EUROPA Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/europa/ Settimanale di informazione regionale Sat, 26 Mar 2022 20:08:33 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg EUROPA Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/europa/ 32 32 Monsignor Piemontese ricorda la visita di Papa Giovanni Paolo II all’Acciai Speciali Terni https://www.lavoce.it/monsignor-piemontese-ricorda-la-visita-di-papa-giovanni-paolo-ii-allacciai-speciali-terni/ Sat, 20 Mar 2021 17:22:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59615 Il logo in ricordo dei 40 anni dalla visita di Papa Giovanni Paolo II a Terni

In occasione della festa di San Giuseppe lavoratore, domenica 21 marzo alle ore 16 nella Cattedrale di Terni, il vescovo Giuseppe Piemontese presiederà la celebrazione in preparazione alla Pasqua per i lavoratori dell’Acciai Speciali Terni e per il mondo del lavoro, insieme alle istituzioni civili e militari e rappresentanti dei lavoratori.

Tale celebrazione, a ricordo anche della storica visita di Papa Giovanni Paolo II a Terni nel 1981, vuole essere un’occasione di preghiera, di memoria, di riflessione e di speranza per la città e, in particolare, per tutto il mondo del lavoro. La celebrazione potrà essere seguita in diretta streaming sui canali Facebook e Youtube della Diocesi di Terni-Narni-Amelia.

Una lettera alla comunità civile ed ecclesiale

Ed in occasione del 40esimo anniversario della visita di Papa Giovanni Paolo II all’Acciai Speciali Terni e alla città, il vescovo Giuseppe Piemontese ha pubblicato una lettera, indirizzata alla comunità civile ed ecclesiale, per ricordare quell’importante momento storico e i temi trattati dal papa sulla dignità del lavoro, la sicurezza del lavoro, dell’equo salario, perchè scrive monsignor Piemontese vogliamo cogliere quelle perle che papa san Giovanni Paolo II ha consegnato alla città, al mondo del lavoro e alla Chiesa.

"Vogliamo recuperarla -spiega il vescovo- perché forse non le abbiamo coltivate abbastanza, ma vogliamo anche guardare la realtà nella quale ci troviamo proiettarci in prospettiva, cercare di coltivare anche una visione, trovare spunti e suggerimenti per inventare e seguire vie di nuovo umanesimo e crescita sociale. Rileggiamone i segni compiuti: la fabbrica, il lavoro, il popolo radunato, le persone, le autorità, la convivialità, il dialogo, le provocazioni coraggiose, la preghiera e l’Eucarestia conclusiva, evento santificatore del lavoro umano e prospettiva metodologica di giustizia sociale e di dignità civile e religiosa, culmine e ripartenza di ogni rinnovamento".

Nella lettera, che è stata illustrata in una conferenza stampa dallo stesso monsignor Piemontese, e alla quale sono intervenuti don Matteo Antonelli vicario episcopale per il Laicato e Luca Diotallevi presidente diocesano di Azione Cattolica, viene proposta una lettura, in questo tempo di pandemia e soprattutto in quello della post pandemia.

Un periodo, che apra a nuove visioni e opportunità che sorgono, in genere, dal superamento delle crisi epocali, quali le scoperte e gli slanci scientifici, sociali e culturali, scaturiti dagli sforzi per superare tali prove.

"La comunità intera -scrive ancora monsignor Piemontese- il lavoro in crisi endemica e messo in ginocchio dalla pandemia, le prospettive di crescita sociale hanno una opportunità provvidenziale ed unica nel piano denominato Next Generation Eu, che non può essere considerato solo nei sostegni finanziari dell’Unione Europea, ma è opportunità per ripensare e reimpostare un progetto di sviluppo e una rete di relazioni per l’intera nazione oltre che per regioni, comuni e comunità. Situazioni sociali precarie, frutto anche di indecisioni e imprevidenza della politica e dell’imprenditoria, ora si trovano nella opportunità di essere trasformate attraverso cambiamenti strategici e balzi in avanti che portino progresso e benessere economico, culturale, sociale e spirituale alle nostre genti.

Anche le nostre chiese dovranno riprogettare, in una dinamica sinodale e in sintonia con la società civile, il piano Next Generation It della Chiesa Italiana del terzo decennio del millennio, e la Next Generation TNA della nostra Chiesa particolare, accogliendo la fiamma dello Spirito e spalancando le porte del cenacolo per annunciare a tutti il Signore Risorto con la forza e luce dello Spirito Santo.

La nostra città, capoluogo e capofila della pluralità delle città e dei castelli del territorio, non può rassegnarsi al declino indotto da scelte sbagliate locali e generali, da egoismi di campanile o di parte e da ultimo dalle asfissie, dalle limitazioni e dai fallimenti causati dalla pandemia. In un’ora grave e delicata, varie vicende politiche hanno portato la nostra Italia a dotarsi di un governo di collaborazione nazionale. Un analogo spirito dovrebbe spingere la classe dirigente e tutte le forze culturali, civili, politiche e sociali più significative della città e della regione in uno straordinario sforzo generoso a collaborare a favore della Next Generation a Terni, in Umbria, in Italia e in Europa.

Alcune menti illuminate sono già al lavoro con proposte ideali ed operative. Va sostenuto e promosso da parte dei responsabili della Civitas -conclude il vescovo- ogni sforzo e progetto positivo e propositivo di risveglio e di sviluppo civile, sociale e religioso".

Evento speciale il prossimo 15 maggio

Un altro evento significativo di questo quarantesimo anniversario, sarà vissuto proprio all'interno dell’Acciai Speciali Terni il 15 maggio, nel piazzale dove il Papa San Giovanni Paolo II incontrò gli operai, con la celebrazione della Santa Messa all’aperto.

Di speranza per il futuro ha parlato il  presidente diocesano di Azione Cattolica, Luca Diotallevi, facendo riferimento alla creatività del lavoro

"Il lavoro -ha detto- non solo come dimensione oggettiva della fatica, ma come dimensione soggettiva, dimensione spirituale e creativa del lavoro che è oggi più forte e più vera di allora. Noi siamo impegnati a comprendere questo processo insieme agli uomini e alle donne di buona volontà, a difenderlo perché il lavoro è sempre a rischio di alienazione, a rischio di sfruttamento.

La grande profezia che troviamo nel messaggio di Giovanni Paolo II a Terni è l'importanza di una vita sociale strutturata sulla sussidiarietà, un poliedro di compiti diversi.

In questo quadro la riflessione della chiesa locale e nel suo piccolo dell'Azione Cattolica è un invito a una scelta coraggiosa, che ha trovato grande risposta nelle forze sociali, ma ancora non sufficiente risposte nei rappresentanti delle istituzioni politiche, ovvero la prospettiva che la spesa del Next generation Europe vada pensata a partire non dallo Stato, ma dalle comunità locali, dall'intera rete delle città di questo territorio".

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Il logo in ricordo dei 40 anni dalla visita di Papa Giovanni Paolo II a Terni

In occasione della festa di San Giuseppe lavoratore, domenica 21 marzo alle ore 16 nella Cattedrale di Terni, il vescovo Giuseppe Piemontese presiederà la celebrazione in preparazione alla Pasqua per i lavoratori dell’Acciai Speciali Terni e per il mondo del lavoro, insieme alle istituzioni civili e militari e rappresentanti dei lavoratori.

Tale celebrazione, a ricordo anche della storica visita di Papa Giovanni Paolo II a Terni nel 1981, vuole essere un’occasione di preghiera, di memoria, di riflessione e di speranza per la città e, in particolare, per tutto il mondo del lavoro. La celebrazione potrà essere seguita in diretta streaming sui canali Facebook e Youtube della Diocesi di Terni-Narni-Amelia.

Una lettera alla comunità civile ed ecclesiale

Ed in occasione del 40esimo anniversario della visita di Papa Giovanni Paolo II all’Acciai Speciali Terni e alla città, il vescovo Giuseppe Piemontese ha pubblicato una lettera, indirizzata alla comunità civile ed ecclesiale, per ricordare quell’importante momento storico e i temi trattati dal papa sulla dignità del lavoro, la sicurezza del lavoro, dell’equo salario, perchè scrive monsignor Piemontese vogliamo cogliere quelle perle che papa san Giovanni Paolo II ha consegnato alla città, al mondo del lavoro e alla Chiesa.

"Vogliamo recuperarla -spiega il vescovo- perché forse non le abbiamo coltivate abbastanza, ma vogliamo anche guardare la realtà nella quale ci troviamo proiettarci in prospettiva, cercare di coltivare anche una visione, trovare spunti e suggerimenti per inventare e seguire vie di nuovo umanesimo e crescita sociale. Rileggiamone i segni compiuti: la fabbrica, il lavoro, il popolo radunato, le persone, le autorità, la convivialità, il dialogo, le provocazioni coraggiose, la preghiera e l’Eucarestia conclusiva, evento santificatore del lavoro umano e prospettiva metodologica di giustizia sociale e di dignità civile e religiosa, culmine e ripartenza di ogni rinnovamento".

Nella lettera, che è stata illustrata in una conferenza stampa dallo stesso monsignor Piemontese, e alla quale sono intervenuti don Matteo Antonelli vicario episcopale per il Laicato e Luca Diotallevi presidente diocesano di Azione Cattolica, viene proposta una lettura, in questo tempo di pandemia e soprattutto in quello della post pandemia.

Un periodo, che apra a nuove visioni e opportunità che sorgono, in genere, dal superamento delle crisi epocali, quali le scoperte e gli slanci scientifici, sociali e culturali, scaturiti dagli sforzi per superare tali prove.

"La comunità intera -scrive ancora monsignor Piemontese- il lavoro in crisi endemica e messo in ginocchio dalla pandemia, le prospettive di crescita sociale hanno una opportunità provvidenziale ed unica nel piano denominato Next Generation Eu, che non può essere considerato solo nei sostegni finanziari dell’Unione Europea, ma è opportunità per ripensare e reimpostare un progetto di sviluppo e una rete di relazioni per l’intera nazione oltre che per regioni, comuni e comunità. Situazioni sociali precarie, frutto anche di indecisioni e imprevidenza della politica e dell’imprenditoria, ora si trovano nella opportunità di essere trasformate attraverso cambiamenti strategici e balzi in avanti che portino progresso e benessere economico, culturale, sociale e spirituale alle nostre genti.

Anche le nostre chiese dovranno riprogettare, in una dinamica sinodale e in sintonia con la società civile, il piano Next Generation It della Chiesa Italiana del terzo decennio del millennio, e la Next Generation TNA della nostra Chiesa particolare, accogliendo la fiamma dello Spirito e spalancando le porte del cenacolo per annunciare a tutti il Signore Risorto con la forza e luce dello Spirito Santo.

La nostra città, capoluogo e capofila della pluralità delle città e dei castelli del territorio, non può rassegnarsi al declino indotto da scelte sbagliate locali e generali, da egoismi di campanile o di parte e da ultimo dalle asfissie, dalle limitazioni e dai fallimenti causati dalla pandemia. In un’ora grave e delicata, varie vicende politiche hanno portato la nostra Italia a dotarsi di un governo di collaborazione nazionale. Un analogo spirito dovrebbe spingere la classe dirigente e tutte le forze culturali, civili, politiche e sociali più significative della città e della regione in uno straordinario sforzo generoso a collaborare a favore della Next Generation a Terni, in Umbria, in Italia e in Europa.

Alcune menti illuminate sono già al lavoro con proposte ideali ed operative. Va sostenuto e promosso da parte dei responsabili della Civitas -conclude il vescovo- ogni sforzo e progetto positivo e propositivo di risveglio e di sviluppo civile, sociale e religioso".

Evento speciale il prossimo 15 maggio

Un altro evento significativo di questo quarantesimo anniversario, sarà vissuto proprio all'interno dell’Acciai Speciali Terni il 15 maggio, nel piazzale dove il Papa San Giovanni Paolo II incontrò gli operai, con la celebrazione della Santa Messa all’aperto.

Di speranza per il futuro ha parlato il  presidente diocesano di Azione Cattolica, Luca Diotallevi, facendo riferimento alla creatività del lavoro

"Il lavoro -ha detto- non solo come dimensione oggettiva della fatica, ma come dimensione soggettiva, dimensione spirituale e creativa del lavoro che è oggi più forte e più vera di allora. Noi siamo impegnati a comprendere questo processo insieme agli uomini e alle donne di buona volontà, a difenderlo perché il lavoro è sempre a rischio di alienazione, a rischio di sfruttamento.

La grande profezia che troviamo nel messaggio di Giovanni Paolo II a Terni è l'importanza di una vita sociale strutturata sulla sussidiarietà, un poliedro di compiti diversi.

In questo quadro la riflessione della chiesa locale e nel suo piccolo dell'Azione Cattolica è un invito a una scelta coraggiosa, che ha trovato grande risposta nelle forze sociali, ma ancora non sufficiente risposte nei rappresentanti delle istituzioni politiche, ovvero la prospettiva che la spesa del Next generation Europe vada pensata a partire non dallo Stato, ma dalle comunità locali, dall'intera rete delle città di questo territorio".

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L’Ue “ordina” solo quando… https://www.lavoce.it/ue-ordina-solo-quando/ Thu, 25 Feb 2021 20:42:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59360 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Nel suo discorso alla Camera per annunciare, a nome del suo partito, il voto contrario al governo Draghi, Giorgia Meloni ha riconosciuto quanto sia importante per l’Italia far parte dell’Unione europea.

Però ha specificato che l’Unione europea la vorrebbe diversa, senza poteri sovranazionali, un po’ come un condominio (il paragone è mio) che amministra i beni comuni, ma per tutto il resto lascia ciascuno padrone in casa sua. Insomma, quello che non piace ai sovranisti è che la Ue abbia il potere di sovrapporre la sua politica a quelle dei Governi nazionali.

Ma attualmente la Ue fa questo? Bisogna fare un po’ di chiarezza. L’autorità più alta della Ue non è il Parlamento, che ha un ruolo più che altro simbolico; e neppure la Commissione, che certo conta moltissimo, ma ha solo funzioni esecutive. La sede vera del potere, dove si fanno le scelte di fondo per la politica e per l’economia europea, è il Consiglio, che è il tavolo intorno al quale si riuniscono periodicamente i capi dei Governi dei 27 Stati membri o, a seconda dei casi, i rispettivi ministri competenti per materia. E lì, nel Consiglio, le decisioni devono essere approvate all’unanimità, cioè basta il voto contrario di uno per far saltare tutto. Riguardo a molte decisioni, poi, è necessario anche un voto di ratifica da parte di ciascuno dei 27 Parlamenti nazionali. Solo dopo questi passaggi una regola diventa vincolante; e a questo punto entra in gioco la Commissione (quella presieduta da Ursula von der Leyen), che ha il compito di mettere in pratica le decisioni del Consiglio e di sorvegliare che lo facciano anche i Governi nazionali.

Quindi, quando sentiamo dire che la Commissione ordina all’Italia di fare questo e quello, non è un dispetto, ma ci sta semplicemente ricordando qualche obbligo che abbiamo liberamente sottoscritto. Il tutto va visto nell’ottica di un mondo che è sempre più stretto, dove ci sono opportunità di sviluppo e benessere quali l’umanità non ha mai visto, ma per usufruirne bisogna organizzarsi e coordinarsi su scala planetaria. I sovranisti se ne facciano una ragione.

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Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Nel suo discorso alla Camera per annunciare, a nome del suo partito, il voto contrario al governo Draghi, Giorgia Meloni ha riconosciuto quanto sia importante per l’Italia far parte dell’Unione europea.

Però ha specificato che l’Unione europea la vorrebbe diversa, senza poteri sovranazionali, un po’ come un condominio (il paragone è mio) che amministra i beni comuni, ma per tutto il resto lascia ciascuno padrone in casa sua. Insomma, quello che non piace ai sovranisti è che la Ue abbia il potere di sovrapporre la sua politica a quelle dei Governi nazionali.

Ma attualmente la Ue fa questo? Bisogna fare un po’ di chiarezza. L’autorità più alta della Ue non è il Parlamento, che ha un ruolo più che altro simbolico; e neppure la Commissione, che certo conta moltissimo, ma ha solo funzioni esecutive. La sede vera del potere, dove si fanno le scelte di fondo per la politica e per l’economia europea, è il Consiglio, che è il tavolo intorno al quale si riuniscono periodicamente i capi dei Governi dei 27 Stati membri o, a seconda dei casi, i rispettivi ministri competenti per materia. E lì, nel Consiglio, le decisioni devono essere approvate all’unanimità, cioè basta il voto contrario di uno per far saltare tutto. Riguardo a molte decisioni, poi, è necessario anche un voto di ratifica da parte di ciascuno dei 27 Parlamenti nazionali. Solo dopo questi passaggi una regola diventa vincolante; e a questo punto entra in gioco la Commissione (quella presieduta da Ursula von der Leyen), che ha il compito di mettere in pratica le decisioni del Consiglio e di sorvegliare che lo facciano anche i Governi nazionali.

Quindi, quando sentiamo dire che la Commissione ordina all’Italia di fare questo e quello, non è un dispetto, ma ci sta semplicemente ricordando qualche obbligo che abbiamo liberamente sottoscritto. Il tutto va visto nell’ottica di un mondo che è sempre più stretto, dove ci sono opportunità di sviluppo e benessere quali l’umanità non ha mai visto, ma per usufruirne bisogna organizzarsi e coordinarsi su scala planetaria. I sovranisti se ne facciano una ragione.

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Celebrata la messa di fine anno nella cattedrale di Terni con il canto del Te Deum https://www.lavoce.it/celebrata-la-messa-di-fine-anno-nella-cattedrale-di-terni-con-il-canto-del-te-deum/ Fri, 01 Jan 2021 10:37:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58665 Il vescovo Giuseppe Piemontese celebra la messa con il canto del Te Teum in cattedrale

Celebrata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Alla celebrazione erano presenti i canonici della cattedrale di Terni, il sindaco di Terni Leonardo Latini, il vice prefetto Andrea Gambassi, il Questore di Terni Roberto Massucci, il presidente della Fondazione Carit Luigi Carlini, i rappresentanti delle altre autorità militari, delle associazioni e movimenti ecclesiali. "La conclusione di questo anno appare molto diversa dagli altri anni – ha detto il Vescovo - Le considerazioni possono fluire con una certa dose di spontaneità e di ovvietà visto che tutti siamo stati sovrastati dalla pandemia del Covid-19. Fermiamo per qualche istante la nostra attenzione sul tempo che abbiamo vissuto per coglierne gli aspetti di pesantezza, di drammaticità prevalente, ma anche gli aspetti positivi e di singolarità in riferimento alla vita personale, familiare, civile, sociale ed ecclesiale». La speranza della fede "La venuta di Gesù da duemila anni è segno di speranza per l’umanità e per ciascuno. È questa la ragione e l’àncora di speranza per noi che vediamo scorrere il tempo, che conduce anche noi inesorabilmente verso il compimento, la fine, la morte terrena. Noi che siamo animati dalla fede, in qualunque situazione possiamo guardare con fiducia allo scorrere del tempo e al futuro perché Dio è con noi; il bambino di Betlemme ci conferma l’interesse di Dio per le vicende dell’umanità e per ciascuno di noi, non ci ha abbandonati. Questa sera, facendo memoria dell’anno trascorso, questo pensiero ci è di conforto e suscita sentimenti di gratitudine in ognuno. Si, proprio nell’anno della pandemia, confortati da queste considerazioni, siamo qui per coltivare ed esprimere gratitudine e speranza".   La pandemia, la sofferenza, la solidarietà, la crisi economica e la ricerca medica. Nell’omelia molti sono stati i riferimenti del Vescovo a quanto accaduto nell’anno trascorso "che hanno inciso un segno indelebile e che influiranno nel futuro della nostra storia personale, della società e della Chiesa. Tutti noi abbiamo vissuto giorni di smarrimento e di preoccupazione. Diversi di noi hanno attraversato ore di angoscia: mancanza di respiro, dolori su tutto il corpo, rifiuto del cibo, isolamento medico, sociale e affettivo; interminabili giorni di solitudine e di incertezza sull’esito del morbo. Abbiamo assistito, increduli ed estasiati a gesti anche eroici di altruismo e di generosità, emersi dal profondo di una umanità e che pensavamo scomparsi. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, forze dell’ordine, Istituzioni…. Ma anche genitori, figli, amici, giovani volontari che si sono prodigati e inventati modi per portare cure, aiuti e sollievo a chi era nel bisogno e nella solitudine: per tanto bene ringraziamo il Signore. Abbiamo osservato con meraviglia mista a sbigottimento le tante file di indigenti soccorsi alle mense della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Anche le Istituzioni civili, militari, gli scienziati di ogni parte del mondo hanno assicurato la vicinanza operosa e benefica al popolo. Le ristrettezze economiche di famiglie, aziende, imprese hanno accresciuto la sofferenza e la preoccupazione per il presente e per il futuro. I progetti di sostegno economico, messi in campo dell’Unione europea e dai singoli Stati, alimentano la speranza nella ripresa economica, civile, sociale, culturale. I farmaci resi disponibili per tutti i malati e soprattutto il vaccino anticovid, distribuito in questi giorni in varie parti del mondo e anche in Italia, è frutto della collaborazione tra scienziati, ma anche della sinergia di governi e autorità varie. Anche ciò è segno della benevolenza e Provvidenza del Signore che ispira il volere e l’operare per la diffusione del bene tra gli uomini".    La riscoperta della meditazione e del senso della comunità civile ed ecclesiale durante il lock down "Nel tempo del lockdown siamo rientrati in noi stessi e abbiamo potuto riscoprire la riflessione, la meditazione della parola di Dio, la preghiera e la contemplazione del volto di Dio. La solitudine tra le quatto mura di casa e l’impossibilità di partecipare alla santa Messa col digiuno eucaristico ha rafforzato in noi il bisogno del Pane eucaristico e della comunità e ci ha fatto scoprire che siamo veramente tutti sulla stessa barca: ognuno deve remare in maniera ordinata e sincronica per poter raggiungere il porto sospirato e la salvezza. Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo.   Leggere i segni dei tempi Il popolo di Dio che sa leggere i segni dei tempi, anche di questa pandemia; sa riconoscere la presenza misericordiosa di Dio, impara ad apprezzare, a rispettare, custodire e curare il creato e i frutti della terra e del lavoro dell’uomo per un universo sano, ordinato per il benessere materiale e spirituale dell’umanità.   Gli auguri per il nuovo anno "Allo spegnersi di questo anno 2020, che vorremmo cancellare dalla storia, vogliamo ripetere a noi stessi che tutto è Grazia e impegnarci ad approfondire con saggezza il senso di questi eventi per le nostre comunità e per ciascuno. Lasciamo posare su di noi la benedizione del Signore perché la consolazione di Dio ci conforti e ognuno comprenda con responsabilità la propria parte da compiere per rinnovare l’esistenza propria e della comunità". [gallery ids="58671,58670,58669,58673,58672"]  ]]>
Il vescovo Giuseppe Piemontese celebra la messa con il canto del Te Teum in cattedrale

Celebrata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Alla celebrazione erano presenti i canonici della cattedrale di Terni, il sindaco di Terni Leonardo Latini, il vice prefetto Andrea Gambassi, il Questore di Terni Roberto Massucci, il presidente della Fondazione Carit Luigi Carlini, i rappresentanti delle altre autorità militari, delle associazioni e movimenti ecclesiali. "La conclusione di questo anno appare molto diversa dagli altri anni – ha detto il Vescovo - Le considerazioni possono fluire con una certa dose di spontaneità e di ovvietà visto che tutti siamo stati sovrastati dalla pandemia del Covid-19. Fermiamo per qualche istante la nostra attenzione sul tempo che abbiamo vissuto per coglierne gli aspetti di pesantezza, di drammaticità prevalente, ma anche gli aspetti positivi e di singolarità in riferimento alla vita personale, familiare, civile, sociale ed ecclesiale». La speranza della fede "La venuta di Gesù da duemila anni è segno di speranza per l’umanità e per ciascuno. È questa la ragione e l’àncora di speranza per noi che vediamo scorrere il tempo, che conduce anche noi inesorabilmente verso il compimento, la fine, la morte terrena. Noi che siamo animati dalla fede, in qualunque situazione possiamo guardare con fiducia allo scorrere del tempo e al futuro perché Dio è con noi; il bambino di Betlemme ci conferma l’interesse di Dio per le vicende dell’umanità e per ciascuno di noi, non ci ha abbandonati. Questa sera, facendo memoria dell’anno trascorso, questo pensiero ci è di conforto e suscita sentimenti di gratitudine in ognuno. Si, proprio nell’anno della pandemia, confortati da queste considerazioni, siamo qui per coltivare ed esprimere gratitudine e speranza".   La pandemia, la sofferenza, la solidarietà, la crisi economica e la ricerca medica. Nell’omelia molti sono stati i riferimenti del Vescovo a quanto accaduto nell’anno trascorso "che hanno inciso un segno indelebile e che influiranno nel futuro della nostra storia personale, della società e della Chiesa. Tutti noi abbiamo vissuto giorni di smarrimento e di preoccupazione. Diversi di noi hanno attraversato ore di angoscia: mancanza di respiro, dolori su tutto il corpo, rifiuto del cibo, isolamento medico, sociale e affettivo; interminabili giorni di solitudine e di incertezza sull’esito del morbo. Abbiamo assistito, increduli ed estasiati a gesti anche eroici di altruismo e di generosità, emersi dal profondo di una umanità e che pensavamo scomparsi. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, forze dell’ordine, Istituzioni…. Ma anche genitori, figli, amici, giovani volontari che si sono prodigati e inventati modi per portare cure, aiuti e sollievo a chi era nel bisogno e nella solitudine: per tanto bene ringraziamo il Signore. Abbiamo osservato con meraviglia mista a sbigottimento le tante file di indigenti soccorsi alle mense della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Anche le Istituzioni civili, militari, gli scienziati di ogni parte del mondo hanno assicurato la vicinanza operosa e benefica al popolo. Le ristrettezze economiche di famiglie, aziende, imprese hanno accresciuto la sofferenza e la preoccupazione per il presente e per il futuro. I progetti di sostegno economico, messi in campo dell’Unione europea e dai singoli Stati, alimentano la speranza nella ripresa economica, civile, sociale, culturale. I farmaci resi disponibili per tutti i malati e soprattutto il vaccino anticovid, distribuito in questi giorni in varie parti del mondo e anche in Italia, è frutto della collaborazione tra scienziati, ma anche della sinergia di governi e autorità varie. Anche ciò è segno della benevolenza e Provvidenza del Signore che ispira il volere e l’operare per la diffusione del bene tra gli uomini".    La riscoperta della meditazione e del senso della comunità civile ed ecclesiale durante il lock down "Nel tempo del lockdown siamo rientrati in noi stessi e abbiamo potuto riscoprire la riflessione, la meditazione della parola di Dio, la preghiera e la contemplazione del volto di Dio. La solitudine tra le quatto mura di casa e l’impossibilità di partecipare alla santa Messa col digiuno eucaristico ha rafforzato in noi il bisogno del Pane eucaristico e della comunità e ci ha fatto scoprire che siamo veramente tutti sulla stessa barca: ognuno deve remare in maniera ordinata e sincronica per poter raggiungere il porto sospirato e la salvezza. Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo.   Leggere i segni dei tempi Il popolo di Dio che sa leggere i segni dei tempi, anche di questa pandemia; sa riconoscere la presenza misericordiosa di Dio, impara ad apprezzare, a rispettare, custodire e curare il creato e i frutti della terra e del lavoro dell’uomo per un universo sano, ordinato per il benessere materiale e spirituale dell’umanità.   Gli auguri per il nuovo anno "Allo spegnersi di questo anno 2020, che vorremmo cancellare dalla storia, vogliamo ripetere a noi stessi che tutto è Grazia e impegnarci ad approfondire con saggezza il senso di questi eventi per le nostre comunità e per ciascuno. Lasciamo posare su di noi la benedizione del Signore perché la consolazione di Dio ci conforti e ognuno comprenda con responsabilità la propria parte da compiere per rinnovare l’esistenza propria e della comunità". [gallery ids="58671,58670,58669,58673,58672"]  ]]>
I tremendi effetti del coronavirus sul panorama geopolitico mondiale https://www.lavoce.it/i-tremendi-effetti-del-coronavirus-sul-panorama-geopolitico-mondiale/ Thu, 21 May 2020 17:01:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57205

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>
CORONAVIRUS. Dopo il nobile gesto dell’Albania https://www.lavoce.it/coronavirus-gesto-albania/ Thu, 02 Apr 2020 11:00:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56725

Gli albanesi non dimenticano. I tedeschi, a quanto pare, sì.

Non si tratta di fare classifiche di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma di valutare comportamenti per programmare meglio, e con maggiore acume, il futuro. L’attuale leader dell’Albania, che invia in Italia 30 tra medici e infermieri sulla “linea del fuoco” dell’ospedale di Brescia, spiega la sua decisione. Il suo è un Paese “povero, ma che non dimentica” quanto fatto dall’Italia all’inizio degli anni Novanta, con l’operazione ‘Pellicano’, per aiutare un Paese che usciva povero e lacerato da una lunga e devastante dittatura di stampo comunista. Il discorso fatto dal leader Edi Rama, nella breve cerimonia che ha accompagnato la partenza del personale sanitario albanese, condiviso da tutte le forze politiche italiane. Che magari potrebbero trarre spunto non soltanto per la scelta della parole, davvero calibrate e incisive, ma anche e soprattutto per la passione che dovrebbe guidare l’operato di chi ha in mano le sorti dell’opinione pubblica. Qui risulta quanto meno superfluo distinguere tra maggioranza e opposizione.

L'emergenza non ha confini

Se si continuasse a ragionare con il criterio della contrapposizione aprioristica, si commetterebbe lo stesso errore che sta ispirando le nazioni del Nord come Olanda, Austria e Finlandia, con in testa la Germania di Angela Merkel. Non sono infatti bastati i richiami di personalità come lo stesso Papa Francesco e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per far comprendere che la pandemia deve spingerci, tutti, a cambiare le chiavi di lettura e di comportamento. Perché è, nel contempo, emergenza sanitaria ed economica; che non conosce frontiere e confini. E purtroppo colpirà in modo indiscriminato in ogni zona del pianeta. “Nessuno si salva da solo” hanno ripetuto il Pontefice e il Capo dello Stato. Questo vale sia per la salute sia per la produzione, il lavoro, la tenuta sociale. Pare che questi autorevoli richiami a fare fronte comune non siano stati ben compresi da chi, in un primo tempo a livello europeo, ha tentato di trattare l’epidemia in Italia come un caso isolato. Un segnale di consapevolezza, in verità, dopo le prime titubanze, lo ha mandato la Banca centrale europea. La Banca ha stanziato un cifra consistente per assorbire il necessario debito che l’Italia. Dovrà impegnarsi ad affrontare per resistere ai colpi devastanti del virus sul tessuto economico. Ma su un’assunzione di responsabilità collettiva, sul piano finanziario, degli oneri di quella che dovrà essere una vera ricostruzione, con tratti post-bellici, delle singole economie, la Germania e gli altri suoi accoliti nordici hanno preso tempo. Molto per l’atavica loro prevenzione verso l’approccio - a loro dire - da ‘cicale’ dei Paesi mediterranei sull’equilibrio finanziario interno. Molto anche per una connaturata loro inclinazione ad anteporre le ragioni del portafoglio a quelle del cuore.

Il "Non italiano"

Non sembra aver fatto breccia neanche l’intervento di quel Mario Draghi che, da presidente della Bce, salvò la moneta unica europea acquistando per anni titoli di credito dei singoli Stati membri dell’Unione. Draghi colui che gli americani definivano Unitalian, il ‘Non italiano’, per il suo approccio poco passionale ma molto diretto ai problemi economici. Draghi non ha usato giri di parole: “Bisogna agire subito, perché questa è una guerra. Va data liquidità nel sistema, senza preoccuparsi del debito pubblico. Perché la recessione post-pandemia sarà profonda e rischia di essere la tomba dell’Europa”. Una responsabilità, quella di far affondare il progetto di Unione europea, che peserà tutta sulle spalle di chi, sottraendosi a una solidarietà probabilmente fuori dalle sue corde etiche, dimostra di non possedere la preveggenza necessaria per progettare un futuro in cui nessuno - non soltanto l’Italia - potrà salvarsi da solo. Eppure la Germania si dovrebbe ricordare del 1953. Ben 20 creditori stranieri (tra cui la Grecia) per aiutarla a uscire dalle macerie della guerra le cancellarono il 46% del debito pre-bellico e il 52 di quello post-bellico. “La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano” recita un verso di una canzone di De Gregori. Viene il tempo, sempre, in cui per le proprie scelte si devono fare i conti con la Storia. Per ora, i conti vanno fatti con il contagio. Daris Giancarlini]]>

Gli albanesi non dimenticano. I tedeschi, a quanto pare, sì.

Non si tratta di fare classifiche di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma di valutare comportamenti per programmare meglio, e con maggiore acume, il futuro. L’attuale leader dell’Albania, che invia in Italia 30 tra medici e infermieri sulla “linea del fuoco” dell’ospedale di Brescia, spiega la sua decisione. Il suo è un Paese “povero, ma che non dimentica” quanto fatto dall’Italia all’inizio degli anni Novanta, con l’operazione ‘Pellicano’, per aiutare un Paese che usciva povero e lacerato da una lunga e devastante dittatura di stampo comunista. Il discorso fatto dal leader Edi Rama, nella breve cerimonia che ha accompagnato la partenza del personale sanitario albanese, condiviso da tutte le forze politiche italiane. Che magari potrebbero trarre spunto non soltanto per la scelta della parole, davvero calibrate e incisive, ma anche e soprattutto per la passione che dovrebbe guidare l’operato di chi ha in mano le sorti dell’opinione pubblica. Qui risulta quanto meno superfluo distinguere tra maggioranza e opposizione.

L'emergenza non ha confini

Se si continuasse a ragionare con il criterio della contrapposizione aprioristica, si commetterebbe lo stesso errore che sta ispirando le nazioni del Nord come Olanda, Austria e Finlandia, con in testa la Germania di Angela Merkel. Non sono infatti bastati i richiami di personalità come lo stesso Papa Francesco e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per far comprendere che la pandemia deve spingerci, tutti, a cambiare le chiavi di lettura e di comportamento. Perché è, nel contempo, emergenza sanitaria ed economica; che non conosce frontiere e confini. E purtroppo colpirà in modo indiscriminato in ogni zona del pianeta. “Nessuno si salva da solo” hanno ripetuto il Pontefice e il Capo dello Stato. Questo vale sia per la salute sia per la produzione, il lavoro, la tenuta sociale. Pare che questi autorevoli richiami a fare fronte comune non siano stati ben compresi da chi, in un primo tempo a livello europeo, ha tentato di trattare l’epidemia in Italia come un caso isolato. Un segnale di consapevolezza, in verità, dopo le prime titubanze, lo ha mandato la Banca centrale europea. La Banca ha stanziato un cifra consistente per assorbire il necessario debito che l’Italia. Dovrà impegnarsi ad affrontare per resistere ai colpi devastanti del virus sul tessuto economico. Ma su un’assunzione di responsabilità collettiva, sul piano finanziario, degli oneri di quella che dovrà essere una vera ricostruzione, con tratti post-bellici, delle singole economie, la Germania e gli altri suoi accoliti nordici hanno preso tempo. Molto per l’atavica loro prevenzione verso l’approccio - a loro dire - da ‘cicale’ dei Paesi mediterranei sull’equilibrio finanziario interno. Molto anche per una connaturata loro inclinazione ad anteporre le ragioni del portafoglio a quelle del cuore.

Il "Non italiano"

Non sembra aver fatto breccia neanche l’intervento di quel Mario Draghi che, da presidente della Bce, salvò la moneta unica europea acquistando per anni titoli di credito dei singoli Stati membri dell’Unione. Draghi colui che gli americani definivano Unitalian, il ‘Non italiano’, per il suo approccio poco passionale ma molto diretto ai problemi economici. Draghi non ha usato giri di parole: “Bisogna agire subito, perché questa è una guerra. Va data liquidità nel sistema, senza preoccuparsi del debito pubblico. Perché la recessione post-pandemia sarà profonda e rischia di essere la tomba dell’Europa”. Una responsabilità, quella di far affondare il progetto di Unione europea, che peserà tutta sulle spalle di chi, sottraendosi a una solidarietà probabilmente fuori dalle sue corde etiche, dimostra di non possedere la preveggenza necessaria per progettare un futuro in cui nessuno - non soltanto l’Italia - potrà salvarsi da solo. Eppure la Germania si dovrebbe ricordare del 1953. Ben 20 creditori stranieri (tra cui la Grecia) per aiutarla a uscire dalle macerie della guerra le cancellarono il 46% del debito pre-bellico e il 52 di quello post-bellico. “La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano” recita un verso di una canzone di De Gregori. Viene il tempo, sempre, in cui per le proprie scelte si devono fare i conti con la Storia. Per ora, i conti vanno fatti con il contagio. Daris Giancarlini]]>
Contro i profughi non è indifferenza, è violenza https://www.lavoce.it/contro-i-profughi-non-e-indifferenza-e-violenza/ Sun, 08 Mar 2020 20:35:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56418

Soltanto una scorza dura-dura che non lascia scampo ai sentimenti e al pianto può mostrarsi così indifferente di fronte al dramma dei profughi siriani. Le notizie e le immagini che in questi giorni ci raggiungono sulla sorte dei sopravvissuti alla guerra in quell’angolo del pianeta superano perfino quella “cultura dell’indifferenza” più volte denunciata da Papa Francesco. Infatti non si tratta più nemmeno di voltarsi dall’altra parte, ma addirittura di accanirsi, perfino con violenza, contro persone che hanno l’unica ‘colpa’ di scappare dalla violenza della guerra e dalla morte certa sotto le bombe. Le notizie di padri e madri che si vedono morire i bambini di freddo tra le braccia, quelli sui quali si arriva addirittura a sparare o che si cerca di affondare mentre in mare cercano un approdo o un salvataggio, quelli che devono difendersi dai lacrimogeni e dai manganelli dei militari greci, quelli usati come arma di ricatto dal Governo turco... Sembra essere in atto una vera e propria involuzione antropologica, una dinamica disumanizzante che genera violenza e indifferenza. Se non fosse così, le nostre coscienze si rivolterebbero, alzerebbero la voce, farebbero qualcosa... Ma non è umanamente tollerabile che chi scappa dalla violenza, superando pericoli e disagi d’ogni genere e rischiando la vita per mettersi al sicuro, possa essere accolto in un Lager e respinto, nel modo che sappiamo, se solo tenta di superare i confini. Lo chiediamo con forza all’Unione europea, all’Onu, a tutti gii organismi sovranazionali e ai Governi dei Paesi direttamente coinvolti: ascoltate la vostra coscienza! Questo, occhi di bambini imploranti, corpi immobilizzati da armi chimiche e madri disperate, lo chiedono da anni nei campi di battaglia siriani. Davvero era così impossibile sedersi a un tavolo dei negoziati per pretendere la fine di quello scempio? Ci si chiede se una forza di polizia internazionale non avrebbe dovuto già da tempo schierarsi nelle aree interessate al conflitto, e oggi nella regione di Idlib, a difesa degli inermi. Se Russia, Stati Uniti, Turchia non debbano rendere conto a un Consiglio di sicurezza che è chiamato a essere fedele al suo stesso nome, prima ancora che al suo mandato. Quelle Nazioni Unite che nascevano proprio per “preservare le future generazioni dal flagello della guerra”. In Africa abbiamo imparato un triste proverbio: “Quando due pachidermi si fanno guerra, non si sa mai chi vincerà, ma una cosa è certa: l’erba ci rimette sempre”. Basterebbe poco per smentirlo, e schierarsi decisamente a difesa dell’erba.]]>

Soltanto una scorza dura-dura che non lascia scampo ai sentimenti e al pianto può mostrarsi così indifferente di fronte al dramma dei profughi siriani. Le notizie e le immagini che in questi giorni ci raggiungono sulla sorte dei sopravvissuti alla guerra in quell’angolo del pianeta superano perfino quella “cultura dell’indifferenza” più volte denunciata da Papa Francesco. Infatti non si tratta più nemmeno di voltarsi dall’altra parte, ma addirittura di accanirsi, perfino con violenza, contro persone che hanno l’unica ‘colpa’ di scappare dalla violenza della guerra e dalla morte certa sotto le bombe. Le notizie di padri e madri che si vedono morire i bambini di freddo tra le braccia, quelli sui quali si arriva addirittura a sparare o che si cerca di affondare mentre in mare cercano un approdo o un salvataggio, quelli che devono difendersi dai lacrimogeni e dai manganelli dei militari greci, quelli usati come arma di ricatto dal Governo turco... Sembra essere in atto una vera e propria involuzione antropologica, una dinamica disumanizzante che genera violenza e indifferenza. Se non fosse così, le nostre coscienze si rivolterebbero, alzerebbero la voce, farebbero qualcosa... Ma non è umanamente tollerabile che chi scappa dalla violenza, superando pericoli e disagi d’ogni genere e rischiando la vita per mettersi al sicuro, possa essere accolto in un Lager e respinto, nel modo che sappiamo, se solo tenta di superare i confini. Lo chiediamo con forza all’Unione europea, all’Onu, a tutti gii organismi sovranazionali e ai Governi dei Paesi direttamente coinvolti: ascoltate la vostra coscienza! Questo, occhi di bambini imploranti, corpi immobilizzati da armi chimiche e madri disperate, lo chiedono da anni nei campi di battaglia siriani. Davvero era così impossibile sedersi a un tavolo dei negoziati per pretendere la fine di quello scempio? Ci si chiede se una forza di polizia internazionale non avrebbe dovuto già da tempo schierarsi nelle aree interessate al conflitto, e oggi nella regione di Idlib, a difesa degli inermi. Se Russia, Stati Uniti, Turchia non debbano rendere conto a un Consiglio di sicurezza che è chiamato a essere fedele al suo stesso nome, prima ancora che al suo mandato. Quelle Nazioni Unite che nascevano proprio per “preservare le future generazioni dal flagello della guerra”. In Africa abbiamo imparato un triste proverbio: “Quando due pachidermi si fanno guerra, non si sa mai chi vincerà, ma una cosa è certa: l’erba ci rimette sempre”. Basterebbe poco per smentirlo, e schierarsi decisamente a difesa dell’erba.]]>
Coronavirus e profughi siriani. Dove sta l’UE? https://www.lavoce.it/coronavirus-e-profughi-siriani-dove-sta-lue/ Sun, 08 Mar 2020 20:00:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56415

L’Europa assediata da virus e migrazioni rischia di sbriciolarsi sotto la pressione di interessi che, anche di fronte a un contagio che non conosce confini o frontiere, faticano a trovare un punto d’incontro che permetta di arginare e minimizzare i danni - sanitari prima di tutto, ma anche economici e sociali - che il diffondersi dell’epidemia sta già producendo. La dimensione del Continente europeo - 513 milioni di abitanti - e soprattutto la sua organizzazione politica e monetaria dovrebbero di per sé consentire di approcciare problemi inattesi (come il Covid-19, che ha innescato la peggiore crisi sanitaria del secondo dopoguerra) o stranoti (come quello dei profughi che fuggono dalle guerre e dalle carestie) con qualcosa di più e di meglio dell’approccio incerto e tardivo che i vari organismi comunitari - a partire dalla nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen - hanno messo in atto nelle ultime, convulse settimane. Ora si parla di una forza d’intervento per affrontare a livello comunitario il problema sanitario e quello economico (altrettanto rilevante) a esso collegato. “Il livello di rischio è salito da moderato ad alto”, ha riconosciuto la Presidente della Commissione Ue: verrebbe da dire - rischiando di essere tacciati di antieuropeismo - che il rischio legato al coronavirus è stato sottovalutato finché i casi hanno riguardato soltanto l’Italia. A fronte delle cui richieste di sostegni economici, e non solo, i Paesi del Nord europa hanno opposto il solito, scontato rifiuto, ritenendolo come ennesimo stratagemma levantino e furbesco per aumentare il deficit e sforare i parametri di spesa. Il commissario europeo all’economia, l’italiano Paolo Gentiloni, almeno lui ha avuto parole di comprensione: “In casi eccezionali - ha ribadito - come quello in atto, la flessibilità è prevista e regolata”. Quello che serve in realtà, ora che i casi di contagio sono oltre 2.100 in 18 Paesi dell’Unione, è quella che lo stesso Gentiloni ha definito “una risposta coordinata a livello europeo”. Che finora è mancata, prima di tutto a livello sanitario. È noto che la materia sanitaria è titolarità esclusiva dei singoli Stati, ma nel caso di un’epidemia come quella in corso la comunità scientifica e medica ha il dovere di muoversi in modo coordinato a livello sovranazionale. Non è successo: Francia e Germania avevano isolato il ceppo di coronavirus qualche settimana prima dello “Spallanzani” di Roma. Ma non lo avevano comunicato. Adesso però che alla parola ‘contagio’ si associa il termine ‘recessione’, anche i freddi Paesi nordici sembrano cedere di fronte alla necessità di attivare un grande piano europeo di sostegno all’economia. Anche perché in una settimana le Borse hanno perso più del 10 per cento, e solo quella italiana ha bruciato 20 miliardi in quattro sedute. E mentre si cerca una risposta comune per la tutela della salute del Continente e la difesa dell’economia, quello che risulta evidente è che le risposte che i singoli Stati hanno dato sinora non sono bastate e non basteranno. L’altro banco di prova per la tenuta dell’Unione è il vero e proprio ricatto messo in atto nelle ultime settimane dalla Turchia con la riapertura dei flussi dei profughi siriani verso la rotta balcanica. Quei flussi che l’Europa, su spinta quasi esclusivamente tedesca, aveva bloccato ‘regalando’ alla Turchia e al suo presidente, Recep Tayip Erdogan, ben 6 miliardi di euro. Ora da quel Paese che fa da cerniera tra l’Europa, la Russia, il Medio Oriente e l’Asia arriva la richiesta di altri fondi per fermare i migranti, ora confinati nelle isole greche. “Una questione ben più drammatica del coronavirus” osserva il missionario comboniano e direttore di Nigrizia padre Ganapini, mentre Emma Bonino, esperta di questioni internazionali, rimarca “l’incapacità di governare da europei” il problema del Medio Oriente in costante ebollizione. Una carenza, questa, che danneggia anche e soprattutto l’Italia. La quale, in questa fase, non ha altra possibilità che quella di scommettere, nonostante tutto, sull’Europa. A condizione che l’Unione riesca a parlare, politicamente, con una voce sola. Daris Giancarlini]]>

L’Europa assediata da virus e migrazioni rischia di sbriciolarsi sotto la pressione di interessi che, anche di fronte a un contagio che non conosce confini o frontiere, faticano a trovare un punto d’incontro che permetta di arginare e minimizzare i danni - sanitari prima di tutto, ma anche economici e sociali - che il diffondersi dell’epidemia sta già producendo. La dimensione del Continente europeo - 513 milioni di abitanti - e soprattutto la sua organizzazione politica e monetaria dovrebbero di per sé consentire di approcciare problemi inattesi (come il Covid-19, che ha innescato la peggiore crisi sanitaria del secondo dopoguerra) o stranoti (come quello dei profughi che fuggono dalle guerre e dalle carestie) con qualcosa di più e di meglio dell’approccio incerto e tardivo che i vari organismi comunitari - a partire dalla nuova Commissione a guida Ursula von der Leyen - hanno messo in atto nelle ultime, convulse settimane. Ora si parla di una forza d’intervento per affrontare a livello comunitario il problema sanitario e quello economico (altrettanto rilevante) a esso collegato. “Il livello di rischio è salito da moderato ad alto”, ha riconosciuto la Presidente della Commissione Ue: verrebbe da dire - rischiando di essere tacciati di antieuropeismo - che il rischio legato al coronavirus è stato sottovalutato finché i casi hanno riguardato soltanto l’Italia. A fronte delle cui richieste di sostegni economici, e non solo, i Paesi del Nord europa hanno opposto il solito, scontato rifiuto, ritenendolo come ennesimo stratagemma levantino e furbesco per aumentare il deficit e sforare i parametri di spesa. Il commissario europeo all’economia, l’italiano Paolo Gentiloni, almeno lui ha avuto parole di comprensione: “In casi eccezionali - ha ribadito - come quello in atto, la flessibilità è prevista e regolata”. Quello che serve in realtà, ora che i casi di contagio sono oltre 2.100 in 18 Paesi dell’Unione, è quella che lo stesso Gentiloni ha definito “una risposta coordinata a livello europeo”. Che finora è mancata, prima di tutto a livello sanitario. È noto che la materia sanitaria è titolarità esclusiva dei singoli Stati, ma nel caso di un’epidemia come quella in corso la comunità scientifica e medica ha il dovere di muoversi in modo coordinato a livello sovranazionale. Non è successo: Francia e Germania avevano isolato il ceppo di coronavirus qualche settimana prima dello “Spallanzani” di Roma. Ma non lo avevano comunicato. Adesso però che alla parola ‘contagio’ si associa il termine ‘recessione’, anche i freddi Paesi nordici sembrano cedere di fronte alla necessità di attivare un grande piano europeo di sostegno all’economia. Anche perché in una settimana le Borse hanno perso più del 10 per cento, e solo quella italiana ha bruciato 20 miliardi in quattro sedute. E mentre si cerca una risposta comune per la tutela della salute del Continente e la difesa dell’economia, quello che risulta evidente è che le risposte che i singoli Stati hanno dato sinora non sono bastate e non basteranno. L’altro banco di prova per la tenuta dell’Unione è il vero e proprio ricatto messo in atto nelle ultime settimane dalla Turchia con la riapertura dei flussi dei profughi siriani verso la rotta balcanica. Quei flussi che l’Europa, su spinta quasi esclusivamente tedesca, aveva bloccato ‘regalando’ alla Turchia e al suo presidente, Recep Tayip Erdogan, ben 6 miliardi di euro. Ora da quel Paese che fa da cerniera tra l’Europa, la Russia, il Medio Oriente e l’Asia arriva la richiesta di altri fondi per fermare i migranti, ora confinati nelle isole greche. “Una questione ben più drammatica del coronavirus” osserva il missionario comboniano e direttore di Nigrizia padre Ganapini, mentre Emma Bonino, esperta di questioni internazionali, rimarca “l’incapacità di governare da europei” il problema del Medio Oriente in costante ebollizione. Una carenza, questa, che danneggia anche e soprattutto l’Italia. La quale, in questa fase, non ha altra possibilità che quella di scommettere, nonostante tutto, sull’Europa. A condizione che l’Unione riesca a parlare, politicamente, con una voce sola. Daris Giancarlini]]>
Sovranismo: non vale per i piccoli https://www.lavoce.it/sovranismo-piccoli/ Fri, 15 Nov 2019 17:35:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55730 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Torniamo sul sovranismo, un tema che di questi tempi va forte. I sovranisti dicono che vogliono essere amici di tutti, ma non vogliono che gli altri abbiano il potere di comandare in casa nostra.

Già, ma che vuol dire comandare ed essere comandati? E che vuol dire essere liberi? Essere immersi in una rete di relazioni sociali comporta grandi utilità, ma anche prezzi da pagare e regole da rispettare. I santi eremiti del deserto godevano di una libertà illimitata, ma abitavano in solitudine nelle grotte e si cibavano di locuste. L’alternativa è accettare il rapporto con il resto del genere umano, con i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano.

E poi, se il medico ti ordina di prendere certe medicine e di smettere di fumare, è un prepotente che coarta la tua libertà? Il capostazione che ti informa che il tuo treno partirà alle 6 di mattina, lo fa per impedirti di dormire fino a più tardi? Ci sono anche altri aspetti. A parte i vincoli derivanti dall’alleanza militare, gli Stati Uniti formalmente non hanno poteri sull’Italia, non gli abbiamo ceduto quote di sovranità.

Ma si dà il caso che gli Usa sono il terzo più grande compratore dei prodotti italiani (i primi due sono Germania e Francia) e ne acquistano per 40 miliardi all’anno, con un saldo attivo per noi di 25. Ma una mattina Trump si sveglia e mette un forte dazio sui prodotti italiani: per noi è un danno enorme, un mercato che si chiude, e non possiamo neppure protestare, perché non è stata violata la nostra sovranità, anzi è stato rispettato il principio che ciascuno comanda in casa propria.

Anche altri grandi Paesi, come la Russia e la Cina, se volessero, potrebbero sfruttare la loro forza commerciale per danneggiarci. Dunque non è il fatto di essere associati all’Unione europea ma il fatto che siamo piccoli a renderci vulnerabili. Anzi, è proprio far parte dell’Ue che ci rende un po’ meno vulnerabili, perché messi tutti insieme siamo (un po’) più forti. Come dice Carlo Cottarelli: se proprio dev’essere sovranismo, che sia almeno sovranismo europeo.

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di Pier Giorgio Lignani

Torniamo sul sovranismo, un tema che di questi tempi va forte. I sovranisti dicono che vogliono essere amici di tutti, ma non vogliono che gli altri abbiano il potere di comandare in casa nostra.

Già, ma che vuol dire comandare ed essere comandati? E che vuol dire essere liberi? Essere immersi in una rete di relazioni sociali comporta grandi utilità, ma anche prezzi da pagare e regole da rispettare. I santi eremiti del deserto godevano di una libertà illimitata, ma abitavano in solitudine nelle grotte e si cibavano di locuste. L’alternativa è accettare il rapporto con il resto del genere umano, con i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano.

E poi, se il medico ti ordina di prendere certe medicine e di smettere di fumare, è un prepotente che coarta la tua libertà? Il capostazione che ti informa che il tuo treno partirà alle 6 di mattina, lo fa per impedirti di dormire fino a più tardi? Ci sono anche altri aspetti. A parte i vincoli derivanti dall’alleanza militare, gli Stati Uniti formalmente non hanno poteri sull’Italia, non gli abbiamo ceduto quote di sovranità.

Ma si dà il caso che gli Usa sono il terzo più grande compratore dei prodotti italiani (i primi due sono Germania e Francia) e ne acquistano per 40 miliardi all’anno, con un saldo attivo per noi di 25. Ma una mattina Trump si sveglia e mette un forte dazio sui prodotti italiani: per noi è un danno enorme, un mercato che si chiude, e non possiamo neppure protestare, perché non è stata violata la nostra sovranità, anzi è stato rispettato il principio che ciascuno comanda in casa propria.

Anche altri grandi Paesi, come la Russia e la Cina, se volessero, potrebbero sfruttare la loro forza commerciale per danneggiarci. Dunque non è il fatto di essere associati all’Unione europea ma il fatto che siamo piccoli a renderci vulnerabili. Anzi, è proprio far parte dell’Ue che ci rende un po’ meno vulnerabili, perché messi tutti insieme siamo (un po’) più forti. Come dice Carlo Cottarelli: se proprio dev’essere sovranismo, che sia almeno sovranismo europeo.

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L’Ue resta senza politica estera https://www.lavoce.it/lue-resta-senza-politica-estera/ Thu, 10 Oct 2019 13:38:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55414 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Non bastassero le ansietà che ci provoca ogni giorno la politica italiana, con uno o più colpi di scena al giorno – lasciando sempre il sospetto che in fondo sia tutta una farsa – ci sono le più serie preoccupazioni che ci provoca il Medio Oriente.

I meno giovani tra noi ricordano quando, se si parlava di tensioni in Medio Oriente, ci si riferiva al conflitto tra arabi e israeliani. Ormai però, da diversi anni a questa parte, la questione di Israele, benché mai risolta, è quasi in secondo piano. Sono in corso conflitti armati e sanguinosi all’interno del mondo musulmano: guerre civili in Siria, in Yemen, in Iraq, in Libia.

E ancora, rivalità (che, se non sono già guerre, rischiano di diventarlo) fra le diverse correnti dell’islam: sciiti, sunniti, wahabiti. E poi, le ostilità fra grossi Stati: Iran, Turchia, Arabia Saudita. E c’è la perenne rivolta del popolo curdo, che costituirebbe una nazione di circa 50 milioni di persone se il suo territorio non fosse diviso da un secolo tra quattro Stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria), nessuno dei quali riconosce loro un’identità autonoma.

Possiamo cavarcela dicendo “fatti loro”? Evidentementeno. Su questo quadro già fosco grava l’ombra delle grandi potenze globali – Usa, Russia, Cina – ciascuna delle quali ha i suoi interessi e li gestisce senza scrupoli.

L’Unione europea non può tenersi fuori da tutto questo, ma dovrebbe spendere il suo peso politico ed economico, finché lo ha, per disinnescare almeno qualcuno di questi conflitti, in atto o potenziali, per non esserne contagiata e travolta. Ma per farlo con la necessaria autorevolezza dovrebbe essere veramente unita; quanto meno, avere una politica estera coordinata e coerente.

Purtroppo, lo sappiamo, l’Unione europea è un gigante senza forza. Come istituzione sovranazionale, può occuparsi solo di quanto gli Stati membri le delegano, e nei limiti di ciò che essi di volta in volta decidono, all’unanimità. La grande politica internazionale non vi rientra. Ciascuno degli Stati membri si muove per conto suo, se ha la forza di farlo; e se non ce l’ha, sta alla finestra. Una enorme potenzialità sprecata a motivo degli egoismi nazionali.

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Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Non bastassero le ansietà che ci provoca ogni giorno la politica italiana, con uno o più colpi di scena al giorno – lasciando sempre il sospetto che in fondo sia tutta una farsa – ci sono le più serie preoccupazioni che ci provoca il Medio Oriente.

I meno giovani tra noi ricordano quando, se si parlava di tensioni in Medio Oriente, ci si riferiva al conflitto tra arabi e israeliani. Ormai però, da diversi anni a questa parte, la questione di Israele, benché mai risolta, è quasi in secondo piano. Sono in corso conflitti armati e sanguinosi all’interno del mondo musulmano: guerre civili in Siria, in Yemen, in Iraq, in Libia.

E ancora, rivalità (che, se non sono già guerre, rischiano di diventarlo) fra le diverse correnti dell’islam: sciiti, sunniti, wahabiti. E poi, le ostilità fra grossi Stati: Iran, Turchia, Arabia Saudita. E c’è la perenne rivolta del popolo curdo, che costituirebbe una nazione di circa 50 milioni di persone se il suo territorio non fosse diviso da un secolo tra quattro Stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria), nessuno dei quali riconosce loro un’identità autonoma.

Possiamo cavarcela dicendo “fatti loro”? Evidentementeno. Su questo quadro già fosco grava l’ombra delle grandi potenze globali – Usa, Russia, Cina – ciascuna delle quali ha i suoi interessi e li gestisce senza scrupoli.

L’Unione europea non può tenersi fuori da tutto questo, ma dovrebbe spendere il suo peso politico ed economico, finché lo ha, per disinnescare almeno qualcuno di questi conflitti, in atto o potenziali, per non esserne contagiata e travolta. Ma per farlo con la necessaria autorevolezza dovrebbe essere veramente unita; quanto meno, avere una politica estera coordinata e coerente.

Purtroppo, lo sappiamo, l’Unione europea è un gigante senza forza. Come istituzione sovranazionale, può occuparsi solo di quanto gli Stati membri le delegano, e nei limiti di ciò che essi di volta in volta decidono, all’unanimità. La grande politica internazionale non vi rientra. Ciascuno degli Stati membri si muove per conto suo, se ha la forza di farlo; e se non ce l’ha, sta alla finestra. Una enorme potenzialità sprecata a motivo degli egoismi nazionali.

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Se Di Maio non dorme tranquillo, neppure per Salvini son rose e fiori https://www.lavoce.it/di-maio-tranquillo-salvini/ Fri, 28 Jun 2019 09:01:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54781 maio

di Daris Giancarlini

Torrida per Di Maio, calda con punte di solleone per Salvini: l’estate 2019 dei due vice presidenti del Consiglio si presenta con il barometro verso il rosso intenso. Questo, per il clima che più preelettorale non si potrebbe, per le continue e martellanti polemiche tra i due, e per le divisioni interne all’Esecutivo e ai due stessi partiti di appartenenza.

Chi dei due sta messo politicamente peggio è il capo politico dei cinquestelle: in un anno al timone del movimento di Grillo e Casaleggio, ha collezionato sconfitte sonore praticamente in ogni tornata elettorale, perdendo a favore della Lega un terzo dei consensi. Botte da stendere un toro, ma che sulla tenuta dell’esecutivo a guida (?!) Giuseppe Conte hanno inciso finora in misura ridotta, essendo il totale dei voti a disposizione dei giallo-verdi rimasto intorno al 50 per cento.

Ed essendo la stessa componente grillina abituata dal primo giorno di coabitazione con l’alleato leghista a fronteggiare le esondazioni politiche di Salvini. Ridotto il proprio peso al governo dopo il disastroso esito delle elezioni europee, i cinquestelle - o meglio, la componente governista che fa capo a Di Maio - pur di restare a palazzo Chigi sta inghiottendo bocconi amari uno dietro l’altro...

se non vere e proprie polpette avvelenate, come quelle della ‘tassa piatta’ (con Salvini che dice “i soldi per farla ci sono” e Di Maio che lo sollecita a spiegare di che soldi parla) e dei cosiddetti ‘mini-bot’ (titoli senza scadenza e costo, di piccolo taglio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, da molti interpretati come primo passo verso l’uscita dell’Italia dall’Unione europea).

A molti grillini - a cominciare dal ‘barricadero’ Di Battista -risulta vieppiù indigesto l’atteggiamento del vicepremier M5s a difesa della tenuta dell’esecutivo, di fronte al prurito leghista per un’eventuale rottura che porti al voto a settembre. Così Di Maio è preso tra due fuochi, quello leghista e quello interno dell’ala più movimentista dei grillini. Dietro a tutto, il regolamento interno che impedisce ai cinquestelle di candidarsi per più di due volte (per Di Maio e molti suoi colleghi sarebbe lo stop definitivo alla carriera politica).

Non sta fresco, da molti punti di vista, neanche Salvini. Perché va bene il piglio decisionista e l’attitudine a travalicare i limiti delle proprie competenze di governo (chi ha mai sentito, dal dopoguerra a oggi, un ministro dell’Interno che annuncia di voler convocare a breve i sindacati per parlare di lavoro e occupazione?), ma anche il leader leghista ex padano non dorme sonni propriamente tranquilli.

Per chiedersi: “Chi me lo fa fare di restare al governo con questo Governo, se ormai la Lega è ben oltre il 30 per cento e i grillini sono al 17? Perché devo essere io a mettere la firma su una manovra d’autunno che sarà lacrime e sangue? E alle imprese e ai cittadini del Nord Italia, da sempre il mio zoccolo elettorale duro, cosa porto in cambio del consenso, se di infrastrutture nuove ancora non si vede l’abbrivio e di riduzione delle tasse non si parla?”.

Notti calde e insonni, quelle di Salvini, anche perché l’ala interna del ‘così non si può andare avanti’ sta aumentando la sua pressione sul capo leghista. Tutto questo, mentre si dovrebbe lavorare uniti per evitare la procedura d’infrazione dell’Ue e per una manovra economica che non riduca l’Italia ai minimi termini. Il fresco d’autunno è lontano.

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maio

di Daris Giancarlini

Torrida per Di Maio, calda con punte di solleone per Salvini: l’estate 2019 dei due vice presidenti del Consiglio si presenta con il barometro verso il rosso intenso. Questo, per il clima che più preelettorale non si potrebbe, per le continue e martellanti polemiche tra i due, e per le divisioni interne all’Esecutivo e ai due stessi partiti di appartenenza.

Chi dei due sta messo politicamente peggio è il capo politico dei cinquestelle: in un anno al timone del movimento di Grillo e Casaleggio, ha collezionato sconfitte sonore praticamente in ogni tornata elettorale, perdendo a favore della Lega un terzo dei consensi. Botte da stendere un toro, ma che sulla tenuta dell’esecutivo a guida (?!) Giuseppe Conte hanno inciso finora in misura ridotta, essendo il totale dei voti a disposizione dei giallo-verdi rimasto intorno al 50 per cento.

Ed essendo la stessa componente grillina abituata dal primo giorno di coabitazione con l’alleato leghista a fronteggiare le esondazioni politiche di Salvini. Ridotto il proprio peso al governo dopo il disastroso esito delle elezioni europee, i cinquestelle - o meglio, la componente governista che fa capo a Di Maio - pur di restare a palazzo Chigi sta inghiottendo bocconi amari uno dietro l’altro...

se non vere e proprie polpette avvelenate, come quelle della ‘tassa piatta’ (con Salvini che dice “i soldi per farla ci sono” e Di Maio che lo sollecita a spiegare di che soldi parla) e dei cosiddetti ‘mini-bot’ (titoli senza scadenza e costo, di piccolo taglio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, da molti interpretati come primo passo verso l’uscita dell’Italia dall’Unione europea).

A molti grillini - a cominciare dal ‘barricadero’ Di Battista -risulta vieppiù indigesto l’atteggiamento del vicepremier M5s a difesa della tenuta dell’esecutivo, di fronte al prurito leghista per un’eventuale rottura che porti al voto a settembre. Così Di Maio è preso tra due fuochi, quello leghista e quello interno dell’ala più movimentista dei grillini. Dietro a tutto, il regolamento interno che impedisce ai cinquestelle di candidarsi per più di due volte (per Di Maio e molti suoi colleghi sarebbe lo stop definitivo alla carriera politica).

Non sta fresco, da molti punti di vista, neanche Salvini. Perché va bene il piglio decisionista e l’attitudine a travalicare i limiti delle proprie competenze di governo (chi ha mai sentito, dal dopoguerra a oggi, un ministro dell’Interno che annuncia di voler convocare a breve i sindacati per parlare di lavoro e occupazione?), ma anche il leader leghista ex padano non dorme sonni propriamente tranquilli.

Per chiedersi: “Chi me lo fa fare di restare al governo con questo Governo, se ormai la Lega è ben oltre il 30 per cento e i grillini sono al 17? Perché devo essere io a mettere la firma su una manovra d’autunno che sarà lacrime e sangue? E alle imprese e ai cittadini del Nord Italia, da sempre il mio zoccolo elettorale duro, cosa porto in cambio del consenso, se di infrastrutture nuove ancora non si vede l’abbrivio e di riduzione delle tasse non si parla?”.

Notti calde e insonni, quelle di Salvini, anche perché l’ala interna del ‘così non si può andare avanti’ sta aumentando la sua pressione sul capo leghista. Tutto questo, mentre si dovrebbe lavorare uniti per evitare la procedura d’infrazione dell’Ue e per una manovra economica che non riduca l’Italia ai minimi termini. Il fresco d’autunno è lontano.

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Libia: ha dei vantaggi solo il pirata https://www.lavoce.it/libia-vantaggi-pirata/ Sun, 23 Jun 2019 10:53:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54758 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Abdulrahman Milad, meglio conosciuto come “Bija”, viene indicato come il boss di Zawyah in Libia. Da tempo hanno imparato a conoscerlo anche i giudici della Corte dell’Aja, i quali hanno dimostrato che è lui a gestire i Lager che “ospitano” i migranti e l’organizzazione dei trasferimenti clandestini verso l’Italia.

Hanno steso un rapporto, e l’Onu ha disposto il blocco dei suoi beni. Nonostante questo, Bija continua a muoversi e operare liberamente con l’appoggio delle autorità libiche, come dimostrano le foto documentali di cui Avvenire è venuto in possesso. La sua abilità sta nella capacità di prendere i soldi contemporaneamente dal Governo italiano, dall’Unione europea e dagli stessi migranti.

Un vero trafficante di uomini, un pirata del terzo millennio. Nei prossimi giorni, nell’indifferenza e nel silenzio generale, il Parlamento approverà la rata annuale da trasferire al “Governo libico” sui 285 milioni di euro che devono essere versati entro il 2023 perché la Libia blocchi i migranti nelle acque di loro competenza. A questo si aggiungono gli 800 milioni dell’acquisto delle strutture e degli strumenti che siamo tenuti a fornire in seguito a quell’accordo.

A noi pare che l’unico a trarne reale e immediato vantaggio sia Bija, che se la gode.

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colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Abdulrahman Milad, meglio conosciuto come “Bija”, viene indicato come il boss di Zawyah in Libia. Da tempo hanno imparato a conoscerlo anche i giudici della Corte dell’Aja, i quali hanno dimostrato che è lui a gestire i Lager che “ospitano” i migranti e l’organizzazione dei trasferimenti clandestini verso l’Italia.

Hanno steso un rapporto, e l’Onu ha disposto il blocco dei suoi beni. Nonostante questo, Bija continua a muoversi e operare liberamente con l’appoggio delle autorità libiche, come dimostrano le foto documentali di cui Avvenire è venuto in possesso. La sua abilità sta nella capacità di prendere i soldi contemporaneamente dal Governo italiano, dall’Unione europea e dagli stessi migranti.

Un vero trafficante di uomini, un pirata del terzo millennio. Nei prossimi giorni, nell’indifferenza e nel silenzio generale, il Parlamento approverà la rata annuale da trasferire al “Governo libico” sui 285 milioni di euro che devono essere versati entro il 2023 perché la Libia blocchi i migranti nelle acque di loro competenza. A questo si aggiungono gli 800 milioni dell’acquisto delle strutture e degli strumenti che siamo tenuti a fornire in seguito a quell’accordo.

A noi pare che l’unico a trarne reale e immediato vantaggio sia Bija, che se la gode.

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L’Ue resta sempre necessaria, anche dopo il ribaltone https://www.lavoce.it/ue-resta-necessaria/ Wed, 29 May 2019 17:13:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54615 necessaria

L’interminabile (e chissà se terminata) campagna elettorale alla fine ha prodotto due punti in meno di partecipazione al voto, al 56,09%. Che proiettano comunque l’Italia ancora tra i Paesi dell’Unione con più alto tasso di partecipazione. I risultati sono molto chiari.

Si ribaltano i rapporti di forza tra i contraenti il contratto di governo. La Lega schizza oltre il 34 e i cinquestelle non raggiungono la metà di un risultato che è di assoluto rilievo per il partito di Salvini. Il Partito democratico supera il partito fondato da Grillo recuperando consensi trasversalmente. Gli altri dell’(ex) centro-destra mantengono consensi, ma Forza Italia ad una sola cifra.

Per considerazioni più approfondite sull’evoluzione complessiva del sistema bisognerà attendere i ballottaggi per le città capoluogo di provincia chiamate alle urne insieme ad oltre tremila Comuni, ma almeno tre punti possono fin d’ora essere sottolineati. Il Movimento, che dimezza la percentuale dei voti al livello nazionale,sfiora comunque il 30% nella circoscrizione Sud e in quella delle isole.

Di qui l’interrogativo se si tratti di un dato residuale in una china di rapido declino, oppure un dato da cui ripartire: ma come? Il secondo e fondamentale punto è che ad ogni elezioni ormai, di qualsiasi livello, si produce un significativo spostamento di milioni elettori, non solo dal voto all’astensione o viceversa, ma anche tra partiti.

È la conferma di un dato che avvicina sempre più la politica al marketing, e comunque dice di elettori insofferenti e insoddisfatti. Esiste una questione sociale europea, che interagisce con una questioni sociale “globale”, che probabilmente non ha ancora trovato composizione e soprattutto una interpretazione politica precisa. Questa “questione sociale” di nuovo tipo, che non interessa solo i margini di povertà, ma il corpo centrale della società, attraversa tutti i Paesi e ovviamente interessa anche l’Italia.

Di qui i due interrogativi che, dal punto di vista italiano, il risultato consegna. Il primo è di carattere “domestico”.

Come dimostrano i precedenti di Berlinguer 1984, Berlusconi 1994, Renzi 2014, vincere le elezioni europee non significa poi vincere le politiche successive. Per cui bisogna chiedersi come il vincitore del 26 maggio, ovvero Matteo Salvini, capitalizzerà il suo successo. Dopo un lungo sonno e violenti alterchi il Governo dovrà necessariamente cominciare a dare risposte alle questioni sul tappeto e sulle prospettive a medio termine.

Il secondo interrogativo è sull’assetto europeo. Il dimagrimento dei due principali gruppi, la frammentazione, rilanciano la sfida, per tutti, sulla nuova questione sociale. Che è anche questione sugli obiettivi e sul rilancio del disegno europeo. Una Unione assolutamente necessaria, che questo esemplare esercizio di democrazia ha confermato come uno spazio straordinario di sviluppo, ma che giustamente tutti dicono deve cambiare passo.

E per questo servono anche riferimenti morali, ideali e culturali. Di cui riappropriarsi molto, molto presto.

Francesco Bonini

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necessaria

L’interminabile (e chissà se terminata) campagna elettorale alla fine ha prodotto due punti in meno di partecipazione al voto, al 56,09%. Che proiettano comunque l’Italia ancora tra i Paesi dell’Unione con più alto tasso di partecipazione. I risultati sono molto chiari.

Si ribaltano i rapporti di forza tra i contraenti il contratto di governo. La Lega schizza oltre il 34 e i cinquestelle non raggiungono la metà di un risultato che è di assoluto rilievo per il partito di Salvini. Il Partito democratico supera il partito fondato da Grillo recuperando consensi trasversalmente. Gli altri dell’(ex) centro-destra mantengono consensi, ma Forza Italia ad una sola cifra.

Per considerazioni più approfondite sull’evoluzione complessiva del sistema bisognerà attendere i ballottaggi per le città capoluogo di provincia chiamate alle urne insieme ad oltre tremila Comuni, ma almeno tre punti possono fin d’ora essere sottolineati. Il Movimento, che dimezza la percentuale dei voti al livello nazionale,sfiora comunque il 30% nella circoscrizione Sud e in quella delle isole.

Di qui l’interrogativo se si tratti di un dato residuale in una china di rapido declino, oppure un dato da cui ripartire: ma come? Il secondo e fondamentale punto è che ad ogni elezioni ormai, di qualsiasi livello, si produce un significativo spostamento di milioni elettori, non solo dal voto all’astensione o viceversa, ma anche tra partiti.

È la conferma di un dato che avvicina sempre più la politica al marketing, e comunque dice di elettori insofferenti e insoddisfatti. Esiste una questione sociale europea, che interagisce con una questioni sociale “globale”, che probabilmente non ha ancora trovato composizione e soprattutto una interpretazione politica precisa. Questa “questione sociale” di nuovo tipo, che non interessa solo i margini di povertà, ma il corpo centrale della società, attraversa tutti i Paesi e ovviamente interessa anche l’Italia.

Di qui i due interrogativi che, dal punto di vista italiano, il risultato consegna. Il primo è di carattere “domestico”.

Come dimostrano i precedenti di Berlinguer 1984, Berlusconi 1994, Renzi 2014, vincere le elezioni europee non significa poi vincere le politiche successive. Per cui bisogna chiedersi come il vincitore del 26 maggio, ovvero Matteo Salvini, capitalizzerà il suo successo. Dopo un lungo sonno e violenti alterchi il Governo dovrà necessariamente cominciare a dare risposte alle questioni sul tappeto e sulle prospettive a medio termine.

Il secondo interrogativo è sull’assetto europeo. Il dimagrimento dei due principali gruppi, la frammentazione, rilanciano la sfida, per tutti, sulla nuova questione sociale. Che è anche questione sugli obiettivi e sul rilancio del disegno europeo. Una Unione assolutamente necessaria, che questo esemplare esercizio di democrazia ha confermato come uno spazio straordinario di sviluppo, ma che giustamente tutti dicono deve cambiare passo.

E per questo servono anche riferimenti morali, ideali e culturali. Di cui riappropriarsi molto, molto presto.

Francesco Bonini

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Elezioni amministrative e europee 2019. Come si vota https://www.lavoce.it/elezioni-2019-come-si-vota/ Sat, 25 May 2019 12:20:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54598 elezioni

Domenica 26 maggio , dalle ore 7 alle 23 si vota per eleggere i membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia e per eleggere Sindaco e Consiglio comunale in 63 Comuni umbri. Di questi 63, 8 superano i 15.000 abitanti, mentre 55 sono sono quelli al di sotto.

Le diocesi di Assisi, Orvieto, Gubbio, Terni, Perugia, Città di castello e Spoleto sono tutte interessate alle Comunali.

In Umbria inoltre ci sono alcuni casi di Comuni che vanno alle elezioni con un unico candidato a sindaco e un’unica lista collegata. Per questi Comuni sono eletti tutti i candidati compresi nella lista ed il candidato a sindaco collegato, purche’ essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune.

Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l’elezione è nulla.

ELEZIONI COMUNALI

Come si vota

Nei Comuni fino a 15.000 abitanti l’elettore può:

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco;

- mettere un segno sul simbolo di una lista.

In entrambi i casi il voto si estende sia al candidato sindaco che alla lista di candidati consiglieri.

Nei Comuni con più di 15.000 abitanti, l’elettore può:

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco (e il voto viene attribuito solo a lui);

- mettere un segno sul simbolo della lista (e in tal caso il voto si estende anche al candidato sindaco collegato a quella lista);

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco e su una lista a lui collegata;

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco e un altro segno sul simbolo di una lista a lui non collegata (voto disgiunto).

I fac-simile delle schede sono disponibili sul sito della prefettura del proprio territorio.

ELEZIONI EUROPEE

L’Italia andrà alle urne per eleggere 73 + 3 membri del Parlamento europeo con un sistema proporzionale. I tre deputati in più saranno assegnati all’Italia quando il Regno Unito uscirà dall’Unione europea. Ai fini delle votazioni, l’Italia è divisa in cinque circoscrizioni elettorali. L’Umbria fa parte della circoscrizione centrale (circ. III) e agli elettori sarà consegnata una scheda di colore fucsia con i simboli delle 15 liste che si presentano.

Come si vota

Il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda un segno X sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta. È possibile (non obbligatorio) esprimere da uno a tre voti di preferenza per candidati compresi nella lista votata. Nel caso di più preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda e della terza preferenza.

Vedi nel dettaglio il fac-simile della scheda per le elezioni europee qui sotto: fac_simile_-_scheda_elettorale_iii_circoscriz._italia_centrale-2    ]]>
elezioni

Domenica 26 maggio , dalle ore 7 alle 23 si vota per eleggere i membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia e per eleggere Sindaco e Consiglio comunale in 63 Comuni umbri. Di questi 63, 8 superano i 15.000 abitanti, mentre 55 sono sono quelli al di sotto.

Le diocesi di Assisi, Orvieto, Gubbio, Terni, Perugia, Città di castello e Spoleto sono tutte interessate alle Comunali.

In Umbria inoltre ci sono alcuni casi di Comuni che vanno alle elezioni con un unico candidato a sindaco e un’unica lista collegata. Per questi Comuni sono eletti tutti i candidati compresi nella lista ed il candidato a sindaco collegato, purche’ essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti ed il numero dei votanti non sia stato inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune.

Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l’elezione è nulla.

ELEZIONI COMUNALI

Come si vota

Nei Comuni fino a 15.000 abitanti l’elettore può:

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco;

- mettere un segno sul simbolo di una lista.

In entrambi i casi il voto si estende sia al candidato sindaco che alla lista di candidati consiglieri.

Nei Comuni con più di 15.000 abitanti, l’elettore può:

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco (e il voto viene attribuito solo a lui);

- mettere un segno sul simbolo della lista (e in tal caso il voto si estende anche al candidato sindaco collegato a quella lista);

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco e su una lista a lui collegata;

- mettere un segno sul nome del candidato sindaco e un altro segno sul simbolo di una lista a lui non collegata (voto disgiunto).

I fac-simile delle schede sono disponibili sul sito della prefettura del proprio territorio.

ELEZIONI EUROPEE

L’Italia andrà alle urne per eleggere 73 + 3 membri del Parlamento europeo con un sistema proporzionale. I tre deputati in più saranno assegnati all’Italia quando il Regno Unito uscirà dall’Unione europea. Ai fini delle votazioni, l’Italia è divisa in cinque circoscrizioni elettorali. L’Umbria fa parte della circoscrizione centrale (circ. III) e agli elettori sarà consegnata una scheda di colore fucsia con i simboli delle 15 liste che si presentano.

Come si vota

Il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda un segno X sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta. È possibile (non obbligatorio) esprimere da uno a tre voti di preferenza per candidati compresi nella lista votata. Nel caso di più preferenze espresse, queste devono riguardare candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda e della terza preferenza.

Vedi nel dettaglio il fac-simile della scheda per le elezioni europee qui sotto: fac_simile_-_scheda_elettorale_iii_circoscriz._italia_centrale-2    ]]>
C’è un’Europa che amo https://www.lavoce.it/ce-una-europa-che-amo-elezioni2019/ Thu, 23 May 2019 13:07:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54571

“I miei nonni erano uno italiano, l’altro ceco; le mie nonne tedesca e francese. Io sono francese, ma anche tedesca, come pure italiana. Io sono europea”. Suor Audrey Pascale, della Fraternità monastica di Gerusalemme, è lei stessa un messaggio per noi che partecipiamo al convegno sull’Europa, organizzato per celebrare i 120 anni de il Piccolo, settimanale cattolico di Faenza, e i 100 anni del “cugino” forlivese Il Momento. Ed è solo la prima di una batteria di giovani che seguono e che provengono dagli Erasmus e dalle forme di volontariato previste per favorire gli scambi nell’Unione europea e che quasi ci gridano in faccia: cosa volete fare della nostra Europa?

Fa impressione notare la differenza fra la logica individualista ed utilitarista con cui gran parte del mondo degli adulti guarda all’Europa e la coscienza che questi giovani hanno di essa come Casa comune. Il popolo dell’Erasmus è figlio di una cultura che vede come il fumo negli occhi derive nazionalistiche, populistiche e liberistiche che contrappongono al bene comune nuove ideologie, interesse economici privatistici, l’idolatria della tecnica, del denaro e del potere. Certo criticare l’Unione europea è non solo legittimo, ma anche salutare; le critiche però non devono essere aprioristiche e pretestuose. L’Europa è un’opera incompiuta, ma è la nostra Casa comune. L’alternativa è un coacervo di staterelli nazionali impotenti e ininfluenti (eccettuata la Germania) di fronte ai problemi di un mondo globalizzato.

Se il legame fra gli stati si indebolisce ed il progetto di una vera democrazia politica si allontana (e questo è quel che vogliono i sovranisti) l’Europa non ha futuro. Dunque occorre lavorare per una democrazia politica europea che presupponga un’ unione morale di popolo. Aiutati dalla concretezza dei mercati occorre costruire un’unione di popoli. Questa era l’idea di chi l’ha voluta. Occorre tornare al concetto di persona e di bene comune, che stava alla base dell’intento dei padri fondatori, concetti che ci riportano di nuovo al primato della politica rispetto a quello dei mercati e della finanza. La costruzione dell’Europa non sarà certamente un dono che piove dal cielo, ma il frutto di una volontà tenace e positiva, e con il pensiero rivolto alle future generazioni.

Giovanni Tonelli direttore “Il Ponte” (Rimini)

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“I miei nonni erano uno italiano, l’altro ceco; le mie nonne tedesca e francese. Io sono francese, ma anche tedesca, come pure italiana. Io sono europea”. Suor Audrey Pascale, della Fraternità monastica di Gerusalemme, è lei stessa un messaggio per noi che partecipiamo al convegno sull’Europa, organizzato per celebrare i 120 anni de il Piccolo, settimanale cattolico di Faenza, e i 100 anni del “cugino” forlivese Il Momento. Ed è solo la prima di una batteria di giovani che seguono e che provengono dagli Erasmus e dalle forme di volontariato previste per favorire gli scambi nell’Unione europea e che quasi ci gridano in faccia: cosa volete fare della nostra Europa?

Fa impressione notare la differenza fra la logica individualista ed utilitarista con cui gran parte del mondo degli adulti guarda all’Europa e la coscienza che questi giovani hanno di essa come Casa comune. Il popolo dell’Erasmus è figlio di una cultura che vede come il fumo negli occhi derive nazionalistiche, populistiche e liberistiche che contrappongono al bene comune nuove ideologie, interesse economici privatistici, l’idolatria della tecnica, del denaro e del potere. Certo criticare l’Unione europea è non solo legittimo, ma anche salutare; le critiche però non devono essere aprioristiche e pretestuose. L’Europa è un’opera incompiuta, ma è la nostra Casa comune. L’alternativa è un coacervo di staterelli nazionali impotenti e ininfluenti (eccettuata la Germania) di fronte ai problemi di un mondo globalizzato.

Se il legame fra gli stati si indebolisce ed il progetto di una vera democrazia politica si allontana (e questo è quel che vogliono i sovranisti) l’Europa non ha futuro. Dunque occorre lavorare per una democrazia politica europea che presupponga un’ unione morale di popolo. Aiutati dalla concretezza dei mercati occorre costruire un’unione di popoli. Questa era l’idea di chi l’ha voluta. Occorre tornare al concetto di persona e di bene comune, che stava alla base dell’intento dei padri fondatori, concetti che ci riportano di nuovo al primato della politica rispetto a quello dei mercati e della finanza. La costruzione dell’Europa non sarà certamente un dono che piove dal cielo, ma il frutto di una volontà tenace e positiva, e con il pensiero rivolto alle future generazioni.

Giovanni Tonelli direttore “Il Ponte” (Rimini)

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Elezioni. Partecipare è già una scelta https://www.lavoce.it/elezioni-partecipare-scelta/ Wed, 22 May 2019 16:16:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54569

Domenica si celebra il grande rito della democrazia: le elezioni. A noi cittadini è dato il compito di fare una scelta attraverso il voto. Un gesto semplice che ha un grande valore perché decidiamo a chi affidare il nostro futuro e, in questa elezione, il nostro futuro nell’Europa.

Sullo sfondo c’è la grande incognita dell’astensionismo, cioé di coloro che non trovano motivi sufficienti per andare a votare. Delusione e sfiducia nei politici, nei partiti e nelle istituzioni, e anche il non sentirsi rappresentati da nessuno, tengono lontani dalle urne. In Italia nel 1948 votarono il 92% degli italiani, nel 2018 il 73%. Nel 1979 alla prime elezioni europee partecipò l’85% degli elettori italiani (il 62% degli europei) e nel 2014 il 57% (43% degli europei).

Di fronte a questo trend c’è una sorta di rassegnazione, come fosse un male inevitabile e incurabile. Ma dipende da noi, da ciascuno di noi. L’Unione europea in questi mesi ha promosso una campagna di comunicazione per invitare al voto tutti e soprattutto i più giovani, quelli che hanno conosciuto solo l’euro e non hanno mai dovuto presentare il passaporto per varcare i confini. Sia per l’Europa che per l’elezione dei nostri sindaci l’invito è ad andare a votare per riaffermare il valore della democrazia (nei comuni in cui vi è una sola lista la partecipazione è necessaria perché la consultazione sia valida) e, non ultimo, riaffermare i valori nella democrazia: la vita, la solidarietà, la pace, la libertà, l’onestà, la buona amministrazione… A ciascuno di completare e aggiungere. E scegliere.

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Europa. “Andare a votare” anche per “dare un segnale al governo” https://www.lavoce.it/europa-votare-segnale/ Sun, 19 May 2019 10:27:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54547 segnale

L’Europa sta attraversando un momento molto delicato della sua storia, e il voto del 26 maggio è un tornante decisivo. A segnalarlo, cercando di delineare il volto dell’Europa come “comunità”, sono stati Giuseppina Paterniti, direttrice del Tg3Rai, Giuseppe Tognon, professore ordinario alla Lumsa, e Paolo Pombeni, professore emerito all’Università di Bologna, protagonisti della prima serata del Convegno Cei #ComunitàConvergenti, tenutosi ad Assisi nei giorni scorsi.

L'appello di Paterniti

“Molta gente in Italia non ha intenzione di andare a votare, perché sente lontana l’Europa”, il grido d’allarme di Paterniti, che ha fatto notare come “l’aver fatto passare quella dell’Europa come una questione di burocrati che decidono al posto nostro ha fatto comodo a tutti: portano a casa un risultato, senza interessarsi a quello che avviene”. Dei quattro players mondiali – gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e l’Europa – “che fanno in modo di eliminarsi per far sì che resti una sola voce”, l’Europa “è il player più grande del mondo, ha la moneta più forte del mondo, eppure non riesce a parlare con una sola voce, perché non abbiamo completato il cammino di unificazione politica”. “L’Unione europea ha fragilità e parcellizzazioni che rendono molto delicato il prossimo voto, perché manca la consapevolezza che siamo davanti davvero a un bivio”, la tesi della relatrice. L’immigrazione, inoltre, “è diventato il problema centrale dell’Europa, che però fa i conti con problemi più grandi, prima di tutto il lavoro. Si tratta, come dice il Papa, non di un’epoca di cambiamento ma di un cambiamento d’epoca: avremo a che fare ancora con molta povertà,  perché i vecchi lavori si stanno esaurendo e i nuovi non si sono ancora affermati”. Il nostro, infine, è un continente vecchio, “e gli anziani non scommettono sul futuro. Davanti a noi rischiamo di non avere orizzonte: i valori fondamentali rischiano di essere intaccati, se non abbiamo chiaro i valori di fondo a cui ispirarci”. “Serve il coraggio di un progetto, il coraggio di muoversi, di mettere in fila i valori, e a livello ecclesiale si può fare moltissimo”, l’appello di Paterniti, anche grazie alla capacità di “fare memoria del passato di un continente che ci ha regalato un orizzonte di pace perché veniva da secoli di guerra”. “L’84% dei giovani italiani è europeista”, ha concluso la direttrice del Tg3Rai: “Gli anticorpi per guardare avanti con fiducia ci sono, bisogna avere il coraggio di coltivarli e di farli crescere. Prendendoci cura uno dell’altro, perché da soli non possiamo fare niente”.

L'intervento di Tognon

“La mentalità dell’azzardo si è impadronita di tutte le nostre vite”. Ne è convinto Tognon. “Alla base di ogni convivenza c’è un tasso profondo di violenza, e noi abbiamo perso ogni intelligenza sulla violenza, cioè ogni capacità di regolarla, mitigarla, viverla in un certo modo”, la tesi del relatore, che ha citato il mito di Europa, alla base del quale c’è appunto il ricordo di una violenza. La soluzione, si è chiesto Tognon, è quella proposta da Rod Dreher in “The Benedikt option”, e cioè che l’unica strategia per i cristiani, in una nazione post-cristiana, è quella di “tornare all’opzione Benedetto, via da Roma, per costruire comunità lontane e ripartire per un nuovo umanesimo?”. “Non ce la possiamo permettere”, la risposta: “Siamo tanti, ricchi, angosciati, non si raddrizza l’Europa con questa opzione”. Come scrive Dietrich Bonhoeffer ne “La vita comune”, “solo nella comunità che è profondamente delusa per cose spiacevoli la vita comune incomincia ad essere ciò che deve essere davanti a Dio”. “Questo, allora, è un buon momento”, ha commentato Tognon: “È quando ci si trova delusi che si può cominciare a superare la violenza di cui siamo noi stessi portatori. La vita comune è per i cristiani una cosa altamente spirituale, non semplicemente conveniente”.

Importanza del voto per Pombeni

“Raramente abbiamo avuto una scadenza elettorale così importane come quella del 26 maggio, di  cui la gente non si rende assolutamente conto”. A sottolinearlo è stato Pombeni, ricordando che “il contesto in cui siamo inseriti è quello dell’Unione europea, se fallisce saremo travolti da questo fallimento”. “L’Europa sta cambiando”, ha fatto notare il relatore a proposito dello “scenario completamente cambiato” dopo “il sogno degli Stati Uniti d’Europa”, realizzatosi negli Anni Cinquanta: “una scommessa vinta, il meraviglioso sviluppo è arrivato, l’Europa è stata un’esplosione del benessere, e il suo mito attrattivo ha attratto i Paesi dell’Est nella speranza di sedersi a questa tavola imbandita”. “Questo tipo di Europa non c’è più e non potrà più esserci, perché è finita l’età dell’abbondanza ed è arrivata una grande transizione storica”, la tesi di Pombeni, che ha paragonato la rivoluzione digitale alla rivoluzione della stampa: “Quello che c’è prima sembra non valere più. Stanno cambiando i centri di potere e di sviluppo nell’Europa: negli Anni Cinquanta nessuno pensava che Cina e India sarebbero stati quello che sono adesso. Questo cambiamento generale presuppone che l’Europa si attrezzi”. E l’Italia cosa farà? “Dobbiamo lavorare per contare nel Consiglio europeo, dei Capi di Stato, perché è lì che si decidono le cose”, ha proposto l’esperto: “Il 26 maggio votiamo non soltanto per il Parlamento europeo, ma anche per mandare un segnale preciso al governo italiano, quale che sia. Dobbiamo avere molta credibilità, e punire tutti quelli che la credibilità non sanno dove sta di casa: per questo occorre motivare le persone ad andare a votare”.

M. Michela Nicolais

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segnale

L’Europa sta attraversando un momento molto delicato della sua storia, e il voto del 26 maggio è un tornante decisivo. A segnalarlo, cercando di delineare il volto dell’Europa come “comunità”, sono stati Giuseppina Paterniti, direttrice del Tg3Rai, Giuseppe Tognon, professore ordinario alla Lumsa, e Paolo Pombeni, professore emerito all’Università di Bologna, protagonisti della prima serata del Convegno Cei #ComunitàConvergenti, tenutosi ad Assisi nei giorni scorsi.

L'appello di Paterniti

“Molta gente in Italia non ha intenzione di andare a votare, perché sente lontana l’Europa”, il grido d’allarme di Paterniti, che ha fatto notare come “l’aver fatto passare quella dell’Europa come una questione di burocrati che decidono al posto nostro ha fatto comodo a tutti: portano a casa un risultato, senza interessarsi a quello che avviene”. Dei quattro players mondiali – gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e l’Europa – “che fanno in modo di eliminarsi per far sì che resti una sola voce”, l’Europa “è il player più grande del mondo, ha la moneta più forte del mondo, eppure non riesce a parlare con una sola voce, perché non abbiamo completato il cammino di unificazione politica”. “L’Unione europea ha fragilità e parcellizzazioni che rendono molto delicato il prossimo voto, perché manca la consapevolezza che siamo davanti davvero a un bivio”, la tesi della relatrice. L’immigrazione, inoltre, “è diventato il problema centrale dell’Europa, che però fa i conti con problemi più grandi, prima di tutto il lavoro. Si tratta, come dice il Papa, non di un’epoca di cambiamento ma di un cambiamento d’epoca: avremo a che fare ancora con molta povertà,  perché i vecchi lavori si stanno esaurendo e i nuovi non si sono ancora affermati”. Il nostro, infine, è un continente vecchio, “e gli anziani non scommettono sul futuro. Davanti a noi rischiamo di non avere orizzonte: i valori fondamentali rischiano di essere intaccati, se non abbiamo chiaro i valori di fondo a cui ispirarci”. “Serve il coraggio di un progetto, il coraggio di muoversi, di mettere in fila i valori, e a livello ecclesiale si può fare moltissimo”, l’appello di Paterniti, anche grazie alla capacità di “fare memoria del passato di un continente che ci ha regalato un orizzonte di pace perché veniva da secoli di guerra”. “L’84% dei giovani italiani è europeista”, ha concluso la direttrice del Tg3Rai: “Gli anticorpi per guardare avanti con fiducia ci sono, bisogna avere il coraggio di coltivarli e di farli crescere. Prendendoci cura uno dell’altro, perché da soli non possiamo fare niente”.

L'intervento di Tognon

“La mentalità dell’azzardo si è impadronita di tutte le nostre vite”. Ne è convinto Tognon. “Alla base di ogni convivenza c’è un tasso profondo di violenza, e noi abbiamo perso ogni intelligenza sulla violenza, cioè ogni capacità di regolarla, mitigarla, viverla in un certo modo”, la tesi del relatore, che ha citato il mito di Europa, alla base del quale c’è appunto il ricordo di una violenza. La soluzione, si è chiesto Tognon, è quella proposta da Rod Dreher in “The Benedikt option”, e cioè che l’unica strategia per i cristiani, in una nazione post-cristiana, è quella di “tornare all’opzione Benedetto, via da Roma, per costruire comunità lontane e ripartire per un nuovo umanesimo?”. “Non ce la possiamo permettere”, la risposta: “Siamo tanti, ricchi, angosciati, non si raddrizza l’Europa con questa opzione”. Come scrive Dietrich Bonhoeffer ne “La vita comune”, “solo nella comunità che è profondamente delusa per cose spiacevoli la vita comune incomincia ad essere ciò che deve essere davanti a Dio”. “Questo, allora, è un buon momento”, ha commentato Tognon: “È quando ci si trova delusi che si può cominciare a superare la violenza di cui siamo noi stessi portatori. La vita comune è per i cristiani una cosa altamente spirituale, non semplicemente conveniente”.

Importanza del voto per Pombeni

“Raramente abbiamo avuto una scadenza elettorale così importane come quella del 26 maggio, di  cui la gente non si rende assolutamente conto”. A sottolinearlo è stato Pombeni, ricordando che “il contesto in cui siamo inseriti è quello dell’Unione europea, se fallisce saremo travolti da questo fallimento”. “L’Europa sta cambiando”, ha fatto notare il relatore a proposito dello “scenario completamente cambiato” dopo “il sogno degli Stati Uniti d’Europa”, realizzatosi negli Anni Cinquanta: “una scommessa vinta, il meraviglioso sviluppo è arrivato, l’Europa è stata un’esplosione del benessere, e il suo mito attrattivo ha attratto i Paesi dell’Est nella speranza di sedersi a questa tavola imbandita”. “Questo tipo di Europa non c’è più e non potrà più esserci, perché è finita l’età dell’abbondanza ed è arrivata una grande transizione storica”, la tesi di Pombeni, che ha paragonato la rivoluzione digitale alla rivoluzione della stampa: “Quello che c’è prima sembra non valere più. Stanno cambiando i centri di potere e di sviluppo nell’Europa: negli Anni Cinquanta nessuno pensava che Cina e India sarebbero stati quello che sono adesso. Questo cambiamento generale presuppone che l’Europa si attrezzi”. E l’Italia cosa farà? “Dobbiamo lavorare per contare nel Consiglio europeo, dei Capi di Stato, perché è lì che si decidono le cose”, ha proposto l’esperto: “Il 26 maggio votiamo non soltanto per il Parlamento europeo, ma anche per mandare un segnale preciso al governo italiano, quale che sia. Dobbiamo avere molta credibilità, e punire tutti quelli che la credibilità non sanno dove sta di casa: per questo occorre motivare le persone ad andare a votare”.

M. Michela Nicolais

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Parlamento Ue: cos’è. E cosa no https://www.lavoce.it/parlamento-ue/ Fri, 10 May 2019 11:28:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54484 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Tra due settimane precisamente il 26 maggio - si voterà per le elezioni “europee”. Non è nostro compito dare suggerimenti per il voto.

Possiamo invece aiutare i lettori ad avere idee più chiare su quale sia la posta in gioco. Come spesso succede in Italia (vedi il referendum voluto da Renzi), le forze politiche riversano sugli elettori argomenti tanto più gridati quanto sono meno pertinenti alla finalità specifica del voto. Adesso si tratta di eleggere i rappresentanti italiani in quello che si chiama “Parlamento europeo”, e già questo è un elemento di confusione, perché si chiama così ma non è un Parlamento nel senso pieno del termine.

Gli assomiglia perché è composto da deputati eletti come espressione delle varie aree territoriali e caratterizzati dalle loro rispettive appartenenze politiche. Ma se per Parlamento si intende la sede più alta, quella che traduce la volontà popolare in indirizzi politici vincolanti per il Governo, e li trasferisce nelle leggi, ebbene, il Parlamento europeo non è questo.

L’autorità suprema dell’Unione europea è il Consiglio, che è il tavolo intorno al quale si riuniscono i capi dei Governi degli Stati membri (o, per le questioni di minore importanza, i rispettivi ministri competenti per materia) e dove vale la regola dell’unanimità. Vuol dire che se su una certa decisione sono tutti d’accordo e solo uno è contrario, vince quello contrario e non se ne fa nulla.

Quindi i molti risentimenti che girano contro l’Europa perché, di tanti problemi che ci sono, la maggior parte non li risolve, anzi neppure se ne occupa, sono male indirizzati: non dovrebbero essere rivolti contro “l’Europa” ma contro gli Stati che la frenano. Tutto sommato, sono più onesti i britannici che hanno scelto formalmente di uscirne, invece di continuare a remare contro. Quindi come strumento per migliorare l’Europa (qualunque cosa s’intenda per miglioramento) la votazione per il Parlamento europeo conta poco o nulla.

Conterebbero invece le elezioni per i Parlamenti nazionali, se i candidati dicessero chiaramente quali politiche intendono mettere in atto su scala europea. In genere, parlano d’altro.

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Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Tra due settimane precisamente il 26 maggio - si voterà per le elezioni “europee”. Non è nostro compito dare suggerimenti per il voto.

Possiamo invece aiutare i lettori ad avere idee più chiare su quale sia la posta in gioco. Come spesso succede in Italia (vedi il referendum voluto da Renzi), le forze politiche riversano sugli elettori argomenti tanto più gridati quanto sono meno pertinenti alla finalità specifica del voto. Adesso si tratta di eleggere i rappresentanti italiani in quello che si chiama “Parlamento europeo”, e già questo è un elemento di confusione, perché si chiama così ma non è un Parlamento nel senso pieno del termine.

Gli assomiglia perché è composto da deputati eletti come espressione delle varie aree territoriali e caratterizzati dalle loro rispettive appartenenze politiche. Ma se per Parlamento si intende la sede più alta, quella che traduce la volontà popolare in indirizzi politici vincolanti per il Governo, e li trasferisce nelle leggi, ebbene, il Parlamento europeo non è questo.

L’autorità suprema dell’Unione europea è il Consiglio, che è il tavolo intorno al quale si riuniscono i capi dei Governi degli Stati membri (o, per le questioni di minore importanza, i rispettivi ministri competenti per materia) e dove vale la regola dell’unanimità. Vuol dire che se su una certa decisione sono tutti d’accordo e solo uno è contrario, vince quello contrario e non se ne fa nulla.

Quindi i molti risentimenti che girano contro l’Europa perché, di tanti problemi che ci sono, la maggior parte non li risolve, anzi neppure se ne occupa, sono male indirizzati: non dovrebbero essere rivolti contro “l’Europa” ma contro gli Stati che la frenano. Tutto sommato, sono più onesti i britannici che hanno scelto formalmente di uscirne, invece di continuare a remare contro. Quindi come strumento per migliorare l’Europa (qualunque cosa s’intenda per miglioramento) la votazione per il Parlamento europeo conta poco o nulla.

Conterebbero invece le elezioni per i Parlamenti nazionali, se i candidati dicessero chiaramente quali politiche intendono mettere in atto su scala europea. In genere, parlano d’altro.

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La Dichiarazione delle Università cattoliche europee https://www.lavoce.it/dichiarazione-universita-cattoliche-europee/ Thu, 09 May 2019 09:18:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54469 cattoliche

di Francesco Bonini*

Noi rettori di Università cattoliche dell’Europa, riuniti a Parigi il 3 maggio 2019, consapevoli dell’identità di questa grande e antica realtà che è l’Europa e di ciò che rappresenta per il mondo intero, anche nella sua radice cristiana, intendiamo richiamare le ragioni di un orizzonte europeo condiviso, anche in vista delle ormai imminenti elezioni del Parlamento europeo.

1) L’Europa, per la sua storia e la sua vocazione, è prima di tutto una comunità.

Far vivere una comunità implica il riconoscimento reciproco, la franchezza nelle relazioni, la riaffermazione costante dei fondamenti e degli obiettivi comuni, senza temere il confronto né la competizione, ma lavorando per una sempre maggiore collaborazione intorno a progetti chiaramente definiti secondo una coerente sussidiarietà.

2) La democrazia in Europa e la democrazia europea sono un bene originale, prezioso, ma fragile e mai completamente acquisito.

Questa democrazia è vigile sui principi, radicata nel pluralismo, nello stato di diritto e nella dimensione solidale. Ha prodotto e deve continuare ad assicurare benessere per tutti, combattendo ogni forma di esclusione sociale. Comporta impegnarci, con uno sforzo comune, per un “umanesimo contemporaneo”, come cornice ed orizzonte di sviluppo di tutti e di ciascuno.

Il 9 maggio la festa dell’Europa. Processione ecumenica a Milano

La festa dell’Europa, 9 maggio , celebra la pace e l’unità nel Continente. La data è l’anniversario della “dichiarazione di Schuman” del 1950, quando l’allora ministro degli Esteri francese espose la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l’Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra. La proposta di Robert Schuman è considerata l’atto di nascita dell’Unione europea. Per celebrare la festa dell’Europa, agli inizi di maggio le istituzioni dell’Ue aprono al grande pubblico le porte delle loro sedi di Bruxelles e Strasburgo. Gli uffici locali dell’Ue in Europa e nel resto del mondo organizzano una serie di attività ed eventi per un pubblico di tutte le età.

Ogni anno migliaia di persone partecipano a visite, dibattiti, concerti e altri eventi organizzati per l’occasione e per avvicinare maggiormente i cittadini alle istituzioni europee.

3) L’Europa ha un posto e una responsabilità specifica nel mondo

proprio perché è espressione di tante soggettività nazionali e statali, sociali ed istituzionali, di cui tutti ci dobbiamo sentire corresponsabili. Per servire il bene comune europeo e internazionale è necessario reinterpretare i beni fondamentali che vogliamo cercare di raggiungere insieme per rispondere alle grandi sfide di oggi e di domani.

4) Le università, e le università cattoliche in particolare

sono presidii essenziali per insegnare a vivere il pluralismo comunitario, il benessere sociale, la coscienza morale, la solidarietà come dimensione strutturata. Costitutivo del sapere il senso critico permette di resistere ad ogni forma di globalizzazione uni formatrice ed imperialista. Per questo prendiamo l’impegno di continuare a formare donne e uomini liberi e forti, consapevoli ed eccellenti, che possano sviluppare la ricerca, la tecnologia e le scienze verso nuove frontiere, mettendosi sempre a servizio delle persone e delle comunità concrete, per uno sviluppo equo e durevole.

In questa prospettiva, restiamo fiduciosi nell’orizzonte comune che ci offre il progetto europeo.

Sul sito https://www.lumsa.it/dichiarazione-delleuniversità-cattoliche-l’europa-va-difesa si trova l’elenco degli atenei europei che hanno aderito alla Dichiarazione.

 

*rettore della Lumsa

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cattoliche

di Francesco Bonini*

Noi rettori di Università cattoliche dell’Europa, riuniti a Parigi il 3 maggio 2019, consapevoli dell’identità di questa grande e antica realtà che è l’Europa e di ciò che rappresenta per il mondo intero, anche nella sua radice cristiana, intendiamo richiamare le ragioni di un orizzonte europeo condiviso, anche in vista delle ormai imminenti elezioni del Parlamento europeo.

1) L’Europa, per la sua storia e la sua vocazione, è prima di tutto una comunità.

Far vivere una comunità implica il riconoscimento reciproco, la franchezza nelle relazioni, la riaffermazione costante dei fondamenti e degli obiettivi comuni, senza temere il confronto né la competizione, ma lavorando per una sempre maggiore collaborazione intorno a progetti chiaramente definiti secondo una coerente sussidiarietà.

2) La democrazia in Europa e la democrazia europea sono un bene originale, prezioso, ma fragile e mai completamente acquisito.

Questa democrazia è vigile sui principi, radicata nel pluralismo, nello stato di diritto e nella dimensione solidale. Ha prodotto e deve continuare ad assicurare benessere per tutti, combattendo ogni forma di esclusione sociale. Comporta impegnarci, con uno sforzo comune, per un “umanesimo contemporaneo”, come cornice ed orizzonte di sviluppo di tutti e di ciascuno.

Il 9 maggio la festa dell’Europa. Processione ecumenica a Milano

La festa dell’Europa, 9 maggio , celebra la pace e l’unità nel Continente. La data è l’anniversario della “dichiarazione di Schuman” del 1950, quando l’allora ministro degli Esteri francese espose la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l’Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra. La proposta di Robert Schuman è considerata l’atto di nascita dell’Unione europea. Per celebrare la festa dell’Europa, agli inizi di maggio le istituzioni dell’Ue aprono al grande pubblico le porte delle loro sedi di Bruxelles e Strasburgo. Gli uffici locali dell’Ue in Europa e nel resto del mondo organizzano una serie di attività ed eventi per un pubblico di tutte le età.

Ogni anno migliaia di persone partecipano a visite, dibattiti, concerti e altri eventi organizzati per l’occasione e per avvicinare maggiormente i cittadini alle istituzioni europee.

3) L’Europa ha un posto e una responsabilità specifica nel mondo

proprio perché è espressione di tante soggettività nazionali e statali, sociali ed istituzionali, di cui tutti ci dobbiamo sentire corresponsabili. Per servire il bene comune europeo e internazionale è necessario reinterpretare i beni fondamentali che vogliamo cercare di raggiungere insieme per rispondere alle grandi sfide di oggi e di domani.

4) Le università, e le università cattoliche in particolare

sono presidii essenziali per insegnare a vivere il pluralismo comunitario, il benessere sociale, la coscienza morale, la solidarietà come dimensione strutturata. Costitutivo del sapere il senso critico permette di resistere ad ogni forma di globalizzazione uni formatrice ed imperialista. Per questo prendiamo l’impegno di continuare a formare donne e uomini liberi e forti, consapevoli ed eccellenti, che possano sviluppare la ricerca, la tecnologia e le scienze verso nuove frontiere, mettendosi sempre a servizio delle persone e delle comunità concrete, per uno sviluppo equo e durevole.

In questa prospettiva, restiamo fiduciosi nell’orizzonte comune che ci offre il progetto europeo.

Sul sito https://www.lumsa.it/dichiarazione-delleuniversità-cattoliche-l’europa-va-difesa si trova l’elenco degli atenei europei che hanno aderito alla Dichiarazione.

 

*rettore della Lumsa

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“Mediterraneo, frontiera di pace”. Incontro di Vescovi da 3 continenti https://www.lavoce.it/mediterraneo-frontiera-pace/ Sun, 14 Apr 2019 08:41:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54387 mediterraneo

Aprendo il Consiglio permamanete della Conferenza episcopale italiana, lunedì 8 aprile, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, è tornato sull’incontro per la pace nel Mediterraneo da tempo annunciato e ora sempre più definito, a cominciare dalle date, cinque giornate a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020 e dal titolo: “Mediterraneo, frontiera di pace”. Arriveranno a Bari da almeno venti Paesi e da tre continenti: Europa, Asia e Africa. Sono cardinali, vescovi, patriarchi delle Chiese cattoliche che si affacciano sul Mediterraneo.

L’incontro, ha detto Bassetti al Consiglio, “sarà un’assise unica nel suo genere tra i Vescovi cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un incontro, anche qui, basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario, che, valorizzando la sinodalità, si prefigge di compiere un passo verso la promozione di una cultura del dialogo e della pace, per un futuro dell’Italia, dell’Europa, dell’intero bacino mediterraneo”.

Publichiamo in questa pagina un ampio passaggio della prolusione tenuta dal cardinale Bassetti il 18 dicembre scorso a Molfetta, all’Inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà Teologica della Puglia.

In questo testo illustra le ragioni e lo spirito dell’incontro per la pace nel Mediterraneo.

"Se diamo uno sguardo profondo, di fede, ci accorgiamo che dalle ferite dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale siamo guariti grazie a coloro che hanno saputo dare la vita. La storia va avanti grazie a coloro che donano la vita, non a quelli che la distruggono. (…) Dobbiamo riconoscere che questa stessa consapevolezza si ritrova anche in tante lettere dei condannati a morte della resistenza europea, anche non credenti. Un testo [le lettere, ndr] che dovremmo tutti riprendere in mano per scoprirvi il senso di un’Europa che non è unita solo dalla moneta e dalle regole dei mercati! Un testo che dovrebbero in particolare riprendere in mano i leaders europei (nazionali e comunitari) per costruire, su quelle estreme testimonianze di speranza e futuro, un’Europa solidale, libera, gelosa di tutelare la dignità della persona umana. Un’Europa che fa crescere, attraverso la pace, la prosperità e il benessere dei popoli che la compongono senza distinzione di razza, di sesso, di cultura, di apparenza religiosa.

La nostra Europa, cari amici e care amiche, non può permettersi di ammalarsi di nuovo! Deve, invece guarire da quelle nuove malattie che la invecchiano e la privano di speranza, di attesa, di capacità di far spazio alle giovani generazioni.

La nostra Europa non può più permettersi di procedere in ordine sparso nello scenario internazionale. Deve, con unità di intenti, di interessi e di valori, cogliere le sfide epocali del mondo, che - volenti o nolenti - è un’unica famiglia di popoli, in cui l’ingiustizia subita dall’uno ha conseguenze, presto o tardi, nella vita interna dell’altro. Fenomeni di tale portata che nessuna nazione, neanche la più potente, potrà mai affrontare da sola.

Cari amici e care amiche pugliesi, nella vostra storia è scritta la consapevolezza che non c’è Europa senza Mediterraneo e non c’è Mediterraneo senza Europa. Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo: la guerra in Ucraina, con tutte le sue implicazioni, sta lì - purtroppo - a dimostrarlo. Essa non è che un pezzo della “guerra mondiale a pezzetti” di cui, il Mediterraneo costituisce uno degli snodi principali.

Giorgio La Pira parlava del grande lago di Tiberiade e della casa co- europea, esse sono, appunto, realtà che si reggono o cadono insieme. La casa comune europea è - nel pensiero di La Pira - più grande della attuale Unione Europea, è una realtà sinergica, che va dall’Atlantico agli Urali, nella quale il cristianesimo ha affondato le sue radici, ha plasmato le società e respira - come diceva san Giovanni Paolo II - con due polmoni, nonostante le divisioni che permangono e che purtroppo talvolta si aggiungono.

Credo che la presa di coscienza della comune responsabilità dei cristiani europei (dall’Atlantico agli Urali, ma anche da nord a sud) nei confronti della pace, della giustizia e della riconciliazione fra i popoli sia una premessa necessaria per la stabilizzazione dell’area mediterranea e mediorientale, quindi per la prosperità e la pace di tutte le nazioni.

Un orizzonte, che non siamo soli a sognare perché è anche il sogno di Dio: la promessa e la prospettiva del suo Regno verso cui il cristiano non smette di camminare: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio!

Se dovessi indicare una parola chiave del mio intervento, indicherei la parola “frontiera”. Non c’è dubbio, infatti, che il Mar Mediterraneo sia una “frontiera” nel senso classico di “confine”, esso infatti separa spazi controllati dastati diversi ed è presidiato militarmente.

Tuttavia, non è una frontiera solo in questo senso, ma anche in quello traslato di “punto di partenza”, di “sfida verso nuovi orizzonti”. (…) Il Mediterraneo unisce e divide i popoli rivieraschi, unisce e divide il mondo. La storia dell’Europa moderna ci dice che quando il Mediterraneo è usato per dividere, i poveri - a qualsiasi riva appartengano - finiscono per soffrirne.

È un inganno demagogico e pericoloso far credere che la divisione offra garanzie: l’interdipendenza dei popoli, infatti, non è una scelta ideologica “buonista”, è un dato di realtà che va gestito! Questa la sfimune da che ci troviamo a vivere, care sorelle e cari fratelli: una sfida che noi cristiani cogliamo per rimanere fedeli alla sequela di Gesù! (…) Cari amici, fra qualche mese ospiterete l’incontro dei vescovi del Mediterraneo. Questo incontro nasce dalla voglia di congedarsi da questi schemi, nasce anche da alcune semplici considerazioni.

La prima riguarda il fatto che i problemi che affliggono il Mediterraneo, compreso la tragedia delle migrazioni, si risolvono a partire dalla coscienza dei popoli rivieraschi di appartenere - pur in tutte le differenze - ad una medesima realtà mediterranea.

La seconda è che la Chiesa è mediterranea per diritto di nascita! Il Mare è il mezzo attraverso il quale il cristianesimo ha valicato i confini etnici, linguistici, culturali. E’ grazie al Mediterraneo (come opportunità transculturale, come spazio di interculturazione) che è stato possibile concettualizzare e annunciare la portata universale della Resurrezione di Cristo! Le Chiese da cui è partita la spinta missionaria verso tutto il mondo, non possono più rinunciare al respiro mediterraneo che le unisce perché questo nostro mare è uno snodo fondamentale per la testimonianza cristiana.

Se i cristiani prendono maggior coscienza della loro mediterraneità, della loro appartenenza reciproca, se organizzano le loro strutture di comunione e di discernimento tenendone conto, sia a livello intracattolico (con tutta la ricchezza delle tradizioni ecclesiali in comunione col vescovo di Roma), sia a livello ecumenico; se essi affrontano insieme la chiamata al dialogo interreligioso, tenendo conto che la Triplice famiglia di Abramo (come la chiamava La Pira) ha una comune origine mediterranea;

se praticano l’ecumenismo della carità e lottano insieme per la giustizia e la salvaguardia del creato; se prendono coscienza che l’ecumenismo dei martiri ha già realizzato quella perfetta comunione ecclesiale verso cui tutti stanno camminando…: allora il loro servizio alla pace fiorirà, perché le sorprese di Dio non sono finite, come non sono finite le sue promesse. E le sue promesse sono il senso e la direzione della storia, il senso della vita di ciascuno di noi. (…)"

Cardinale Gualtiero Bassetti

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mediterraneo

Aprendo il Consiglio permamanete della Conferenza episcopale italiana, lunedì 8 aprile, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Cei, è tornato sull’incontro per la pace nel Mediterraneo da tempo annunciato e ora sempre più definito, a cominciare dalle date, cinque giornate a Bari dal 19 al 23 febbraio 2020 e dal titolo: “Mediterraneo, frontiera di pace”. Arriveranno a Bari da almeno venti Paesi e da tre continenti: Europa, Asia e Africa. Sono cardinali, vescovi, patriarchi delle Chiese cattoliche che si affacciano sul Mediterraneo.

L’incontro, ha detto Bassetti al Consiglio, “sarà un’assise unica nel suo genere tra i Vescovi cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Un incontro, anche qui, basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario, che, valorizzando la sinodalità, si prefigge di compiere un passo verso la promozione di una cultura del dialogo e della pace, per un futuro dell’Italia, dell’Europa, dell’intero bacino mediterraneo”.

Publichiamo in questa pagina un ampio passaggio della prolusione tenuta dal cardinale Bassetti il 18 dicembre scorso a Molfetta, all’Inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà Teologica della Puglia.

In questo testo illustra le ragioni e lo spirito dell’incontro per la pace nel Mediterraneo.

"Se diamo uno sguardo profondo, di fede, ci accorgiamo che dalle ferite dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale siamo guariti grazie a coloro che hanno saputo dare la vita. La storia va avanti grazie a coloro che donano la vita, non a quelli che la distruggono. (…) Dobbiamo riconoscere che questa stessa consapevolezza si ritrova anche in tante lettere dei condannati a morte della resistenza europea, anche non credenti. Un testo [le lettere, ndr] che dovremmo tutti riprendere in mano per scoprirvi il senso di un’Europa che non è unita solo dalla moneta e dalle regole dei mercati! Un testo che dovrebbero in particolare riprendere in mano i leaders europei (nazionali e comunitari) per costruire, su quelle estreme testimonianze di speranza e futuro, un’Europa solidale, libera, gelosa di tutelare la dignità della persona umana. Un’Europa che fa crescere, attraverso la pace, la prosperità e il benessere dei popoli che la compongono senza distinzione di razza, di sesso, di cultura, di apparenza religiosa.

La nostra Europa, cari amici e care amiche, non può permettersi di ammalarsi di nuovo! Deve, invece guarire da quelle nuove malattie che la invecchiano e la privano di speranza, di attesa, di capacità di far spazio alle giovani generazioni.

La nostra Europa non può più permettersi di procedere in ordine sparso nello scenario internazionale. Deve, con unità di intenti, di interessi e di valori, cogliere le sfide epocali del mondo, che - volenti o nolenti - è un’unica famiglia di popoli, in cui l’ingiustizia subita dall’uno ha conseguenze, presto o tardi, nella vita interna dell’altro. Fenomeni di tale portata che nessuna nazione, neanche la più potente, potrà mai affrontare da sola.

Cari amici e care amiche pugliesi, nella vostra storia è scritta la consapevolezza che non c’è Europa senza Mediterraneo e non c’è Mediterraneo senza Europa. Non ci potrà mai essere un’Europa stabilmente in pace, senza pace nel Mediterraneo: la guerra in Ucraina, con tutte le sue implicazioni, sta lì - purtroppo - a dimostrarlo. Essa non è che un pezzo della “guerra mondiale a pezzetti” di cui, il Mediterraneo costituisce uno degli snodi principali.

Giorgio La Pira parlava del grande lago di Tiberiade e della casa co- europea, esse sono, appunto, realtà che si reggono o cadono insieme. La casa comune europea è - nel pensiero di La Pira - più grande della attuale Unione Europea, è una realtà sinergica, che va dall’Atlantico agli Urali, nella quale il cristianesimo ha affondato le sue radici, ha plasmato le società e respira - come diceva san Giovanni Paolo II - con due polmoni, nonostante le divisioni che permangono e che purtroppo talvolta si aggiungono.

Credo che la presa di coscienza della comune responsabilità dei cristiani europei (dall’Atlantico agli Urali, ma anche da nord a sud) nei confronti della pace, della giustizia e della riconciliazione fra i popoli sia una premessa necessaria per la stabilizzazione dell’area mediterranea e mediorientale, quindi per la prosperità e la pace di tutte le nazioni.

Un orizzonte, che non siamo soli a sognare perché è anche il sogno di Dio: la promessa e la prospettiva del suo Regno verso cui il cristiano non smette di camminare: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio!

Se dovessi indicare una parola chiave del mio intervento, indicherei la parola “frontiera”. Non c’è dubbio, infatti, che il Mar Mediterraneo sia una “frontiera” nel senso classico di “confine”, esso infatti separa spazi controllati dastati diversi ed è presidiato militarmente.

Tuttavia, non è una frontiera solo in questo senso, ma anche in quello traslato di “punto di partenza”, di “sfida verso nuovi orizzonti”. (…) Il Mediterraneo unisce e divide i popoli rivieraschi, unisce e divide il mondo. La storia dell’Europa moderna ci dice che quando il Mediterraneo è usato per dividere, i poveri - a qualsiasi riva appartengano - finiscono per soffrirne.

È un inganno demagogico e pericoloso far credere che la divisione offra garanzie: l’interdipendenza dei popoli, infatti, non è una scelta ideologica “buonista”, è un dato di realtà che va gestito! Questa la sfimune da che ci troviamo a vivere, care sorelle e cari fratelli: una sfida che noi cristiani cogliamo per rimanere fedeli alla sequela di Gesù! (…) Cari amici, fra qualche mese ospiterete l’incontro dei vescovi del Mediterraneo. Questo incontro nasce dalla voglia di congedarsi da questi schemi, nasce anche da alcune semplici considerazioni.

La prima riguarda il fatto che i problemi che affliggono il Mediterraneo, compreso la tragedia delle migrazioni, si risolvono a partire dalla coscienza dei popoli rivieraschi di appartenere - pur in tutte le differenze - ad una medesima realtà mediterranea.

La seconda è che la Chiesa è mediterranea per diritto di nascita! Il Mare è il mezzo attraverso il quale il cristianesimo ha valicato i confini etnici, linguistici, culturali. E’ grazie al Mediterraneo (come opportunità transculturale, come spazio di interculturazione) che è stato possibile concettualizzare e annunciare la portata universale della Resurrezione di Cristo! Le Chiese da cui è partita la spinta missionaria verso tutto il mondo, non possono più rinunciare al respiro mediterraneo che le unisce perché questo nostro mare è uno snodo fondamentale per la testimonianza cristiana.

Se i cristiani prendono maggior coscienza della loro mediterraneità, della loro appartenenza reciproca, se organizzano le loro strutture di comunione e di discernimento tenendone conto, sia a livello intracattolico (con tutta la ricchezza delle tradizioni ecclesiali in comunione col vescovo di Roma), sia a livello ecumenico; se essi affrontano insieme la chiamata al dialogo interreligioso, tenendo conto che la Triplice famiglia di Abramo (come la chiamava La Pira) ha una comune origine mediterranea;

se praticano l’ecumenismo della carità e lottano insieme per la giustizia e la salvaguardia del creato; se prendono coscienza che l’ecumenismo dei martiri ha già realizzato quella perfetta comunione ecclesiale verso cui tutti stanno camminando…: allora il loro servizio alla pace fiorirà, perché le sorprese di Dio non sono finite, come non sono finite le sue promesse. E le sue promesse sono il senso e la direzione della storia, il senso della vita di ciascuno di noi. (…)"

Cardinale Gualtiero Bassetti

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Invasione che non c’è: un documento per un approccio più equilibrato alle migrazioni https://www.lavoce.it/invasione-documento-migrazioni/ Fri, 12 Apr 2019 09:56:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54377 documento

“La percezione comune dei fenomeni migratori è deformata da una lettura impropria della realtà, la cui entità viene spesso amplificata dalla lente deformante della cattiva gestione e della strumentalizzazione a fini elettorali”. Inizia così il documento approvato dal Movimento ecclesiale di impegno culturale e offerto a tutti per un approccio più equilibrato al tema.

A questa premessa seguono, infatti le 5 proposte che qui sotto riportiamo, con le quali si invita ad affrontare il tema con concretezza, realismo senza rinunciare all’umanità. Il principale contributo al testo è stato dato dal sociologo Maurizio Ambrosini che sarà a Perugia sabato 13 aprile per un incontro dedicato proprio a questi temi.

Il documento (si può trovare su www.meic.net nella sezione news) contiene anche un sintetico ma ricco approfondimento proprio sui numeri del fenomeno troppo spesso non conosciuti o addirittura utilizzati a proposito per alimentare paure o false illusioni.

(Leggi anche: Quanti sono gli immigrati nell'Eugubino-Gualdese?)

I numeri delle migrazioni

Per esempio i numeri totali dei migranti internazionali nel mondo, che alimentano la paura di una invasione delle nostre città, dicono, è vero, di una crescita in termini assoluti (sono 257,7 milioni mentre erano 173 milioni nel 2000), ma molto poco in percentuale. Essi, infatti, si legge nel documento, “rappresentano il 3,4% della popolazione mondiale, di poco superiore al 2,9% dell’ormai lontano 1990. Dunque quasi il 97% degli esseri umani non si sposta dal suo paese di origine, malgrado i problemi che in tante aree del mondo deve affrontare quotidianamente.

Inoltre, 111,7 milioni si sono trasferiti in paesi classificati dall’ONU come in via di sviluppo, e solo 146 milioni verso paesi sviluppati”. Una fetta consistente dei flussi viaggia sulla direttrice Sud-Sud, e non mancano neppure le migrazioni Nord-Sud, così come tra gli ingressi nei paesi ad alto reddito una componente importante proviene da altri paesi del Nord globale. Non c’è evidenza di esodi biblici dall’Africa o da altre regioni a basso reddito verso l’Europa”. Inoltre di tutti i migranti quasi la metà (il 48,4%) sono donne.

Le migrazioni in Italia

Riguardo alle migrazioni in Italia “il dato saliente è la sostanziale stabilizzazione della popolazione immigrata da quattro anni a questa parte: 5,33 milioni secondo il Dossier Idos, pari all’8,5% della popolazione. A questi va aggiunta una stima di quasi 500.000 immigrati in condizione irregolare (Fondazione ISMU), la cui incidenza (9,7%) è peraltro inferiore a quella della prima decade di questo secolo (55,9% di irregolari nel 2002)”.

Inoltre la serie storica dei dati mostra che le migrazioni “non sono state fermate dalla riduzione degli sbarchi promossa dagli ultimi due governi, ma avevano cominciato a calare parecchio tempo prima, soprattutto per la riduzione delle opportunità lavorative”.

“È un persistente equivoco - avverte il documento - quello che confonde sbarcati, rifugiati e immigrati. In Italia le norme prevedono 21 tipi di permessi di soggiorno, senza contare coloro che non hanno bisogno di nessun permesso per entrare, cercare lavoro e soggiornare: tipicamente i cittadini di altri paesi dell’Unione Europea e che attualmente sono circa 1,5 milioni”.

M. R. V.

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documento

“La percezione comune dei fenomeni migratori è deformata da una lettura impropria della realtà, la cui entità viene spesso amplificata dalla lente deformante della cattiva gestione e della strumentalizzazione a fini elettorali”. Inizia così il documento approvato dal Movimento ecclesiale di impegno culturale e offerto a tutti per un approccio più equilibrato al tema.

A questa premessa seguono, infatti le 5 proposte che qui sotto riportiamo, con le quali si invita ad affrontare il tema con concretezza, realismo senza rinunciare all’umanità. Il principale contributo al testo è stato dato dal sociologo Maurizio Ambrosini che sarà a Perugia sabato 13 aprile per un incontro dedicato proprio a questi temi.

Il documento (si può trovare su www.meic.net nella sezione news) contiene anche un sintetico ma ricco approfondimento proprio sui numeri del fenomeno troppo spesso non conosciuti o addirittura utilizzati a proposito per alimentare paure o false illusioni.

(Leggi anche: Quanti sono gli immigrati nell'Eugubino-Gualdese?)

I numeri delle migrazioni

Per esempio i numeri totali dei migranti internazionali nel mondo, che alimentano la paura di una invasione delle nostre città, dicono, è vero, di una crescita in termini assoluti (sono 257,7 milioni mentre erano 173 milioni nel 2000), ma molto poco in percentuale. Essi, infatti, si legge nel documento, “rappresentano il 3,4% della popolazione mondiale, di poco superiore al 2,9% dell’ormai lontano 1990. Dunque quasi il 97% degli esseri umani non si sposta dal suo paese di origine, malgrado i problemi che in tante aree del mondo deve affrontare quotidianamente.

Inoltre, 111,7 milioni si sono trasferiti in paesi classificati dall’ONU come in via di sviluppo, e solo 146 milioni verso paesi sviluppati”. Una fetta consistente dei flussi viaggia sulla direttrice Sud-Sud, e non mancano neppure le migrazioni Nord-Sud, così come tra gli ingressi nei paesi ad alto reddito una componente importante proviene da altri paesi del Nord globale. Non c’è evidenza di esodi biblici dall’Africa o da altre regioni a basso reddito verso l’Europa”. Inoltre di tutti i migranti quasi la metà (il 48,4%) sono donne.

Le migrazioni in Italia

Riguardo alle migrazioni in Italia “il dato saliente è la sostanziale stabilizzazione della popolazione immigrata da quattro anni a questa parte: 5,33 milioni secondo il Dossier Idos, pari all’8,5% della popolazione. A questi va aggiunta una stima di quasi 500.000 immigrati in condizione irregolare (Fondazione ISMU), la cui incidenza (9,7%) è peraltro inferiore a quella della prima decade di questo secolo (55,9% di irregolari nel 2002)”.

Inoltre la serie storica dei dati mostra che le migrazioni “non sono state fermate dalla riduzione degli sbarchi promossa dagli ultimi due governi, ma avevano cominciato a calare parecchio tempo prima, soprattutto per la riduzione delle opportunità lavorative”.

“È un persistente equivoco - avverte il documento - quello che confonde sbarcati, rifugiati e immigrati. In Italia le norme prevedono 21 tipi di permessi di soggiorno, senza contare coloro che non hanno bisogno di nessun permesso per entrare, cercare lavoro e soggiornare: tipicamente i cittadini di altri paesi dell’Unione Europea e che attualmente sono circa 1,5 milioni”.

M. R. V.

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