DE GUSTIBUS Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/rubriche/de-gustibus/ Settimanale di informazione regionale Fri, 22 May 2020 12:00:57 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg DE GUSTIBUS Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/rubriche/de-gustibus/ 32 32 I ‘moderatori’ di Fb vittime dello stress https://www.lavoce.it/i-moderatori-di-fb-vittime-dello-stress/ Fri, 22 May 2020 12:00:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57201 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Ci sono molti motivi per essere stressati. Nobili e meno. Una ricerca dell’Università Cattolica ha accertato che il 90 per cento dei medici che sono stati impegnati nell’emergenza Covid nelle Regioni italiane più colpite ha avuto, nei mesi più intensi, diversi sintomi da stress psicologico e fisico. Ora per questi medici di prima e primissima linea arriveranno dei riconoscimenti economici. Modesti, rispetto al loro impegno. Molto più consistenti saranno quelli che un tribunale della California ha stabilito dovrà sborsare, al termine di una causa collettiva, il proprietario di Facebook, Mark Zuckerberg, ai cosiddetti ‘moderatori di contenuti’: il loro lavoro in questo diffusissimo social media consiste nel visionare, ed eliminare, dalla piattaforma i contenuti non consentiti. Queste persone hanno avuto traumi psicologici a causa della loro ripetuta esposizione a immagini violente, come abusi su minori, decapitazioni di vittime del terrorismo, crudeltà su animali, stupri e altre violenze. C’è chi crolla di fronte a un prolungato e dispendioso impegno, fisico e psicologico, nel tentativo di salvare vite umane, e chi resta segnato dall’aver dovuto ‘ripulire’ le fogne mediatiche di un consorzio umano dove in troppi considerano normale opportuno - e troppo spesso, ahimè, remunerativo - diffondere immagini e suoni delle proprie nefandezze. È certo che dal Covid si uscirà, prima o poi. Meno certo che il lato oscuro della Rete possa ripulirsi. Daris Giancarlini]]>
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Ci sono molti motivi per essere stressati. Nobili e meno. Una ricerca dell’Università Cattolica ha accertato che il 90 per cento dei medici che sono stati impegnati nell’emergenza Covid nelle Regioni italiane più colpite ha avuto, nei mesi più intensi, diversi sintomi da stress psicologico e fisico. Ora per questi medici di prima e primissima linea arriveranno dei riconoscimenti economici. Modesti, rispetto al loro impegno. Molto più consistenti saranno quelli che un tribunale della California ha stabilito dovrà sborsare, al termine di una causa collettiva, il proprietario di Facebook, Mark Zuckerberg, ai cosiddetti ‘moderatori di contenuti’: il loro lavoro in questo diffusissimo social media consiste nel visionare, ed eliminare, dalla piattaforma i contenuti non consentiti. Queste persone hanno avuto traumi psicologici a causa della loro ripetuta esposizione a immagini violente, come abusi su minori, decapitazioni di vittime del terrorismo, crudeltà su animali, stupri e altre violenze. C’è chi crolla di fronte a un prolungato e dispendioso impegno, fisico e psicologico, nel tentativo di salvare vite umane, e chi resta segnato dall’aver dovuto ‘ripulire’ le fogne mediatiche di un consorzio umano dove in troppi considerano normale opportuno - e troppo spesso, ahimè, remunerativo - diffondere immagini e suoni delle proprie nefandezze. È certo che dal Covid si uscirà, prima o poi. Meno certo che il lato oscuro della Rete possa ripulirsi. Daris Giancarlini]]>
Il grande ballo in mascherina https://www.lavoce.it/il-grande-ballo-in-mascherina/ Thu, 14 May 2020 15:18:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57155 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

“Ti conosco, mascherina”... ma non ti trovo! Una delle poche, minime certezze della ‘fase 2’, insieme ai guanti in lattice, al distanziamento (termine orribile) e al lavaggio delle mani, - la mascherina, appunto - sta sparendo quando servirebbe di più. Il supercommissario all’emergenza Arcuri dice che la colpa è dei fornitori che non le fanno arrivare alle farmacie, i farmacisti appendono cartelli per dire che no, le mascherine - quelle a 50 centesimi, il prezzo stabilito dal Governo - non ci sono (invece quelle 3 euro, sì?). Tutti le cercano, qualcuno si arrangia autoproducendole, con il via libera delle autorità scientifiche. E se ne vedono di ogni tipo e foggia, colorate o scure, maculate o a righe. Ma proteggono veramente? I virologi non confermano e non smentiscono: sono utili, vanno indossate, ma che preservino dal contagio è tutto da dimostrare. E allora? Allora, nel dubbio, meglio mettersele in faccia. Se si trovassero. Insomma, del virus la scienza sa ancora poco o nulla, la politica si muove con pressappochismo e approssimazione, la burocrazia arranca e la disorganizzazione dilaga. Anche nelle piccole cose, come le mascherine, che poi tanto piccole e insignificanti non sono. Magari la mattina, prima di uscire di casa, insieme alla mascherina adottiamo un’altra precauzione: facciamoci il segno della croce. Daris Giancarlini]]>
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“Ti conosco, mascherina”... ma non ti trovo! Una delle poche, minime certezze della ‘fase 2’, insieme ai guanti in lattice, al distanziamento (termine orribile) e al lavaggio delle mani, - la mascherina, appunto - sta sparendo quando servirebbe di più. Il supercommissario all’emergenza Arcuri dice che la colpa è dei fornitori che non le fanno arrivare alle farmacie, i farmacisti appendono cartelli per dire che no, le mascherine - quelle a 50 centesimi, il prezzo stabilito dal Governo - non ci sono (invece quelle 3 euro, sì?). Tutti le cercano, qualcuno si arrangia autoproducendole, con il via libera delle autorità scientifiche. E se ne vedono di ogni tipo e foggia, colorate o scure, maculate o a righe. Ma proteggono veramente? I virologi non confermano e non smentiscono: sono utili, vanno indossate, ma che preservino dal contagio è tutto da dimostrare. E allora? Allora, nel dubbio, meglio mettersele in faccia. Se si trovassero. Insomma, del virus la scienza sa ancora poco o nulla, la politica si muove con pressappochismo e approssimazione, la burocrazia arranca e la disorganizzazione dilaga. Anche nelle piccole cose, come le mascherine, che poi tanto piccole e insignificanti non sono. Magari la mattina, prima di uscire di casa, insieme alla mascherina adottiamo un’altra precauzione: facciamoci il segno della croce. Daris Giancarlini]]>
‘Dopo-virus’, meglio una sanità senza politica https://www.lavoce.it/dopo-virus-meglio-una-sanita-senza-politica/ Thu, 07 May 2020 16:49:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57083 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz sostiene che la pandemia ci ha insegnato “quanto siano disastrose le conseguenze delle disuguaglianze, a partire da quella sanitaria”. Quelle che lo studioso definisce ‘disuguaglianze’ sono figlie di scelte politiche ben precise. In Italia, come negli altri Paesi del mondo. Nel nostro Paese, quello della sanità è un piatto troppo ricco perché la politica ne possa restare fuori. Nei decenni, questo settore così importante è stato oggetto di volta in volta di potenti iniezioni di risorse - finanziarie e umane - ma anche di tagli impietosi e, alla luce degli ultimi fatti, troppo spesso irrazionali. Viene da chiedersi se i problemi dei posti letto nelle Terapie intensive sarebbero stati della stessa, spesso fatale, entità in questi tre mesi di contagio, se quegli stessi ospedali e quegli stessi reparti non fossero stati penalizzati dalla riduzione drastica di risorse finanziarie, strumentazioni mediche e personale. Magari se, invece dei posti letto, oggetto di tagli fossero stati il numero dei cosiddetti ‘manager’ nominati dalla politica, o i loro stipendi, tante difficoltà si sarebbero evitate. Il virus potrebbe essere l’occasione per ‘liberare’ la sanità dai lacci e laccioli che le impone la politica. La quale come primo passo dovrebbe evitare di designare i vertici delle strutture ospedaliere. Lasciando questo delicato compito a organismi ‘esterni’, che scelgano in base al merito. Una piccola, grande ‘rivoluzione’; ma spesso da queste scelte dipende la salute, e la vita, dei pazienti. Daris Giancarlini]]>
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L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz sostiene che la pandemia ci ha insegnato “quanto siano disastrose le conseguenze delle disuguaglianze, a partire da quella sanitaria”. Quelle che lo studioso definisce ‘disuguaglianze’ sono figlie di scelte politiche ben precise. In Italia, come negli altri Paesi del mondo. Nel nostro Paese, quello della sanità è un piatto troppo ricco perché la politica ne possa restare fuori. Nei decenni, questo settore così importante è stato oggetto di volta in volta di potenti iniezioni di risorse - finanziarie e umane - ma anche di tagli impietosi e, alla luce degli ultimi fatti, troppo spesso irrazionali. Viene da chiedersi se i problemi dei posti letto nelle Terapie intensive sarebbero stati della stessa, spesso fatale, entità in questi tre mesi di contagio, se quegli stessi ospedali e quegli stessi reparti non fossero stati penalizzati dalla riduzione drastica di risorse finanziarie, strumentazioni mediche e personale. Magari se, invece dei posti letto, oggetto di tagli fossero stati il numero dei cosiddetti ‘manager’ nominati dalla politica, o i loro stipendi, tante difficoltà si sarebbero evitate. Il virus potrebbe essere l’occasione per ‘liberare’ la sanità dai lacci e laccioli che le impone la politica. La quale come primo passo dovrebbe evitare di designare i vertici delle strutture ospedaliere. Lasciando questo delicato compito a organismi ‘esterni’, che scelgano in base al merito. Una piccola, grande ‘rivoluzione’; ma spesso da queste scelte dipende la salute, e la vita, dei pazienti. Daris Giancarlini]]>
Pandemia e privacy, attenti alle nuove app https://www.lavoce.it/pandemia-e-privacy-attenti-alle-nuove-app/ Fri, 01 May 2020 11:10:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57007 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Da quando stiamo in casa per la pandemia, la trasformazione digitale ha subìto un’accelerazione potente. Uno studio del Cnr rivela che è raddoppiato il tempo trascorso sui social e triplicato quello sui videogiochi.

Già prima che il Covid stravolgesse le vite di tutti, si ragionava sulle mutazioni, non tutte positive, che le tecnologie digitali, con i loro annessi e connessi, stavano operando nei rapporti fra le persone. Ci si chiedeva - e, dopo il virus, ancora di più - se la trasformazione digitale fosse al servizio delle persone o viceversa.

Domandarci quale effetto le misure antivirus abbiano sulla vita di ogni individuo è fondamentale in questa fase, per evitare che la prevalenza del digitale diventi tale da padroneggiare le esistenze di ognuno. In una strada senza ritorno.

Sfera privata ceduta in cambio di quasi nulla

Non c’è mai stata epoca come l’attuale - Covid a parte - in cui si è pronunciata così di frequente la parola ‘privacy’. Ma spesso ognuno di noi si è accorto con ritardo che, invece di difendere la propria sfera privata, ne aveva ceduto quote decisive. In cambio di quasi nulla.

“Una volta rimossa l’ultima muraglia del nostro essere privato, nessun Governo ce la restituirà” ha scritto il sociologo Derrick De Kerchove, convinto che “dopo il coronavirus, saremo come tante api produttrici di dati e algoritmi nell’alveare globale”. Insomma, con la popolazione chiusa in casa e la comunicazione digitale ai massimi, si potrebbe essere chiuso un cerchio. O forse, un recinto. Va tenuta alta la guardia, prima di scaricare una nuova app.

Daris Giancarlini

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Da quando stiamo in casa per la pandemia, la trasformazione digitale ha subìto un’accelerazione potente. Uno studio del Cnr rivela che è raddoppiato il tempo trascorso sui social e triplicato quello sui videogiochi.

Già prima che il Covid stravolgesse le vite di tutti, si ragionava sulle mutazioni, non tutte positive, che le tecnologie digitali, con i loro annessi e connessi, stavano operando nei rapporti fra le persone. Ci si chiedeva - e, dopo il virus, ancora di più - se la trasformazione digitale fosse al servizio delle persone o viceversa.

Domandarci quale effetto le misure antivirus abbiano sulla vita di ogni individuo è fondamentale in questa fase, per evitare che la prevalenza del digitale diventi tale da padroneggiare le esistenze di ognuno. In una strada senza ritorno.

Sfera privata ceduta in cambio di quasi nulla

Non c’è mai stata epoca come l’attuale - Covid a parte - in cui si è pronunciata così di frequente la parola ‘privacy’. Ma spesso ognuno di noi si è accorto con ritardo che, invece di difendere la propria sfera privata, ne aveva ceduto quote decisive. In cambio di quasi nulla.

“Una volta rimossa l’ultima muraglia del nostro essere privato, nessun Governo ce la restituirà” ha scritto il sociologo Derrick De Kerchove, convinto che “dopo il coronavirus, saremo come tante api produttrici di dati e algoritmi nell’alveare globale”. Insomma, con la popolazione chiusa in casa e la comunicazione digitale ai massimi, si potrebbe essere chiuso un cerchio. O forse, un recinto. Va tenuta alta la guardia, prima di scaricare una nuova app.

Daris Giancarlini

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Scuola, dalla politica non arrivano soluzioni https://www.lavoce.it/scuola-dalla-politica-non-arrivano-soluzioni/ Thu, 23 Apr 2020 08:44:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56965 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

"Niente sarà come prima", si sente dire da quando è in atto la pandemia. Si spera sia così, per quanto riguarda la scuola italiana. Da sempre negli ultimi posti delle priorità cui destinare risorse, energie e progetti per migliorarla. Ad eccezione di pasticciate o inconcludenti leggi di riforma. Quello che sta accadendo in queste settimane di stop alla normalità scolastica è al contempo rassicurante e deprimente. Perché conferma come gli italiani si stiano dimostrando migliori di chi li governa e dirige. Rassicura, e commuove, l'impegno di tanti professori e maestri per continuare a coinvolgere i ragazzi, tramite le risorse multimediali. I loro allievi non sono da meno: c'è chi, abitando in zone senza segnale internet, per seguire le lezioni online esce in giardino o nei campi, con un banchetto e un seggiolino, insieme al tablet o al pc. Non si tirano indietro i genitori, che si sono rimessi a studiare le tabelline, l'Impero romano, gli affluenti del Po e il teorema di Pitagora. La politica, invece, delude, mostrando poca o nessuna fantasia o capacità creativa nel prospettare soluzioni per fare in modo che la scuola, certo in regime di sicurezza estrema, torni ad essere luogo di imprescindibile compresenza fisica tra docente e discente. I ragazzi, di ogni età, hanno bisogno di tornare tra i banchi. Quanto prima, non a settembre. È sacrosanto, ma non basta ripetere che viene prima di tutto la salute. Servono altre decisioni. Ponderate certo, ma non evasive del vero problema: far rientrare nel concetto di 'salute' dei nostri ragazzi anche quella psicologica. Daris Giancarlini]]>
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"Niente sarà come prima", si sente dire da quando è in atto la pandemia. Si spera sia così, per quanto riguarda la scuola italiana. Da sempre negli ultimi posti delle priorità cui destinare risorse, energie e progetti per migliorarla. Ad eccezione di pasticciate o inconcludenti leggi di riforma. Quello che sta accadendo in queste settimane di stop alla normalità scolastica è al contempo rassicurante e deprimente. Perché conferma come gli italiani si stiano dimostrando migliori di chi li governa e dirige. Rassicura, e commuove, l'impegno di tanti professori e maestri per continuare a coinvolgere i ragazzi, tramite le risorse multimediali. I loro allievi non sono da meno: c'è chi, abitando in zone senza segnale internet, per seguire le lezioni online esce in giardino o nei campi, con un banchetto e un seggiolino, insieme al tablet o al pc. Non si tirano indietro i genitori, che si sono rimessi a studiare le tabelline, l'Impero romano, gli affluenti del Po e il teorema di Pitagora. La politica, invece, delude, mostrando poca o nessuna fantasia o capacità creativa nel prospettare soluzioni per fare in modo che la scuola, certo in regime di sicurezza estrema, torni ad essere luogo di imprescindibile compresenza fisica tra docente e discente. I ragazzi, di ogni età, hanno bisogno di tornare tra i banchi. Quanto prima, non a settembre. È sacrosanto, ma non basta ripetere che viene prima di tutto la salute. Servono altre decisioni. Ponderate certo, ma non evasive del vero problema: far rientrare nel concetto di 'salute' dei nostri ragazzi anche quella psicologica. Daris Giancarlini]]>
Pasqua alla luce del pensiero di Francesco https://www.lavoce.it/pasqua-pensiero-di-francesco/ Sun, 12 Apr 2020 14:43:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56873 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Come interpretare questa ‘anomala’ Pasqua del 2020.

“Se vogliamo che il mondo non ci uccida, non dobbiamo più uccidere il mondo con tanto disprezzo” ammonisce lo scrittore Kamel Daoud riflettendo sulla pandemia. Un altro scrittore, Mauro Covacich, sostiene che “il coronavirus esiste perché la vita è ingiusta”. Papa Francesco ha indicato un criterio preciso su cui approfondire l’analisi di quello che sta capitando all’umanità. “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sani in un mondo malato”. Anche su cosa abbia fatto “ammalare” il pianeta, lo stesso Pontefice ha proposto analisi nette, senza reticenze o ipocrisie. Parlando del modello economico capitalistico come di un sistema “vorace, orientato al profitto, con un orizzonte limitato e con un disastroso impatto sul mondo naturale e sulla vita della gente”. Ricorda, Francesco, l’approccio degli indios delle Americhe alla questione ambientale, quando sottolinea che “per loro la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale interagire per alimentare identità e valori”. La critica del Papa riguarda quella che lui stesso definisce “economia dell’esclusione”. In questi giorni di emergenza sanitaria, molti “esclusi” bussano alla porta per chiedere aiuto. A loro Francesco si è rivolto nell’omelia della messa a Santa Marta del 6 aprile, spiegando che “saremo giudicati per il nostro rapporto con i poveri: questo è il centro del Vangelo”. Tenerlo a mente può essere un buon criterio con cui interpretare questa ‘anomala’ Pasqua del 2020. Daris Giancarlini]]>
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Come interpretare questa ‘anomala’ Pasqua del 2020.

“Se vogliamo che il mondo non ci uccida, non dobbiamo più uccidere il mondo con tanto disprezzo” ammonisce lo scrittore Kamel Daoud riflettendo sulla pandemia. Un altro scrittore, Mauro Covacich, sostiene che “il coronavirus esiste perché la vita è ingiusta”. Papa Francesco ha indicato un criterio preciso su cui approfondire l’analisi di quello che sta capitando all’umanità. “Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sani in un mondo malato”. Anche su cosa abbia fatto “ammalare” il pianeta, lo stesso Pontefice ha proposto analisi nette, senza reticenze o ipocrisie. Parlando del modello economico capitalistico come di un sistema “vorace, orientato al profitto, con un orizzonte limitato e con un disastroso impatto sul mondo naturale e sulla vita della gente”. Ricorda, Francesco, l’approccio degli indios delle Americhe alla questione ambientale, quando sottolinea che “per loro la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale interagire per alimentare identità e valori”. La critica del Papa riguarda quella che lui stesso definisce “economia dell’esclusione”. In questi giorni di emergenza sanitaria, molti “esclusi” bussano alla porta per chiedere aiuto. A loro Francesco si è rivolto nell’omelia della messa a Santa Marta del 6 aprile, spiegando che “saremo giudicati per il nostro rapporto con i poveri: questo è il centro del Vangelo”. Tenerlo a mente può essere un buon criterio con cui interpretare questa ‘anomala’ Pasqua del 2020. Daris Giancarlini]]>
Per il bene della Nazione nel “dopo” https://www.lavoce.it/bene-della-nazione-nel-dopo-emergenza/ Fri, 03 Apr 2020 16:00:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56748 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Tricolori sui balconi Inno di Mameli cantato nei condomini

Serve anche questo (apparentemente) ritrovato orgoglio nazionale a darsi forza insieme per superare questo periodo di difficoltà. Normale, nell’incertezza più assoluta, trarre forza da ideali condivisi. E condivisibili.

Dopo emergenza, in che cosa si trasformerà tutto questo?

Magari in una maggiore e migliore consapevolezza che il settore della sanità ha bisogno, per funzionare bene anche nella normalità, di risorse adeguate. Umane e finanziarie. Magari in una rivalutazione del ruolo educativo e sociale degli insegnanti e della scuola, per una formazione che impatti positivamente sul futuro della collettività. Evitando poi che i ‘cervelli’ migliori se ne vadano all’estero a lavorare. Magari in un’attenzione più tangibile e più legata ai comportamenti di ciascuno per la tutela dell’ambiente, nella convinzione che, se la Natura non viene violentata, anche le pandemie si potrebbero - se non evitare - quanto meno contenere con maggiore efficacia. Ma la trasformazione più auspicabile che si può sperare, dopo emergenza pandemia sarà finita, è che ognuno si senta maggiormente responsabile non soltanto di quanto succede a se stesso ma anche e soprattutto al proprio prossimo. Con il concetto di responsabilità sociale portato a un tale livello da far diventare inaccettabile ai più che la gestione della cosa pubblica venga messa in mano a incompetenti. Daris Giancarlini]]>
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Serve anche questo (apparentemente) ritrovato orgoglio nazionale a darsi forza insieme per superare questo periodo di difficoltà. Normale, nell’incertezza più assoluta, trarre forza da ideali condivisi. E condivisibili.

Dopo emergenza, in che cosa si trasformerà tutto questo?

Magari in una maggiore e migliore consapevolezza che il settore della sanità ha bisogno, per funzionare bene anche nella normalità, di risorse adeguate. Umane e finanziarie. Magari in una rivalutazione del ruolo educativo e sociale degli insegnanti e della scuola, per una formazione che impatti positivamente sul futuro della collettività. Evitando poi che i ‘cervelli’ migliori se ne vadano all’estero a lavorare. Magari in un’attenzione più tangibile e più legata ai comportamenti di ciascuno per la tutela dell’ambiente, nella convinzione che, se la Natura non viene violentata, anche le pandemie si potrebbero - se non evitare - quanto meno contenere con maggiore efficacia. Ma la trasformazione più auspicabile che si può sperare, dopo emergenza pandemia sarà finita, è che ognuno si senta maggiormente responsabile non soltanto di quanto succede a se stesso ma anche e soprattutto al proprio prossimo. Con il concetto di responsabilità sociale portato a un tale livello da far diventare inaccettabile ai più che la gestione della cosa pubblica venga messa in mano a incompetenti. Daris Giancarlini]]>
Una ‘guerra’ che però impedisce gli abbracci https://www.lavoce.it/guerra-che-impedisce-gli-abbracci/ Sun, 29 Mar 2020 11:34:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56658 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Siamo in guerra” dicono i più. Ma che tipo di guerra? Quella conosciuta dai nostri padri e nonni mandava a morire la meglio gioventù. Il virus del 2020 uccide principalmente anziani. “I giovani perdono i punti di riferimento” osserva il Presidente della Repubblica. E perdono abbracci, perché, dai nonni ricoverati, figli e nipoti devono stare lontano. Quando scendevano bombe dal cielo, le famiglie restavano unite, le mamme nei rifugi tenevano i figli in braccio, li rassicuravano. In questa ‘guerra’ il virus ci impone il distacco prima di tutto dalle persone che amiamo. E dobbiamo restare uniti, vicini, rimanendo a distanza. Durante le guerre classiche, dell’uomo contro l’uomo, la sfida era continuare la vita come in tempo di pace. Ora non si può. Non si deve. Per il bene di tutti e di ognuno. E se nelle città durante il secondo conflitto mondiale si doveva uscire e spostarsi con il volto ben riconoscibile da chi controllava, ora siamo tutti irriconoscibili e non identificabili alla vista. Perché il volto è coperto da una mascherina. Ce la faremo, a lottare insieme restando isolati? Dopo l’ultima guerra, Churchill raccontò che, visitando i quartieri di Londra devastati dal primo bombardamento tedesco, si accorse che c’era un negozio di barbiere in cui era esposto un cartello con su scritto Business as usual (“Si continua come sempre”). L’allora premier inglese ne trasse spunto per un discorso sulla tenuta del suo popolo. Per poi scoprire che quel barbiere si chiamava Pasquale Esposito. Daris Giancarlini]]>
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Siamo in guerra” dicono i più. Ma che tipo di guerra? Quella conosciuta dai nostri padri e nonni mandava a morire la meglio gioventù. Il virus del 2020 uccide principalmente anziani. “I giovani perdono i punti di riferimento” osserva il Presidente della Repubblica. E perdono abbracci, perché, dai nonni ricoverati, figli e nipoti devono stare lontano. Quando scendevano bombe dal cielo, le famiglie restavano unite, le mamme nei rifugi tenevano i figli in braccio, li rassicuravano. In questa ‘guerra’ il virus ci impone il distacco prima di tutto dalle persone che amiamo. E dobbiamo restare uniti, vicini, rimanendo a distanza. Durante le guerre classiche, dell’uomo contro l’uomo, la sfida era continuare la vita come in tempo di pace. Ora non si può. Non si deve. Per il bene di tutti e di ognuno. E se nelle città durante il secondo conflitto mondiale si doveva uscire e spostarsi con il volto ben riconoscibile da chi controllava, ora siamo tutti irriconoscibili e non identificabili alla vista. Perché il volto è coperto da una mascherina. Ce la faremo, a lottare insieme restando isolati? Dopo l’ultima guerra, Churchill raccontò che, visitando i quartieri di Londra devastati dal primo bombardamento tedesco, si accorse che c’era un negozio di barbiere in cui era esposto un cartello con su scritto Business as usual (“Si continua come sempre”). L’allora premier inglese ne trasse spunto per un discorso sulla tenuta del suo popolo. Per poi scoprire che quel barbiere si chiamava Pasquale Esposito. Daris Giancarlini]]>
La Chiesa vicina alla gente… e non solo tramite i social e la tv https://www.lavoce.it/la-chiesa-vicina-alla-gente/ Tue, 24 Mar 2020 11:00:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56542 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

Si discute delle misure prese dalla Chiesa italiana per evitare il contagio.

Il priore di Bose, Enzo Bianchi, critica la “virtualizzazione della liturgia”, definendola “morte della liturgia cristiana, che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali”. Per poi chiedersi: “Se la Chiesa non sa essere presente alla nascita e alla morte delle persone, come potrà esserlo nella loro vita?”. La lunga fila di carri funebri in attesa di entrare all’ospedale di Bergamo dà un’immagine tangibile della straordinarietà di quanto sta succedendo. E di quanto conforto religioso avranno cercato, o staranno cercando, prima le vittime del contagio e poi i loro cari. Credo che non soltanto la Chiesa e i suoi vertici stiano ancora tentando di capire, nella temperie che ci coinvolge tutti, come poter essere d’aiuto al proprio popolo. Un giovane prete lombardo, laureato in Medicina, ha chiesto e ottenuto di poter andare a dare una mano in ospedale. Ci sono corpi da curare. Forse Papa Francesco, che ha voluto percorrere a piedi, in una Roma deserta, il tratto di strada tra due chiese in via del Corso, ha pensato alle anime e ai cuori. Come quando, dopo il terremoto del 2016, salì ad Amatrice e si fermò a pregare in mezzo alle macerie. Non sono un teologo, ma ricordo una frase delle sacre Scritture, quella che dice “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Vedrà sicuramente, nostro Signore, quanta angoscia c’è in questo momento nel cuore di ogni persona. E quanto bisogno di averlo vicino. Ma lo vedono anche i nostri sacerdoti. Che non ci possono stare vicino, ma possono pregare. Per tutti noi. Daris Giancarlini]]>
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Si discute delle misure prese dalla Chiesa italiana per evitare il contagio.

Il priore di Bose, Enzo Bianchi, critica la “virtualizzazione della liturgia”, definendola “morte della liturgia cristiana, che è sempre incontro di corpi e di realtà materiali”. Per poi chiedersi: “Se la Chiesa non sa essere presente alla nascita e alla morte delle persone, come potrà esserlo nella loro vita?”. La lunga fila di carri funebri in attesa di entrare all’ospedale di Bergamo dà un’immagine tangibile della straordinarietà di quanto sta succedendo. E di quanto conforto religioso avranno cercato, o staranno cercando, prima le vittime del contagio e poi i loro cari. Credo che non soltanto la Chiesa e i suoi vertici stiano ancora tentando di capire, nella temperie che ci coinvolge tutti, come poter essere d’aiuto al proprio popolo. Un giovane prete lombardo, laureato in Medicina, ha chiesto e ottenuto di poter andare a dare una mano in ospedale. Ci sono corpi da curare. Forse Papa Francesco, che ha voluto percorrere a piedi, in una Roma deserta, il tratto di strada tra due chiese in via del Corso, ha pensato alle anime e ai cuori. Come quando, dopo il terremoto del 2016, salì ad Amatrice e si fermò a pregare in mezzo alle macerie. Non sono un teologo, ma ricordo una frase delle sacre Scritture, quella che dice “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Vedrà sicuramente, nostro Signore, quanta angoscia c’è in questo momento nel cuore di ogni persona. E quanto bisogno di averlo vicino. Ma lo vedono anche i nostri sacerdoti. Che non ci possono stare vicino, ma possono pregare. Per tutti noi. Daris Giancarlini]]>
Adesso si apprezza la Sanità. Era ora https://www.lavoce.it/apprezza-sanita-ora/ Fri, 13 Mar 2020 15:44:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56478 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Tutti a dirle “brava”, e “grazie”, dopo che la sua primaria ha pubblicato la foto di lei che, stremata da una notte tremenda passata come infermiera ad assistere i contagiati dal coronavirus nel pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, alle 6 di mattina crolla e si addormenta sulla tastiera del computer, senza neanche togliersi la mascherina. Ma lei, Elena Pagliarini, 40 anni, non è per nulla conquistata dal tam-tam mediatico che la dipinge come una sorta di eroina.

“Io vivo nelle retrovie. E in un momento normale - è stata la sua lucida osservazione - in tanti avrebbero commentato negativamente, magari dicendo ‘ecco l’infermiera che si addormenta invece di lavorare’”. Molto consapevole, Elena, del fatto che chi lavora in sanità - a ogni livello, nei tempi di prima del virus - non è che abbia ricevuta tutta questa considerazione.

La cosiddetta malasanità ha riempito la cronaca e fatto da supporto ideologico, neanche tanto nascosto, a quelle scelte della classe politica che, in dieci anni, hanno depauperato il settore di risorse, prima di tutto umane, che in questo momento di grande emergenza sarebbero servite ad affrontare meglio il contagio.

E a permettere a Elena e ai tanti medici, infermieri e altro personale sanitario, di fare semplicemente il proprio dovere, con la massima efficacia e senza avere quasi l’obbligo, etico e professionale, di passare per eroi.

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di Daris Giancarlini

Tutti a dirle “brava”, e “grazie”, dopo che la sua primaria ha pubblicato la foto di lei che, stremata da una notte tremenda passata come infermiera ad assistere i contagiati dal coronavirus nel pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, alle 6 di mattina crolla e si addormenta sulla tastiera del computer, senza neanche togliersi la mascherina. Ma lei, Elena Pagliarini, 40 anni, non è per nulla conquistata dal tam-tam mediatico che la dipinge come una sorta di eroina.

“Io vivo nelle retrovie. E in un momento normale - è stata la sua lucida osservazione - in tanti avrebbero commentato negativamente, magari dicendo ‘ecco l’infermiera che si addormenta invece di lavorare’”. Molto consapevole, Elena, del fatto che chi lavora in sanità - a ogni livello, nei tempi di prima del virus - non è che abbia ricevuta tutta questa considerazione.

La cosiddetta malasanità ha riempito la cronaca e fatto da supporto ideologico, neanche tanto nascosto, a quelle scelte della classe politica che, in dieci anni, hanno depauperato il settore di risorse, prima di tutto umane, che in questo momento di grande emergenza sarebbero servite ad affrontare meglio il contagio.

E a permettere a Elena e ai tanti medici, infermieri e altro personale sanitario, di fare semplicemente il proprio dovere, con la massima efficacia e senza avere quasi l’obbligo, etico e professionale, di passare per eroi.

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Scale del duomo, teatro della città https://www.lavoce.it/scale-duomo-teatro-citta/ Thu, 13 Feb 2020 18:18:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56290 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

“Ah, quelle scale del nostro duomo...”: anche nel corso dell’ultimo incontro con i giornalisti per la festa di san Francesco di Sales, il card. Bassetti, da Pastore che osserva con attenzione la vita della propria comunità, non aveva mancato di fare un accenno a questo luogo fisico ultrasecolare che è al contempo platea e teatro della vita perugina.

Nelle 24 ore che dura un giorno, su questi gradini siedono e si ritrovano ragazzi di ogni nazionalità, persone di ogni età e provenienza, residenti e turisti: per guardare da una postazione privilegiata le meraviglie di piazza IV Novembre, scambiare due chiacchiere, mangiare un panino e scattare fotografie.

Ma non c’è, purtroppo, solo questo aspetto “civile’ di chi occupa la scalinata della cattedrale. Dove lo stesso cardinale ha raccontato che qualche anno addietro si recava, in incognito, specie nelle sere d’estate, per parlare direttamente con quei giovani che in questo spazio hanno l’abitudine di bere fino a ubriacarsi, oppure vengono in cerca di chi spaccia droga.

Quella scalinata è stata teatro di risse violente, ma anche del gesto di John Kercher (padre di Meredith, la studentessa inglese uccisa nel 2007 in una casa di Perugia, dove studiava) che in questo luogo depositò una rosa in memoria della figlia. Uno spazio della città, le scale del duomo, dove scorre la vita. Che forse dovrebbe essere maggiormente custodito, per evitare che il degrado prevalga sulla civiltà.

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di Daris Giancarlini

“Ah, quelle scale del nostro duomo...”: anche nel corso dell’ultimo incontro con i giornalisti per la festa di san Francesco di Sales, il card. Bassetti, da Pastore che osserva con attenzione la vita della propria comunità, non aveva mancato di fare un accenno a questo luogo fisico ultrasecolare che è al contempo platea e teatro della vita perugina.

Nelle 24 ore che dura un giorno, su questi gradini siedono e si ritrovano ragazzi di ogni nazionalità, persone di ogni età e provenienza, residenti e turisti: per guardare da una postazione privilegiata le meraviglie di piazza IV Novembre, scambiare due chiacchiere, mangiare un panino e scattare fotografie.

Ma non c’è, purtroppo, solo questo aspetto “civile’ di chi occupa la scalinata della cattedrale. Dove lo stesso cardinale ha raccontato che qualche anno addietro si recava, in incognito, specie nelle sere d’estate, per parlare direttamente con quei giovani che in questo spazio hanno l’abitudine di bere fino a ubriacarsi, oppure vengono in cerca di chi spaccia droga.

Quella scalinata è stata teatro di risse violente, ma anche del gesto di John Kercher (padre di Meredith, la studentessa inglese uccisa nel 2007 in una casa di Perugia, dove studiava) che in questo luogo depositò una rosa in memoria della figlia. Uno spazio della città, le scale del duomo, dove scorre la vita. Che forse dovrebbe essere maggiormente custodito, per evitare che il degrado prevalga sulla civiltà.

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Epidemia: c’è anche quella informativa https://www.lavoce.it/epidemia-informativa/ Wed, 05 Feb 2020 16:13:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56219 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

“Infodemia” è il termine usato dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per descrivere quella “epidemia informativa” che accompagna, nell’Era digitale, ogni diffusione di un qualunque virus a livello internazionale. In sostanza, la diffusione di notizie infondate o imprecise contribuisce a creare psicosi e allarme sociale, facendo a volte danni maggiori del virus stesso.

Succede anche in queste settimane in cui a tenere banco sui media tradizionali, ma soprattutto sui social, è il coronavirus. Strumentalizzazioni politiche a parte (ma la politica e l’informazione sembrano soffrire attualmente della stessa irrefrenabile propensione a mettere in circolo, e a volume alto, notizie e commenti diretti alla pancia dei cittadini), la quantità di imprecisioni e vere e proprie fake news sulla diffusione del coronavirus si pone come derivazione uguale e contraria delle troppe verità nascoste con cui le autorità cinesi hanno coperto prima l’insorgere, e poi il diffondersi dell’epidemia.

Le paure infondate, propalate dai social, ingigantiscono tutto, finendo per fomentare comportamenti ispirati al rifiuto e all’emarginazione di tutti coloro che, vittime dell’‘infodemia’, possono anche lontanamente sembrare potenziali diffusori della malattia.

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di Daris Giancarlini

“Infodemia” è il termine usato dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per descrivere quella “epidemia informativa” che accompagna, nell’Era digitale, ogni diffusione di un qualunque virus a livello internazionale. In sostanza, la diffusione di notizie infondate o imprecise contribuisce a creare psicosi e allarme sociale, facendo a volte danni maggiori del virus stesso.

Succede anche in queste settimane in cui a tenere banco sui media tradizionali, ma soprattutto sui social, è il coronavirus. Strumentalizzazioni politiche a parte (ma la politica e l’informazione sembrano soffrire attualmente della stessa irrefrenabile propensione a mettere in circolo, e a volume alto, notizie e commenti diretti alla pancia dei cittadini), la quantità di imprecisioni e vere e proprie fake news sulla diffusione del coronavirus si pone come derivazione uguale e contraria delle troppe verità nascoste con cui le autorità cinesi hanno coperto prima l’insorgere, e poi il diffondersi dell’epidemia.

Le paure infondate, propalate dai social, ingigantiscono tutto, finendo per fomentare comportamenti ispirati al rifiuto e all’emarginazione di tutti coloro che, vittime dell’‘infodemia’, possono anche lontanamente sembrare potenziali diffusori della malattia.

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Anziché responsabilità, scaricabarile e… botte https://www.lavoce.it/responsabilita-scaricabarile/ Fri, 31 Jan 2020 12:44:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56176 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Ci sono parole che non sento più pronunciare. O sento citare a sproposito. Una di queste è “responsabilità”.

Concetto dal sapore quasi arcaico, ormai frantumato, polverizzato, nelle pieghe di una società sempre meno incline ad assumersi pesi e impegni, propensa casomai ad attribuire ad altri la responsabilità di comportamenti o atteggiamenti per i quali si debba pagare un qualunque dazio. Ho fatto questa riflessione dopo aver registrato l’ennesimo fatto di cronaca con protagoniste in negativo maestre che all’asilo avrebbero maltrattato, insultato e addirittura picchiato dei bambini.

Ma succede anche che genitori facciano irruzione a scuola per aggredire maestri o professori che hanno ‘osato’ mettere un brutto voto, o semplicemente richiamare all’ordine i loro figli. La maestra che alza la voce, o le mani, su un bimbo, in pratica rifiuta la fatica e la responsabilità di essere, per il tempo che lo ha in carico, la sua ‘seconda mamma’.

Il padre, o la madre, che insulta un professore perché ha valutato negativamente il proprio figlio, trasferisce su altri la responsabilità di non aver seguito con la necessaria attenzione il percorso scolastico del suo ragazzo. È uno scaricabarile continuo, dettato forse dal narcisismo imperante dei tempi attuali, dove tutti, almeno sui social, si sentono - e vogliono apparire - perfetti e irreprensibili. Ma anche, il più possibile, liberi da gravami e felicemente irresponsabili.

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di Daris Giancarlini

Ci sono parole che non sento più pronunciare. O sento citare a sproposito. Una di queste è “responsabilità”.

Concetto dal sapore quasi arcaico, ormai frantumato, polverizzato, nelle pieghe di una società sempre meno incline ad assumersi pesi e impegni, propensa casomai ad attribuire ad altri la responsabilità di comportamenti o atteggiamenti per i quali si debba pagare un qualunque dazio. Ho fatto questa riflessione dopo aver registrato l’ennesimo fatto di cronaca con protagoniste in negativo maestre che all’asilo avrebbero maltrattato, insultato e addirittura picchiato dei bambini.

Ma succede anche che genitori facciano irruzione a scuola per aggredire maestri o professori che hanno ‘osato’ mettere un brutto voto, o semplicemente richiamare all’ordine i loro figli. La maestra che alza la voce, o le mani, su un bimbo, in pratica rifiuta la fatica e la responsabilità di essere, per il tempo che lo ha in carico, la sua ‘seconda mamma’.

Il padre, o la madre, che insulta un professore perché ha valutato negativamente il proprio figlio, trasferisce su altri la responsabilità di non aver seguito con la necessaria attenzione il percorso scolastico del suo ragazzo. È uno scaricabarile continuo, dettato forse dal narcisismo imperante dei tempi attuali, dove tutti, almeno sui social, si sentono - e vogliono apparire - perfetti e irreprensibili. Ma anche, il più possibile, liberi da gravami e felicemente irresponsabili.

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I paradossi della politica italiana https://www.lavoce.it/paradossi-politica-italiana/ Thu, 23 Jan 2020 14:43:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56102 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Breve elenco di piccoli e grandi paradossi della politica italiana degli ultimi mesi. Il partito della Rete, fondato da un comico e teleguidato da una società digitale, prende milioni di voti all’insegna del ‘vaffa’ alla casta politica, arriva in Parlamento minacciando di “aprirlo come una scatoletta di tonno” e poi, proclamandosi né di destra né di sinistra, prima governa con la destra e poi con la sinistra.

Asserragliato dentro la famosa “scatoletta” fino al punto di salvare il capo leghista dal processo per una nave con immigrati lasciata al largo quando governava con il suddetto, salvo poi volerlo processare, per un altro episodio dello stesso tipo, quando è al potere con la sinistra. Il partito ex Pci-Pds-Ds (ed a breve anche ex Pd) vorrebbe anch’esso portare il capo leghista in tribunale. Ma non subito. Perché si vota in Emilia-Romagna, e quello, il leghista, potrebbe prendere voti facendo il martire.

Molta tattica, poco coraggio.

Anche perché va a finire che quello, il leghista, il martire lo fa comunque, dando l’ordine ai suoi di votare per farsi processare. Come Guareschi, come Silvio Pellico, dice lui. Di città in città in Emilia e Romagna, tra selfie al parmigiano e comizi al lambrusco, il capo leghista ripete che cambiare colore al governo regionale è cosa buona e giusta.

Poi però parla solo di temi nazionali, i soliti: sicurezza e immigrazione. Chiudendo il cerchio dei paradossi, per un partito che si dice radicato sul territorio ma che, quando va sul territorio, parla d’altro. Paradossi - o più semplicemente, la politica italiana oggi.

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di Daris Giancarlini

Breve elenco di piccoli e grandi paradossi della politica italiana degli ultimi mesi. Il partito della Rete, fondato da un comico e teleguidato da una società digitale, prende milioni di voti all’insegna del ‘vaffa’ alla casta politica, arriva in Parlamento minacciando di “aprirlo come una scatoletta di tonno” e poi, proclamandosi né di destra né di sinistra, prima governa con la destra e poi con la sinistra.

Asserragliato dentro la famosa “scatoletta” fino al punto di salvare il capo leghista dal processo per una nave con immigrati lasciata al largo quando governava con il suddetto, salvo poi volerlo processare, per un altro episodio dello stesso tipo, quando è al potere con la sinistra. Il partito ex Pci-Pds-Ds (ed a breve anche ex Pd) vorrebbe anch’esso portare il capo leghista in tribunale. Ma non subito. Perché si vota in Emilia-Romagna, e quello, il leghista, potrebbe prendere voti facendo il martire.

Molta tattica, poco coraggio.

Anche perché va a finire che quello, il leghista, il martire lo fa comunque, dando l’ordine ai suoi di votare per farsi processare. Come Guareschi, come Silvio Pellico, dice lui. Di città in città in Emilia e Romagna, tra selfie al parmigiano e comizi al lambrusco, il capo leghista ripete che cambiare colore al governo regionale è cosa buona e giusta.

Poi però parla solo di temi nazionali, i soliti: sicurezza e immigrazione. Chiudendo il cerchio dei paradossi, per un partito che si dice radicato sul territorio ma che, quando va sul territorio, parla d’altro. Paradossi - o più semplicemente, la politica italiana oggi.

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Comunicazione che disinforma i cittadini https://www.lavoce.it/comunicazione-disinforma-cittadini/ Thu, 16 Jan 2020 17:29:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56044 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Ormai la politica è quasi esclusivamente comunicazione. E allora il cittadino-elettore è bene che tenga sotto controllo lo stato dell’arte del sistema comunicativo. Per evitare di farsi condizionare e diventare soltanto uno strumento nelle mani di chi manipola la comunicazione per condizionare la politica.

Gli analisti ritengono che la ‘vecchia’ tv mantenga il primato come medium privilegiato dalla maggioranza delle persone. Ma su internet e sui social si discute molto di ciò che accade in televisione. La quale, a sua volta, riempie molti suoi spazi informativi con le reazioni della Rete rispetto a fatti, avvenimenti o prese di posizione della politica.

La Rete concede molto del suo spazio a commenti e affermazioni che con il dialogo e il confronto civile hanno poco a che fare. Somigliando in maniera quasi conforme a quello che, fino a qualchedecennio fa, si poteva leggere sulle pareti dei bagni pubblici o di qualche edificio abbandonato.

Quelle scritte, però, non venivano riprese e rilanciate da giornali e televisioni. Qui però entra in ballo quello che si va configurando come il linguaggio prevalente della politica, e della comunicazione politica - che sono sempre meno distinguibili. Al ribasso. Perché sia la politica sia la comunicazione, in Rete o nei media tradizionali, tendono a privilegiare i toni accesi, il conflitto e non il dialogo, l’esasperazione invece che la moderazione. In un cortocircuito perverso in mezzo al quale resta imprigionata la capacità del cittadino-elettore di farsi, consapevolmente, un’opinione.

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di Daris Giancarlini

Ormai la politica è quasi esclusivamente comunicazione. E allora il cittadino-elettore è bene che tenga sotto controllo lo stato dell’arte del sistema comunicativo. Per evitare di farsi condizionare e diventare soltanto uno strumento nelle mani di chi manipola la comunicazione per condizionare la politica.

Gli analisti ritengono che la ‘vecchia’ tv mantenga il primato come medium privilegiato dalla maggioranza delle persone. Ma su internet e sui social si discute molto di ciò che accade in televisione. La quale, a sua volta, riempie molti suoi spazi informativi con le reazioni della Rete rispetto a fatti, avvenimenti o prese di posizione della politica.

La Rete concede molto del suo spazio a commenti e affermazioni che con il dialogo e il confronto civile hanno poco a che fare. Somigliando in maniera quasi conforme a quello che, fino a qualchedecennio fa, si poteva leggere sulle pareti dei bagni pubblici o di qualche edificio abbandonato.

Quelle scritte, però, non venivano riprese e rilanciate da giornali e televisioni. Qui però entra in ballo quello che si va configurando come il linguaggio prevalente della politica, e della comunicazione politica - che sono sempre meno distinguibili. Al ribasso. Perché sia la politica sia la comunicazione, in Rete o nei media tradizionali, tendono a privilegiare i toni accesi, il conflitto e non il dialogo, l’esasperazione invece che la moderazione. In un cortocircuito perverso in mezzo al quale resta imprigionata la capacità del cittadino-elettore di farsi, consapevolmente, un’opinione.

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Il buon samaritano non si fa il selfie https://www.lavoce.it/buon-samaritano-selfie/ Thu, 19 Dec 2019 17:30:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55954 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Si è scritto molto, e giustamente, sul gesto di generosità di quella persona che, in un paese del Padovano, ha pagato bollette di agenzia per gas e luce a un padre di famiglia con quattro figli incontrato per caso in un ufficio della locale l’energia.

Chiedeva inutilmente all’impiegato, questo padre, almeno di poter rateizzare i 600 euro che avrebbe dovuto tirare fuori, per non passare il prossimo Natale al gelo e al buio. Il ‘buon samaritano’ in fila dietro di lui ha ascoltato il ‘no’ alla richiesta dell’uomo, ha messo mano al portafoglio e ha pensato lui a saldare il conto. Merita o no un commento, questo gesto?

Certo che lo merita. Ma la notizia, a mio avviso, è un’altra. E cioè che il benefattore ha voluto restare anonimo. Niente foto, niente autoincensazioni sui social media: niente. Da non credere, in questa epoca iper-mediatica in cui anche mangiare un semplice piatto di spaghetti al sugo viene documentato con immagini a raffica e commentato come se equivalesse a scalare l’Everest.

Il benefattore del Padovano ha colto, probabilmente, un punto fondamentale: che la generosità è tale se silente e anonima. Altrimenti è sbruffonaggine e vacuo pavoneggiamento. A spese e a danno, prima di tutto, di chi quella carità la riceve, restandone però offeso.

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di Daris Giancarlini

Si è scritto molto, e giustamente, sul gesto di generosità di quella persona che, in un paese del Padovano, ha pagato bollette di agenzia per gas e luce a un padre di famiglia con quattro figli incontrato per caso in un ufficio della locale l’energia.

Chiedeva inutilmente all’impiegato, questo padre, almeno di poter rateizzare i 600 euro che avrebbe dovuto tirare fuori, per non passare il prossimo Natale al gelo e al buio. Il ‘buon samaritano’ in fila dietro di lui ha ascoltato il ‘no’ alla richiesta dell’uomo, ha messo mano al portafoglio e ha pensato lui a saldare il conto. Merita o no un commento, questo gesto?

Certo che lo merita. Ma la notizia, a mio avviso, è un’altra. E cioè che il benefattore ha voluto restare anonimo. Niente foto, niente autoincensazioni sui social media: niente. Da non credere, in questa epoca iper-mediatica in cui anche mangiare un semplice piatto di spaghetti al sugo viene documentato con immagini a raffica e commentato come se equivalesse a scalare l’Everest.

Il benefattore del Padovano ha colto, probabilmente, un punto fondamentale: che la generosità è tale se silente e anonima. Altrimenti è sbruffonaggine e vacuo pavoneggiamento. A spese e a danno, prima di tutto, di chi quella carità la riceve, restandone però offeso.

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L’amicizia salverà il mondo https://www.lavoce.it/amicizia-salvera-mondo/ Thu, 12 Dec 2019 14:17:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55853 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Non è riuscita, ad Aurelio, l’ultima parata: se n’è andato prima del tempo, lui che nella memoria collettiva del nostro piccolo paese era prima di tutto il portiere della squadra di calcio in mille partite: da quelle, epiche, in cui le pigne del cortile della scuola elementare sostituivano il pallone, alle sfide con gli altri paesi in tesissimi tornei estivi.

Quando un amico scompare, si porta via il pezzo di vita che hai condiviso con lui. Ti lascia un vuoto dentro. E mille pensieri: su come era bello passare pomeriggi interi a divertirsi correndo dietro a un pallone. In strada, in piazza,nelle aie dei casolari, che per noi erano come stadi da migliaia di spettatori. Erano i tempi in cui l’amicizia non si chiedeva da un account sui social, era una pratica quotidiana che comportava il contatto umano. Si rideva, si litigava, si giocava; insieme, con semplicità.

Nell’elenco dei valori da riscoprire per evitare che la società attuale sprofondi nel baratro del nulla, quelli dell’amicizia e della semplicità andrebbero rimessi ai primi posti. Accontentandosi delle cose semplici. Con Aurelio, e con altri della sua e della mia generazione, le cose semplici e sincere erano la normalità: guardarsi negli occhi era la normalità. Spero che dove si trova ora, con tanti amici comuni che lo hanno preceduto, ci sia un pallone con cui giocare ancora altre mille e mille partite. Per non disperdere l’amicizia.

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di Daris Giancarlini

Non è riuscita, ad Aurelio, l’ultima parata: se n’è andato prima del tempo, lui che nella memoria collettiva del nostro piccolo paese era prima di tutto il portiere della squadra di calcio in mille partite: da quelle, epiche, in cui le pigne del cortile della scuola elementare sostituivano il pallone, alle sfide con gli altri paesi in tesissimi tornei estivi.

Quando un amico scompare, si porta via il pezzo di vita che hai condiviso con lui. Ti lascia un vuoto dentro. E mille pensieri: su come era bello passare pomeriggi interi a divertirsi correndo dietro a un pallone. In strada, in piazza,nelle aie dei casolari, che per noi erano come stadi da migliaia di spettatori. Erano i tempi in cui l’amicizia non si chiedeva da un account sui social, era una pratica quotidiana che comportava il contatto umano. Si rideva, si litigava, si giocava; insieme, con semplicità.

Nell’elenco dei valori da riscoprire per evitare che la società attuale sprofondi nel baratro del nulla, quelli dell’amicizia e della semplicità andrebbero rimessi ai primi posti. Accontentandosi delle cose semplici. Con Aurelio, e con altri della sua e della mia generazione, le cose semplici e sincere erano la normalità: guardarsi negli occhi era la normalità. Spero che dove si trova ora, con tanti amici comuni che lo hanno preceduto, ci sia un pallone con cui giocare ancora altre mille e mille partite. Per non disperdere l’amicizia.

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L’eredità di don Antonio Santantoni https://www.lavoce.it/eredita-antonio-santantoni/ Thu, 10 Oct 2019 13:19:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55411 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

“In un mondo come il nostro, che misura il valore di una persona da quanto essa riesce a farsi pagare, solo chi ha capito che non si vale per ciò che si riesce ad ottenere, ma per quanto si riesce a donare, può dirsi portatore di vera umanità e civiltà. E di valori cristiani”: una frase, 53 parole in tutto, che è una delle grandi, non deperibili eredità lasciate (alle persone che lo hanno seguito e apprezzato) da don Antonio Santantoni, intellettuale di valore assoluto, poeta, giornalista e scrittore di teatro.

Un prete. Don Antonio non c’è più dal 13 marzo 2017, dopo ben 48 anni trascorsi nella piccola frazione derutese di Casalina, a fare - semplicemente, esclusivamente - il prete. Lui che aveva seguito da seminarista il Concilio Vaticano II, che era amico personale dei più grandi teologi del mondo, un maestro riconosciuto di liturgia, un intellettuale a tutto tondo.

Ma che proprio per questo, o paradossalmente per questo, ha vissuto nella Chiesa da emarginato, ‘stoppato’ ogni volta che si prospettava, per i suoi indiscussi meriti, la possibilità di assurgere a livelli più alti e visibili di responsabilità. A Casalina don Antonio arrivò come parroco il 12 ottobre 1969 con l’entusiasmo del giovane prete pieno di buone intenzioni.

Molte realizzate, pur in un percorso di sofferenze (anche fisiche) e divisioni. Quello che resta è il messaggio di una persona dal valore umano e intellettuale così cristianamente fondato da aver voluto, e saputo, sacrificare le proprie, legittime aspettative a favore della sua amatissima comunità. Perchè “si vale per quanto si dona”.

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di Daris Giancarlini

“In un mondo come il nostro, che misura il valore di una persona da quanto essa riesce a farsi pagare, solo chi ha capito che non si vale per ciò che si riesce ad ottenere, ma per quanto si riesce a donare, può dirsi portatore di vera umanità e civiltà. E di valori cristiani”: una frase, 53 parole in tutto, che è una delle grandi, non deperibili eredità lasciate (alle persone che lo hanno seguito e apprezzato) da don Antonio Santantoni, intellettuale di valore assoluto, poeta, giornalista e scrittore di teatro.

Un prete. Don Antonio non c’è più dal 13 marzo 2017, dopo ben 48 anni trascorsi nella piccola frazione derutese di Casalina, a fare - semplicemente, esclusivamente - il prete. Lui che aveva seguito da seminarista il Concilio Vaticano II, che era amico personale dei più grandi teologi del mondo, un maestro riconosciuto di liturgia, un intellettuale a tutto tondo.

Ma che proprio per questo, o paradossalmente per questo, ha vissuto nella Chiesa da emarginato, ‘stoppato’ ogni volta che si prospettava, per i suoi indiscussi meriti, la possibilità di assurgere a livelli più alti e visibili di responsabilità. A Casalina don Antonio arrivò come parroco il 12 ottobre 1969 con l’entusiasmo del giovane prete pieno di buone intenzioni.

Molte realizzate, pur in un percorso di sofferenze (anche fisiche) e divisioni. Quello che resta è il messaggio di una persona dal valore umano e intellettuale così cristianamente fondato da aver voluto, e saputo, sacrificare le proprie, legittime aspettative a favore della sua amatissima comunità. Perchè “si vale per quanto si dona”.

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Ambiente: grazie a Greta, se ne parla https://www.lavoce.it/ambiente-grazie-greta/ Thu, 03 Oct 2019 10:08:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55374 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Parlare o tacere di Greta Thunberg, accogliere o rilanciare il suo allarme sulla fine del pianeta, tifare o no per la 16enne svedese. L’opinione pubblica, quella che la avversa, si divide sulla sua figura, si chiede “chi la manda”, ne sottolinea i difetti fisici e le patologie, vere o presunte.

Per qualcuno, stare dietro alle filippiche pro-ambiente di questa ragazzina non è altro che un modo per rinviare una discussione seria approfondita e, soprattutto, sostenuta da dati scientifici inoppugnabili, sulle cause del riscaldamento globale e dell’inquinamento del pianeta.

Ma prima di Greta, se ne parlava? Non mi pare di ricordare niente di simile. Invece ricordo benissimo quando generazioni di giovani scendevano in piazza “contro” qualcosa o qualcuno. E mai “per” una causa che riguarda tutti, ma proprio tutti, come succede da quando Greta parla di ambiente.

Quindi, se le trecce della 16enne svedese che vuole salvare la Terra hanno una forza come simbolo, ce l’hanno sulla possibilità o meno (fatti salvi i cicli naturali del nostro pianeta) di verificare se è possibile agire sui motivi dei cambiamenti climatici. Cause che fanno riferimento prima di tutto alla strutturazione del sistema produttivo mondiale.

Lo ha capito tra i primi Papa Francesco, che oltre ad aver dedicato alla questione ambientale una puntuale enciclica - per il marzo prossimo ad Assisi ha convocato un grande vertice sui temi dell’economia. Perché l’economia è la traccia del piede dell’Uomo sulla Terra: se è troppo pesante, la Terra è destinata a cedere.

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di Daris Giancarlini

Parlare o tacere di Greta Thunberg, accogliere o rilanciare il suo allarme sulla fine del pianeta, tifare o no per la 16enne svedese. L’opinione pubblica, quella che la avversa, si divide sulla sua figura, si chiede “chi la manda”, ne sottolinea i difetti fisici e le patologie, vere o presunte.

Per qualcuno, stare dietro alle filippiche pro-ambiente di questa ragazzina non è altro che un modo per rinviare una discussione seria approfondita e, soprattutto, sostenuta da dati scientifici inoppugnabili, sulle cause del riscaldamento globale e dell’inquinamento del pianeta.

Ma prima di Greta, se ne parlava? Non mi pare di ricordare niente di simile. Invece ricordo benissimo quando generazioni di giovani scendevano in piazza “contro” qualcosa o qualcuno. E mai “per” una causa che riguarda tutti, ma proprio tutti, come succede da quando Greta parla di ambiente.

Quindi, se le trecce della 16enne svedese che vuole salvare la Terra hanno una forza come simbolo, ce l’hanno sulla possibilità o meno (fatti salvi i cicli naturali del nostro pianeta) di verificare se è possibile agire sui motivi dei cambiamenti climatici. Cause che fanno riferimento prima di tutto alla strutturazione del sistema produttivo mondiale.

Lo ha capito tra i primi Papa Francesco, che oltre ad aver dedicato alla questione ambientale una puntuale enciclica - per il marzo prossimo ad Assisi ha convocato un grande vertice sui temi dell’economia. Perché l’economia è la traccia del piede dell’Uomo sulla Terra: se è troppo pesante, la Terra è destinata a cedere.

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L’Angelo della buona educazione https://www.lavoce.it/angelo-buona-educazione/ Fri, 20 Sep 2019 11:07:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55270 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini

Lo hanno chiamato eroe (“Si logora ogni parola, di più non puoi farle dire”, si legge nel libro di Qohelet ...). E se Angel fosse invece, e semplicemente, un ragazzo ‘ben educato’, nel senso letterale di essere stato cresciuto con sani princìpi?

Questo giovane di 20 anni si è lanciato dal tetto di un furgone per salvare un bambino che stava precipitando da un balcone del palazzo adiacente al distributore di benzina e autolavaggio dove Angel, argentino di nascita, da 12 anni in Italia, lavora di giorno.

Di sera studia Informatica a Lodi, il Comune dove risiede. Nel volo compiuto per salvare il piccolo (che sta bene), anche Angel si è ferito. “Ho sempre cercato - ha dichiarato il padre di Angel - di inculcargli valori cattolici.

Siamo molto credenti. In Argentina mio figlio è andato a scuola dalle suore. Non ha mai dimenticato l’insegnamento con alla base l’aiuto al prossimo”. Eroismo del gesto a parte, quello che colpisce e dà sollievo allo spirito è pensare che, in un’epoca in cui tutto sembra uguale a tutto e molti pilastri del vivere civile vengono scalzati da un nulla indistinto e senza speranza, educare bene un figlio possa ancora come ritenevano i nostri genitori - portare dei frutti. Per la persona stessa, e per chi ne incrocia la strada.

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di Daris Giancarlini

Lo hanno chiamato eroe (“Si logora ogni parola, di più non puoi farle dire”, si legge nel libro di Qohelet ...). E se Angel fosse invece, e semplicemente, un ragazzo ‘ben educato’, nel senso letterale di essere stato cresciuto con sani princìpi?

Questo giovane di 20 anni si è lanciato dal tetto di un furgone per salvare un bambino che stava precipitando da un balcone del palazzo adiacente al distributore di benzina e autolavaggio dove Angel, argentino di nascita, da 12 anni in Italia, lavora di giorno.

Di sera studia Informatica a Lodi, il Comune dove risiede. Nel volo compiuto per salvare il piccolo (che sta bene), anche Angel si è ferito. “Ho sempre cercato - ha dichiarato il padre di Angel - di inculcargli valori cattolici.

Siamo molto credenti. In Argentina mio figlio è andato a scuola dalle suore. Non ha mai dimenticato l’insegnamento con alla base l’aiuto al prossimo”. Eroismo del gesto a parte, quello che colpisce e dà sollievo allo spirito è pensare che, in un’epoca in cui tutto sembra uguale a tutto e molti pilastri del vivere civile vengono scalzati da un nulla indistinto e senza speranza, educare bene un figlio possa ancora come ritenevano i nostri genitori - portare dei frutti. Per la persona stessa, e per chi ne incrocia la strada.

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