PAROLA DI PARROCO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/rubriche/parola-di-parroco/ Settimanale di informazione regionale Fri, 13 Jan 2017 17:27:22 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg PAROLA DI PARROCO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/rubriche/parola-di-parroco/ 32 32 Servi premurosi del popolo di Dio https://www.lavoce.it/servi-premurosi-del-popolo-di-dio/ Wed, 21 Dec 2016 09:00:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48115 Mons.-Sigismondi-all'assemblea-diocesana-settembre-2014Se il Canone Romano presenta i ministri ordinati come “peccatori fiduciosi nella infinita misericordia di Dio”, il prefazio della Messa crismale li chiama “servi premurosi del popolo di Dio”. Questo è il profilo che la lex orandi traccia dei ministri ordinati, che hanno la missione di piegare le ginocchia oltre che calzare i sandali, di dilatare il cuore oltre che sottoporre le spalle al peso dell’ufficio pastorale, di porgere l’orecchio oltre che prendere la parola, di tendere le mani oltre che aprire gli occhi, di usare l’aspersorio oltre che il turibolo, di suonare il campanello delle case oltre che le campane. Come c’è una “teologia genuflessa”, così non può mancare una “pastorale genuflessa”. Invano si calzano i sandali se non si piegano le ginocchia, se non si sente il bisogno, ogni giorno, di “soffermarci in preghiera per chiedere al Signore che torni ad affascinarci”. Gesù, alla vista delle folle numerose, non prova agitazione ma sente compassione, spezza i pani per circa cinquemila uomini (cf. Mt 14,13-23), conservando la libertà di salire sul monte, in disparte, per raccogliersi in preghiera, “sorgente inesauribile della consegna di sé al Padre”. L’apostolato del cuore risponde a questa regola: “ciò che non si ama stanca”. Chi si affida al Signore conosce la fatica ma non la stanchezza, che è il salario di chi confida in se stesso. La stanchezza, oltre ad essere causa di affanno pastorale, è sintomo del mancato coinvolgimento del cuore nel portare, “come sigillo impresso sull’anima”, il giogo del gregge caricato sulle spalle. Spendersi senza donarsi, consumarsi senza consegnarsi, è una patologia di cui soffre chiunque ignori che non si può avere la stoffa del buon Pastore senza la lana dell’Agnello immolato. La pastorale dell’orecchio sollecita a “conservare un contatto continuo con le Scritture” e a prestare ascolto ai fratelli senza impazienza e senza fretta.

Papa Francesco afferma che un vero pastore, “avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro”. Frammenta il tempo, trasformandolo in spazio, chi rinuncia a passare dall’irrigazione “a pioggia” delle iniziative pastorali prive di iniziativa a quella “a goccia” della direzione spirituale che avvia processi. L’apostolato delle mani tese sente col cuore quello che vede con gli occhi, esprime nell’abbraccio dello sguardo il battito del cuore, non esitando a fermarsi e chinarsi ovunque ci sia qualcuno che chiede aiuto per rimettersi in piedi. La parabola del buon Samaritano insegna che nulla accade “a caso”, nemmeno negli incontri che avvengono “per caso” (cf. Lc 10,25-37). In ogni strada, per un misterioso accordo di circostanze e di eventi, c’è sempre una corsia che conduce a Dio, che offre alla Provvidenza l’occasione di misericordiosi interventi. La pastorale dell’aspersorio va incontro al popolo di Dio con l’acqua del Battesimo, “fonte dell’umanità nuova”. Chi sa usare l’aspersorio talora è allergico all’incenso, e tuttavia chi maneggia bene il turibolo non sempre prende in mano volentieri il secchiello e le ampolle con gli oli santi. Infonde l’incenso nel turibolo “in spirito e verità” chi non esita a ungere gli infermi, versando sulle loro ferite l’olio della consolazione, e a benedire l’acqua lustrale, mescolando in essa un po’ di sale che, nello sciogliersi, ricorda alla Chiesa la sua funzione risanatrice, quella di mostrare la capacità del Vangelo di umanizzare l’esistenza.

L’apostolato del campanello non rinuncia al suono delle campane, ma lo amplifica avvicinandosi alla porta di casa delle famiglie, senza “passare oltre” davanti a chi ha irrimediabilmente spento il fuoco dell’amore coniugale e senza trascurare quanti attendono di rattizzarlo, di ravvivarlo o, addirittura, di farlo divampare. Se non si riparte dalla famiglia, con una pastorale che “non predica ai bambini e benedice gli adulti ma benedice i bambini e predica agli adulti”, l’impegno per l’evangelizzazione sarà sempre una rincorsa affannosa.

“Instancabili nel dono di sé, vigilanti nella preghiera, lieti e accoglienti nel servizio della comunità”: questo è il “protocollo” stabilito dalla lex orandi per i ministri ordinati, chiamati ad essere “servi premurosi del popolo di Dio”.

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Alle nozze di mio “figlio” Umberto https://www.lavoce.it/alle-nozze-di-mio-figlio-umberto/ Thu, 08 Dec 2016 00:07:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48063 Eh sì! devo proprio confessarlo: ho un “bambino”… anzi! ho anche “alcune mogli” che mi aiutano con lui… Quando dalla redazione de La Voce mi è arrivata la richiesta di un articolo sulla Chiesa/parrocchLuca-don-Lepriia “volto di misericordia” non sapevo bene di cosa parlare. Ora che, a mente fredda, ripercorro le tante vicende di questi diciotto anni di ministero, penso sia utile parlarvi di Umberto. Sì, Umberto. È così che si chiama. Ero un “pretino” di 25 anni che, con la sua borsa piena di ricordini pasquali e acqua santa, faceva la sua visita alle famiglie tra le vie della cara Padule di Gubbio.

Sopra l’ufficio postale, in uno dei pochi condomini del paese, suono a un portone. Mi apre un uomo con la barba incolta e la sigaretta in bocca. Cerco di entrare, ma non riesco. C’era una cortina di fumo così densa e spessa che non si vedeva a più di cinquanta centimetri. Prendo aria sul pianerottolo delle scale e… via! Arrivo al balcone, il solo luogo con un po’ d’aria respirabile.

Umberto, malato mentale, viveva da tre anni in quell’appartamento senza mai aver aperto una finestra. Lì dentro, per tutti quegli anni, aveva fumato 3-4 pacchetti di sigarette al giorno.

Da quando il padre era morto – e la badante, ovviamente, era andata via – lui viveva da solo. Aveva capito che bisognava pagare le bollette “più importanti”: acqua, luce e gas, alla posta sottostante; e che per mangiare bisognava comprare “il formaggio”.

Guardandomi intorno, fu facile capire che la situazione era grave… Il giorno dopo ero lì con alcune donne della Caritas e alcuni bravi animatori del dopocresima. E con scopa e strofinacci (sinceramente, alcuni di noi con cazzuola e secchiello) abbiamo ripulito casa. Almeno per quello che si poteva. Ho contattato le due sorelle, che vivevano in Nord Italia e, insieme, si è deciso di vendere casa e di cercare per Umberto una struttura protetta in zona. E dato che noi della parrocchia eravamo “in zona”, a noi è toccato gestire il tutto.

Alcune brave signore mi hanno aiutato, altre ancora mi aiutano: riscuotono la sua pensione, pagano la retta, gli portano la “paghetta” settimanale… ah già! Non ho ancora detto dove è andato a vivere: alla casa di riposo “Mosca” in piazza Bosone a Gubbio. La storia non finisce qui. In quella struttura protetta è avvenuto quello che non ci si poteva aspettare, o forse neanche immaginare: il nostro Umberto si è innamorato. Sì, veramente innamorato! Anzi – per dirla tutta – si sono reciprocamente innamorati.

Lui, Umberto, del 1947, e lei, Anna, del 1944. La cara suor Patrizia li ha preparati al matrimonio e io, nel salone solenne addobbato a festa, ho benedetto le nozze. Che festa! Tutti – ma proprio tutti – hanno fatto qualcosa: il fotografo è venuto gratis, i vari fornitori della struttura hanno donato gratuitamente le leccornie per la festa, fratelli e sorelle, con rispettivi nipoti, sono accorsi; eravamo un centinaio a far festa con loro! La Direzione della casa di riposo, poi, ha allestito una camera tutta per loro con letto matrimoniale e bagno… e, per concludere, gli inservienti della struttura hanno preso le ferie a turno e li hanno accompagnati (e accuditi) durante il viaggio di nozze a Cattolica. Era il 10 giugno 2006. Oggi Umberto e Anna, con qualche anno e acciacco in più, sono ancora la coppia più bella della casa di riposo Mosca. Un grazie di vero cuore a Bruna Biancarelli dell’Unitalsi di Gubbio, a Silvana Dragoni e Marina Mosca della caritas di Padule.

Don Marco Lepri

parroco di Cristo Risorto Umbertide

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Il Ponte d’incontro a Ponte Felcino https://www.lavoce.it/il-ponte-dincontro-a-ponte-felcino/ Thu, 01 Dec 2016 09:00:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47973 don-Alberto-Veschini-CMYKL’Anno santo della Misericordia ha segnato anche la mia vita di parroco, in una realtà complessa e variegata come Ponte Felcino. Sono qui da poco più di venti anni e posso affermare di essere testimone di un cambiamento “epocale” all’interno di un territorio che si trova a fronteggiare sfide inedite e impensabili fino a trent’anni fa.

Salta all’occhio, prima di tutto, la presenza di un mondo multietnico e internazionale, che si accompagna a un invecchiamento progressivo della popolazione residente. Questo porta come conseguenza l’assottigliamento delle fila dei presenti e la chiusura psicologica di molti, preoccupati da una “invasione” non cercata, che diventa sempre più marcata.

La presenza poi dell’Ostello della gioventù, trasformato in hot spot per l’accoglienza dei naufraghi, fa sì che la situazione non sia semplice. Ci sono persone che percepiscono tutta la problematicità della situazione. Ci si domanda se è questo il modo giusto per accogliere le persone… Per fortuna, però, ci sono anche tanti che offrono la loro disponibilità per portare una presenza, un sorriso e tanta solidarietà. È nata l’associazione chiamata “Ponte d’incontro 3.0” che si ispira a valori di solidarietà e accoglienza e promuove la propria azione per creare “ponti” d’integrazione tra esperienze, culture e popoli diversi tra loro e per abbattere i muri che ostacolano la comunicazione e la reciproca conoscenza. Associazione che vede molti parrocchiani come principali animatori.

Tornando all’Anno santo, abbiamo cercato di sfruttare la presenza del santuario giubilare di Montescosso. Il giorno dell’apertura, 21 dicembre 2015, la gente era tanta che non entrava in chiesa, e tutti i preti della Zona erano disponibili per le confessioni. Molte parrocchie, poi, hanno approfittato del santuario per vivere momenti di catechesi, di confessione per ragazzi, giovani e adulti. Noi di Ponte Felcino siamo andati in pellegrinaggio, una domenica pomeriggio, sotto una pioggia battente… quasi a ricordarci che la grazia lava l’anima e disseta in cuore!

Un’iniziativa che mi piace sottolineare è quella del Pellegrinaggio giubilare di Zona in cattedrale. Un’iniziativa che sembrava non appetibile, invece la partecipazione è stata notevole, e tutti hanno potuto sperimentare la bellezza di celebrare la misericordia di Dio nella cattedrale con una concelebrazione corale dei preti di tutta la Zona.

La quinquennale Festa del Crocifisso – che abbiamo vissuto nel mese di settembre – ha visto una “gara” ideale tra le due parti del paese nei momenti di preghiera, di catechesi, di socializzazione, all’insegna della fede nel Crocifisso. La sua immagine cinquecentesca viene poi portata in processione nelle strade del paese, con una presenza significativa di persone, attirate anche dai “quadri viventi” realizzati sulle opere di misericordia e i Santi della misericordia. Ci sono state scene molto toccanti che hanno fatto riflettere e pregare!

Una delle realtà più belle di cui parlare è l’unione pastorale con la parrocchia di Villa Pitignano. Si tratta di una comunità molto diversa da Ponte Felcino. Geograficamente siamo molto vicini: le due chiese distano meno di due chilometri. La distanza culturale, invece, è molto più evidente. Villa Pitignano ha la caratteristica di un paese coeso e unito. Le iniziative religiose sono molto sentite e partecipate. Ci sono poi due confraternite (una maschile e una femminile) che vedono la presenza di molte persone, anche giovani, che vivono il loro servizio con entusiasmo e passione.

Per grazia di Dio, posso dire che il rapporto delle due comunità sta crescendo. Quest’anno siamo anche riusciti a unificare le celebrazioni per il Triduo pasquale. A livello più “civile” poi, ci sono elementi che unificano, come la scuola media e la società sportiva.

Abbiamo anche un foglio settimanale che dal 2006 si chiama Camminare insieme, dove pubblichiamo orari delle iniziative e riflessioni, con una newsletter a esso collegata.

Come punto finale vorrei parlare dell’oratorio inter-parrocchiale che stiamo ultimando proprio in questo periodo. Si trova a metà strada tra le due parrocchie ed è costituito da un corpo centrale che tutti a Ponte Felcino conoscono come “il teatrino delle suore”. Era stato chiuso negli anni ’70 per motivi di sicurezza: ora si è provveduto al restauro e all’ampliamento. Quest’opera sarà molto importante per tutto il territorio. Abbiamo infatti un urgente bisogno di spazi adeguati, soprattutto per i giovani.

 

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Il terremoto ha aperto le porte alla misericordia https://www.lavoce.it/il-terremoto-ha-aperto-le-porte-alla-misericordia/ Tue, 15 Nov 2016 14:00:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47900 Don-Marco-Rufini-cmykCome si fa a parlare di misericordia in una parrocchia in cui il terremoto non ha lasciato in piedi niente? Tutto ciò che si poteva raccontare prima del 24 agosto, semplicemente non esiste più. In condizioni normali saremmo qui a narrare eventi, iniziative, esperienze: i vari incontri con l’arcivescovo, mons. Renato Boccardo, che sono stati momenti di preghiera, catechesi e di visita a luoghi significativi dove la misericordia viene vissuta come cura alle persone; un anno pastorale dove la misericordia è stata il filo conduttore di tutte le attività, fino alla partecipazione al grande pellegrinaggio regionale a Roma del 22 ottobre. E come non pensare al giubileo parrocchiale di Castelluccio del 14 agosto? Il giorno dopo, solennità dell’Assunta, per l’ultima volta le campane di quella chiesa parrocchiale avrebbero suonato a festa! Invece il terremoto concentra su di sé tutta l’attenzione.

Nel quotidiano incontrarsi e parlare alla fine l’argomento è sempre lo stesso; forse perché il terremoto che “passa” lascia segni orribili con i quali ogni giorno gli occhi si devono misurare. Certo, non ci sono state vittime, e questo non possiamo che chiamarlo miracolo; ma essere vivi richiede anche doversi continuamente confrontare con una domanda: quale futuro? Che senso può avere la misericordia in un territorio devastato dal sisma? Parlarne in un contesto così drammatico può quasi sembrare di fare accademia. E invece non è così. C’è anzitutto una misericordia ricevuta, fatta di segni concreti. Tanti sono gli aiuti materiali arrivati, di ogni genere, al punto di non sapere dove metterli. Tante sono state anche le presenze, a partire dalla visita di Papa Francesco: sono segni importanti, perché aiutano ad allontanare lo spettro del “restare soli”.

Particolarmente significative anche le visite dal card. Angelo Bagnasco, del card. Luis Antonio Tagle e di mons. Riccardo Fontana. Una dinamica di misericordia realmente commovente, che aiuta a non sprofondare insieme alle colonne di cemento armato. Ora, però, è tempo di guardare avanti; essere vivi, quale responsabilità ci affida in ordine al futuro? E la misericordia può avere un posto in tutto questo? In un clima di smarrimento, quello di bussola. Sì, perché il primo impegno resta quello di mantenere viva e unità una comunità, di ritrovare l’orizzonte della speranza e la voglia di andare avanti. Ed è proprio la misericordia il cemento che rende salda la comunione e la fonte di energia perennemente rinnovabile. Ripartire dalla misericordia in una quotidianità ferita e violentata significa avere l’opportunità di inquadrare una direzione in un contesto dove a volte la confusione sembra regnare incontrastata. Si tratta di una via dove ognuno può camminare e nella quale ognuno si può riconoscere. Non basta interpretare la parte di “quelli che hanno bisogno”, aspettandosi (e a volte pretendendo) tutto degli altri. In questi giorni, per fortuna, è stato possibile vedere tanti esempi di persone che, malgrado duramente provate, si sono messe a disposizione con impegno e generosità: è questa la strada! In ogni situazione dove si è capaci di prendersi cura gli uni degli altri e di camminare insieme, possiamo affermare che è iniziata la ricostruzione.

Il primo obiettivo che realisticamente si può provare a raggiungere (per il quale non sono necessari decreti governativi, perché basterebbe il Vangelo) è quello di edificare una comunità meno individualista e più solidale. Proprio per questo si è scelto di allestire un campo Caritas a Norcia, che prima ancora di essere una forma di assistenza, vuole proporsi come un segno di vicinanza della Chiesa alla gente e di testimonianza che mobiliti le coscienze di tutti. In questi giorni, il tendone parrocchiale dove celebriamo l’Eucaristia (e dove dopo le scosse del 24 agosto è stata aperta una Porta Santa straordinaria), essendo l’unico spazio a disposizione, funziona anche da centro di smistamento per beni di prima necessità. Più o meno ordinatamente, gli scatoloni fanno un po’ da cornice! Qualche giorno fa un giovane entrando ha esclamato: “Questa è proprio l’immagine della Chiesa di Francesco (il Santo Padre n.d.r.)!”. Ci ho pensato un po’, e a me è venuta in mente un’altra cosa: questa è la Chiesa! Punto. Al limite, la Chiesa di Gesù Cristo. Se poi la Chiesa di Francesco gli corrisponde, sarebbe anche normale, visto che è il Papa!

 

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Anche le porte del carcere sono “sante” https://www.lavoce.it/anche-le-porte-del-carcere-sono-sante/ Tue, 08 Nov 2016 13:55:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47859 don-sauloCMYKUn carcerato. Uno dei tanti – intorno ai 50.000 in Italia (di cui poco più di 2.000 le donne). Ma un po’ particolare, perché è stato condannato al cosiddetto “ergastolo ostativo”, cioè senza alcun beneficio o sconto di pena: quello dove, nel fascicolo, è scritto “fine pena: mai”. Si chiama Carmelo Musumeci. Non è credente in Dio – almeno così dice – ma crede nella possibilità di cambiare la propria vita. Nei lunghissimi anni di carcere che ha già scontato, ha ritrovato un senso alla vita: ha studiato, si è laureato due volte, ha ascoltato il “cuore” – suo e di tutti i carcerati -, ha raccontato il dolore e la speranza in racconti struggenti e drammatici. Il carcere, che lui chiama “l’assassino dei sogni”, non è riuscito a uccidere il suo “sogno” di vita nuova, risorta.

In occasione del Giubileo dei carcerati ha scritto una specie di preghiera: “Dio, siamo i cattivi, i maledetti e i colpevoli per sempre: siamo gli ergastolani, quelli che devono vivere nel nulla e marcire in una cella per tutta la vita. Dio, nelle carceri italiane ci sono uomini che sono solo ombre, che vedono scorrere il tempo senza di loro e che vivono aspettando di morire. Dio, molti ergastolani, dopo tanti anni di carcere, camminano, respirano e sembrano vivi, ma in realtà sono già morti. Dio, l’ergastolano non vive, pensa di sopravvivere e, in realtà, non fa neppure quello, perché l’ergastolo lo tiene solo in vita, ma non è vita. Dio, nessun ‘umano’ o ‘disumano’ meriterebbe di vivere una punizione senza fine, tutti dovrebbero aver diritto di sapere quando finisce la propria pena. Dio, nessun’altra specie vivente tiene un suo simile dentro una gabbia per tutta la vita; una pena che non finisce mai non ha nulla di umano e fa passare la voglia di vivere. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che gli ergastolani non hanno paura della morte perché la loro vita non è poi così diversa dalla morte. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che la pena dovrebbe essere buona e non cattiva, che dovrebbe risarcire e non vendicare.

Dio, dillo tu agli ‘umani’ che una pena che ruba il futuro per sempre, leva anche il rimorso per qualsiasi male uno abbia commesso. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che solo il perdono suscita nei cattivi il senso di colpa, mentre le punizioni crudeli e senza futuro fanno sentire innocenti anche i peggiori criminali. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che dopo tanti anni di carcere non si punisce più la persona che ha commesso il crimine, ma si punisce un’altra persona che con quel crimine non c’entra più nulla. Dio, come fa a rieducare una pena che non finisce mai? E poi, che senso avrebbe morire in cella rieducati? Dio, pensiamo che a te importi più che si possa ritornare rieducati fra gli uomini, a portare buone parole, che un rieducato morto, che neanche tu forse sapresti cosa farne… Dio, dillo tu agli ‘umani’ che l’ergastolo è una vera e propria tortura, che umilia la vita e il suo creatore. Dio, dillo tu agli ‘umani’ che la miglior difesa contro l’odio è l’amore e la miglior vendetta è il perdono. Dio, non so pregare, ma ti prego lo stesso: se proprio non puoi aiutarci, o se gli umani non ti danno retta, facci almeno morire presto”. Sono cappellano del carcere femminile di Perugia da oltre 20 anni. Come tutti noi cappellani, ho incrociato tanti sguardi, asciugato tante lacrime, accarezzato tanti volti… ho anche incontrato Carmelo, un giorno che gli hanno concesso un permesso presso la comunità Giovanni XXIII.

Ogni nostra parola, o silenzio, vuol essere un modo per dire a tutte (tutti), coraggio! La misericordia di Dio non si ferma davanti alla porta di ferro del carcere. Non si ferma nemmeno davanti al cuore, a volte sbarrato, di alcuni – anche il nostro. Del resto, il nostro Dio è abituato a bussare alla porta di tutti (Apoc 3,20); e resta lì, in attesa che qualcuno gli apra. È rimasto, per esempio, in attesa di Zaccheo, è entrato nella sua casa; e sappiamo che cosa è accaduto quel giorno, a Gerico. Giubileo della Misericordia: alcuni carcerati sono stati invitati a Roma domenica 6 novembre. Tutti però, ha scritto questo nostro stupendo Papa Francesco, possono attraversare la porta (blindo) della propria cella e farla diventare “porta santa”. L’Anno santo della Misericordia termina ufficialmente domenica 20 novembre. Ma certo non termina né si esaurisce la misericordia nel cuore del Padre. Finché i vari Carmelo possano essere chiamati da Gesù, anche loro, con un nome nuovo: Zaccheo, cioè “puro, giusto”.

 

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Vita ecclesiale con il “Cast” e l’Oami https://www.lavoce.it/vita-ecclesiale-con-il-cast-e-loami/ Tue, 25 Oct 2016 13:00:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47730 Don-Canzio-Scarabottini-CMYKNel territorio della popolosa parrocchia di San Giovanni in Baiano di Spoleto, dove svolgo il ministero di parroco da oltre sei anni, è possibile “toccare la carne di Cristo”, come spesso ci esorta a fare Papa Francesco, in due realtà concrete, due fiori all’occhiello della prossimità, della solidarietà, dell’umanità. Sono la casa famiglia Sant’Antonio – Oami, opera segno della Caritas diocesana, che accoglie attualmente 18 persone disabili tra il centro residenziale e quello diurno; e il Centro attività sulle tossicodipendenze (Cast) che accoglie un numero variabile di donne e uomini con problemi di droga e alcol. Il mio compito all’interno di queste due realtà è assistere spiritualmente gli ospiti credenti, e dialogare con quelli lontani dalla fede. Ciò che riesco a dare attraverso la mia presenza è molto meno di quello che i ragazzi danno a me: ogni volta che li incontro, sperimento la gioia di essere loro pastore. Spesso gli ospiti del Cast mi raccontano le loro sofferenze, i loro sbagli che sovente li hanno condotti in carcere, i dubbi su un futuro incerto e su una buona riuscita di questo percorso di recupero, i dubbi sull’esistenza di Dio, la paura di rimettersi in gioco. Io non faccio altro che ascoltare, incoraggiare e custodire nel cuore queste storie, che sono per me un arricchimento personale forte. È davvero bello e consolante sperimentare la fiducia che queste persone hanno nel sacerdote, a prescindere da chi egli sia: mi ricordano che le mie mani, unte con il sacro crisma il giorno dell’ordinazione, devono essere sempre pronte a trasmettere e accogliere la grazia di Dio. Con alcuni di loro si sono stabiliti dei rapporti profondi di amicizia e di fiducia. Qualcuno è addirittura coinvolto nelle attività della parrocchia, ad esempio nel progetto di accoglienza agli anziani del territorio che portiamo avanti con la Caritas italiana da un anno; altri aiutano le varie associazioni presenti (Pro loco, associazione opera-segno dell’Alta Marroggia) impegnate per il bene comune.

Stare accanto ai disabili, inoltre, è una grande scuola di vita, una vera grazia: la loro serenità, il loro sorriso e la loro pace interiore spazzano via tutte quelle preoccupazioni e difficoltà che anche noi preti incontriamo. Attorno a questa struttura della carità ruota un numero considerevole di volontari di Baiano, di tutta l’alta valle del Marroggia, di Spoleto e di altre parti. Ogni domenica li vediamo con gioia a messa: con i loro ritmi particolari, con il loro cantare “fuori dal coro”, con il dare la mano a tutti i presenti ci ricordano che la fede è un cammino, non un fiume tranquillo che prosegue autonomamente. Ci interpellano a divenire sempre più un “noi”. A Baiano queste persone disabili sono da tutti accolte e valorizzate, coinvolte e coccolate (è bello vedere la “gara” domenicale per invitarle a pranzo nelle varie famiglie). Nei locali parrocchiali, poi, ospitiamo due laboratori esterni dei disabili, quello di informatica e quello di produzione di oggetti in ceramica. Queste due realtà, Cast e Oami, per “dipendenti” e disabili, sono una costante provocazione per i cristiani di Baiano ad accogliere – come dice Papa Francesco – le diversità, a muoversi verso l’altro, a lasciarsi interrogare dalle loro storie, a misurare quanto siamo disposti a essere misericordiosi: non lasciamoci turbare, pertanto, da queste tribolazioni (cfr. 1Ts 3,3).

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La vera storia del “Cubo” di Foligno https://www.lavoce.it/la-vera-storia-del-cubo-di-foligno/ Tue, 18 Oct 2016 13:22:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47686 Don-Giovanni-Zampa-CMYKL’Unità pastorale “Giovanni Paolo II” della diocesi di Foligno negli ultimi tempi è stata spesso al centro delle cronache locali e nazionali per una delle sua chiese firmata dal rinomato architetto Massimiliano Fuksas. Tale è stata la fama di questa struttura da aver catalizzato tutta l’attenzione sul lato estetico e urbanistico. Questa deviazione mediatica ha rischiato di far dimenticare e addirittura negare un processo pastorale e un percorso ecclesiale significativo e precursore, oggi molto diffuso in Umbria e in Italia. Il “Cubo”, infatti, è l’ultimo capitolo di una collaborazione pastorale iniziata negli anni ’70, quando alcuni giovani preti della campagna ovest di Foligno iniziarono a lavorare insieme, sinodalmente diremmo oggi, condividendo carismi, competenze, capacità umane e spirituali diverse. Le quattro parrocchie di campagna, le quattro comunità ognuna con il suo Pastore, non ebbero grandi difficoltà nel 1994 a riunirsi sotto la guida di un unico parroco e alcuni collaboratori, quando un nuovo assetto pastorale fu richiesto dalle emergenti necessità: lo stile infatti era stato ormai felicemente metabolizzato. La Pasqua insieme, le solennità e le feste patronali, spesso causa di tensioni, nonché comunioni e cresime collettive non rappresentavano più un ostacolo alla condivisione e alla vita comunitaria e fraterna.

La catechesi di iniziazione cristiana, le attività con i giovani, le immancabili tradizioni devozionali e popolari sorressero questo lavoro di coesione e comunione che alcuni anni dopo prenderà il nome di comunità inter-parrocchiale Giovanni Paolo II. Il sisma del 1997 e ulteriori trasferimenti di parroci incrinarono l’equilibrio raggiunto. A partire dal 2003 emerse l’idea di creare una vivace collaborazione con le parrocchie della immediata periferia nord di Foligno. È in questi anni e in questo contesto post-sisma che il baricentro della campagna si sposta verso il centro, e la pastorale del centro storico diviene sempre più periferica, incontrandosi in quello che oggi chiamiamo San Paolo. Qui dall’Anno paolino 2009 è il fuoco della nuova ellissi pastorale di queste 5 parrocchie. La chiesa di Fuksas, quindi, se per molti è un opera d’arte contemporanea, un museo e un laboratorio di dialogo interculturale, un prototipo, più o meno discutibile, del dialogo della Chiesa con il mondo, per le comunità che lo hanno avuto in dono è la cementificazione del nuovo baricentro pastorale. Il fulcro di questo centro fu deciso dal Consiglio pastorale dell’epoca, formato dai parroci e dai rappresentanti delle 5 parrocchie: una sola e principale eucaristia domenicale e tutta la catechesi di ogni età basata sul Vangelo della domenica. Fondamentale, inoltre, per l’unità pastorale fu l’unità dei pastori che ancora oggi vivono fraternamente insieme nel Container di San Paolo.

Container? Sì, la struttura adiacente al “Cubo” di San Paolo ha la forma e la fisionomia di uno dei prefabbricati in cui abitarono, proprio in quel terreno, centinaia di persone fino al 2004, inizio dei lavori. Grazie all’opera mi molti, nessuna di quelle famiglie vive più in container; vi è rimasta solo la parrocchia, segno di una presenza, di una memoria e di una speranza. L’Unità pastorale non ha finito in questi anni di modificarsi e ripensarsi, facendo quadrato sui princìpi e gli stili che fin dagli anni ’70 l’avevano fondata: la collaborazione dei fedeli, la comunione dei parroci e la Pasqua. Ma di questo difficilmente si parla o si conosce. Infatti è emblematico che se qualcuno digita “San Paolo Foligno” o “Cubo Fuksas” su un motore di ricerca su internet, vedrà apparirsi delle bellissime foto di una chiesa vuota e deserta, o polemiche e dibattiti, ma poco o nulla della vita e della vitalità di quell’“edificio spirituale”, del popolo di Dio e della comunità che la abita, e della storia di fede che lì si è scritta. Ora si discute molto di Unità pastorale e potrebbe essere molto prezioso far tesoro, studiare e confrontarsi con coloro che, parroci e laici, 40 anni fa ne intuirono la profetica necessità e, anche con grandi e gravi errori, oggi ne raccolgono i frutti, sia amari che dolci.

 

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La Misericordia dal Perù a Padule https://www.lavoce.it/la-misericordia-dal-peru-a-padule/ https://www.lavoce.it/la-misericordia-dal-peru-a-padule/#comments Wed, 12 Oct 2016 12:26:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47668 Perù-cmykMentre cercavo di fare ordine alla mia confusione cronica, tra zaino, felpe e appunti per l’inizio del catechismo parrocchiale, mi è arrivato un messaggio di Maria Rita Valli che chiedeva la disponibilità a scrivere un articolo su La Voce. Se fosse stata un’altra persona probabilmente avrei rifiutato, ma non potevo dire di no a Rita, che ha le radici a Scheggia, la parrocchia che mi ha custodito fino al 2014 e che ha mostrato la sua misericordia verso di me. A Scheggia, Isola Fossara e Pascelupo mi sono sempre sentito accolto, libero di essere me stesso, parte di una comunità con le sue gioie e le sue sofferenze. Ricordo che un giorno, da pochi mesi arrivato, non organizzai la processione del Venerdì santo per alcuni imprevisti, pensando che, in fondo, non era poi così importante… Per fortuna la Pasqua era vicina, quindi mi perdonarono in fretta per quella ingenuità. Ecco, la misericordia, noi sacerdoti spesso la incontriamo nella comprensione della gente, spesso più paziente e saggia di noi. Comunque… meglio non tirare troppo la corda. La stessa esperienza la sto vivendo anche ora, che sono in una frazione alla periferia di Gubbio, Padule, parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice. Una realtà in evoluzione che posso descrivere a metà tra una frazione con una sua precisa identità e una periferia di città. Come sono arrivato in diocesi a Gubbio? Un viaggio che parte dalla Valtellina: Sondrio è la mia stazione di partenza, una città incastonata in mezzo alle Alpi, passando per il Perù su un treno che si chiama Operazione Mato Grosso e che toccò anche Gubbio.

Ho saltato alcune stazioni intermedie per evidenziare i luoghi dove maggiormente ho sperimentato la cura e la sollecitudine di Dio. A Sondrio ricordo la mia famiglia, gli amici e gli animatori incontrati sia nell’oratorio dei Salesiani sia con il gruppo dell’Azione cattolica del mio quartiere. Per me la Misericordia ha assunto spesso il volto del gruppo di amici con il quale giorno per giorno sono maturato, persone che mi hanno accompagnato e appassionato alla vita. Comunque ho sempre avuto una naturale ricerca del senso della vita, che mi porta tutt’ora a essere facilmente insoddisfatto di ciò che sono e vivo. Forse è anche questo vuoto che mi ha portato a incrociare la mia vita con l’Operazione Mato Grosso, un movimento giovanile che si ispira alla figura di san Giovanni Bosco e di san Francesco. Se dovessi paragonarlo a un’automobile, per me è stata la Ferrari tra i cammini e i movimenti formativi che ho incontrato. Così, come quando ti innamori e perdi la testa, anche io a 22 anni nel giro di pochi mesi iniziai una nuova vita e mi ritrovai felice a lavorare per i poveri nel mio tempo libero, raccogliendo ferro in Valtellina, aggiustando biciclette nel gruppo di universitari di Pavia, sistemando sentieri o costruendo rifugi sulle Alpi, gustando una vita che non sapevo neppure lontanamente di avere e ricevendo in dono nuove amicizie e incontri entusiasmanti in giro per l’Italia.

Quante vite non sarebbero sbocciate, quante vocazioni inascoltate senza questa esperienza! Ricordo padre Ugo de Censi, sacerdote salesiano, guida dell’Operazione Mato Grosso; mentre ero in Perù per due anni di volontariato, dopo avermi conosciuto mi disse: “Per me hai la vocazione a essere prete, una vocazione che non hai mai voluto ascoltare finora…”. Mi disse ciò che era sempre stato sepolto dentro di me, nascosto dietro a pregiudizi e paure. Fu facile ascoltarlo, per il suo luminoso carisma e anche perché ero circondato da altri amici che si stavano aprendo a nuove scelte di vita. Molti di questi ora sono sacerdoti, alcuni vivono in Italia, altri in Sud America e qualcuno è avanti a noi, già in Cielo che ci aspetta. Per me la Misericordia è stata, ed ancora è, l’esperienza di uno shock che sveglia dalla mediocrità del mondo e, come dice Papa Francesco, “che ci spinge ad alzare lo sguardo e sognare alto”. Per questo don Lorenzo Milani spronava i sacerdoti a essere profeti, dicendo: “Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo”.

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Là nel Nord Kivu, dramma che non fa notizia https://www.lavoce.it/la-nel-nord-kivu-dramma-che-non-fa-notizia/ Wed, 05 Oct 2016 17:16:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47638 Don-Carlo-Cecconi-CMYKE’ servito a poco l’appello di Papa Francesco, all’Angelus dell’Assunta di quest’anno, a pregare per le popolazioni del Nord Kivu nella Repubblica democratica del Congo, che “sono vittime innocenti di persistenti conflitti che da tempo vengono perpetuati nel silenzio vergognoso, senza nemmeno attirare la nostra attenzione”. Sono popolazioni che non hanno la possibilità di attirare l’opinione pubblica mondiale, che è stata più interpellata da problemi come la dolorosa separazione tra Brad Pitt e Angelina Jolie o il trasferimento, mal accettato dai tifosi napoletani, del campione Gonzalo Higuain alla Juventus. Nessun giornale e nessun telegiornale ha parlato dei massacri che ormai da 15 anni sono perpetrati contro la tribù Nande nel nordest della Repubblica democratica del Congo. Con un gruppo composto da 10 giovani, di cui 4 seminaristi del Seminario regionale di Assisi, ci siamo recati nei territori della provincia di Lubero, che confina con quelli della provincia di Beni, dove la violenza di una guerra senza senso semina morti, miseria e terrore.

La situazione è drammatica per l’assenza dello Stato, che non interviene sul territorio in settori come l’istruzione e la sanità, i quali sono praticamente in mano alla popolazione che, in maniera autogestita, si è organizzata per pagare infermieri, dottori e professori. La presenza dell’Onu, con una massiccia operazione, è caratterizzata da un notevole numero di militari e mezzi pesanti, ma appare inquietante e ridicola, visto che poi i massacri non sono mai cessati e vengono eseguiti sempre senza conseguenze e con semplici machete, che sono una sorta di roncola che utilizzano i contadini per ripulire i campi.

La gente ormai non ha più fiducia nell’attività dell’Onu: è il vescovo della diocesi di Butembo-Beni a farsene portavoce da tempo. Con questi ragazzi abbiamo provato a portare un po’ di amore e di calore evangelico, mettendo a disposizione dei fondi raccolti durante l’anno per ampliare il carcere di Lubero, dove 73 prigionieri vivono in condizioni disumane, e ricostruendo il tetto e i pavimenti della scuola primaria di Kighali, dove studiano 250 bambini; ma soprattutto mettendo a disposizione le nostre mani e le nostre energie, lavorando insieme alla gente del posto. Siamo andati a “regalare” per tre settimane, e siamo tornati con una perla da tenere stretta per tutta la vita: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,34-35). Questa Parola spesso rimane morta nei nostri cuori, ma, grazie ai carcerati, ai bambini, alle persone che hanno lavorato con noi e che ci hanno fatto entrare nelle loro piccole casette poverissime, senza luce, senza bagni, ma impregnate di vita e di calore umano, noi l’abbiamo sentita viva.

Siamo tornati in Italia feriti dall’amore di Dio che si è servito di chi non ha niente per darci Tutto. Per questo il Nord Kivu non può solo fare notizia – se un giorno la farà – per i bollettini della Guerra del coltan e dei minerali, che ufficialmente viene definita come “guerra dei ribelli ugandesi” che vogliono stabilirsi nei territori di Beni. Il Nord Kivu ha un altro respiro, quello di chi ancora sa amare nonostante l’odio, di chi sa credere nella vita nonostante la morte. Chi ha sentito questo respiro, sente quanto sia soffocato il nostro e quanto sia vero che l’indifferenza e la superficialità continua a fare morti sia in Africa che in Europa. È questo il grido dei giovani tornati da quest’esperienza unica, e che ora progettano nuovi interventi a sostegno di quella povera gente, che senza parole trasmette una sapienza antica, eterna, evangelica.

 

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L’Apostolato della preghiera si aggiorna https://www.lavoce.it/lapostolato-della-preghiera-si-aggiorna/ Wed, 28 Sep 2016 14:40:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47598 don-Roberto-Bizzarri-CMYKQuando da bambino ero chierichetto nella mia parrocchia di Santa Maria Assunta a Otricoli, le suore di Nostra Signore del Sacro Cuore, che fin dall’asilo hanno accompagnato la mia vocazione, mi hanno insegnato a consacrare la giornata al Cuore divino di Gesù. L’offerta quotidiana è la pratica più caratteristica dell’Apostolato della preghiera (Adp). Tutta la vita, anche gli atti più semplici e più piccoli vengono offerti al Padre, per mezzo del Figlio, nella grazia dello Spirito santo, in unione al sacrificio eucaristico.
Nel Seminario minore il padre spirituale, puntualmente ogni mese, ci affidava le intenzioni che il Papa e i vescovi suggerivano all’Adp. Arrivato al Seminario regionale di Assisi, la mia vocazione è cresciuta pregando davanti all’immagine del Sacro Cuore che campeggia nel presbiterio della cappella.
Quando nel 2006 il vescovo mons. Vincenzo Paglia mi nominò direttore diocesano dell’Adp, mi sono sentito provocato a impegnarmi maggiormente a promuovere la devozione al Sacro Cuore.
Il primo Centro dell’Adp aperto nel territorio dell’attuale diocesi di Terni-Narni-Amelia fu quello presso la cattedrale di Amelia (1898) dove successivamente si è sviluppato anche il Movimento eucaristico giovanile. A Terni il primo centro fu eretto canonicamente nel 1919 presso l’istituto Leonino, e a Narni nel 1930. Oggi in diocesi sono attivi 16 Centri presenti in altrettante parrocchie, con la distribuzione di circa 800 foglietti della preghiera, con il coinvolgimento, nella preghiera, anche dei malati. Molto più diffusa è la pratica del primo venerdì del mese.
In questi 10 anni di accompagnamento come direttore diocesano dell’Adp, ho fatto esperienza di come la provvidenza di Dio ci precede e ci accompagna ispirandoci vie da percorrere con lo spirito dello scriba, divenuto discepolo, che sa trarre dal suo bagaglio cose antiche e cose nuove (Mt 13,52).
Con questo spirito, io e il Consiglio diocesano dell’Adp abbiamo cercato di ridare vigore alla presenza dell’associazione che, dopo la nascita della nuova diocesi di Terni-Narni-Amelia, è rimasta viva con la diffusione del foglietto mensile e la pratica del primo venerdì, ma carente nell’ordinamento e nell’animazione.
Dallo scorso anno il Consiglio ha cercato di individuare animatori per ogni Forania. Con un gruppo di adulti ci si incontra mensilmente (terzo lunedì del mese) per la formazione che ci sostiene nei vari servizi e ministeri: i laici sono animatori della preghiera in parrocchia, favoriscono l’adorazione eucaristica, animano la celebrazione eucaristica del primo venerdì, promuovono la preghiera per le vocazioni; partecipano alla vita della parrocchia come catechisti, ministri straordinari della comunione, animatori della liturgia e prendendosi cura della chiesa; molti sono inseriti in altre associazioni, gruppi e movimenti, divenendo fermento di comunione.
Tra le intuizioni nuove che l’Adp propone alla Chiesa locale e alla città vorrei condividerne tre: Iniziazione alla preghiera, un percorso per i più piccoli che li porti alla consacrazione al Cuore divino di Gesù, nel mese di giugno, in una celebrazione diocesana; Preghiera con l’arte, con la Comunità di Sant’Egidio e l’associazione culturale MonteMarte, il secondo sabato del mese nella chiesa di San Lorenzo a Terni, “leggiamo” quattro opere d’arte legate a un Salmo e a un brano della sacra Scrittura, con l’aiuto di esperti. Io stesso ripercorro in forma catechetica le opere proposte; e “Ho bisogno di te”, gruppo di giovani nato in seno all’Adp, che si incontra presso il centro culturale “Cenacolo San Marco”, per affrontare varie tematiche, a partire dalle domande di senso, nella prospettiva progettuale nell’orizzonte della vita come vocazione.
Per me è stata un’esperienza edificante e stimolante, come animatore vocazionale, membro dell’Ufficio nazionale della pastorale per le vocazioni, con una lunga esperienza di accompagnamento, lasciarmi provocare dai ragazzi e dalle loro richieste piuttosto che elaborare progetti da somministrare.
Concludo ricordando l’esperienza della giornata di spiritualità che ogni anno il coordinamento regionale guidato da padre Camillo Corbetta offre come momento intenso di preghiera e di condivisione fraterna interdiocesana.

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Pronti, via! L’oratorio “Alta Maroggia” ci sta! https://www.lavoce.it/pronti-via-loratorio-alta-maroggia-ci-sta/ Thu, 22 Sep 2016 08:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47473 La nostra Zona pastorale, detta anche Pievania di San Giovanni, è composta da sei parrocchie: San Giovanni di Baiano, Firenzuola di Acquasparta, Porzano di Terni, San Martino in Trignano, Sant’Angelo in Mercole e Montemartano di Spoleto. Dalla geografia dei nomi si può capire che il territorio della pievania è molto esteso e comprende le comunità storicamente e culturalmente diverse tra loro. Questo dato inevitabilmente incide sulla mentalità della popolazione e, di conseguenza, pone delle sfide da affrontare nell’azione pastorale che, a sua volta, tende a essere unica. Uno dei settori del sevizio pastorale di cui vorrei parlare è quello della pastorale giovanile. E anche qui, il nostro territorio è caratterizzato da alcuni particolari da tener presente quando si fa qualcosa per i giovani.

Nella parrocchia di Porzano ci sono diverse piccole frazioni dove vivono le famiglie che lavorano a Terni e quindi i figli (tra l’altro, pochi) che vanno a scuola a Terni sono naturalmente inseriti nell’area giovanile ternana. Nella parrocchia di Montemartano e, in parte, di Firenzuola, quei pochissimi giovani che vi abitano trovano difficoltà a inserirsi in qualsiasi iniziativa pastorale perché comunque sono distanti e devono essere accompagnati dai genitori. Di conseguenza, risulta che ci rimangono le parrocchie vicine come San Giovanni e San Martino, dove si può programmare una proposta pastorale fattibile per i ragazzi. E così succede: infatti nella parrocchia di San Martino sono in corso i lavori di costruzione della struttura dell’oratorio che ha il titolo “Alta Maroggia”, ma, prima ancora che fosse terminati i lavori, questo posto è diventato un punto di riferimento per diversi ragazzi della zona. Da quattro anni ogni venerdì sera là si ritrovano i ragazzi del dopo-cresima e quelli più grandi per condividere insieme diverse esperienze che aiutano la crescita umana e cristiana, come vedere un film e poi discuterlo, incontrare qualche persona che racconta la propria esperienza passata in gioventù, passare qualche momento in preghiera, o semplicemente cenare insieme. In estate tutto questo prosegue con i campeggi, che da due anni organizziamo presso la struttura parrocchiale di Porzano o con uscite a Mirabilandia, oppure passeggiando nella zona di Castelluccio.

L’esperienza dei campeggi si è riconfermata insostituibile come strumento di aggregazione e di crescita per i ragazzi. E non solo. Abbiamo scoperto che c’è un urgente bisogno di formare degli animatori che ci potrebbero aiutare a svolgere le attività dell’oratorio stesso e nei campeggi. Per questo i nostri incontri di venerdì hanno assunto un carattere formativo, e si può dire che stanno dando già qualche risutato. Lo si è visto quest’estate, quando durante i campeggi i ragazzi del dopo-cresima si occupavano dei bambini della prima comunione e dopo, in un secondo campeggio, i ragazzi più grandi (i “veterani” del gruppo) hanno seguito i ragazzi della cresima. Parlando dei “veterani”, c’è da aggiungere che quest’anno ha offerto loro la bellissima esperienza della Gmg a Cracovia. Con alcuni di loro, insieme con il gruppo della nostra diocesi, abbiamo vissuto queste due indimenticabili settimane prima nella città di Lowic, dove siamo stati toccati e commossi dalla calorosa e cordiale accoglienza nelle famiglie e poi, la seconda settimana, a Cracovia che è stata un po’ più “spartana” ma altrettanto intensa e ricca di esperienze vissute. Ci auguriamo che tutte queste esperienze, fatte con piccole e semplici cose, possano essere d’aiuto ai nostri ragazzi nella loro crescita umana e cristiana, lasciare una traccia profonda nei loro cuori e orientare la loro vita verso la riscoperta di tutto ciò che è vero, bello, buono e giusto. Ma più di ogni altra cosa, ci auguriamo che i nostri ragazzi scoprano la bellezza di essere Chiesa, anzi la Chiesa in cammino per le strade della nostra storia, qui e oggi. Questo cammino ha un nome: è Gesù. La sua Parola ci guidi e ci illumini!

Don Alexey (Alessio) Kononov

 

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Dalla Romania, dove parlare di Dio era reato https://www.lavoce.it/dalla-romania-dove-parlare-di-dio-era-reato/ https://www.lavoce.it/dalla-romania-dove-parlare-di-dio-era-reato/#comments Wed, 07 Sep 2016 16:23:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47352 Don-Francesco-Cosa_mons-Cancian_CMYKMiserando atque eligendo recita il motto del Papa, riferendosi alla chiamata di Matteo dal banco delle imposte. La vocazione, prima ancota di un alzarsi e mettersi in cammino, è uno sguardo benevolo che si posa su di te. È una scommessa di Qualcuno che si fida di te. Mi ha sempre colpito questo Dio che chiede, che propone, che invita e desidera una risposta… M’ha colpito più del pescatore che lascia tutto e va. È meraviglioso quel Dio che scommette su di te di là dalle tue debolezze e infedeltà.
Sono don Francesco Cosa, di Città di Castello, attualmente parroco di Pietralunga. Sono nato a Bacau (diocesi di Iasi) nel 1973, sacerdote del clero di Bucarest dal 1998. Sono arrivato in Umbria nel gennaio del 2000, ricoprendo vari incarichi e ruoli.
Vorrei parlare innanzitutto della mia vocazione, che ha qualcosa di straordinario. È sorprendente vedere come Gesù, tra i miei amici – molti dei quali con qualità ben certificate – abbia scelto proprio me, debole e limitato. Questo è il miracolo più grande, perché capisci che, sebbene con tanti limiti e debolezze, sei importante per Dio, sei unico.
La mia vocazione matura nella mia famiglia. È lì infatti che, sin dal piccolino, ho pensato al sacerdozio. La Romania della mia epoca viveva momenti durissimi a causa del regime di Ceausescu. Diventare sacerdote per un adolescente era più che un’utopia, perché parlare di Dio era un reato.
La mia famiglia è numerosa: sei fratelli e due sorelle. Eravamo poveri, ma comunque sereni e felici. Nonostante il mio babbo, sindaco comunista del paese, fosse un servitore del regime, la mamma ci ha trasmesso la fede con coraggio e senza paura. Ci portava tutti giorni alla messa. Di giorno, mentre lavorava, ci stringeva intorno a lei per raccontarci le parabole e le storie dei santi. Quella dei missionari erano le mie preferite; mi entusiasmava molto. Più volte desideravo imitarli.
La sera, mentre cucinava, si recitava il rosario. Noi fratelli volevamo il nostro librettino personale di preghiera, ma la stampa cattolica era vietata. Se facevamo i bravi, la mamma ci regalava un taccuino e una penna e noi potevamo trascrivere dai libri più vecchi le nostre preghiere preferite. In questo contesto, nella mia famiglia sorgono le prime due vocazioni, nonostante l’opposizione di papà.
Dopo che i miei fratelli sono stati ordinati sacerdoti e dopo la caduta del comunismo, il mio desiderio di diventare sacerdote si è avverato. “Se divento sacerdote, vorrei andare in missione”. Dopo un anno di sacerdozio a Bucarest, mi presentai dal vescovo per parlargli di questo desiderio.
Come nelle storielle della mamma, sognavo il deserto o le foreste tropicali… “Andrai in Italia”, fu la risposta del vescovo, spiegandomi che l’Italia, l’Occidente, è una terra di missione per una nuova evangelizzazione.
A Città di Castello svolgo il ministero sacerdotale su due fronti: come parroco e come segretario dei vescovi, incarichi che mi danno gioia e appagano la mia vocazione. Per ben quindici anni sono stato di casa con i vescovi, condividendo con loro le ore d’ufficio e la quotidianità. Vorrei smentire una leggenda metropolitana secondo cui, più stai accanto a un vescovo, più perdi la fede; o che lavorare in Curia sarebbe una perdita di tempo. Non è affatto vero. Dai vescovi ho ricevuto molto sostegno nel mio cammino di sacerdote.
Da un anno sono parroco a Pietralunga, bellissima comunità di 2.000 abitanti, alla periferia della diocesi, direzione Gubbio. Qui, insieme agli operatori pastorali costruiamo belle cose approfondendo la nostra amicizia. Tutto il nostro operare è testimonianza della bellezza di essere Chiesa e famiglia.
Dopo un anno sono tanti i motivi di gratitudine: la squisita accoglienza, la cordialità dei rapporti, la ricchezza di momenti condivisi, la discreta generosità… Indimenticabili i momenti gioiosi: il Palio “della mannaia”, l’oratorio e il presepe vivente a Natale, la messa dei bambini e gli incontri del catechismo, i sacramenti, il campeggio parrocchiale, gli incontri con i giovani, gite, ecc.
Una particolarità per Pietralunga è l’accoglienza dei pellegrini che transitano da La Verna ad Assisi. Centinaia di pellegrini cercano alloggio in parrocchia, occasione per noi di vivere le opere di misericordia corporali. Sono grato al Signore perché ha posato lo sguardo su di me, e ogni giorno rinnova la Sua fiducia e la Sua amicizia.

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News dalla parrocchia delle 6 campane https://www.lavoce.it/news-dalla-parrocchia-delle-6-campane/ Wed, 31 Aug 2016 17:29:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47328 don_ciroClasse 1959, nato a Collazzone da genitori contadini e quinto di sette fratelli, parrocchiano dalla mia nascita fino alla sua morte di mons. Carlo Pazzaglia, per noi tutti (ieri come oggi) “l’arciprete” sic et simpliciter. Tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana ricevuti da lui e da lui preparati. Ricordo le tante filippiche riguardo al latino, mai da me imparato del tutto, perché proveniente da una scuola superiore professionale. I preti – diceva – “devono conoscere bene il latino, perché devono poter leggere i libri liturgici”… eppure mi affascinava: da lui e dai miei genitori ho imparato a conoscere la fede del battesimo. Mi chiamo Giuliano Pagliaricci, e sono prete dal 1984. Dal punto di vista spirituale ho cercato in questo tempo di concentrarmi sul mistero della Croce, strada maestra per la salvezza, ma anche principale incentivo alla valorizzazione delle nostre debolezze. Non avrei mai retto il peso di un tale compito se non avessi imparato a fare della sofferenza un trampolino di lancio per raggiungere la pace di Cristo e gli obbiettivi racchiusi nell’impegno assunto davanti a Lui con il sacramento dell’Ordine. Il mio peccato – come per tutti, credo – è stata la croce più grande da portare.

D’altra parte, accettandolo e superandolo nella grazia del perdono ricevuto dal Padre e dato a tutti i miei fratelli e padri e madri che, involontariamente certo, mi hanno fatto soffrire, ho affrontato la vita con i suoi numerosi cambiamenti serenamente e gioiosamente. Dal punto di vista intellettuale, e per quella formazione permanente che tutti giustamente ci raccomandano, ho portato a termine gli studi iniziali e più tardi ho frequentato il corso di licenza in Teologia fondamentale sullo spirito di Assisi (Ecumenismo e dialogo interreligioso). Non ho mancato un solo ritiro del presbiterio diocesano; perché per un prete non è solo importante crescere intellettualmente e spiritualmente, ma anche umanamente.Almeno, per me lo è.

La polemica sui presbiteri che “non funzionano” è troppo sterile, come qualsiasi altra polemica, se non si fa qualcosa per portare il proprio contributo. Il presbiterio può isolarti, se vuole, ma spesso siamo noi stessi che ci isoliamo, poiché soluzione più facile e ci fa sentire meno in colpa. Ho cercato di non fare così, anche se con tanti limiti, per i quali chiedo perdono a Dio e ai miei fratelli. Pastoralmente, poi, mi sento come un “arameo errante”, per mia volontà negli ultimi spostamenti, mentre passai da Pian di San Martino a Montecastrilli perché il Vescovo mi chiese di andare in quella comunità a seguito di un difficile e doloroso momento che essa stava vivendo. Nove anni sono sufficienti per impedire che il parroco prenda i vizi dei parrocchiani e i parrocchiani quelli del parroco. Cambiare poi rigenera e suscita nuove forze ed entusiasmo. Attualmente, mi trovo in una piccola zona della periferia di Todi, comprendente 3 parrocchie e 6 piccoli paesi. Benedico Dio per avermi riservato questo dono. Le comunità sono piccole e molto distanti tra loro, ma da quando sono qui ho iniziato a chiamarle (ufficiosamente) “Parrocchia delle 6 campane”.

Perché il mio intento è quello di farle diventare un’unica comunità, anche se mi rendo conto che a breve sarà superato anche questo progetto. Intanto, però, qui sono stato chiamato a lavorare e con questo materiale lavoro. Abbiamo subito costituito un piccolo coro “delle 6 campane”, così come un sito parrocchiale che risponde al link www.6campane.it. Anche a Montecchio-Tenaglie già tanti anni fa avevamo un sito e un giornalino parrocchiale. Le celebrazioni liturgiche sono fatte a rotazione, comprese quelle dei tempi forti e della Settimana santa. Le feste patronali sono organizzate dalle singole comunità o più comunità insieme. Tutto deve tendere a unire, anche se non è facile visto un certo campanilismo che ancora vige nei nostri paesi – compreso quello di noi preti.

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Alle prese con tante idee fuorvianti di Chiesa https://www.lavoce.it/alle-prese-con-tante-idee-fuorvianti-di-chiesa/ Tue, 02 Aug 2016 12:42:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47138 don-gianni-colasantiDa quando La Voce ha iniziato questa rubrica dal titolo “Volto di misericordia: la Chiesa raccontata dai preti”, credo di aver seguito tutti gli interventi fatti dai diversi sacerdoti. Conoscere quello che fanno i confratelli sparsi per l’Umbria, sapere come vivono la loro vita, sentire i giudizi che danno delle varie situazioni era un soddisfazione per la mia curiosità e per il desiderio di indagare e di confrontarmi.
Non ho mai pensato, mentre leggevo, che potevo essere invitato a dire la mia… Ora che questo è avvenuto, mi trovo davanti a una scelta: quella del taglio da dare. Raccontare gli incarichi che ho ricoperto o ciò che ho fatto da quando sono stato ordinato nel 1963 o ciò che faccio nel presente, credo che possa essere di nessuna rilevanza. La normalità, direi, è stata ed è la cifra della mia vita.
Mi piace allora di più confrontarmi su come io abbia recepito, da parte dei vari ambienti in cui sono vissuto e nei quali vive la totalità o quasi dei confratelli (ambienti di operai, studenti, fedeli delle parrocchie, colleghi di scuola, giovani e adulti di associazioni cattoliche… persone ricche e povere, colte e meno colte…), circa il modo di vedere la Chiesa e di giudicarla.
Una prima impressione che, purtroppo, è negativa, è che la Chiesa viene vista in ogni ambiente come una grande “macchina del potere” spesso, se non sempre, funzionale a scopi economici.
Certamente tale posizione non trova supporto nella teologia, ma nemmeno nella storia e in una ricognizione più puntuale della società odierna. Tuttavia è una presa di posizione che dà a pensare, almeno per quelle “escrescenze” che possono dare appiglio a tali interpretazioni. Del resto, così mi sembra, anche all’interno della Chiesa ci sono fermenti che avvertono che qualcosa c’è da fare per aiutare a superare una certa percezione negativa della Chiesa stessa.
Si parla tanto, ad esempio, di “sinodalità”. Sembra la parola magica del momento. Questa parola indica un modo di gestire il servizio dell’autorità nella Chiesa che non può essere autoreferenziale da parte delle cosiddette gerarchie. Significa un reale coinvolgimento dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici della diocesi nella conduzione della vita della Chiesa. Ma quanti sono i vescovi oggi capaci di fare un cammino veramente sinodale? A leggere qualche giornale, non pochi vescovi italiani nemmeno con il Papa fanno un cammino sinodale: tante e gravi sono le perplessità che esternano nei riguardi della sua conduzione.
Non mancano poi coloro che danno della Chiesa una valutazione largamente positiva. Sono coloro che la vivono e la descrivono – per usare il linguaggio di Papa Francesco – come uno dei pochi, se non l’unico, “ospedale da campo” del nostro tempo. A essa sentono che possono affidare le proprie speranze, a essa si possono portare le proprie attese sia di carattere materiale sia di carattere morale, spirituale, culturale. Il Vangelo della misericordia è il nuovo ossigeno che è entrato nei polmoni di molti e ha riattivato la capacità di respirare.
Non mancano però neppure coloro che, all’interno della Chiesa, vivono questo momento con grande paura. Si fanno sentire sempre più forte coloro che parlano di Papa Francesco come di novello “barbaro” venuto a destabilizzare la solidità dell’edificio costruito con la pazienza, la virtù, la verità dei bei secoli andati. Non mancano coloro che per affermare un’idea – talora la loro idea -, neppure ispirata al Vangelo, occultano i fatti. Nella situazione attuale, non manca chi parla dell’esistenza di uno scisma in atto.
Ci sarebbe da aprire tutto il capitolo degli indifferenti, sempre più numerosi in ogni ambiente. Quanti giovani appartengono a questa categoria! Vedere tanti giovani alla Gmg è stata un’iniezione di speranza. Resta però che l’indifferenza di tanta parte della gioventù è uno dei maggiori crucci per coloro che si interrogano su come oggi la Chiesa possa trovare la sua collocazione e svolgere la sua funzione.
Forse mi sono fatto prendere da un eccesso di schematizzazione e semplificazione nella lettura dei vari vissuti che possono essere fotografati, e che sono sicuramente più articolati di quanto risulta dalla presente ricognizione. Sarei interessato se ci fossero su questo versante degli interventi, tanto più importanti, almeno per me, se andranno in direzioni diverse da quelle segnalate. Arrivare a una visione più rispondente alla realtà non può che fare bene.

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Un giovane sacerdote tra Assisi e Roma https://www.lavoce.it/un-giovane-sacerdote-tra-assisi-e-roma/ Thu, 28 Jul 2016 09:00:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46969 Don-Alessandro-Picchiarelli_CMYKSono sacerdote della diocesi di Assisi, vice parroco della cattedrale di San Rufino e di San Vitale in Viole. Sono stato ordinato a maggio dell’anno scorso, e in questo primo anno di sacerdozio la mia vita è stata divisa tra due impegni: lo studio e la pastorale. Dal lunedì al venerdì, infatti, sono a Roma dove ho appena concluso il primo anno di licenza [specializzazione] in Teologia morale presso la pontificia università Gregoriana e dove ho vissuto un’esperienza parrocchiale molto diversa da quella assisana. Questo mi ha permesso di toccare con mano situazioni che nella grande città sono ormai molto diffuse, come la presenza dei nuovi tipi di famiglia e la cura particolare che richiedono, soprattutto nel caso in cui sono presenti figli di uno dei partner, e di concretizzare quello che studio all’università.

Il fine settimana collaboro con don Cesare Provenzi, parroco della cattedrale di Assisi, e mi occupo del catechismo, del dopo-cresima e dei giovani. Con questi ultimi in questo anno non abbiamo fatto il classico cammino di incontri programmati ma ci siamo concentrati su esperienze di carità e di servizio, come la vendita delle arance insieme ai ragazzi del Mato Grosso, il Banco alimentare e le varie iniziative per autofinanziare la loro partecipazione alla Gmg. La vendita dei dolci preparati dai ragazzi dell’istituto Alberghiero di Assisi e l’autolavaggio in piazza San Rufino, in particolare, hanno destato curiosità tra i nostri parrocchiani e tra i pellegrini, increduli di vedere uno “spettacolo così particolare” al centro di Assisi.

Ognuna di queste esperienze è stata fatta a partire dalla Parola di Dio letta, meditata e fatta risuonare tutti insieme. Ciascuno di loro ha anche scelto un proprio cammino personale di incontro con il Signore (i dieci Comandamenti, ad esempio) che culmina nel mettersi al servizio della parrocchia e dei ragazzi più piccoli. Con alcuni ho seguito più da vicino i ragazzi del dopo-cresima che, oltre a fare alcune esperienze di carità e di servizio, hanno iniziato a scoprire cosa significa essere cristiani adulti e liberi di fare le proprie scelte di vita. In parrocchia abbiamo anche un oratorio che, oltre a essere utilizzato per il catechismo e per diverse attività con i bambini animate e organizzate dai ragazzi più grandi, è diventato in questi anni un punto di incontro per la catechesi degli adulti e per momenti di festa insieme alle famiglie che si ritrovano una volta al mese per pranzare insieme e stare in fraternità. In questo anno abbiamo organizzato per loro e per la nostra comunità diversi momenti di formazione su vari temi come il “gender”, la custodia del creato, l’educazione e la crescita dei figli. Sono anche impegnato in diversi ambiti diocesani.

Collaboro con l’ufficio di Pastorale giovanile e con il Servizio per il rinnovamento delle parrocchie con le piccole comunità, e sono vice direttore dell’Ufficio catechistico diocesano. Ho seguito – anche se con qualche difficoltà legata al tempo – il cammino diocesano del settore giovani dell’Azione cattolica. Non posso nascondere che in questo anno non sono mancati momenti di stanchezza o di difficoltà: mettere insieme l’esperienza romana e quella assisana e muovere i primi passi nel ministero sacerdotale non è stato sempre facile, ma mi ha permesso di comprendere meglio cosa significhi donare la propria vita senza riserve. La grazia del Signore, sperimentata nei sacramenti e in particolare nella celebrazione eucaristica, e il sorriso e l’affetto di tante persone e dei ragazzi mi hanno fatto scoprire che, nonostante la fatica e l’aridità che a volte vivo, il Signore si mostra nelle cose di ogni giorno e mi accompagna in questo cammino che mi ha donato di percorrere.

Mi sta aiutando molto anche vivere il sacerdozio, compresi i momenti più faticosi, non da solo – tenendo tutto per me e facendo finta che tutto sia perfetto – ma condividendo la mia esperienza con altri sacerdoti, in particolare con quelli con cui ho stretto un legame più profondo durante gli anni del seminario. Ringrazio il Signore che, attraverso la Vergine Maria, mi ha fatto scoprire e accogliere la mia vocazione, e mi affido alla vostra preghiera affinché il mio ministero possa essere ogni giorno fecondo e soprattutto sempre gioioso.

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I grandi doni di Dio ad un prete non vedente https://www.lavoce.it/i-grandi-doni-di-dio-ad-un-prete-non-vedente/ https://www.lavoce.it/i-grandi-doni-di-dio-ad-un-prete-non-vedente/#comments Thu, 21 Jul 2016 09:00:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46811 Don-Gerardo-Balbi-_3_CMYKChi ci separerà dall’amore di Cristo? (Rm 8, 35). Si dice che il mondo di oggi condizioni la vita di ciascuno di noi. Credo però che quanto ci circonda abbia sempre attratto e distratto ogni creatura umana. Forse oggi, più che mai, non troviamo il tempo per ascoltare, ascoltare gli altri, ascoltare Dio. Ma il suo amore continua a compiere meraviglie, le più inimmaginabili. Quanto Dio abbia fatto in me è veramente fuori di ogni logica umana e mai avrei immaginato ciò che Lui preparava per la mia vita. Da bambino ho studiato presso l’Istituto serafico di Assisi allora specializzato per ciechi e sordomuti, gestito dai Padri Rogazionisti. A volte, in modo molto garbato, mi sentivo dire che mi avrebbero visto bene come futuro Sacerdote, ma allora non davo mai alcun peso a queste parole.
Dopo gli studi classici ho intrapreso quelli musicali e per molti anni ho svolto l’attività di insegnante nella scuola pubblica, dedicandomi anche, per quanto il tempo me lo consentisse, all’attività concertistica.
Pur essendo privo della vista dalla nascita, ho sempre lodato Dio, senza mai chedere la grazia di vedere, senza mai rimpiangere ciò che la gente pensava mi mancasse, ma di cui non ho mai sentito una vera mancanza. Dio sa sempre riempire certe carenze e, se a volte sembra che ti tolga qualcosa, in realtà supplisce con altri doni a ciò che ti manca. Nella mia vita, ricca di tante attività, ho sempre cercato di privilegiare i rapporti umani che ritengo debbano essere lo stimolo di ogni persona. Ho accolto con gratitudine i numerosi doni di Dio in tutto ciò che la sua bontà mi ha permesso di fare. La scuola, il contatto con i giovani, con le famiglie, con le parrocchie, dove ho profuso sempre e con gioia impegno e collaborazione, hanno costituito la gioia di vivere e di donare.
Non posso tacere la gratitudine che ho verso il Padre celeste per avermi chiamato ad un’avventura incredibile, impensabile, che mai avrei immaginato. Non ho assolutamente alcun merito: nessuno di noi è chiamato per i suoi meriti, ma solo per il grande amore, per la misericordia di Dio che fa cose grandi con chiunque e le ha fatte anche con me. Penso spesso e dico a Gesù: Un prete dovrebbe essere luce per gli altri; perchè vuoi servirti di me, per illuminare tante anime, io che non ho la luce degli occhi? Ma se questa è la tua volontà, ho cercato e cerco di rispondere come Maria: Eccomi, avvenga di me quello che vuoi.
Svolgendo i miei incarichi in parrocchia, prima al fianco del compianto Don Antonio Fanucci, parroco della Collegiata in Umbertide, poi con S. E. Mons. Pietro Bottaccioli, allora Don Pietro, successivamente con Don Luigi Lupini, a Cristo Risorto, sempre in Umbertide, veniva maturando una chiamata che inizialmente cercavo di respingere, ma che via via si faceva sempre più netta e dirompente, fino a vincere le mie resistenze, le mie paure, le mie preoccupazioni.
Devo anche essere grato per il sostegno di tutte le comunità parrocchiali con le quali ho sempre collaborato e soprattutto la fiducia e lo stimolo dei parroci, e l’aiuto di Don Pietro Vispi, succeduto a Don Antonio Fanucci. Tutto questo mi è stato di grande aiuto e stimolo per iniziare una nuova vita, una nuova avventura, una vita e un’avventura scommesse su chi si è degnato di chiamarmi a collaborare con Lui.
Ordinato Sacerdote il 28 Giugno 1997, ho avuto da subitol’incarico di Vicario di Cristo Risorto in Umbertide. Dal 2006 ho anche quello di Parroco di Camporeggiano e da due anni quello di Vicario zonale e da molti anni coordino insieme ad alcune coppie gli incontri di preparazione al matrimonio.
Spesso, pensando di essere in Italia l’unico Parroco privo di vista, sento quanto immenso sia l’amore di Dio, quanto grande la sua misericordia e quanto vera quella parola che dice: ”I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le mie vie non sono le vostre vie”. Mi domando come abbia mai potuto pensare di servirsi di me per un impegno così grande. Ma mi ha dato e continua a darmi tanta forza, tanto slancio, permettendomi, nonostante tutto, di svolgere tutto quanto un parroco debba fare e di farlo con disinvoltura: Celebrazioni Eucaristiche, Battesimi, Matrimoni, Esequie, tanto ascolto di persone, direzione spirituale e tutto ciò che mi mette davanti.
Mai, come quest’anno, anno della misericordia, sento che tutto questo è solo amore, bontà, misericordia di Dio, misericordia verso di me. Prego che io possa sempre rispondere con la stessa generosità con la quale Lui si è fidato di me. Grazie e in eterno grazie, Dio grande e misericordioso. Chi ci separerà dall’amore di Dio?

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A Citerna è nata la Famiglia della Carità https://www.lavoce.it/a-citerna-e-nata-la-famiglia-della-carita-2/ Fri, 15 Jul 2016 10:32:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46714 10-anni-della-Famiglia-della-carità-Don-Paolo-MartinelliÈ dal settembre 2004 che sono parroco di Citerna: bellissimo Comune che abbraccia dall’alto del paese l’intera valle del Tevere. L’8 dicembre 2004 ho iniziato a vivere stabilmente in parrocchia in un santuario poco fuori il paese dedicato alla Madonna del Carmine, chiamata “Madonna di Greppalto”. Qui da subito ho iniziato – assieme a una coppia di sposi e a un giovane (ora prete della diocesi: don David) – un’esperienza comunitaria di accoglienza e preghiera totalmente inserita nella vita parrocchiale.

Le porte della casa si sono immediatamente spalancate e la prima persona a essere accolta è stata un barbone di strada, “Emmedi”. Questa esperienza di vita semplice ha cominciato ad attirare altre persone desiderose di impegnarsi nello stesso stile di vita… tanti, tanti fratelli e sorelle bisognosi di avere una casa e un po’ di affetto. Giovani, donne, uomini schiacciati da varie dipendenze e colpiti da ogni tipo di dramma. Con il passare del tempo questo stile di vita si è modellato sempre più, fino ad avere una sua specifica struttura e sotto la guida e la benedizione del Vescovo ha assunto un nome: “Famiglia della Carità”, con il riconoscimento diocesano ad experimentum avvenuto il 1° ottobre 2013.

I parrocchiani, dopo un primo momento di perplessità, hanno poi accolto largamente questa esperienza che è diventata l’espressione stessa di una parrocchia che vuole essere aperta alla “sete” di Gesù che grida. Il primo impegno pastorale che ho sentito è stato rivalorizzare la messa domenicale, luogo privilegiato per la comunione fraterna della parrocchia. Spostare il catechismo dei bambini dal sabato alla domenica mattina è stato il modo concreto per arrivare alle famiglie della parrocchia, che hanno accolto quanto proposto per ritrovarsi poi con i loro figli nella partecipazione all’eucarestia. Il clima che si respira è la gioia del Vivente, espressa nel canto e nella partecipazione attiva dei fedeli. È nato così un bel coro parrocchiale che offre il suo servizio in ogni celebrazione e ogni liturgia è vissuta come se fosse la più importante.

La parrocchia ha anche la grazia di avere due comunità religiose: le suore “Francescane di santa Elisabetta” e le monache Benedettine. I due conventi, inseriti pienamente nella vita della parrocchia, offrono le loro specificità, donandosi totalmente e gioiosamente nei tanti servizi necessari. Catechesi nei “tempi forti” dell’anno, lectio divina con le Benedettine, incontri settimanali di preghiera e adorazione, momenti di incontro per i giovani alternano la vita ordinaria della parrocchia.

Anche la carità è particolarmente sentita e vissuta come una priorità pastorale. Il servizio offerto alla casa di riposo, prima gestita dalle suore Francescane, oggi dalla cooperativa “San Michele”, dà uno slancio concreto alla preghiera vissuta in ginocchio. La presenza della casa di riposo e della “Famiglia della Carità”, luoghi dove il servizio a tempo pieno verso i più poveri diventa concreto è una ricchezza grande per la parrocchia. La carità non permette all’abitudine di rallentare o fermare la corsa, ma ci mantiene in un movimento continuo… ci spinge incontro a Colui che ci ripete: “Lo avete fatto a me”. Da qualche anno sono anche parroco di Fighille, paese del comune di Citerna in cui si trova un importante santuario, la Madonna di Petriolo, luogo in cui si ricorda un’apparizione di Maria a una povera pastorella.

Il santuario è in un punto di confine tra l’Umbria e la Toscana, raccoglie tanti pellegrini e sta diventando il cuore della preghiera in particolare per le famiglie dell’intera Unità pastorale. Nella parrocchia di Fighille ancora vive il parroco precedente, don Giuseppe, con il quale cerchiamo di unire in una sola pastorale le due parrocchie, pur mantenendone la loro originalità. Il desiderio sempre più grande è realizzare pienamente un cammino di comunione e di unità affinché il mondo creda. Io, don Giuseppe, il diacono Giuseppe, la “Famiglia della Carità”, le comunità religiose, con i laici impegnati cerchiamo di realizzare il desiderio di Gesù: “Che tutti siano una cosa sola” nella corsa incontro a ogni fratello e sorella, pieni di gioia perché “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

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A Citerna è nata la Famiglia della Carità https://www.lavoce.it/a-citerna-e-nata-la-famiglia-della-carita/ Wed, 13 Jul 2016 12:50:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46715 don-Paolo-Martinelli_CMYKE’ dal settembre 2004 che sono parroco di Citerna: bellissimo Comune che abbraccia dall’alto del paese l’intera valle del Tevere. L’8 dicembre 2004 ho iniziato a vivere stabilmente in parrocchia in un santuario poco fuori il paese dedicato alla Madonna del Carmine, chiamata “Madonna di Greppalto”. Qui da subito ho iniziato – assieme a una coppia di sposi e a un giovane (ora prete della diocesi: don David) – un’esperienza comunitaria di accoglienza e preghiera totalmente inserita nella vita parrocchiale. Le porte della casa si sono immediatamente spalancate e la prima persona a essere accolta è stata un barbone di strada, “Emmedi”. Questa esperienza di vita semplice ha cominciato ad attirare altre persone desiderose di impegnarsi nello stesso stile di vita… tanti, tanti fratelli e sorelle bisognosi di avere una casa e un po’ di affetto. Giovani, donne, uomini schiacciati da varie dipendenze e colpiti da ogni tipo di dramma.

Con il passare del tempo questo stile di vita si è modellato sempre più, fino ad avere una sua specifica struttura e sotto la guida e la benedizione del Vescovo ha assunto un nome: “Famiglia della Carità”, con il riconoscimento diocesano ad experimentum avvenuto il 1° ottobre 2013. I parrocchiani, dopo un primo momento di perplessità, hanno poi accolto largamente questa esperienza che è diventata l’espressione stessa di una parrocchia che vuole essere aperta alla “sete” di Gesù che grida. Il primo impegno pastorale che ho sentito è stato rivalorizzare la messa domenicale, luogo privilegiato per la comunione fraterna della parrocchia. Spostare il catechismo dei bambini dal sabato alla domenica mattina è stato il modo concreto per arrivare alle famiglie della parrocchia, che hanno accolto quanto proposto per ritrovarsi poi con i loro figli nella partecipazione all’eucarestia. Il clima che si respira è la gioia del Vivente, espressa nel canto e nella partecipazione attiva dei fedeli. È nato così un bel coro parrocchiale che offre il suo servizio in ogni celebrazione e ogni liturgia è vissuta come se fosse la più importante. La parrocchia ha anche la grazia di avere due comunità religiose: le suore “Francescane di santa Elisabetta” e le monache Benedettine.

I due conventi, inseriti pienamente nella vita della parrocchia, offrono le loro specificità, donandosi totalmente e gioiosamente nei tanti servizi necessari. Catechesi nei “tempi forti” dell’anno, lectio divina con le Benedettine, incontri settimanali di preghiera e adorazione, momenti di incontro per i giovani alternano la vita ordinaria della parrocchia. Anche la carità è particolarmente sentita e vissuta come una priorità pastorale. Il servizio offerto alla casa di riposo, prima gestita dalle suore Francescane, oggi dalla cooperativa “San Michele”, dà uno slancio concreto alla preghiera vissuta in ginocchio. La presenza della casa di riposo e della “Famiglia della Carità”, luoghi dove il servizio a tempo pieno verso i più poveri diventa concreto è una ricchezza grande per la parrocchia. La carità non permette all’abitudine di rallentare o fermare la corsa, ma ci mantiene in un movimento continuo… ci spinge incontro a Colui che ci ripete: “Lo avete fatto a me”.

Da qualche anno sono anche parroco di Fighille, paese del comune di Citerna in cui si trova un importante santuario, la Madonna di Petriolo, luogo in cui si ricorda un’apparizione di Maria a una povera pastorella. Il santuario è in un punto di confine tra l’Umbria e la Toscana, raccoglie tanti pellegrini e sta diventando il cuore della preghiera in particolare per le famiglie dell’intera Unità pastorale. Nella parrocchia di Fighille ancora vive il parroco precedente, don Giuseppe, con il quale cerchiamo di unire in una sola pastorale le due parrocchie, pur mantenendone la loro originalità. Il desiderio sempre più grande è realizzare pienamente un cammino di comunione e di unità affinché il mondo creda. Io, don Giuseppe, il diacono Giuseppe, la “Famiglia della Carità”, le comunità religiose, con i laici impegnati cerchiamo di realizzare il desiderio di Gesù: “Che tutti siano una cosa sola” nella corsa incontro a ogni fratello e sorella, pieni di gioia perché “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

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Parroco sulle montagne del Folignate https://www.lavoce.it/parroco-sulle-montagne-del-folignate/ Wed, 06 Jul 2016 13:11:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46656 Don-Gianluca-Antonelli_Foligno-CMYKSono don Gianluca Antonelli, presbitero della diocesi di Foligno e parroco delle comunità di Sant’Ansovino in Casenove e Maria Ss. Assunta in Scopoli, che comprendono inoltre le chiese di Serrone, Volperino, Acqua Santo Stefano, Leggiana, Casale, e gli oratori di Cifo, Barri, La Franca. Attualmente sono parroco moderatore dell’unità pastorale San Marone, santo libanese patriarca dei cristiani maroniti in Libano e patrono della chiesa di Volperino. Sono stato ordinato nel 2002 il 25 maggio, stesso giorno del mio battesimo. In questi 13 anni di sacerdozio ho vissuto la mia esperienza sacerdotale in diverse parrocchie e alcune Unità pastorali.

In questo tempo, le cose che ho sempre messo al centro della mia vita pastorale, e ritengo le più importanti, sono la catechesi per l’iniziazione cristiana ai bambini, ai giovani, la preparazione dei sacramenti, i centri di ascolto sulla Parola di Dio nelle famiglie. Inoltre l’oratorio parrocchiale con il laboratorio creativo, il Grest estivo, la festa della mamma e del papà e altre attività che si svolgono durante tutto l’anno che coinvolgono famiglie e giovani. Infine il Consiglio pastorale parrocchiale, che crea un confronto tra il parroco e i laici su temi come la liturgia, le varie attività pastorali – anche quelle sopra elencate -, la devozione popolare con le sue feste patronali che sono un bacino di fede e di carità. Non si può poi dimenticare l’accoglienza del prossimo: da circa un anno, in collaborazione con la Caritas diocesana di Foligno, è stata aperta una casa d’accoglienza denominata “Neos Cosmos – L’arca del Mediterraneo” per immigrati, presso l’ex casa parrocchiale della chiesa di Serrone, che è composta da tre appartamenti tutti arredati.

A tutt’oggi sono state ospitate 20 persone tra cui diversi bambini provenienti dalla Nigeria; attualmente c’è anche una famiglia di tre persone: madre con due figlie gemelle. Tutto questo cappello introduttivo non vuole mettere in evidenza “come sono bravo” perché ci sono stati errori, mancanze, incomprensioni, sfiducia, delusioni, preoccupazioni, come il debito che ho ereditato da una delle due parrocchie, e che ha messo a dura prova la mia stessa preghiera personale con Dio e con tutte le mie certezze e convinzioni.

Questa esperienza mi ha fatto capire che cosa vive una famiglia quando ha sulla schiena la preoccupazione di un debito da pagare, con i suoi vari mutui e scadenze. In tutti questi anni da cui sono parroco sulla montagna folignate non posso dimenticare le tante persone che con la loro semplicità di fede danno una grande testimonianza d’amore al Signore e al prossimo con la loro preghiera e i loro sacrifici quotidiani, ma vissuti nelle certezza della speranza e della misericordia di Dio. Ringrazio il Signore per il dono del sacerdozio, sopratutto della “gioia dell’essere sacerdote” – come dice il nostro vescovo Gualtiero Sigismondi – e chiedo al Signore di custodire tutti i sacerdoti e tutte le persone che si adoperano per un servizio pastorale. Grazie al settimanale cattolico regionale La Voce per l’opportunità datami di scrivere queste poche righe sulla mia esperienza sacerdotale.

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Una Chiesa che si ritrova nelle case https://www.lavoce.it/una-chiesa-che-si-ritrova-nelle-case/ Wed, 29 Jun 2016 14:54:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46563 Don-Marco-ArmilleiSono sacerdote da tre anni. Dopo una prima esperienza presso le parrocchie di Bettona e Passaggio di Bettona, da due anni presto servizio come vice parroco presso la parrocchia di San Marco Evangelista in Bastia Umbra. È una parrocchia molto viva e con tanta voglia fare, e nella quale possiamo rivivere l’esperienza della primitiva Chiesa, quella nata subito dopo il grande dono della Pentecoste e che vedeva i primi cristiani riunirsi intorno alla Parola di Dio nella case. Anche noi praticamente stiamo in quelle condizioni, avendo solo due locali presso il Villaggio XXV Aprile, dei quali uno è adibito a chiesa e l’altro a ufficio parrocchiale/sala riunioni.
A febbraio ho conseguito la licenza in Pastorale familiare presso il Pontificio istituto “Giovanni Paolo II” su matrimonio e famiglia. Studi che mi serviranno, con l’aiuto del Signore, a svolgere al meglio quello che sarà un prossimo impegno diocesano presso l’ufficio Famiglia, e che già da adesso svolgo in parrocchia. E proprio di questo vorrei raccontare.
Come dicevo, la nostra parrocchia vive la precarietà della Chiesa primitiva e quindi, oggi come allora, è di fondamentale importanza l’apertura delle case dei fedeli cristiani, apertura che trova i suoi frutti principali nel progetto di rinnovamento delle parrocchie voluto dal nostro Vescovo e che ormai, dopo la pubblicazione del libro del Sinodo, è diventata la proposta base per la nostra diocesi. Questo rinnovamento si costruisce intorno alla costituzione di piccole comunità, le Comunità Maria – Famiglie del Vangelo, che si ritrovano intorno alla Parola di Dio nelle case di coloro che ne fanno parte. Nella parrocchia di San Marco se ne sono formate cinque, e una sesta sta camminando nel percorso iniziale di formazione.
È veramente emozionante vedere la gioia e la fraternità che questi fratelli, incontro dopo incontro, costruiscono con il Signore e tra di loro, avendo come meta quella della Chiesa apostolica che ci raccontano gli Atti degli apostoli: “Erano un cuor solo e un’anima sola”. Il rinnovamento auspicato dal Vescovo – che, come per contagio, si sta espandendo nelle varie parrocchie – consiste nel cercare di ricostruire quelle relazioni calde che caratterizzavano nel passato le comunità cristiane e che oggi, senza mitizzare il passato e denigrare il presente, a causa dell’individualismo dilagante anche nelle piccole realtà, si sta perdendo. Difatti, uno dei disagi maggiori che come sacerdote riscontro sempre più spesso è quello della solitudine della gente, di qualsiasi età, che sembra essere in forte contraddizione con il mondo globalizzato e sempre on-line che orami caratterizza la nostra epoca.
Ma di cosa si tratta? Entriamo nello specifico.
Le Comunità Maria – Famiglie del Vangelo non sono un nuovo movimento ma semplicemente una nuova forma per strutturare la parrocchia seguendo il metodo-Gesù, ovvero ritrovarsi intorno a Lui in poche persone per poter costruire forti legami come quelli che si sperimentano in famiglia, e così diventare a tutti gli effetti una famiglia spirituale. Gli incontri si svolgono in genere ogni quindici giorni, ma nulla vieta che possano essere anche settimanali. Dopo un primo momento in cui si innalza, individualmente, al Signore una preghiera di lode, si recita una preghiera di affidamento a Maria e poi, dopo aver invocato lo Spirito santo affinché apra i cuori degli ascoltatori, si proclama il Vangelo della domenica (così da restare dentro il cammino parrocchiale) e dopo una breve spiegazione (fatta dal sacerdote se è presente, o da uno dei membri, o seguendo il commento che come Servizio diocesano inviamo ogni settimana alle varie comunità) ecco il cuore dell’incontro, cioè la condivisione di ciò che quella Parola ha suscitato in ognuno, con molta libertà e senza aprire una discussione.
In seguito c’è la preghiera di intercessione, recitando una decina del rosario secondo le intenzioni dei presenti, quindi si recita la preghiera di consacrazione, che consiste in una preghiera/programma da recitare tutti i giorni per aumentare la comunione tra le varie comunità.
Con grande gioia e riconoscenza al Signore non posso fare altro che lodarlo per i frutti che stanno nascendo grazie a questo “nuovo” modo di far incontrare i fratelli, certo che a Lui non mancherà modo di farlo crescere e così fruttificare sempre di più, mettendoci sempre sotto la protezione della Vergine Maria madre della Chiesa.

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