesco evidenzia come sinodalità, e che la teologia ha sempre chiamato comunione”.

E l’ultima parola è Francesco e il francescanesimo…

“Noi spesso ci soffermiamo su Francesco, sulla sua esperienza di uomo di Dio; in realtà, dopo di lui ci sono stati 800 anni di storia. Ecco, vorrei che davvero in questi sei anni recuperassimo in modo ancor più deciso la storia del francescanesimo per portare le sue intuizioni, il suo stile evangelico a contatto dell’umanità di oggi, che è alla ricerca, che ha una profonda sete esistenziale”.

Con la pandemia, molti fedeli si sono allontanati dalla fede, dalle celebrazioni e dai sacramenti, a cominciare proprio dalla riconciliazione...

“Oggi abbiamo un profondissimo desiderio di riconciliazione, di misericordia, di perdono. La Porziuncola è una chiesa che è sempre aperta, come il cuore di Dio, sempre aperto a donare misericordia. Allora penso che all’uomo di oggi l’annuncio di Francesco: ‘Voglio portarvi tutti in paradiso’ è l’annuncio che ogni persona desidera ascoltare: che la nostra vita non ha una data di scadenza. Quell’annuncio del paradiso è l’annuncio meraviglioso di ogni persona che vuole amare, perché tutto ciò che è fatto nell’amore non muore più. E noi abbiamo profondamente bisogno di questo, di sapere che ha un senso ogni gesto d’amore: se fatto dentro alla verità di un amore che vuole incontrare l’altro, non avrà mai fine”.

Un pensiero al Perdono del 2 agosto…

“Questo è il dono del Perdono, ossia che ogni errore, che ogni sbaglio non ha l’ultima parola. Tu non sei i tuoi errori, tu non sei i tuoi sbagli, tu sei chiamato alla vita, e non una vita che si conclude, ma eterna. Questa è la bellezza di Francesco, questo è quello che lui annuncia. E all’uomo di oggi, spaventato dalla morte, ricordare che la morte non ha l’ultima parola è la speranza che la Porziuncola dà ancora in questo 2020. Ha in sé un messaggio per tutti coloro che verranno alla Porziuncola in questi giorni, e che un giorno ritorneranno, o forse ci arriveranno adesso con i social, o alcuni con il desiderio. Perché chi c’è stato sa che lì è casa, è il cuore aperto di Dio”.]]>

Quest’anno la festa del Perdono di Assisi arriva subito dopo l’elezione di fra Francesco Piloni a nuovo ministro provinciale dei Frati minori per Umbria e Sardegna. Ne approfittiamo per intervistarlo sulle sue linee programmatiche e, allo stesso tempo, sul valore del Perdono, atteggiamento così profondamente francescano.

Il Capitolo: cosa rappresenta questo momento per la vostra fraternità?

“Il Capitolo rappresenta un momento fondamentale della nostra fraternità francescana. È un momento in cui ci si riunisce, circa 50 frati, espressione di tutte le nostre realtà non solo dell’Umbria e Sardegna ma anche missionarie, e ci si ritrova per verificare il sessennio trascorso attraverso relazioni di verifica, di confronto, sulle nostre aree principali, la nostra identità carismatica di vita fraterna, la vita in Dio, anche la formazione iniziale e permanente delle nostre strutture economiche, ma soprattutto i nostri impegni nelle aree di evangelizzazione”.

Avreste dovuto celebrarlo prima?

“Abbiamo celebrato il Capitolo in un tempo decisamente particolare, tanto che a causa dell’emergenza coronavirus è stato rimandato di due mesi e mezzo, e questo tempo resta una grande sfida. Vogliamo - ed è stata una voce corale, forte - stare vicini alla gente, al popolo, in particolar modo alle famiglie e alle realtà che stanno maggiormente accusando il dolore. Abbiamo rinnovato il desiderio di prenderci cura degli altri come il buon samaritano, per esempio con le cappellanie del carcere, oltre alla cappellania del ‘Silvestrini’ a Perugia dove già operano i nostri frati, vicini al personale sanitario ma anche ai malati, e oltre alla realtà della ‘Papa Francesco’ che in Santa Maria degli Angeli già accoglie i poveri e gli emarginati. Il frate minore oggi può offrire una condivisione, una vicinanza e una compassione che ancora di più abbiamo ritrovato viva dentro le nostre scelte”.
Chi è fra Francesco Piloni Fra Francesco Piloni è nato a Crema, in Lombardia, il 24 giugno 1969. Laureato in Psicologia clinica e di comunità, dopo il baccalaureato (laurea) in Teologia ha conseguito un master in Pastoral Counseling. Nel 2002 è stato ordinato sacerdote, e dallo stesso anno è impegnato nel servizio di responsabile del Servizio orientamento giovani (Sog), ovvero nell’accoglienza ed evangelizzazione delle migliaia di giovani che vengono ad Assisi per i corsi. Negli ultimi anni, dal 2015 in particolare, ha curato la formazione di sacerdoti e religiosi per quanto riguarda la pastorale vocazionale, attraverso l’istituzione di un master di Pastorale vocazionale. Fra Francesco, che succede a fra Claudio Durighetto, rimarrà in carica per i prossimi sei anni, affiancato dal vicario e dal nuovo “Definitorio” provinciale.

Alla celebrazione conclusiva del Capitolo, ha consegnato tre parole ai frati. Quali?

“Sono: gratitudine, insieme, Francesco e il francescanesimo. Gratitudine, ossia avere nei nostri occhi, nei nostri pensieri, nelle nostre parole ogni giorno parole di ringraziamento. È il piede giusto per entrare nella giornata, per entrare nei confronti, che possono essere anche scontri, ma che diventano incontro. La seconda parola è insieme, è ciò che Gesù dice nel Vangelo: ‘Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’. È quella che Francesco di Assisi racconta come fraternità; è quella che oggi la Chiesa di Papa Francesco evidenzia come sinodalità, e che la teologia ha sempre chiamato comunione”.

E l’ultima parola è Francesco e il francescanesimo…

“Noi spesso ci soffermiamo su Francesco, sulla sua esperienza di uomo di Dio; in realtà, dopo di lui ci sono stati 800 anni di storia. Ecco, vorrei che davvero in questi sei anni recuperassimo in modo ancor più deciso la storia del francescanesimo per portare le sue intuizioni, il suo stile evangelico a contatto dell’umanità di oggi, che è alla ricerca, che ha una profonda sete esistenziale”.

Con la pandemia, molti fedeli si sono allontanati dalla fede, dalle celebrazioni e dai sacramenti, a cominciare proprio dalla riconciliazione...

“Oggi abbiamo un profondissimo desiderio di riconciliazione, di misericordia, di perdono. La Porziuncola è una chiesa che è sempre aperta, come il cuore di Dio, sempre aperto a donare misericordia. Allora penso che all’uomo di oggi l’annuncio di Francesco: ‘Voglio portarvi tutti in paradiso’ è l’annuncio che ogni persona desidera ascoltare: che la nostra vita non ha una data di scadenza. Quell’annuncio del paradiso è l’annuncio meraviglioso di ogni persona che vuole amare, perché tutto ciò che è fatto nell’amore non muore più. E noi abbiamo profondamente bisogno di questo, di sapere che ha un senso ogni gesto d’amore: se fatto dentro alla verità di un amore che vuole incontrare l’altro, non avrà mai fine”.

Un pensiero al Perdono del 2 agosto…

“Questo è il dono del Perdono, ossia che ogni errore, che ogni sbaglio non ha l’ultima parola. Tu non sei i tuoi errori, tu non sei i tuoi sbagli, tu sei chiamato alla vita, e non una vita che si conclude, ma eterna. Questa è la bellezza di Francesco, questo è quello che lui annuncia. E all’uomo di oggi, spaventato dalla morte, ricordare che la morte non ha l’ultima parola è la speranza che la Porziuncola dà ancora in questo 2020. Ha in sé un messaggio per tutti coloro che verranno alla Porziuncola in questi giorni, e che un giorno ritorneranno, o forse ci arriveranno adesso con i social, o alcuni con il desiderio. Perché chi c’è stato sa che lì è casa, è il cuore aperto di Dio”.]]>
Don Augusto: ecco Mario Draghi “cittadino” di Città della Pieve https://www.lavoce.it/don-augusto-ecco-mario-draghi-cittadino-di-citta-della-pieve/ Fri, 31 Jul 2020 06:00:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57602

È stata salutata con gioia e soddisfazione a Città della Pieve la notizia della recente nomina di Mario Draghi a membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali da parte di papa Francesco. L’ex presidente della Bce ed ex governatore della Banca d’Italia, nato a Roma nel 1947, è umbro e pievese di adozione, come lo definisce mons. Augusto Panzanelli, parroco di Moiano e canonico della cattedrale di Perugia e della concattedrale di Città della Pieve. In una intervista a Umbria Radio InBlu il sacerdote spiega perché questa nota personalità può essere definita tale. “Il professor Draghi ha scelto come sua residenza non estiva ma di riposo e nelle festività – sottolineato il sacerdote – la nostra Città della Pieve, un “rifugio” da tutti i suoi impegni. Papa Francesco l’ha nominato membro di questa prestigiosa Istituzione della Santa Sede e questo inorgoglisce Città della Pieve ed anche la nostra comunità diocesana».

Don Augusto: Mario Draghi? Molto riservato …

Il parroco di Moiano conosce personalmente Mario Draghi, definendolo “una persona che fa vita sociale molto ritirata, non tende a mettersi in evidenza, anzi cerca di fare la vita più semplice possibile. Quando è a Città della Pieve non di rado lo si incontra a fare la spesa, senza nessuna pretesa di essere “un personaggio’”. Nel contempo, aggiunge don Augusto, “non rinuncia ai doveri di cristiano, partecipando alla messa festiva, andando spesso al prefestivo o al vespertino domenicale. È un uomo di fede e partecipare alla vita comunitaria dei fedeli è il primo passo importante per tutti, anche per Mario Draghi. Si interessa delle attività della parrocchia e dei lavori che si fanno per custodire al meglio il ricco patrimonio ecclesiale di opere d’arte. Non esita a compiere gesti di carità e solidarietà e a sostenere iniziative anche di carattere sociale e culturale promosse dalla Chiesa. Basti pensare che di recente ha voluto contribuire alla raccolta fondi per il restauro dell’antico organo della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio, opera voluta dal parroco ed arciprete don Simone Sorbaioli. Ci auguriamo che l’inaugurazione del restauro dell’organo (in programma a fine agosto, n.d.r.) possa coincidere con uno dei periodici soggiorni pievesi di Draghi, così da poterlo invitare a questo atteso evento della nostra estate”.

… ma anche disponibile

“Se gli si chiede aiuto – prosegue nel racconto don Panzanelli – non si tira indietro. Il professor Draghi era venuto a Città della Pieve quando era al vertice della Banca d’Italia e partecipò volentieri al 50° anniversario della fondazione della Cassa rurale di Moiano, presenziando alla cerimonia. Io ed altri membri del Consiglio di amministrazione della Cassa fummo da lui premiati con una medaglia per la lunga presenza nel locale istituto di credito”.

Il territorio della Pieve scelto da altri personaggi famosi

Alla domanda sul perché Mario Draghi abbia scelto Città della Pieve, don Augusto non esita a rispondere: “Credo per un’affezione alla nostra terra, lui che è romano di nascita, ma ha studiato a Firenze. Probabilmente per questa affinità al limite fra la Valdichiana del Granducato fiorentino e la Valdichiana romana. Draghi nella nostra cittadina, che è un po’ a cavallo fra le due regioni, ha trovato il suo ambiente ideale per riposarsi. Nella nostra zona, fino alla collina opposta del Monte Cetona, ci sono stati diversi personaggi famosi. Ad esempio, negli anni ’90 c’era Valentino, lo stilista”. Ripercorrendo brevemente la biografia del professor Draghi, mons. Panzanelli fa notare che l’ex presidente della Bce ha un po’ bruciato le tappe della sua carriera universitaria, diventando ordinario di Economia e di Politica monetaria presso l’Alfieri di Firenze all’età di 34 anni, oltre ad essere un raffinato uomo di cultura. Le opere del Perugino e di altri artisti del Rinascimento, che fanno di Città della Pieve un prezioso scrigno d’arte e di storia, avranno richiamato non poco l’attenzione di Draghi e inciso nella sua scelta, oltre al paesaggio umbro-toscano con le dolci e verdi colline, vera oasi di pace e tranquillità non molto distante da Roma.

Un augurio a Draghi

Don Augusto Panzanelli rivolge un augurio al professor Draghi: “che possa rispondere alle aspettative del Papa nell’averlo nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Questo Papa ci sorprende continuamente – commenta il sacerdote –, perché fa delle scelte particolari, ha rotto certi equilibri, è uscito da certi confini e spesso sceglie anche nella collaborazione personaggi che ci potrebbero sembrare un po’ al limite del mondo della fede, ma che di solito fanno sempre colpo”. “La santità - aggiunge Panzanelli - è anche fuori dalle sagrestie, una santità che dobbiamo scoprire. E forse Draghi è uno che non passa troppo tempo in sagrestia, però è molto sensibile a quelli che sono i problemi umani. Questo l’abbiamo potuto constatare quando è stato presidente della Bce, anche nei confronti della nostra nazione, nei confronti degli ultimi”. Non a caso è stata accreditata a Draghi l’espressione “bazooka”, per ogni suo provvedimento a sostegno delle economie dei singoli Paesi Ue, in particolare di quelle in difficoltà.]]>

È stata salutata con gioia e soddisfazione a Città della Pieve la notizia della recente nomina di Mario Draghi a membro della Pontificia Accademia delle Scienze sociali da parte di papa Francesco. L’ex presidente della Bce ed ex governatore della Banca d’Italia, nato a Roma nel 1947, è umbro e pievese di adozione, come lo definisce mons. Augusto Panzanelli, parroco di Moiano e canonico della cattedrale di Perugia e della concattedrale di Città della Pieve. In una intervista a Umbria Radio InBlu il sacerdote spiega perché questa nota personalità può essere definita tale. “Il professor Draghi ha scelto come sua residenza non estiva ma di riposo e nelle festività – sottolineato il sacerdote – la nostra Città della Pieve, un “rifugio” da tutti i suoi impegni. Papa Francesco l’ha nominato membro di questa prestigiosa Istituzione della Santa Sede e questo inorgoglisce Città della Pieve ed anche la nostra comunità diocesana».

Don Augusto: Mario Draghi? Molto riservato …

Il parroco di Moiano conosce personalmente Mario Draghi, definendolo “una persona che fa vita sociale molto ritirata, non tende a mettersi in evidenza, anzi cerca di fare la vita più semplice possibile. Quando è a Città della Pieve non di rado lo si incontra a fare la spesa, senza nessuna pretesa di essere “un personaggio’”. Nel contempo, aggiunge don Augusto, “non rinuncia ai doveri di cristiano, partecipando alla messa festiva, andando spesso al prefestivo o al vespertino domenicale. È un uomo di fede e partecipare alla vita comunitaria dei fedeli è il primo passo importante per tutti, anche per Mario Draghi. Si interessa delle attività della parrocchia e dei lavori che si fanno per custodire al meglio il ricco patrimonio ecclesiale di opere d’arte. Non esita a compiere gesti di carità e solidarietà e a sostenere iniziative anche di carattere sociale e culturale promosse dalla Chiesa. Basti pensare che di recente ha voluto contribuire alla raccolta fondi per il restauro dell’antico organo della concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio, opera voluta dal parroco ed arciprete don Simone Sorbaioli. Ci auguriamo che l’inaugurazione del restauro dell’organo (in programma a fine agosto, n.d.r.) possa coincidere con uno dei periodici soggiorni pievesi di Draghi, così da poterlo invitare a questo atteso evento della nostra estate”.

… ma anche disponibile

“Se gli si chiede aiuto – prosegue nel racconto don Panzanelli – non si tira indietro. Il professor Draghi era venuto a Città della Pieve quando era al vertice della Banca d’Italia e partecipò volentieri al 50° anniversario della fondazione della Cassa rurale di Moiano, presenziando alla cerimonia. Io ed altri membri del Consiglio di amministrazione della Cassa fummo da lui premiati con una medaglia per la lunga presenza nel locale istituto di credito”.

Il territorio della Pieve scelto da altri personaggi famosi

Alla domanda sul perché Mario Draghi abbia scelto Città della Pieve, don Augusto non esita a rispondere: “Credo per un’affezione alla nostra terra, lui che è romano di nascita, ma ha studiato a Firenze. Probabilmente per questa affinità al limite fra la Valdichiana del Granducato fiorentino e la Valdichiana romana. Draghi nella nostra cittadina, che è un po’ a cavallo fra le due regioni, ha trovato il suo ambiente ideale per riposarsi. Nella nostra zona, fino alla collina opposta del Monte Cetona, ci sono stati diversi personaggi famosi. Ad esempio, negli anni ’90 c’era Valentino, lo stilista”. Ripercorrendo brevemente la biografia del professor Draghi, mons. Panzanelli fa notare che l’ex presidente della Bce ha un po’ bruciato le tappe della sua carriera universitaria, diventando ordinario di Economia e di Politica monetaria presso l’Alfieri di Firenze all’età di 34 anni, oltre ad essere un raffinato uomo di cultura. Le opere del Perugino e di altri artisti del Rinascimento, che fanno di Città della Pieve un prezioso scrigno d’arte e di storia, avranno richiamato non poco l’attenzione di Draghi e inciso nella sua scelta, oltre al paesaggio umbro-toscano con le dolci e verdi colline, vera oasi di pace e tranquillità non molto distante da Roma.

Un augurio a Draghi

Don Augusto Panzanelli rivolge un augurio al professor Draghi: “che possa rispondere alle aspettative del Papa nell’averlo nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Questo Papa ci sorprende continuamente – commenta il sacerdote –, perché fa delle scelte particolari, ha rotto certi equilibri, è uscito da certi confini e spesso sceglie anche nella collaborazione personaggi che ci potrebbero sembrare un po’ al limite del mondo della fede, ma che di solito fanno sempre colpo”. “La santità - aggiunge Panzanelli - è anche fuori dalle sagrestie, una santità che dobbiamo scoprire. E forse Draghi è uno che non passa troppo tempo in sagrestia, però è molto sensibile a quelli che sono i problemi umani. Questo l’abbiamo potuto constatare quando è stato presidente della Bce, anche nei confronti della nostra nazione, nei confronti degli ultimi”. Non a caso è stata accreditata a Draghi l’espressione “bazooka”, per ogni suo provvedimento a sostegno delle economie dei singoli Paesi Ue, in particolare di quelle in difficoltà.]]>
“Il pane e la Grazia”. Bassetti annuncia la sua nuova rubrica su La Voce https://www.lavoce.it/il-pane-e-la-grazia-bassetti-annuncia-la-sua-nuova-rubrica-su-la-voce/ Fri, 05 Jun 2020 10:14:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57277

“La gioia per il ritorno alle celebrazioni con il popolo si percepisce con chiarezza nelle parole del cardinale Gualtiero Bassetti. E, soprattutto, si legge nei suoi occhi brillanti e nell’emozione della sua voce”. Così Daniele Morini, direttore del settimanale cattolico La Voce e di Umbria Radio InBlu, descrive il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei nell’introdurre la sua intervista a Bassetti, pubblicata nel numero in edicola questo fine settimana dal titolo: Il pane e la grazia. https://www.youtube.com/watch?v=Lpq6M18qnzQ

La rubrica Il pane e la Grazia

Il cardinale Bassetti ha ben accolto l’invito a curare una rubrica dai prossimi numeri del settimanale, scegliendo come titolo proprio Il pane e la Grazia. «Riprenderò alcuni temi che ho già trattato e che mi stanno particolarmente a cuore – ha annunciato Bassetti –, a partire dalla situazione di fragilità delle persone e del territorio. Come dissi durante la Settimana sociale (Cagliari, ottobre 2017, ndr): abbiamo la necessità di ricucire. Certo, in due anni si sono verificati tali cambiamenti, anche dopo questa epidemia, che nella rubrica vorrei soprattutto sottolineare cosa significhi ricucire oggi. Poi, naturalmente, affrontare anche tutti i problemi che emergono dal rapporto della Chiesa col mondo, i giovani, la famiglia».

Chi non ha lavoro è in congelamento

Uno dei temi trattati nell’intervista è stato quello del lavoro in vista della ripresa post Covid-19. «Il lavoro non può rimanere uno slogan perché io lo paragono alla salute, che non è un accessorio – ha sottolineato il presidente della Cei –. La salute è la persona stessa e così il lavoro. Io qui mi accaloro perché lo dico col cuore. Se un giovane viene e dice: “ho 30 anni, non lavoro, sono disoccupato, non ho prospettive, non mi posso fare una famiglia”, vuol dire che abbiamo messo una persona in congelamento. È una responsabilità grande perché questa persona, che oggi ha 30-35 anni, è quella che dovrà sostenerti quando sarai anziano. Ma se la gente non lavora, domani chi pagherà le pensioni? Non pensiamo abbastanza al caos che questa situazione genera».

Concentrare l’attenzione sul lavoro

«Politici, sindacati, istituzioni varie e anche la Chiesa, per ciò che le compete – ha auspicato il cardinale –, devono concentrare tutta la loro attenzione sul lavoro. La Pira diceva che sono due le cose indispensabili: il pane e la Grazia. Il pane è la casa, il lavoro, la salute, la scuola. E la Grazia è la dimensione soprannaturale dell’uomo, specie nella preghiera».

Comunione e sinodalità nella Chiesa

Alla domanda sul recente documento pastorale dei Vescovi umbri dopo l’Assemblea ecclesiale di Foligno dell’ottobre scorso, il cardinale Bassetti ha risposto definendolo «un bel segno di speranza per camminare insieme. La sinodalità – ha ricordato – non vuol dire solo essere sulla stessa strada, ma essere anche in sintonia con la mente e col cuore. Dobbiamo abbattere il clericalismo che, purtroppo, c’è ancora nella nostra Chiesa. Come se fosse una realtà dove tutti ci si debba spartire dei ministeri o una parte della ‘torta’. No, no, non è così: siamo tutti chiamati a servire e quindi il criterio della Chiesa non è il clericalismo ma quello della comunione e della sinodalità». A questo importante documento post Assemblea ecclesiale, La Voce ha dedicato il servizio di apertura-approfondimento del numero in edicola questa settimana. Riccardo Liguori L'intervista può essere ascoltata anche nel podcast di Umbria Radio.    ]]>

“La gioia per il ritorno alle celebrazioni con il popolo si percepisce con chiarezza nelle parole del cardinale Gualtiero Bassetti. E, soprattutto, si legge nei suoi occhi brillanti e nell’emozione della sua voce”. Così Daniele Morini, direttore del settimanale cattolico La Voce e di Umbria Radio InBlu, descrive il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei nell’introdurre la sua intervista a Bassetti, pubblicata nel numero in edicola questo fine settimana dal titolo: Il pane e la grazia. https://www.youtube.com/watch?v=Lpq6M18qnzQ

La rubrica Il pane e la Grazia

Il cardinale Bassetti ha ben accolto l’invito a curare una rubrica dai prossimi numeri del settimanale, scegliendo come titolo proprio Il pane e la Grazia. «Riprenderò alcuni temi che ho già trattato e che mi stanno particolarmente a cuore – ha annunciato Bassetti –, a partire dalla situazione di fragilità delle persone e del territorio. Come dissi durante la Settimana sociale (Cagliari, ottobre 2017, ndr): abbiamo la necessità di ricucire. Certo, in due anni si sono verificati tali cambiamenti, anche dopo questa epidemia, che nella rubrica vorrei soprattutto sottolineare cosa significhi ricucire oggi. Poi, naturalmente, affrontare anche tutti i problemi che emergono dal rapporto della Chiesa col mondo, i giovani, la famiglia».

Chi non ha lavoro è in congelamento

Uno dei temi trattati nell’intervista è stato quello del lavoro in vista della ripresa post Covid-19. «Il lavoro non può rimanere uno slogan perché io lo paragono alla salute, che non è un accessorio – ha sottolineato il presidente della Cei –. La salute è la persona stessa e così il lavoro. Io qui mi accaloro perché lo dico col cuore. Se un giovane viene e dice: “ho 30 anni, non lavoro, sono disoccupato, non ho prospettive, non mi posso fare una famiglia”, vuol dire che abbiamo messo una persona in congelamento. È una responsabilità grande perché questa persona, che oggi ha 30-35 anni, è quella che dovrà sostenerti quando sarai anziano. Ma se la gente non lavora, domani chi pagherà le pensioni? Non pensiamo abbastanza al caos che questa situazione genera».

Concentrare l’attenzione sul lavoro

«Politici, sindacati, istituzioni varie e anche la Chiesa, per ciò che le compete – ha auspicato il cardinale –, devono concentrare tutta la loro attenzione sul lavoro. La Pira diceva che sono due le cose indispensabili: il pane e la Grazia. Il pane è la casa, il lavoro, la salute, la scuola. E la Grazia è la dimensione soprannaturale dell’uomo, specie nella preghiera».

Comunione e sinodalità nella Chiesa

Alla domanda sul recente documento pastorale dei Vescovi umbri dopo l’Assemblea ecclesiale di Foligno dell’ottobre scorso, il cardinale Bassetti ha risposto definendolo «un bel segno di speranza per camminare insieme. La sinodalità – ha ricordato – non vuol dire solo essere sulla stessa strada, ma essere anche in sintonia con la mente e col cuore. Dobbiamo abbattere il clericalismo che, purtroppo, c’è ancora nella nostra Chiesa. Come se fosse una realtà dove tutti ci si debba spartire dei ministeri o una parte della ‘torta’. No, no, non è così: siamo tutti chiamati a servire e quindi il criterio della Chiesa non è il clericalismo ma quello della comunione e della sinodalità». A questo importante documento post Assemblea ecclesiale, La Voce ha dedicato il servizio di apertura-approfondimento del numero in edicola questa settimana. Riccardo Liguori L'intervista può essere ascoltata anche nel podcast di Umbria Radio.    ]]>
A Collevalenza festa per madre Speranza. Messa con il Cardinale Bassetti https://www.lavoce.it/a-collevalenza-festa-per-madre-speranza-messa-con-il-cardinale-bassetti/ Fri, 29 May 2020 16:20:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57247

Domenica 31 maggio, Solennità di Pentecoste, alle ore 18, nella basilica del Santuario dell’Amore Misericordioso in Collevalenza di Todi, si terrà una solenne concelebrazione eucaristica per il 6° anniversario della beatificazione di Madre Speranza di Gesù. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, e si svolgerà nel rispetto delle misure di sicurezza a seguito dell’emergenza sanitaria.

Il racconto di una amicizia spirituale

Ci parla di Madre Speranza, una delle figure di santità del nostro tempo più note e venerate in Umbria e nel mondo, mons. Mario Ceccobelli, vescovo emerito di Gubbio, ospite della comunità dei Figli dell'Amore Misericordiioso a Collevalenza dove ha scelto di vivere al termine del suo ministero episcopale eugubino. Ceccobelli,  originario di Marsciano e per lunghi anni vicario generale dell’Archidiocesi di Perugia, ha conosciuto personalmente Madre Speranza ed ha stretto nel tempo intensi legami di amicizia e di spiritualità con le due congregazioni fondate dalla Madre: i Figli dell’Amore Misericordioso e le Ancelle dell’Amore Misericordioso. Mons. Ceccobelli traccia un breve ricordo della beata Speranza di Gesù, definendola «una delle grandi donne del ‘900», si sofferma su cosa questa Santa avrebbe detto oggi, al tempo del “Coronavirus, a tutti i suoi “figli”. «Madre Speranza, che era una donna molto pratica – sottolinea mons. Ceccobelli –, potremmo dire una mamma di famiglia, che si preoccupava di tutto dei suoi figli, oggi credo avrebbe detto: “Figli miei, fatevi santi”.  Vuole dire: “non vi lasciate catturare dalle realtà del mondo, dai pericoli del mondo, dalle paure del mondo ”. [gallery ids="17949,17934,25127,25132,25128,18498,44087,42070,54671,49883"] Anche questo virus, che ha creato una depressione generale, un allarme, per Madre Speranza sarebbe stato colto come una esperienza di vita, seppur sofferta e difficile, per dirci: “figli miei ricordatevi che siete fatti per il Cielo, non per la terra”». «La Madre – continua il vescovo – aveva con Gesù un rapporto molto immediato, molto familiare, lei ci parlava come io parlo con te! Lo chiamava “Figlio mio”, è curioso ; il diario della Madre è bellissimo... La Madre era quella donna saggia che sapeva guardare la realtà umana e la sapeva leggere scrutandola dall’alto, con gli occhi della fede più che con le preoccupazioni del mondo». Ceccobelli racconta dei suoi primi viaggi a Collevalenza. «Io ho conosciuto Madre Speranza negli anni ’60, perché uno dei primi preti della Diocesi di Perugia, se non il primo a frequentare Collevalenza, fu proprio il mio parroco. Io sono nato a Marsciano, vivevo lì, e il parroco era don Arsenio Ambrogi e, per vie misteriose, la Madre l’ha portato con sé. Adesso sarebbe lungo raccontare tutta la storia, ma io da allora - avevo 14 anni -, quando lui lasciò la parrocchia, ho iniziato a conoscere il Santuario vedendolo crescere ed oggi mi sento di famiglia. Ho sempre pensato che questa sarebbe stata la mia ultima destinazione e devo dire che i religiosi mi hanno accolto con piena disponibilità e vivo con loro la vita della comunità».

La giornata al Santuario

Mons. Ceccobelli conclude raccontando come trascorre la giornata al Santuario. «La mattina, alle 7, abbiamo le lodi e poi la meditazione. Alle 8 la colazione e alle 9 io e gli altri sacerdoti addetti alle confessioni ci mettiamo a disposizione dei pellegrini. Poi abbiamo l’ora media e all’una il pranzo. Nel pomeriggio, alle 15,30, ci rendiamo ancora disponibili per le confessioni e alle 18 abbiamo il vespro, il rosario, l’adorazione e alle 19,30 la cena». Ma prova anche un po’ di nostalgia per la Chiesa che lo ha generato nella fede, quella Perugia-Città della Pieve, e per la Chiesa che lo ha avuto suo Pastore, quella di Gubbio. «Io porto con me – commenta il vescovo – la Chiesa madre che mi ha generato come figlio di Dio, e la Chiesa mia sposa, che mi è stata consegnata e che io ho custodito come ho saputo fare e che adesso è custodita, servita e amata dal vescovo Luciano, che sta facendo un buon lavoro pastorale e io sono veramente contento di avere un successore bravo, sicuramente più bravo di me». R.L. - AM.An Leggi anche la testimonianza del vescovo Domenico Cancian, Fam “La presto-beata Madre Speranza nei ricordi di mons. Cancian”]]>

Domenica 31 maggio, Solennità di Pentecoste, alle ore 18, nella basilica del Santuario dell’Amore Misericordioso in Collevalenza di Todi, si terrà una solenne concelebrazione eucaristica per il 6° anniversario della beatificazione di Madre Speranza di Gesù. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, e si svolgerà nel rispetto delle misure di sicurezza a seguito dell’emergenza sanitaria.

Il racconto di una amicizia spirituale

Ci parla di Madre Speranza, una delle figure di santità del nostro tempo più note e venerate in Umbria e nel mondo, mons. Mario Ceccobelli, vescovo emerito di Gubbio, ospite della comunità dei Figli dell'Amore Misericordiioso a Collevalenza dove ha scelto di vivere al termine del suo ministero episcopale eugubino. Ceccobelli,  originario di Marsciano e per lunghi anni vicario generale dell’Archidiocesi di Perugia, ha conosciuto personalmente Madre Speranza ed ha stretto nel tempo intensi legami di amicizia e di spiritualità con le due congregazioni fondate dalla Madre: i Figli dell’Amore Misericordioso e le Ancelle dell’Amore Misericordioso. Mons. Ceccobelli traccia un breve ricordo della beata Speranza di Gesù, definendola «una delle grandi donne del ‘900», si sofferma su cosa questa Santa avrebbe detto oggi, al tempo del “Coronavirus, a tutti i suoi “figli”. «Madre Speranza, che era una donna molto pratica – sottolinea mons. Ceccobelli –, potremmo dire una mamma di famiglia, che si preoccupava di tutto dei suoi figli, oggi credo avrebbe detto: “Figli miei, fatevi santi”.  Vuole dire: “non vi lasciate catturare dalle realtà del mondo, dai pericoli del mondo, dalle paure del mondo ”. [gallery ids="17949,17934,25127,25132,25128,18498,44087,42070,54671,49883"] Anche questo virus, che ha creato una depressione generale, un allarme, per Madre Speranza sarebbe stato colto come una esperienza di vita, seppur sofferta e difficile, per dirci: “figli miei ricordatevi che siete fatti per il Cielo, non per la terra”». «La Madre – continua il vescovo – aveva con Gesù un rapporto molto immediato, molto familiare, lei ci parlava come io parlo con te! Lo chiamava “Figlio mio”, è curioso ; il diario della Madre è bellissimo... La Madre era quella donna saggia che sapeva guardare la realtà umana e la sapeva leggere scrutandola dall’alto, con gli occhi della fede più che con le preoccupazioni del mondo». Ceccobelli racconta dei suoi primi viaggi a Collevalenza. «Io ho conosciuto Madre Speranza negli anni ’60, perché uno dei primi preti della Diocesi di Perugia, se non il primo a frequentare Collevalenza, fu proprio il mio parroco. Io sono nato a Marsciano, vivevo lì, e il parroco era don Arsenio Ambrogi e, per vie misteriose, la Madre l’ha portato con sé. Adesso sarebbe lungo raccontare tutta la storia, ma io da allora - avevo 14 anni -, quando lui lasciò la parrocchia, ho iniziato a conoscere il Santuario vedendolo crescere ed oggi mi sento di famiglia. Ho sempre pensato che questa sarebbe stata la mia ultima destinazione e devo dire che i religiosi mi hanno accolto con piena disponibilità e vivo con loro la vita della comunità».

La giornata al Santuario

Mons. Ceccobelli conclude raccontando come trascorre la giornata al Santuario. «La mattina, alle 7, abbiamo le lodi e poi la meditazione. Alle 8 la colazione e alle 9 io e gli altri sacerdoti addetti alle confessioni ci mettiamo a disposizione dei pellegrini. Poi abbiamo l’ora media e all’una il pranzo. Nel pomeriggio, alle 15,30, ci rendiamo ancora disponibili per le confessioni e alle 18 abbiamo il vespro, il rosario, l’adorazione e alle 19,30 la cena». Ma prova anche un po’ di nostalgia per la Chiesa che lo ha generato nella fede, quella Perugia-Città della Pieve, e per la Chiesa che lo ha avuto suo Pastore, quella di Gubbio. «Io porto con me – commenta il vescovo – la Chiesa madre che mi ha generato come figlio di Dio, e la Chiesa mia sposa, che mi è stata consegnata e che io ho custodito come ho saputo fare e che adesso è custodita, servita e amata dal vescovo Luciano, che sta facendo un buon lavoro pastorale e io sono veramente contento di avere un successore bravo, sicuramente più bravo di me». R.L. - AM.An Leggi anche la testimonianza del vescovo Domenico Cancian, Fam “La presto-beata Madre Speranza nei ricordi di mons. Cancian”]]>