CHIESA NEL MONDO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/chiesa/chiesa-nel-mondo/ Settimanale di informazione regionale Wed, 18 Jan 2023 11:36:27 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg CHIESA NEL MONDO Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/category/chiesa/chiesa-nel-mondo/ 32 32 Con l’atroce morte in Nigeria di padre Isaac Achi, affiora il ricordo di persecuzioni e violenze https://www.lavoce.it/con-latroce-morte-in-nigeria-di-padre-isaac-achi-affiora-il-ricordo-di-persecuzioni-e-violenze/ Wed, 18 Jan 2023 11:27:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70111 ricordo di padre Isaac Achi

"Ogni volta che apprendo la tragica notizia della morte violenta di un missionario, sia consacrato sia laico, in terra di missione, mi vengono i brividi. Nella morte atroce di padre Isaac Achi, bruciato vivo nella sua canonica in Nigeria, domenica scorsa 15 gennaio, rivivo quanto è accaduto ad alcuni dei miei compagni in Burundi, presso la Missione di Buyengero dei Padri Saveriani. La sera del 30 settembre 1995, tre soldati arrivano alla Missione di Buyengero: fanno inginocchiare padre Ottorino Maule,  padre Aldo Marchiol e Catina Gubert, una volontaria laica, e vengono uccisi con arma da fuoco. Padre Ottorino Maule fu ordinato sacerdote insieme a me e ad altri 29 saveriani il 15 ottobre 1967".

A raccontarlo al settimanale cattolico La Voce, in edicola venerdì 20 gennaio, è l’ottantaduenne monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario di Perugia-Città della Pieve, che trentenne, nel 1971, lasciò la sua Umbria (è originario di Deruta, dove è nato l’11 gennaio 1941) per andare missionario in Burundi. Dal piccolo Paese africano, della regione dei Grandi Laghi, don Orlando venne espulso, su disposizione delle autorità governative, otto anni dopo, nel 1979, perché considerato un prete contrario ai Vatussi, precisa lo stesso sacerdote.

"Pur avendo dalla mia parte -ricorda don Orlando- persone del posto che testimoniarono in mio favore, smentendo le false accuse a me mosse, non ebbi scampo. Dopo momenti di tensione e di paura mi fu ordinato di lasciare il Burundi in ventiquattro ore… Furono momenti duri! Certo, con il cuore sono rimasto per sempre in Africa. Ogni volta che apprendo notizie su feroci persecuzioni, i ricordi affiorano nella mente e penso anche a quanto bene i missionari riescono a fare in mezzo a mille difficoltà e tribolazioni.

I cristiani sono da sempre perseguitati per la testimonianza della propria fede -commenta l’anziano sacerdote- diversi, purtroppo, fino al martirio in molte parti del mondo. È una tragedia che si ripete periodicamente con decine di morti. Lo scorso anno ne abbiamo contati ventidue tra consacrati e laici in terra di missione.

La loro memoria non va dimenticata e per questo ogni anno celebriamo anche nella nostra comunità diocesana la Giornata dei missionari martiri, il 24 marzo, in ricordo dell’uccisione, avvenuta nel 1980, dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romeo, il Santo de America. E’ inquietante anche il fatto che ormai la stampa dà sempre meno rilevanza a questi martiri e al loro martirio, come del resto anche alle cosiddette guerre dimenticate, che si trasformano in vere e proprie stragi di innocenti indifesi.

Di queste stragi, tra i pochi a darne notizia, sono proprio i missionari che lo fanno, spesso, rischiando la vita. È di conforto -conclude don Orlando Sbicca- che il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia subito condannato il brutale omicidio di padre Isaac Achi in Nigeria e fatto appello affinché tutti i governi proteggano le minoranze cristiane".

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ricordo di padre Isaac Achi

"Ogni volta che apprendo la tragica notizia della morte violenta di un missionario, sia consacrato sia laico, in terra di missione, mi vengono i brividi. Nella morte atroce di padre Isaac Achi, bruciato vivo nella sua canonica in Nigeria, domenica scorsa 15 gennaio, rivivo quanto è accaduto ad alcuni dei miei compagni in Burundi, presso la Missione di Buyengero dei Padri Saveriani. La sera del 30 settembre 1995, tre soldati arrivano alla Missione di Buyengero: fanno inginocchiare padre Ottorino Maule,  padre Aldo Marchiol e Catina Gubert, una volontaria laica, e vengono uccisi con arma da fuoco. Padre Ottorino Maule fu ordinato sacerdote insieme a me e ad altri 29 saveriani il 15 ottobre 1967".

A raccontarlo al settimanale cattolico La Voce, in edicola venerdì 20 gennaio, è l’ottantaduenne monsignor Orlando Sbicca, direttore dell’Ufficio diocesano missionario di Perugia-Città della Pieve, che trentenne, nel 1971, lasciò la sua Umbria (è originario di Deruta, dove è nato l’11 gennaio 1941) per andare missionario in Burundi. Dal piccolo Paese africano, della regione dei Grandi Laghi, don Orlando venne espulso, su disposizione delle autorità governative, otto anni dopo, nel 1979, perché considerato un prete contrario ai Vatussi, precisa lo stesso sacerdote.

"Pur avendo dalla mia parte -ricorda don Orlando- persone del posto che testimoniarono in mio favore, smentendo le false accuse a me mosse, non ebbi scampo. Dopo momenti di tensione e di paura mi fu ordinato di lasciare il Burundi in ventiquattro ore… Furono momenti duri! Certo, con il cuore sono rimasto per sempre in Africa. Ogni volta che apprendo notizie su feroci persecuzioni, i ricordi affiorano nella mente e penso anche a quanto bene i missionari riescono a fare in mezzo a mille difficoltà e tribolazioni.

I cristiani sono da sempre perseguitati per la testimonianza della propria fede -commenta l’anziano sacerdote- diversi, purtroppo, fino al martirio in molte parti del mondo. È una tragedia che si ripete periodicamente con decine di morti. Lo scorso anno ne abbiamo contati ventidue tra consacrati e laici in terra di missione.

La loro memoria non va dimenticata e per questo ogni anno celebriamo anche nella nostra comunità diocesana la Giornata dei missionari martiri, il 24 marzo, in ricordo dell’uccisione, avvenuta nel 1980, dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romeo, il Santo de America. E’ inquietante anche il fatto che ormai la stampa dà sempre meno rilevanza a questi martiri e al loro martirio, come del resto anche alle cosiddette guerre dimenticate, che si trasformano in vere e proprie stragi di innocenti indifesi.

Di queste stragi, tra i pochi a darne notizia, sono proprio i missionari che lo fanno, spesso, rischiando la vita. È di conforto -conclude don Orlando Sbicca- che il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia subito condannato il brutale omicidio di padre Isaac Achi in Nigeria e fatto appello affinché tutti i governi proteggano le minoranze cristiane".

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Ucraina. Videomessaggio da Kiev dell’arcivescovo maggiore mons. Shevchuk https://www.lavoce.it/ucraina-videomessaggio-mons-shevchuk/ Sat, 26 Feb 2022 16:02:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65201 mons Sviatoslav Shevchuk

"Oggi chiedo a tutti quanti ci ascoltano, a tutti che udiranno la nostra voce dalla nostra Kiev dissanguata: lottate per la pace, proteggete quelli che hanno bisogno del vostro aiuto, facciamo tutto affinché l' aggressore si fermi e si ritiri dalla terra ucraina. Chiunque siate: capi di stati o di parlamenti, politici, militari, esponenti della Chiesa, fate la vostra parte, dite la parola in sostegno dell' Ucraina".

Ringraziamento al Papa e a quanti stanno sostenendo l'Ucraina

Lo afferma oggi in un videomessaggio dalla Kiev sotto l' assedio russo l' arcivescovo maggiore mons. Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina. "Vi porto le parole di saluto e di sostegno del Santo Padre Francesco il quale mi ha chiamato ieri di persona per esprimere il suo sostegno, pronunciando letteralmente le seguenti parole: ' Farò tutto quello che è possibile' ", dice tra l' altro Shevchuk nel video. "È evidente che per fermare la guerra, per evitare i morti, e perché l' Ucraina abbia la possibilità di essere libera, vorrei che fossimo tutti grati al Santo Padre perché al nostro sostegno oggi si sta mobilizzando tutta la società internazionale", prosegue. "A tutti quelli che oggi in varie forme sostengono l' Ucraina, a nome del nostro popolo, a nome della nostra nazione, a nome della Kyiv accerchiata in cui si combatte sulle strade della città, desidero dire: grazie di cuore", aggiunge il presule greco-cattolico. E dopo aver invitato ad accogliere i profughi, mons. Shevchuk esorta: "In questi tempi drammatici, ma anche eroici, continuiamo a pregare".

La commemorazione dei soldati caduti

"Questo sabato facciamo la commemorazione universale dei defunti - spiega -. Oggi preghiamo soprattutto per i nostri militari che hanno sacrificato la loro vita per l' Ucraina, in particolare, in questi ultimi giorni. Ricordiamo oggi nella preghiera gli eroici soldati della guardia di frontiera dell' Isola Zmijinyj nel Mar Nero; ricordiamo il nostro eroe, che a prezzo della propria vita ha fermato l' esercito russo vicino a Kherson facendosi esplodere insieme al ponte sul fiume Dnipro". La terra ucraina, il popolo ucraino ci danno oggi numerosi eroi come loro - sottolinea l' arcivescovo maggiore -. Preghiamo per tutti quelli che hanno sacrificato la loro vita per l' Ucraina. Preghiamo per le vittime innocenti tra i civili: donne, bambini, anziani". "L' Ucraina è viva, l' Ucraina lotta, ma oggi chiediamo il mondo di essere solidale con noi, e non tacere, perché la parola salva, la parola costruisce il mondo. Mentre il silenzio e l' indifferenza uccidono", conclude Shevchuk.]]>
mons Sviatoslav Shevchuk

"Oggi chiedo a tutti quanti ci ascoltano, a tutti che udiranno la nostra voce dalla nostra Kiev dissanguata: lottate per la pace, proteggete quelli che hanno bisogno del vostro aiuto, facciamo tutto affinché l' aggressore si fermi e si ritiri dalla terra ucraina. Chiunque siate: capi di stati o di parlamenti, politici, militari, esponenti della Chiesa, fate la vostra parte, dite la parola in sostegno dell' Ucraina".

Ringraziamento al Papa e a quanti stanno sostenendo l'Ucraina

Lo afferma oggi in un videomessaggio dalla Kiev sotto l' assedio russo l' arcivescovo maggiore mons. Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina. "Vi porto le parole di saluto e di sostegno del Santo Padre Francesco il quale mi ha chiamato ieri di persona per esprimere il suo sostegno, pronunciando letteralmente le seguenti parole: ' Farò tutto quello che è possibile' ", dice tra l' altro Shevchuk nel video. "È evidente che per fermare la guerra, per evitare i morti, e perché l' Ucraina abbia la possibilità di essere libera, vorrei che fossimo tutti grati al Santo Padre perché al nostro sostegno oggi si sta mobilizzando tutta la società internazionale", prosegue. "A tutti quelli che oggi in varie forme sostengono l' Ucraina, a nome del nostro popolo, a nome della nostra nazione, a nome della Kyiv accerchiata in cui si combatte sulle strade della città, desidero dire: grazie di cuore", aggiunge il presule greco-cattolico. E dopo aver invitato ad accogliere i profughi, mons. Shevchuk esorta: "In questi tempi drammatici, ma anche eroici, continuiamo a pregare".

La commemorazione dei soldati caduti

"Questo sabato facciamo la commemorazione universale dei defunti - spiega -. Oggi preghiamo soprattutto per i nostri militari che hanno sacrificato la loro vita per l' Ucraina, in particolare, in questi ultimi giorni. Ricordiamo oggi nella preghiera gli eroici soldati della guardia di frontiera dell' Isola Zmijinyj nel Mar Nero; ricordiamo il nostro eroe, che a prezzo della propria vita ha fermato l' esercito russo vicino a Kherson facendosi esplodere insieme al ponte sul fiume Dnipro". La terra ucraina, il popolo ucraino ci danno oggi numerosi eroi come loro - sottolinea l' arcivescovo maggiore -. Preghiamo per tutti quelli che hanno sacrificato la loro vita per l' Ucraina. Preghiamo per le vittime innocenti tra i civili: donne, bambini, anziani". "L' Ucraina è viva, l' Ucraina lotta, ma oggi chiediamo il mondo di essere solidale con noi, e non tacere, perché la parola salva, la parola costruisce il mondo. Mentre il silenzio e l' indifferenza uccidono", conclude Shevchuk.]]>
Missionari: Fides, 22 sono stati uccisi nel mondo nel 2021 https://www.lavoce.it/missionari-fides-22-sono-stati-uccisi-nel-mondo-nel-2021/ Sun, 02 Jan 2022 15:49:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64316 Missionari uccisi nel 2021

Nell’anno 2021 sono stati uccisi nel mondo 22 missionari. Lo riferisce il consueto dossier diffuso a fine anno dall’agenzia Fides. Si tratta di 13 sacerdoti, un religioso, 2 religiose, 6 laici. “Riguardo alla ripartizione continentale, il numero più elevato si registra in Africa, dove sono stati uccisi 11 missionari (7 sacerdoti, 2 religiose, 2 laici), cui segue l’America, con 7 missionari uccisi (4 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici) quindi l’Asia, dove sono stati uccisi 3 missionari (1 sacerdote, 2 laici), e l’Europa, dove è stato ucciso un sacerdote”. Negli ultimi anni – riferisce ancora Fides – sono l’Africa e l’America “ad alternarsi al primo posto di questa tragica classifica. Dal 2000 al 2020, secondo i nostri dati, sono stati uccisi nel mondo 536 missionari”.
L’elenco annuale di Fides ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, “ma cerca di registrare tutti i cristiani cattolici impegnati in qualche modo nell’attività pastorale, morti in modo violento, non espressamente ‘in odio alla fede’”. Per questo si preferisce non usare il termine “martiri”, “se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro”. Il dossier Fides specifica: “Allo stesso modo usiamo il termine ‘missionario’ per tutti i battezzati, consapevoli che ‘in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (Evangelii gaudium 120).
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Missionari uccisi nel 2021

Nell’anno 2021 sono stati uccisi nel mondo 22 missionari. Lo riferisce il consueto dossier diffuso a fine anno dall’agenzia Fides. Si tratta di 13 sacerdoti, un religioso, 2 religiose, 6 laici. “Riguardo alla ripartizione continentale, il numero più elevato si registra in Africa, dove sono stati uccisi 11 missionari (7 sacerdoti, 2 religiose, 2 laici), cui segue l’America, con 7 missionari uccisi (4 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici) quindi l’Asia, dove sono stati uccisi 3 missionari (1 sacerdote, 2 laici), e l’Europa, dove è stato ucciso un sacerdote”. Negli ultimi anni – riferisce ancora Fides – sono l’Africa e l’America “ad alternarsi al primo posto di questa tragica classifica. Dal 2000 al 2020, secondo i nostri dati, sono stati uccisi nel mondo 536 missionari”.
L’elenco annuale di Fides ormai da tempo non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, “ma cerca di registrare tutti i cristiani cattolici impegnati in qualche modo nell’attività pastorale, morti in modo violento, non espressamente ‘in odio alla fede’”. Per questo si preferisce non usare il termine “martiri”, “se non nel suo significato etimologico di ‘testimoni’, per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro”. Il dossier Fides specifica: “Allo stesso modo usiamo il termine ‘missionario’ per tutti i battezzati, consapevoli che ‘in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (Evangelii gaudium 120).
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Francia: attacco a Nizza. Mons. Marceau (vescovo), “la mia tristezza è infinita” https://www.lavoce.it/francia-attacco-nizza-marceau/ Thu, 29 Oct 2020 12:32:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58068 attentato a nizza 29 ottobre 2020

“È con grande emozione che ho appena appreso della tragedia che colpisce questa mattina la comunità cristiana delle Alpi Marittime. E ancora una volta la città di Nizza”. Queste le prime parole pronunciate questa mattina dal vescovo di Nizza, mons. André Marceau, a poche ore dal terribile attacco, purtroppo ancora al grido di Allah Akbar, nei pressi della basilica di Notre-Dame, che è costato la vita di tre persone. Il pensiero del vescovo va immediatamente alla strage di Nizza avvenuta il 14 luglio 2016 quando un uomo, alla guida di un autocarro, ha volontariamente investito in velocità la folla che assisteva ai festeggiamenti pubblici in occasione della festa nazionale francese nei pressi della Promenade des Anglais. In quella occasione persero la vita 86 persone. “Mentre scrivo queste righe – si legge nel comunicato del vescovo Marceau – sembra che tre persone siano rimaste vittime di un atroce atto terroristico all’interno e intorno alle mura della basilica di Notre Dame, pochi giorni dopo il feroce omicidio del professore Samuel Paty. Solo poche settimane dopo il passaggio devastante della tempesta Alex, la mia emozione non può che essere forte dopo che questa nuova tragedia getta nel lutto la nostra diocesi. La mia tristezza è infinita come essere umano di fronte a ciò che altri esseri, chiamati umani, possono fare. In questo momento, tutte le chiese di Nizza sono chiuse fino a nuovo avviso e poste sotto la protezione della polizia. Le mie preghiere vanno alle vittime, ai loro cari, alle forze dell’ordine impegnate in prima linea, ai sacerdoti e ai fedeli feriti nella loro fede e speranza. Che lo spirito di perdono di Cristo prevalga di fronte a questi atti barbari”.]]>
attentato a nizza 29 ottobre 2020

“È con grande emozione che ho appena appreso della tragedia che colpisce questa mattina la comunità cristiana delle Alpi Marittime. E ancora una volta la città di Nizza”. Queste le prime parole pronunciate questa mattina dal vescovo di Nizza, mons. André Marceau, a poche ore dal terribile attacco, purtroppo ancora al grido di Allah Akbar, nei pressi della basilica di Notre-Dame, che è costato la vita di tre persone. Il pensiero del vescovo va immediatamente alla strage di Nizza avvenuta il 14 luglio 2016 quando un uomo, alla guida di un autocarro, ha volontariamente investito in velocità la folla che assisteva ai festeggiamenti pubblici in occasione della festa nazionale francese nei pressi della Promenade des Anglais. In quella occasione persero la vita 86 persone. “Mentre scrivo queste righe – si legge nel comunicato del vescovo Marceau – sembra che tre persone siano rimaste vittime di un atroce atto terroristico all’interno e intorno alle mura della basilica di Notre Dame, pochi giorni dopo il feroce omicidio del professore Samuel Paty. Solo poche settimane dopo il passaggio devastante della tempesta Alex, la mia emozione non può che essere forte dopo che questa nuova tragedia getta nel lutto la nostra diocesi. La mia tristezza è infinita come essere umano di fronte a ciò che altri esseri, chiamati umani, possono fare. In questo momento, tutte le chiese di Nizza sono chiuse fino a nuovo avviso e poste sotto la protezione della polizia. Le mie preghiere vanno alle vittime, ai loro cari, alle forze dell’ordine impegnate in prima linea, ai sacerdoti e ai fedeli feriti nella loro fede e speranza. Che lo spirito di perdono di Cristo prevalga di fronte a questi atti barbari”.]]>
Pasqua nel mondo. Sussurri di preghiera e grida di allarme https://www.lavoce.it/pasqua-nel-mondo-sussurri-di-preghiera-e-grida-di-allarme/ Thu, 09 Apr 2020 14:54:41 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56877

Praticamente in tutto il mondo, quest’anno le celebrazioni pasquali saranno condizionate dall’emergenza coronavirus. “Sarà una Pasqua - dice il custode francescano di Terra Santa, padre Francesco Patton - in tono minore per ciò che concerne l’apparato celebrativo, ma alla quale non mancherà assolutamente nulla del suo mistero più profondo, che è la risurrezione con cui Cristo ha sconfitto per sempre la morte”. Nei territori amministrati dallo Stato di Israele la pandemia ha provocato finora migliaia di contagiati e decine di vittime. Costringendo le autorità a imporre - tra il resto - anche la chiusura della basilica del Santo Sepolcro. Le celebrazioni avverranno quindi senza il concorso di fedeli e dei gruppi di pellegrini, tutti cancellati. “Nel corso della storia – aggiunge padre Patton – i cristiani hanno spesso dovuto vivere la Pasqua con il cuore fermo al Venerdì santo. Penso ai tanti nostri fratelli che continuano a vivere ancora oggi la Pasqua in contesti di tensioni e guerre come in Siria e in Libia, per esempio. Ma è proprio in queste situazioni che deve penetrare la luce pasquale, così come negli stati di sofferenza e di morte”.

Le Chiese dell’Asia

Facendo virtualmente un giro per il mondo tramite le informazioni fornite dall’agenzia Fides, si vede come alle diverse latitudini le moderne tecnologie aiutino a seguire i riti della liturgia. Il simultaneo espandersi della pandemia crea pesanti drammi in alcuni territori. In Asia, il Covid-19 ha colpito più nazioni delle guerre mondiali. La Chiesa cattolica in nazioni quali Filippine, India, Giappone, Indonesia, Myanmar, Malesia, Vietnam, Corea del Sud, Sri Lanka, Bangladesh, invitando i fedeli a “restare a casa”, ha fatto ricorso alla tecnologia per mantenere un contatto, una relazione comunitaria e una pratica di culto in questo eccezionale momento di crisi. “Questo è un momento per essere uniti come comunità dei battezzati, ritirarsi in preghiera e porsi in ginocchio per pregare gli uni per gli altri”: scrivono le Chiese asiatiche, consigliando ai fedeli di assistere alle celebrazioni religiose in diretta streaming online o via cavo, su reti televisive locali, stazioni radio; hanno intanto potenziato tutti i canali digitali, come i social media, per raggiungere e interagire con i fedeli. La tecnologia comunque non è diffusa in modo omogeneo sul Continente.

Iraq

In Iraq - scrive il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako - i cristiani “non possono celebrare i vari momenti liturgici” a causa dell’emergenza, ma “continuano a pregare nelle proprie case. È viva la speranza che ci sarà il ‘passaggio’ dall’oscurità alla luce, dalla fragilità alla forza, dalle malattie alla guarigione”. I tanti mali che affliggono il presente – rimarca il Primate della Chiesa caldea – chiamano in causa anche la responsabilità e l’auspicabile autocritica di chi esercita il potere. “L’infezione da coronavirus, le guerre, i conflitti in più Paesi con migliaia di morti e feriti, i milioni di sfollati, le infrastrutture distrutte devono essere per i leader politici del mondo momenti di riflessione che li aiutino a rivedere le loro strategie politiche, correggerle e fornire risposte concrete che rispettino la vita in ogni sua forma e l’ambiente, contrastando l’inquinamento, il cambiamento climatico, e cessando la produzione di armi che generano per se stesse la morte”.

Fedeli in stato di allerta

Dall’Africa un appello particolarmente accorato è giunto dall’arcivescovo di Kinshasa, card. Fridolin Ambongo Besungu. In una Repubblica democratica del Congo in cui non si è ancora dileguato l’incubo Ebola - afferma - “siamo terrorizzati dalla possibile diffusione del Covid-19. Non avremmo né mezzi né soluzioni logistiche per affrontarla, e sarebbe un disastro. C’è forte timore perché il numero dei contagiati sale di giorno in giorno. La mia diocesi è quella più colpita: la maggior parte dei casi si concentra nella Capitale, dove abitano 12 milioni di persone. Temiamo una diffusione anche nella altre aree del Paese. Sui notiziari osserviamo quanto sta avvenendo in Italia, in Spagna, in America, e non osiamo immaginare cosa sarebbe qui, se anche una minima parte di ciò che è successo lì, accadesse da noi”.

Messico

Sull’altra sponda dell’Atlantico, in Messico la Chiesa cattolica ha lanciato un appello alla popolazione perché pratichi la carità e sostenga i più vulnerabili: la crisi economica infatti colpisce i più poveri, quelli che campavano alla giornata. La Conferenza episcopale messicana ha anche pubblicato un vademecum sul ruolo del sacerdote dinanzi all’emergenza. “Non è il momento - vi si legge - di rilassarci nella nostra vita spirituale. Non ci permettiamo di abbassare la guardia verso questo grande rischio di contagio. Cerchiamo di essere attenti a sapere come prenderci cura di noi stessi. Come essere buoni pastori di tutta la comunità cristiana che Dio ci ha affidato”.

Australia

Una storia particolare arriva dall’Australia. Il Consiglio nazionale cattolico degli aborigeni e degli isolani dello Stretto di Torres chiede ai fedeli di approfittare del periodo di isolamento sociale, volto a contenere l’emergenza del coronavirus, per farsi ispirare dalle parole che Giovanni Paolo II rivolse agli aborigeni e agli isolani nel 1986, perché “il suo messaggio all’epoca suonò rivoluzionario, ma nelle attuali circostanze ci dona speranza e forza, e la consapevolezza di essere una nazione unita contro una minaccia comune”. Disse Wojtyla: “La Chiesa in Australia non sarà pienamente la Chiesa voluta da Gesù finché non avrete portato il vostro contributo alla sua vita, e finché questo contributo non sarà stato accolto con gioia dagli altri”. D. R.]]>

Praticamente in tutto il mondo, quest’anno le celebrazioni pasquali saranno condizionate dall’emergenza coronavirus. “Sarà una Pasqua - dice il custode francescano di Terra Santa, padre Francesco Patton - in tono minore per ciò che concerne l’apparato celebrativo, ma alla quale non mancherà assolutamente nulla del suo mistero più profondo, che è la risurrezione con cui Cristo ha sconfitto per sempre la morte”. Nei territori amministrati dallo Stato di Israele la pandemia ha provocato finora migliaia di contagiati e decine di vittime. Costringendo le autorità a imporre - tra il resto - anche la chiusura della basilica del Santo Sepolcro. Le celebrazioni avverranno quindi senza il concorso di fedeli e dei gruppi di pellegrini, tutti cancellati. “Nel corso della storia – aggiunge padre Patton – i cristiani hanno spesso dovuto vivere la Pasqua con il cuore fermo al Venerdì santo. Penso ai tanti nostri fratelli che continuano a vivere ancora oggi la Pasqua in contesti di tensioni e guerre come in Siria e in Libia, per esempio. Ma è proprio in queste situazioni che deve penetrare la luce pasquale, così come negli stati di sofferenza e di morte”.

Le Chiese dell’Asia

Facendo virtualmente un giro per il mondo tramite le informazioni fornite dall’agenzia Fides, si vede come alle diverse latitudini le moderne tecnologie aiutino a seguire i riti della liturgia. Il simultaneo espandersi della pandemia crea pesanti drammi in alcuni territori. In Asia, il Covid-19 ha colpito più nazioni delle guerre mondiali. La Chiesa cattolica in nazioni quali Filippine, India, Giappone, Indonesia, Myanmar, Malesia, Vietnam, Corea del Sud, Sri Lanka, Bangladesh, invitando i fedeli a “restare a casa”, ha fatto ricorso alla tecnologia per mantenere un contatto, una relazione comunitaria e una pratica di culto in questo eccezionale momento di crisi. “Questo è un momento per essere uniti come comunità dei battezzati, ritirarsi in preghiera e porsi in ginocchio per pregare gli uni per gli altri”: scrivono le Chiese asiatiche, consigliando ai fedeli di assistere alle celebrazioni religiose in diretta streaming online o via cavo, su reti televisive locali, stazioni radio; hanno intanto potenziato tutti i canali digitali, come i social media, per raggiungere e interagire con i fedeli. La tecnologia comunque non è diffusa in modo omogeneo sul Continente.

Iraq

In Iraq - scrive il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako - i cristiani “non possono celebrare i vari momenti liturgici” a causa dell’emergenza, ma “continuano a pregare nelle proprie case. È viva la speranza che ci sarà il ‘passaggio’ dall’oscurità alla luce, dalla fragilità alla forza, dalle malattie alla guarigione”. I tanti mali che affliggono il presente – rimarca il Primate della Chiesa caldea – chiamano in causa anche la responsabilità e l’auspicabile autocritica di chi esercita il potere. “L’infezione da coronavirus, le guerre, i conflitti in più Paesi con migliaia di morti e feriti, i milioni di sfollati, le infrastrutture distrutte devono essere per i leader politici del mondo momenti di riflessione che li aiutino a rivedere le loro strategie politiche, correggerle e fornire risposte concrete che rispettino la vita in ogni sua forma e l’ambiente, contrastando l’inquinamento, il cambiamento climatico, e cessando la produzione di armi che generano per se stesse la morte”.

Fedeli in stato di allerta

Dall’Africa un appello particolarmente accorato è giunto dall’arcivescovo di Kinshasa, card. Fridolin Ambongo Besungu. In una Repubblica democratica del Congo in cui non si è ancora dileguato l’incubo Ebola - afferma - “siamo terrorizzati dalla possibile diffusione del Covid-19. Non avremmo né mezzi né soluzioni logistiche per affrontarla, e sarebbe un disastro. C’è forte timore perché il numero dei contagiati sale di giorno in giorno. La mia diocesi è quella più colpita: la maggior parte dei casi si concentra nella Capitale, dove abitano 12 milioni di persone. Temiamo una diffusione anche nella altre aree del Paese. Sui notiziari osserviamo quanto sta avvenendo in Italia, in Spagna, in America, e non osiamo immaginare cosa sarebbe qui, se anche una minima parte di ciò che è successo lì, accadesse da noi”.

Messico

Sull’altra sponda dell’Atlantico, in Messico la Chiesa cattolica ha lanciato un appello alla popolazione perché pratichi la carità e sostenga i più vulnerabili: la crisi economica infatti colpisce i più poveri, quelli che campavano alla giornata. La Conferenza episcopale messicana ha anche pubblicato un vademecum sul ruolo del sacerdote dinanzi all’emergenza. “Non è il momento - vi si legge - di rilassarci nella nostra vita spirituale. Non ci permettiamo di abbassare la guardia verso questo grande rischio di contagio. Cerchiamo di essere attenti a sapere come prenderci cura di noi stessi. Come essere buoni pastori di tutta la comunità cristiana che Dio ci ha affidato”.

Australia

Una storia particolare arriva dall’Australia. Il Consiglio nazionale cattolico degli aborigeni e degli isolani dello Stretto di Torres chiede ai fedeli di approfittare del periodo di isolamento sociale, volto a contenere l’emergenza del coronavirus, per farsi ispirare dalle parole che Giovanni Paolo II rivolse agli aborigeni e agli isolani nel 1986, perché “il suo messaggio all’epoca suonò rivoluzionario, ma nelle attuali circostanze ci dona speranza e forza, e la consapevolezza di essere una nazione unita contro una minaccia comune”. Disse Wojtyla: “La Chiesa in Australia non sarà pienamente la Chiesa voluta da Gesù finché non avrete portato il vostro contributo alla sua vita, e finché questo contributo non sarà stato accolto con gioia dagli altri”. D. R.]]>
Esortazione post-sinodale “Querida Amazonia”. Card. Barreto Jimeno: “Non è il punto finale del cammino” https://www.lavoce.it/querida-amazonia-card-barreto-jimeno/ Wed, 12 Feb 2020 15:33:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56267 Querida Amazonia

Un documento che, fin dal titolo, “Querida Amazonia”, sottolinea l’amore del Papa per l’Amazzonia, i suoi popoli, la sua cultura. Che non sostituisce né ripete il documento finale del Sinodo, ma rilancia un ulteriore cammino da fare insieme. A orientarlo, quelli che Papa Francesco definisce dei “sogni”. “E sappiamo – chiosa il cardinale Pedro Barreto Jimeno– che se uno sogna da solo, il suo rimane solo un sogno, se invece il sogno è di molti, esso comincia a diventare realtà”. Proprio il cardinale peruviano commenta l’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”. Il cardinale Barreto, gesuita, arcivescovo di Huancayo (Perù) e vicepresidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), è stato indubbiamente uno dei protagonisti sia della fase preparatoria, sia del Sinodo in Vaticano (era tra i presidenti delegati dell’assemblea e fa parte del Consiglio speciale per la regione panamazzonica). Eminenza, cominciamo dal titolo. “Querida Amazonia” sembra esprimere un affetto speciale. È davvero così? Sì, non servono altre parole. Esso esprime la vicinanza della Chiesa per l’Amazzonia, il sentire e il fare della Chiesa per le popolazioni che abitano questo territorio, per le loro culture, per la custodia di questo polmone del mondo. Ed emerge con chiarezza che non si tratta di una preferenza solo del Papa, ma del risultato di un lungo cammino di evangelizzazione, di una lunga storia connotata da affetto per i popoli originari. Quali le sembrano gli aspetti principali dell’Esortazione? Essa sottolinea l’importanza dell’Amazzonia, non solo come spazio geografico, ma soprattutto prestando attenzione alle persone e in particolare ai popoli originari. Il loro è un clamore che grida al mondo, sono popolazioni storicamente maltrattate e non rispettate. Il documento del Papa ci ricorda l’esigenza di uno sviluppo umano integrale, del rispetto dei diritti umani inalienabili. C’è, poi, un secondo aspetto: la valorizzazione della ricchezza culturale di questi popoli della loro visione del cosmo e della natura, della loro spiritualità. Siamo abituati al primato della cultura occidentale, ma in realtà ogni espressione culturale può dare un grande apporto. C’è, ancora, un terzo aspetto, che trovo fondamentale: il cammino sinodale, che si era aperto nel gennaio 2018 nell’Amazzonia peruviana, in occasione della visita del Papa a Puerto Maldonado, continua. Il Sinodo e l’Esortazione non costituiscono il punto finale del cammino. Questo cosa comporta? Che rimane centrale questa necessità di ascoltare e camminare insieme, con le Chiese e i popoli dell’Amazzonia. Il Papa non intende sostituire né ripetere i risultati del Sinodo, frutto di un lungo processo di ascolto, noi che vi abbiamo partecipato possiamo testimoniare questo ascoltare e camminare insieme. L’Esortazione non offre direttive rigide, c’è appunto questa idea di un cammino che continua, certo a partire dal Sinodo e dall’enciclica Laudato Si’. Io, personalmente, sono entusiasmato da questa spinta chiara a camminare insieme e, soprattutto, con i più poveri. Il cammino richiama alla conversione. Essa resta una categoria centrale nella riflessione del Papa? Da un lato sì, c’è una forte connessione tra il cammino insieme e la conversione, che ci chiama ad avere una nuova attenzione per gli indigeni, o per le donne. Quello della conversione a Dio, ai fratelli e alla Casa comune resta uno snodo decisivomesso in luce soprattutto dal Documento finale del Sinodo, che parla di quattro tipi di conversione: sociale, culturale, ecologica, ecclesiale. Il Papa ha detto di fare proprie queste conclusioni. In “Querida Amazonia”, però, Francesco fa uno scatto in avanti, parla non tanto di conversione ma di sogni, usa questa immagine. Possiamo dire che l’Esortazione assume il richiamo alla conversione, ma offre un’intonazione nuova, parlando di sogni che, anche in questo caso, riguardano la sfera sociale, culturale, ecologica ed ecclesiale. Il Papa si esprime con grande chiarezza, sogna un Vangelo vissuto assumendo le indicazioni della Laudato Si’. C’era grande attesa anche per la parte sui ministeri e in particolare sulla possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati. Il Papa non ne parla molto nell’Esortazione… È vero che Francesco non tocca in modo evidente la dimensione ministeriale e in particolare la questione dei cosiddetti viri probati, cioè dell’ordinazione di uomini sposati. Il Papa, però, afferma di non sostituire né ripetere nella sua interezza il Documento finale del Sinodo, in cui si parla di questa possibilità. Egli accetta quanto c’è scritto e non lo ripete, non lo ribadisce. Io credo che al centro di questa questione ci sia la situazione di popolazioni che vivono in territori remoti e non hanno la possibilità di accostarsi all’eucaristia con frequenza. È stato lo stesso san Giovanni Paolo II a dire che senza eucaristia non c’è Chiesa. La questione è incentrata su questo aspetto, non dev’essere vista come una contesa, come la vittoria o la sconfitta di qualcuno. Si tratta di rispondere alle necessità di popolazioni che sono private dell’eucaristia. Resta il fatto che il Papa sta incontrando molte resistenze da parte di chi detiene il potere economico e politico. Resistenze non mancano neanche all’interno della Chiesa. Che idea si è fatto di queste resistenze? È una domanda molto opportuna. È proprio così, il Papa incontra resistenze da chi ha il potere economico, politico e perfino ecclesiale. È quello che è capitato a Gesù, che le ha sperimentate tutte e tre. È normale che esse ci siano, quando si porta avanti un cammino di rinnovamento, che è in definitiva un cammino di evangelizzazione. Io penso che lo Spirito Santo stia guidando la Chiesa e che essa stia percorrendo le strade che sognava Giovanni XXIII quando aprì il Concilio Vaticano II, e che sognava Papa Francesco, quando a inizio pontificato ha detto: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. In definitiva, quale speranza trae dalla pubblicazione di “Querida Amazonia”? Un grande impulso che porta speranza. La Chiesa si presenta in modo definitivo come alleata dei popoli amazzonici e l’Esortazione dà una grande responsabilità a noi pastori, chiamati a incoraggiare l’ascolto, il dialogo onesto, a imprimere questo nella nostra pelle e nella nostra cultura, non dimenticando che il fine è l’evangelizzazione, è non nascondere o svilire l’annuncio di Gesù Cristo.

Bruno Desidera

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Querida Amazonia

Un documento che, fin dal titolo, “Querida Amazonia”, sottolinea l’amore del Papa per l’Amazzonia, i suoi popoli, la sua cultura. Che non sostituisce né ripete il documento finale del Sinodo, ma rilancia un ulteriore cammino da fare insieme. A orientarlo, quelli che Papa Francesco definisce dei “sogni”. “E sappiamo – chiosa il cardinale Pedro Barreto Jimeno– che se uno sogna da solo, il suo rimane solo un sogno, se invece il sogno è di molti, esso comincia a diventare realtà”. Proprio il cardinale peruviano commenta l’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”. Il cardinale Barreto, gesuita, arcivescovo di Huancayo (Perù) e vicepresidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), è stato indubbiamente uno dei protagonisti sia della fase preparatoria, sia del Sinodo in Vaticano (era tra i presidenti delegati dell’assemblea e fa parte del Consiglio speciale per la regione panamazzonica). Eminenza, cominciamo dal titolo. “Querida Amazonia” sembra esprimere un affetto speciale. È davvero così? Sì, non servono altre parole. Esso esprime la vicinanza della Chiesa per l’Amazzonia, il sentire e il fare della Chiesa per le popolazioni che abitano questo territorio, per le loro culture, per la custodia di questo polmone del mondo. Ed emerge con chiarezza che non si tratta di una preferenza solo del Papa, ma del risultato di un lungo cammino di evangelizzazione, di una lunga storia connotata da affetto per i popoli originari. Quali le sembrano gli aspetti principali dell’Esortazione? Essa sottolinea l’importanza dell’Amazzonia, non solo come spazio geografico, ma soprattutto prestando attenzione alle persone e in particolare ai popoli originari. Il loro è un clamore che grida al mondo, sono popolazioni storicamente maltrattate e non rispettate. Il documento del Papa ci ricorda l’esigenza di uno sviluppo umano integrale, del rispetto dei diritti umani inalienabili. C’è, poi, un secondo aspetto: la valorizzazione della ricchezza culturale di questi popoli della loro visione del cosmo e della natura, della loro spiritualità. Siamo abituati al primato della cultura occidentale, ma in realtà ogni espressione culturale può dare un grande apporto. C’è, ancora, un terzo aspetto, che trovo fondamentale: il cammino sinodale, che si era aperto nel gennaio 2018 nell’Amazzonia peruviana, in occasione della visita del Papa a Puerto Maldonado, continua. Il Sinodo e l’Esortazione non costituiscono il punto finale del cammino. Questo cosa comporta? Che rimane centrale questa necessità di ascoltare e camminare insieme, con le Chiese e i popoli dell’Amazzonia. Il Papa non intende sostituire né ripetere i risultati del Sinodo, frutto di un lungo processo di ascolto, noi che vi abbiamo partecipato possiamo testimoniare questo ascoltare e camminare insieme. L’Esortazione non offre direttive rigide, c’è appunto questa idea di un cammino che continua, certo a partire dal Sinodo e dall’enciclica Laudato Si’. Io, personalmente, sono entusiasmato da questa spinta chiara a camminare insieme e, soprattutto, con i più poveri. Il cammino richiama alla conversione. Essa resta una categoria centrale nella riflessione del Papa? Da un lato sì, c’è una forte connessione tra il cammino insieme e la conversione, che ci chiama ad avere una nuova attenzione per gli indigeni, o per le donne. Quello della conversione a Dio, ai fratelli e alla Casa comune resta uno snodo decisivomesso in luce soprattutto dal Documento finale del Sinodo, che parla di quattro tipi di conversione: sociale, culturale, ecologica, ecclesiale. Il Papa ha detto di fare proprie queste conclusioni. In “Querida Amazonia”, però, Francesco fa uno scatto in avanti, parla non tanto di conversione ma di sogni, usa questa immagine. Possiamo dire che l’Esortazione assume il richiamo alla conversione, ma offre un’intonazione nuova, parlando di sogni che, anche in questo caso, riguardano la sfera sociale, culturale, ecologica ed ecclesiale. Il Papa si esprime con grande chiarezza, sogna un Vangelo vissuto assumendo le indicazioni della Laudato Si’. C’era grande attesa anche per la parte sui ministeri e in particolare sulla possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati. Il Papa non ne parla molto nell’Esortazione… È vero che Francesco non tocca in modo evidente la dimensione ministeriale e in particolare la questione dei cosiddetti viri probati, cioè dell’ordinazione di uomini sposati. Il Papa, però, afferma di non sostituire né ripetere nella sua interezza il Documento finale del Sinodo, in cui si parla di questa possibilità. Egli accetta quanto c’è scritto e non lo ripete, non lo ribadisce. Io credo che al centro di questa questione ci sia la situazione di popolazioni che vivono in territori remoti e non hanno la possibilità di accostarsi all’eucaristia con frequenza. È stato lo stesso san Giovanni Paolo II a dire che senza eucaristia non c’è Chiesa. La questione è incentrata su questo aspetto, non dev’essere vista come una contesa, come la vittoria o la sconfitta di qualcuno. Si tratta di rispondere alle necessità di popolazioni che sono private dell’eucaristia. Resta il fatto che il Papa sta incontrando molte resistenze da parte di chi detiene il potere economico e politico. Resistenze non mancano neanche all’interno della Chiesa. Che idea si è fatto di queste resistenze? È una domanda molto opportuna. È proprio così, il Papa incontra resistenze da chi ha il potere economico, politico e perfino ecclesiale. È quello che è capitato a Gesù, che le ha sperimentate tutte e tre. È normale che esse ci siano, quando si porta avanti un cammino di rinnovamento, che è in definitiva un cammino di evangelizzazione. Io penso che lo Spirito Santo stia guidando la Chiesa e che essa stia percorrendo le strade che sognava Giovanni XXIII quando aprì il Concilio Vaticano II, e che sognava Papa Francesco, quando a inizio pontificato ha detto: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. In definitiva, quale speranza trae dalla pubblicazione di “Querida Amazonia”? Un grande impulso che porta speranza. La Chiesa si presenta in modo definitivo come alleata dei popoli amazzonici e l’Esortazione dà una grande responsabilità a noi pastori, chiamati a incoraggiare l’ascolto, il dialogo onesto, a imprimere questo nella nostra pelle e nella nostra cultura, non dimenticando che il fine è l’evangelizzazione, è non nascondere o svilire l’annuncio di Gesù Cristo.

Bruno Desidera

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Sri Lanka: card. Bassetti sui luoghi degli attentati di Pasqua, “momenti che rimarranno indelebili nella mia vita” https://www.lavoce.it/sri-lanka-card-bassetti-sui-luoghi-degli-attentati-di-pasqua-momenti-che-rimarranno-indelebili-nella-mia-vita/ Fri, 30 Aug 2019 17:31:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55137

“Sono immagini che non si possono vedere a cuor leggero e che fanno riflettere su cosa la malvagità, l’odio, la propaganda sono capaci di produrre nel cuore dell’uomo. Penso a colui che ha fatto scoppiare la bomba nella Chiesa di San Sebastiano e che prima di entrare ha accarezzato una bambina. Cosa sarà passato nel cuore di quell’uomo?”. Così il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, racconta prima di ripartire da Colombo, in Sri Lanka, in un video al Sir la visita nel Paese scosso il 21 aprile scorso, nel giorno di Pasqua, da attentati terroristici contro le comunità cattoliche. Con il cardinale, era presente anche don Leonardo di Mauro, responsabile del Servizio degli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo mondo della Conferenza episcopale italiana. In questi giorni, la piccola rappresentanza della Cei ha infatti inaugurato due progetti finanziati grazie all’8xmille. Si tratta dell’Istituto agricolo di Waradala e di un nuovo edificio educativo presso l’Istituto Benedetto XVI di Nogombo, un progetto dell’arcidiocesi di Colombo per la formazione dei giovani che non possono studiare all’estero. https://www.youtube.com/watch?v=rKCU_G_ZCFs&feature=youtu.be “Tre i momenti che rimarranno indelebili nella mia visita”, dice al Sir il cardinale Bassetti. Il primo momento è appunto la visita alla due Chiese – di Sant’Antonio e la Chiesa di San Sebstiano – dove alle 8.45 della mattina di Pasqua sono avvenute queste “stragi di innocenti”. La seconda è la messa al santuario di Nostra signora dello Sri Lanka con la partecipazione di 300mila persona e infine il colloquio con i vescovi del Paese “nel segno dei più poveri” per avviare “progetti di carità e accoglienza” nelle varie diocesi. Al fianco del cardinale, don Leonardo di Mauro commenta: “Abbiamo incontrato un popolo ferito profondamente dagli attentati di Pasqua, ma capace di risorgere e che chiede verità su quanto accaduto. Un popolo che spera in un governo migliore dalle elezioni ormai vicine di dicembre”.  ]]>

“Sono immagini che non si possono vedere a cuor leggero e che fanno riflettere su cosa la malvagità, l’odio, la propaganda sono capaci di produrre nel cuore dell’uomo. Penso a colui che ha fatto scoppiare la bomba nella Chiesa di San Sebastiano e che prima di entrare ha accarezzato una bambina. Cosa sarà passato nel cuore di quell’uomo?”. Così il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, racconta prima di ripartire da Colombo, in Sri Lanka, in un video al Sir la visita nel Paese scosso il 21 aprile scorso, nel giorno di Pasqua, da attentati terroristici contro le comunità cattoliche. Con il cardinale, era presente anche don Leonardo di Mauro, responsabile del Servizio degli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo mondo della Conferenza episcopale italiana. In questi giorni, la piccola rappresentanza della Cei ha infatti inaugurato due progetti finanziati grazie all’8xmille. Si tratta dell’Istituto agricolo di Waradala e di un nuovo edificio educativo presso l’Istituto Benedetto XVI di Nogombo, un progetto dell’arcidiocesi di Colombo per la formazione dei giovani che non possono studiare all’estero. https://www.youtube.com/watch?v=rKCU_G_ZCFs&feature=youtu.be “Tre i momenti che rimarranno indelebili nella mia visita”, dice al Sir il cardinale Bassetti. Il primo momento è appunto la visita alla due Chiese – di Sant’Antonio e la Chiesa di San Sebstiano – dove alle 8.45 della mattina di Pasqua sono avvenute queste “stragi di innocenti”. La seconda è la messa al santuario di Nostra signora dello Sri Lanka con la partecipazione di 300mila persona e infine il colloquio con i vescovi del Paese “nel segno dei più poveri” per avviare “progetti di carità e accoglienza” nelle varie diocesi. Al fianco del cardinale, don Leonardo di Mauro commenta: “Abbiamo incontrato un popolo ferito profondamente dagli attentati di Pasqua, ma capace di risorgere e che chiede verità su quanto accaduto. Un popolo che spera in un governo migliore dalle elezioni ormai vicine di dicembre”.  ]]>
Umbri volontari in Kosovo, dove manca tutto https://www.lavoce.it/umbri-volontari-kosovo/ Fri, 28 Jun 2019 10:53:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54784 Kosovo

La settimana scorsa è partito dall’Umbria un tir carico di viveri e vestiario, contenente anche un bobcat e attrezzature varie per la panetteria. In tutto 220 quintali di aiuti diretti alla casa di Leskoc in Kosovo, casa di accoglienza creata da Caritas Umbria nel 1999. A cosa servono questi particolari tipi di aiuti? La casa da vent’anni accoglie una quindicina di minori rimasti soli e i suoi volontari si occupano anche dell’assistenza alle tante famiglie del luogo che vivono in condizione di estrema povertà.

Per sostenere il progetto economicamente, la casa è organizzata sul modello di una fattoria, con laboratori di avviamento al lavoro per le ragazze e i ragazzi ormai diventati grandi. “L’economia in Kosovo è ferma da tempo ad un’economia di sussistenza legata solo ed esclusivamente all’agricoltura per l’autoconsumo” racconta Luca Uccellani, vice direttore della Caritas di Gubbio che da anni si occupa della missione in Kosovo.

LO STATO DEL KOSOVO

- Il Kosovo è una repubblica parlamentare autoproclamatasi indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008.

- L’ indipendenza del Kosovo è riconosciuta da 102 Stati membri dell’Onu (tra cui l’Italia), da Taiwan e Malta; non è riconosciuta da altri come Serbia, Russia, Cina, Spagna e neanche dalla Santa Sede, considerando i rapporti di quest’ultima con la Chiesa ortodossa serba.

- La popolazione totale è di circa 1.800.000 abitanti nel 2019. Il 53% della popolazione è al di sotto dei 25 anni.

- La religione principale è quella islamica. I cattolici sono circa 64.000.

- Nel settembre 2018 il Papa ha ricostituito l’antica diocesi di Prizren-Pristina.

- La cattedrale di Pristina è dedicata a Madre Teresa di Calcutta, i cui genitori erano kosovari.

 

“Le famiglie sopravvivono coltivando il piccolo appezzamento di terreno che hanno - prosegue Uccellani - , ma molto spesso non hanno neanche quello o non riescono a coltivarlo per ignoranza o disagio sociale”.

“Per dare qualche possibilità di lavoro in più - sottolinea Uccellani - è stata creata una cooperativa composta da una decina di ragazzi, i primi bambini accolti dalla casa”. “La cooperativa è attiva in diversi settori (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Ogni anno, specialmente d’estate, dalle varie diocesi dell’Umbria partono gruppi di volontari per dare una mano in tutti gli aspetti della vita della casa, dall’accoglienza e l’intrattenimento dei bambini alle pulizie, dai lavori manuali della cooperativa al servizio nella locale parrocchia cattolica. In questi giorni fino al 7 luglio sono in Kosovo 21 giovani delle scuole superiori dalla diocesi di Perugia (scopri anche quali sono le diocesi dell'Umbria che mandano gruppi di volontari).

Valentina Russo

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Kosovo

La settimana scorsa è partito dall’Umbria un tir carico di viveri e vestiario, contenente anche un bobcat e attrezzature varie per la panetteria. In tutto 220 quintali di aiuti diretti alla casa di Leskoc in Kosovo, casa di accoglienza creata da Caritas Umbria nel 1999. A cosa servono questi particolari tipi di aiuti? La casa da vent’anni accoglie una quindicina di minori rimasti soli e i suoi volontari si occupano anche dell’assistenza alle tante famiglie del luogo che vivono in condizione di estrema povertà.

Per sostenere il progetto economicamente, la casa è organizzata sul modello di una fattoria, con laboratori di avviamento al lavoro per le ragazze e i ragazzi ormai diventati grandi. “L’economia in Kosovo è ferma da tempo ad un’economia di sussistenza legata solo ed esclusivamente all’agricoltura per l’autoconsumo” racconta Luca Uccellani, vice direttore della Caritas di Gubbio che da anni si occupa della missione in Kosovo.

LO STATO DEL KOSOVO

- Il Kosovo è una repubblica parlamentare autoproclamatasi indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008.

- L’ indipendenza del Kosovo è riconosciuta da 102 Stati membri dell’Onu (tra cui l’Italia), da Taiwan e Malta; non è riconosciuta da altri come Serbia, Russia, Cina, Spagna e neanche dalla Santa Sede, considerando i rapporti di quest’ultima con la Chiesa ortodossa serba.

- La popolazione totale è di circa 1.800.000 abitanti nel 2019. Il 53% della popolazione è al di sotto dei 25 anni.

- La religione principale è quella islamica. I cattolici sono circa 64.000.

- Nel settembre 2018 il Papa ha ricostituito l’antica diocesi di Prizren-Pristina.

- La cattedrale di Pristina è dedicata a Madre Teresa di Calcutta, i cui genitori erano kosovari.

 

“Le famiglie sopravvivono coltivando il piccolo appezzamento di terreno che hanno - prosegue Uccellani - , ma molto spesso non hanno neanche quello o non riescono a coltivarlo per ignoranza o disagio sociale”.

“Per dare qualche possibilità di lavoro in più - sottolinea Uccellani - è stata creata una cooperativa composta da una decina di ragazzi, i primi bambini accolti dalla casa”. “La cooperativa è attiva in diversi settori (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Ogni anno, specialmente d’estate, dalle varie diocesi dell’Umbria partono gruppi di volontari per dare una mano in tutti gli aspetti della vita della casa, dall’accoglienza e l’intrattenimento dei bambini alle pulizie, dai lavori manuali della cooperativa al servizio nella locale parrocchia cattolica. In questi giorni fino al 7 luglio sono in Kosovo 21 giovani delle scuole superiori dalla diocesi di Perugia (scopri anche quali sono le diocesi dell'Umbria che mandano gruppi di volontari).

Valentina Russo

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Ghada, focolarina di origini libanesi, racconta la situazione nel suo Paese https://www.lavoce.it/ghada-focolarina-libano/ Thu, 21 Mar 2019 10:48:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54230 Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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Libano

Libano, terra in cui la convivenza tra popoli e religioni sarebbe facile... se tutto non congiurasse a renderla difficile. È l’impressione che si riceve ascoltando Ghada Karyoty, focolarina libanese - oggi residente nella comunità di Assisi - che nei giorni scorsi a Perugia è intervenuta all’incontro del lunedì presso il Centro ecumenico.

Tre le religioni presenti sul territorio del Paese mediorientale: cristiani, musulmani e i ‘misteriosi’ drusi. La legge determina in modo chiaro in che modo vadano ripartite le cariche istituzionali tra le diverse appartenenze religiose. Non sempre però funziona: “In Libano - racconta Ghada - è stato da poco creato un Governo dopo otto mesi di latitanza. Non riuscivano a mettersi d’accordo”.

La capacità delle religioni di vivere pacificamente le une accanto alle altre è un fiore all’occhiello del Paese, “tranne durante la guerra del 1978-1990, quando venne fomentato l’odio. Dopo la guerra, le varie religioni si erano stanziate in diverse aree della nazione, poi pian piano si sono rimescolate. Anche se rimane sempre un po’ di fuoco a covare sotto la cenere”.

In Libano il movimento dei Focolari conta una decina di consacrati, cinque uomini e cinque donne, più tutta una serie di famiglie, sacerdoti e anche vescovi “amici del Focolare”. “Come movimento - prosegue Karyoty - organizziamo incontri con gli sciiti più moderati, istruiti, aperti al dialogo. Durante i bombardamenti effettuati da Israele nel 2006 abbiamo accolto nella ‘Mariapoli’, nell’area montana fuori Beirut, un centinaio di rifugiati, tutti sciiti”.

La questione interreligiosa si annoda a quella dei profughi. In un Paese di soli 4 milioni di abitanti, sono presenti mezzo milione di palestinesi, sfollati al tempo della creazione dello Stato di Israele (1948), e un milione e mezzo di persone fuggite dalle guerre in corso, soprattutto dalla Siria (continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

Dario Rivarossa

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ll Papa negli Emirati Arabi Uniti. Un evento eccezionale per vari motivi https://www.lavoce.it/papa-emirati-arabi-uniti/ Thu, 07 Feb 2019 10:21:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53969 emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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emirati

Eccezionale per tanti versi, la visita di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti svoltasi dal 3 al 5 febbraio. Il primo Pontefice a mettere piede nella Penisola arabica, proprio nell’ottavo centenario dell’incontro (avvenuto però in Egitto) tra san Francesco e il sultano Malik al-Kamil. Una liturgia celebrata in pubblico, in un Paese musulmano, di fronte a 120-130 mila persone, tra cui 4.000 fedeli del Corano.

[caption id="attachment_53972" align="aligncenter" width="640"]emirati Il Papa celebra la messa presso la Zayed Sports City[/caption]

E ancora, la firma del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, tra il Papa e il Grande imam dell’università di Al-Azhar (al Cairo), principale centro di formazione dell’islam sunnita. Ma non basta, perché, anche se Al-Azhar ‘parla’ a nome dell’islam sunnita, erano presenti anche gli sciiti tra i 700 leader che, ad Abu Dhabi, hanno partecipato all’Incontro interreligioso sulla fratellanza umana organizzata dal Muslim Council of Elders (Consiglio islamico degli anziani).

[caption id="attachment_53971" align="aligncenter" width="755"]emirati La firma del documento sulla fratellanza[/caption]

“Seguire la via di Gesù - ha detto il Papa all’omelia della messa non significa stare sempre allegri. Chi è afflitto, chi patisce ingiustizie, chi si prodiga per essere operatore di pace sa che cosa significa soffrire. Per voi non è certo facile vivere lontani da casa e sentire magari, oltre alla mancanza degli affetti più cari, l’incertezza del futuro. Ma il Signore è fedele e non abbandona i suoi...

Quando Gesù ci ha detto come vivere, non ha chiesto di innalzare grandi opere o di segnalarci compiendo gesta straordinarie. Ci ha chiesto di realizzare una sola opera d’arte, possibile a tutti: quella della nostra vita... Vi auguro di essere così, ben radicati in Cristo, in Gesù, e pronti a fare del bene a chiunque vi sta vicino. Le vostre comunità siano oasi di pace”.

Commentando la messa, padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, l’ha definita un segno di “grande apertura, e sintomo che qualcosa sta cambiando. Questa messa, con la partecipazione di decine di migliaia di cattolici, avrà un’enorme risonanza in tutta la Penisola arabica, dove ci sono in totale qualcosa come tre milioni di cattolici, tutti lavoratori stranieri da diversi Paesi asiatici, come India, Pakistan e Filippine, e ricchi di grande fede. Credo che sia anche un segno di quella ‘reciprocità’ che tante volte abbiamo invocato - qualche volta per difenderci - e che adesso comincia a essere accolta”.

Tra i commenti più positivi da parte del mondo musulmano, spicca quello del giovane studioso algerino Kamel Abderrahmani: “Sono meravigliato dalla bellezza e sincerità delle proposte fatte. Dopo questa visita, alle istituzioni musulmane non resterà nulla da dire sulla violenza che si compie in nome dell’islam, se non scomunicare in modo diretto e imperativo i fabbricanti di morte.

Non siamo più nel Medioevo, e i Governi occidentali non sono la Chiesa cattolica. Il che significa che nell’ambiente moderno non vi è alcuna crociata nel nome della fede cristiana. Papa Francesco ha teso le braccia ai musulmani, offerto fraternità, amore e pace, ed essi non dovrebbero rifiutare questa occasione per costruire ponti di umanità insieme”.

Dario Rivarossa

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Armando Catrana, 50 anni a servizio degli ultimi https://www.lavoce.it/armando-catrana/ https://www.lavoce.it/armando-catrana/#comments Tue, 22 Jan 2019 10:12:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53836 catrana

“Sono Armando, sono salesiano laico e ho 80 anni, di cui gli ultimi 50 trascorsi in Brasile”. Poche parole per presentarsi, molte di più per presentare la realtà dove da tanti anni opera.

La storia

Armando Catrana è tornato a Perugia per pochi giorni e farà rientro in Brasile alla fine di gennaio. Perugino di nascita, fino all’età di 29 anni lavorava in banca a Corso Vannucci. Poi la “chiamata” e il noviziato salesiano. “Dopo quattro anni di formazione sono partito con un gruppo di volontari dell’Operazione Mato Grosso per aiutarli – racconta Armando -. Sono partito con l’intenzione di rimanere alcuni mesi, per poi fare ritorno nel mio oratorio. Solo che quei mesi sono diventati 50 anni!”.

La missione in Brasile

In Brasile Armando ha scelto di stabilirsi tra gli ultimi, nelle favelas. Tanti anni di duro lavoro e fatiche lo hanno portato a mettere in piedi una grande opera: il Centro giovanile Gesù adolescente, a Tres Lagoas nel Mato Grosso, che sorge su 5000 ettari dati in concessione dall’autorità locale a Catrana per 99 anni. Qui vengono istruiti e formati ragazzi, adolescenti e adulti.

“Forniamo un avviamento professionale, con corsi come ‘meccanica di biciclette’, falegnameria o cucito, per gettare le basi lavorative ma soprattutto per tenerceli vicini, nutrirli, vestirli e insegnare loro anche l’igiene del corpo”.

Fra i suoi ex allievi ci sono anche medici, ingegneri, avvocati, ma “tranne pochi casi di ricadute nel giro della delinquenza, tutti i ragazzi hanno vinto, anche quelli che ora fanno i muratori o gli elettricisti, perché sono riusciti a costruirsi vite e famiglie belle nella dignità di vivere del proprio lavoro”.

Catechesi e gioco

La catechesi è una parte importante dell’educazione che viene impartita al centro giovanile, ma per attirare i ragazzi Catrana usa metodi molto più giocosi, in linea con lo spirito salesiano: “Un ping pong, un calcio balilla e un pallone. Il sabato e la domenica li carico su un furgone che mi è stato regalato dalla Petro Bras (la più grande compagnia petrolifera del Brasile) e vado nel rione di Novo Oeste a cercare di entrare in contatto con nuovi ragazzi attraverso lo sport e il gioco.

Non è sempre facile convincerli poi a seguirmi o a venire alle catechesi, anche perché io mi comporto da amico, ma ormai sono molto distante da loro per età”. E poi c’è la questione smartphone e social network che anche nei villaggi più poveri del Brasile hanno molta presa sugli adolescenti. “Non riuscirò mai ad imparare come funzionano questi nuovi telefoni – scherza Catrana - , ma ai ragazzi invece è difficile toglierli di mano anche solo per cinque minuti”.

Per contribuire

Nonostante l’età, la voglia di continuare a costruire e donarsi ai giovani è ancora inarrestabile per Armando. “Ho sempre più bisogno di collaboratori, ma di volontari se ne trovano pochi”. Il centro ha già circa 30 fra collaboratori e insegnanti regolarmente stipendiati e offre agli allievi cibo e vestiti, tutto gratuitamente.

La domanda quindi sorge spontanea: come fa a pagare tutto? “Diciamo che col tempo ho imparato a chiedere e anche a piangere bene” ironizza Catrana. A sostenere le sue opere ci pensano, tra gli altri, gli amici dell’associazione perugina “CatArma” (le lettere iniziali del cognome e del nome del salesiano), che periodicamente organizza eventi di raccolta fondi, anche se il bisogno si rinnova ogni giorno. Per info e donazioni: 347 3861693.

Valentina Russo

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catrana

“Sono Armando, sono salesiano laico e ho 80 anni, di cui gli ultimi 50 trascorsi in Brasile”. Poche parole per presentarsi, molte di più per presentare la realtà dove da tanti anni opera.

La storia

Armando Catrana è tornato a Perugia per pochi giorni e farà rientro in Brasile alla fine di gennaio. Perugino di nascita, fino all’età di 29 anni lavorava in banca a Corso Vannucci. Poi la “chiamata” e il noviziato salesiano. “Dopo quattro anni di formazione sono partito con un gruppo di volontari dell’Operazione Mato Grosso per aiutarli – racconta Armando -. Sono partito con l’intenzione di rimanere alcuni mesi, per poi fare ritorno nel mio oratorio. Solo che quei mesi sono diventati 50 anni!”.

La missione in Brasile

In Brasile Armando ha scelto di stabilirsi tra gli ultimi, nelle favelas. Tanti anni di duro lavoro e fatiche lo hanno portato a mettere in piedi una grande opera: il Centro giovanile Gesù adolescente, a Tres Lagoas nel Mato Grosso, che sorge su 5000 ettari dati in concessione dall’autorità locale a Catrana per 99 anni. Qui vengono istruiti e formati ragazzi, adolescenti e adulti.

“Forniamo un avviamento professionale, con corsi come ‘meccanica di biciclette’, falegnameria o cucito, per gettare le basi lavorative ma soprattutto per tenerceli vicini, nutrirli, vestirli e insegnare loro anche l’igiene del corpo”.

Fra i suoi ex allievi ci sono anche medici, ingegneri, avvocati, ma “tranne pochi casi di ricadute nel giro della delinquenza, tutti i ragazzi hanno vinto, anche quelli che ora fanno i muratori o gli elettricisti, perché sono riusciti a costruirsi vite e famiglie belle nella dignità di vivere del proprio lavoro”.

Catechesi e gioco

La catechesi è una parte importante dell’educazione che viene impartita al centro giovanile, ma per attirare i ragazzi Catrana usa metodi molto più giocosi, in linea con lo spirito salesiano: “Un ping pong, un calcio balilla e un pallone. Il sabato e la domenica li carico su un furgone che mi è stato regalato dalla Petro Bras (la più grande compagnia petrolifera del Brasile) e vado nel rione di Novo Oeste a cercare di entrare in contatto con nuovi ragazzi attraverso lo sport e il gioco.

Non è sempre facile convincerli poi a seguirmi o a venire alle catechesi, anche perché io mi comporto da amico, ma ormai sono molto distante da loro per età”. E poi c’è la questione smartphone e social network che anche nei villaggi più poveri del Brasile hanno molta presa sugli adolescenti. “Non riuscirò mai ad imparare come funzionano questi nuovi telefoni – scherza Catrana - , ma ai ragazzi invece è difficile toglierli di mano anche solo per cinque minuti”.

Per contribuire

Nonostante l’età, la voglia di continuare a costruire e donarsi ai giovani è ancora inarrestabile per Armando. “Ho sempre più bisogno di collaboratori, ma di volontari se ne trovano pochi”. Il centro ha già circa 30 fra collaboratori e insegnanti regolarmente stipendiati e offre agli allievi cibo e vestiti, tutto gratuitamente.

La domanda quindi sorge spontanea: come fa a pagare tutto? “Diciamo che col tempo ho imparato a chiedere e anche a piangere bene” ironizza Catrana. A sostenere le sue opere ci pensano, tra gli altri, gli amici dell’associazione perugina “CatArma” (le lettere iniziali del cognome e del nome del salesiano), che periodicamente organizza eventi di raccolta fondi, anche se il bisogno si rinnova ogni giorno. Per info e donazioni: 347 3861693.

Valentina Russo

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Le tradizioni del Natale in Amazzonia https://www.lavoce.it/tradizioni-natale-amazzonia/ Sun, 06 Jan 2019 08:00:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53749 amazzonia

Conosciamo tutti i riti ed i momenti salienti delle celebrazioni italiane, ma questa festa globale ha tante particolarità che la rendono diversa, pur nella tradizione, in altre parti del mondo.

Padre Carlos Acacio Goncalves Ferreira, ofm cap. rettore del santuario della Spogliazione di Assisi, ci ha raccontato come viene vissuto il Natale in Brasile, in particolare in Amazzonia sua terra d’origine.

“Il Natale è percepito come la festa della fraternità. Ci si scambia cibo e vestiti ma senza l’ansia che impone il commercio. Niente stress per ricevere o donare il modello più nuovo o alla moda, ci si accontenta del poco e si apprezza molto il gesto. Il senso religioso del Natale si esprime in particolar modo nella Novena celebrata nelle famiglie.

Si è soliti portare un Bambinello nel luogo in cui si va a pregare e c’è una vera e propria gara per riceverlo nella propria casa. La sera si finisce con un rinfresco in un bel clima di familiarità. Tipico di questo periodo è anche il gioco dell’‘Amico segreto’. Un gruppo di parenti o di amici ‘pesca’ il nome di uno dei partecipanti che va tenuto segreto fino allo scambio dei regali.

A quel punto l’amico verrà svelato grazie a degli indizi. I partecipanti devono indovinare partendo da tracce che mettono in luce le qualità dell’ ‘amico segreto’. “Particolare - prosegue padre Carlos - è la cena della Vigilia. Le case hanno porte e finestre aperte, non soltanto per il clima mite, ma soprattutto per agevolare lo scambio e l’assaggio dei vari cibi. C’è un clima di condivisione davvero commovente. Ci si abbraccia, si sorride e Cristo sembra essere là con il suo spirito”.

Un clima semplice ed appagante che dovrebbe contraddistinguere di più anche le feste celebrate ad altre latitudini, dove invece la mondanità spesso ha preso il sopravvento. “Il 2019 - conclude padre Carlos - sarà un anno da ricordare per l’Amazzonia scelta da Papa Francesco per il Sinodo speciale, la speranza è che, in questa terra così importante per il pianeta, trionfi davvero il bene”.

William Stacchiotti

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Conosciamo tutti i riti ed i momenti salienti delle celebrazioni italiane, ma questa festa globale ha tante particolarità che la rendono diversa, pur nella tradizione, in altre parti del mondo.

Padre Carlos Acacio Goncalves Ferreira, ofm cap. rettore del santuario della Spogliazione di Assisi, ci ha raccontato come viene vissuto il Natale in Brasile, in particolare in Amazzonia sua terra d’origine.

“Il Natale è percepito come la festa della fraternità. Ci si scambia cibo e vestiti ma senza l’ansia che impone il commercio. Niente stress per ricevere o donare il modello più nuovo o alla moda, ci si accontenta del poco e si apprezza molto il gesto. Il senso religioso del Natale si esprime in particolar modo nella Novena celebrata nelle famiglie.

Si è soliti portare un Bambinello nel luogo in cui si va a pregare e c’è una vera e propria gara per riceverlo nella propria casa. La sera si finisce con un rinfresco in un bel clima di familiarità. Tipico di questo periodo è anche il gioco dell’‘Amico segreto’. Un gruppo di parenti o di amici ‘pesca’ il nome di uno dei partecipanti che va tenuto segreto fino allo scambio dei regali.

A quel punto l’amico verrà svelato grazie a degli indizi. I partecipanti devono indovinare partendo da tracce che mettono in luce le qualità dell’ ‘amico segreto’. “Particolare - prosegue padre Carlos - è la cena della Vigilia. Le case hanno porte e finestre aperte, non soltanto per il clima mite, ma soprattutto per agevolare lo scambio e l’assaggio dei vari cibi. C’è un clima di condivisione davvero commovente. Ci si abbraccia, si sorride e Cristo sembra essere là con il suo spirito”.

Un clima semplice ed appagante che dovrebbe contraddistinguere di più anche le feste celebrate ad altre latitudini, dove invece la mondanità spesso ha preso il sopravvento. “Il 2019 - conclude padre Carlos - sarà un anno da ricordare per l’Amazzonia scelta da Papa Francesco per il Sinodo speciale, la speranza è che, in questa terra così importante per il pianeta, trionfi davvero il bene”.

William Stacchiotti

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EGITTO. Le attività solidali – specie in campo medico – portate avanti dai cristiani a favore di tutti https://www.lavoce.it/egitto-attivita-solidali-cristiani/ Sun, 23 Dec 2018 08:06:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53693 egitto

“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona, e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: così mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, che si sono recati poche settimane fa in Egitto per conoscere alcuni progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell’8x1000.

Ismailia, sede dell’omonima Eparchia copto-cattolica, è il capoluogo del Governatorato omonimo. La diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai, dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato islamico (Isis o Daesh).

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi - l’ultima è del 2 novembre scorso - “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle istituzioni: “Garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana, ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.

La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione. “Il nostro punto di forza - sottolinea mons. Tewfik - è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.

Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Ci sono poi gli ospedali, dove curiamo tutti i più bisognosi, senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.

(Continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

D. R. - M. R. V.

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egitto

“Il popolo italiano è nostro amico. Siamo grati alla Cei per il sostegno spirituale, culturale e caritativo che ci dona, e che ci fa sentire parte della Chiesa universale”: così mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismailia, ha accolto il gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc), guidato dal presidente don Adriano Bianchi, che si sono recati poche settimane fa in Egitto per conoscere alcuni progetti di solidarietà finanziati dalla Cei con i fondi dell’8x1000.

Ismailia, sede dell’omonima Eparchia copto-cattolica, è il capoluogo del Governatorato omonimo. La diocesi comprende anche la nota località turistica di Sharm el-Sheikh e la penisola del Sinai, dove sono ancora attive alcune cellule jihadiste affiliate al sedicente Stato islamico (Isis o Daesh).

L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulla situazione dei cristiani in Egitto che, nonostante gli attentati e le stragi - l’ultima è del 2 novembre scorso - “sembra migliorare”. Due, ha spiegato il vescovo, le piste seguite dalle istituzioni: “Garantire piena cittadinanza a tutti gli egiziani appartenenti alla minoranza cristiana, ed evitare le derive integraliste e fondamentaliste in ambito islamico”.

La risposta della Chiesa punta tutto sull’istruzione e l’educazione. “Il nostro punto di forza - sottolinea mons. Tewfik - è rappresentato dalle scuole, le migliori di tutto l’Egitto, e per questo frequentate dai figli dei massimi responsabili civili e politici.

Ne abbiamo 18, due gestite direttamente dalla diocesi. Ci sono poi gli ospedali, dove curiamo tutti i più bisognosi, senza guardare a fede e etnia. Quello di Port Said è l’unico ospedale cattolico nella parte orientale dell’Egitto”.

(Continua a leggere sull'edizione digitale de La Voce).

D. R. - M. R. V.

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I progetti Cei a favore del terzo mondo https://www.lavoce.it/progetti-cei-terzo-mondo/ Wed, 05 Dec 2018 17:03:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53564 progetti

Approvati 109 progetti, per i quali saranno stanziati € 13.116.270, provenienti dai fondi dell’8xmille Cei, così suddivisi:
  • € 8.818.804 per 43 progetti in Africa;
  • € 1.559.526 per 40 progetti in America Latina;
  • € 2.345.188 per 24 progetti in Asia;
  • € 362.752 per 1 progetto in Medio Oriente;
  • € 30.000 per 1 progetto in Est Europa.
Questi i dati relativi alla riunione del Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo della Cei, tenutasi venerdì 16 e sabato 17 novembre a Roma, e resi noti oggi.

I progetti in Africa

Tra i progetti più significativi, riferisce il Comitato, quattro sono in Africa. Il primo, in Benin, per un piano di rimboschimento dei terreni finalizzato alla tutela delle risorse naturali della diocesi di Kandi, per garantire alla popolazione la disponibilità di legname. È prevista anche la costruzione un garage da adibire a magazzino e di un pozzo. Un secondo progetto, biennale, è in Burkina Faso, per attività formative rivolte a 250 giovani artigiani e contadini per favorire micro-imprese generatrici di reddito. Il progetto è promosso dal Cesao, istituzione di appoggio allo sviluppo fondata in Burkina nel 1960 dai Missionari Bianchi, e si appoggerà ad un terreno di 7 ettari dotato di refettorio, camere e sale polivalenti, dove si terranno le lezioni. Il terzo progetto sarà realizzato in Etiopia e coinvolgerà 17 centri professionali in 11 diverse località: saranno coinvolti 5.960 studenti (per la metà donne) per imparare la lavorazione dei metalli e del legno, a fare gli elettricisti, i grafici, i meccanici d’auto e i parrucchieri. Il quarto progetto sarà finanziato nel Mali, per sostenere le comunità agricole femminili di 7 villaggi nell’area di Mopti. Saranno organizzati incontri formativi e sarà incentivata l’imprenditorialità femminile.

I progetti in Asia

Tra i progetti asiatici più interessanti, segnala il Comitato, ce ne sono due che saranno realizzati in India. Il primo, nella diocesi di Kumbakonam, assicurerà l’accesso al sistema scolastico nazionale ai bambini più indigenti, attraverso la costruzione e l’equipaggiamento di un scuola. Il secondo progetto è per incentivare ecologia integrale e sviluppo sostenibile nei villaggi comunitari, attraverso la formazione e la cura di progetti pilota nelle fattorie. In Vietnam, invece, la diocesi di Vinh realizzerà cinque sistemi di purificazione dell’acqua da installare in altrettante parrocchie e comunità per migliorare le condizioni di vita della popolazione locale, garantendo l’accesso all’acqua potabile.

Il progetto in America Latina

Il Comitato Cei segnala infine un progetto che sarà realizzato in America Latina, nel Salvador, per il completamento di una clinica ambulatoriale a Chalatenango. La struttura prevede locali per visite specialistiche, pre-sala e sala operatoria, stanze pre e post intervento, stanze per la degenza con bagno, zona alloggio per le “Hermanas Franciscanas de la Inmaculada Conception” (le suore cui è affidato il centro) e per il personale sanitario. Dall’inizio del 2018 ad oggi sono stati approvati 818 progetti per un valore complessivo di € 119.868.618.]]>
progetti

Approvati 109 progetti, per i quali saranno stanziati € 13.116.270, provenienti dai fondi dell’8xmille Cei, così suddivisi:
  • € 8.818.804 per 43 progetti in Africa;
  • € 1.559.526 per 40 progetti in America Latina;
  • € 2.345.188 per 24 progetti in Asia;
  • € 362.752 per 1 progetto in Medio Oriente;
  • € 30.000 per 1 progetto in Est Europa.
Questi i dati relativi alla riunione del Comitato per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo della Cei, tenutasi venerdì 16 e sabato 17 novembre a Roma, e resi noti oggi.

I progetti in Africa

Tra i progetti più significativi, riferisce il Comitato, quattro sono in Africa. Il primo, in Benin, per un piano di rimboschimento dei terreni finalizzato alla tutela delle risorse naturali della diocesi di Kandi, per garantire alla popolazione la disponibilità di legname. È prevista anche la costruzione un garage da adibire a magazzino e di un pozzo. Un secondo progetto, biennale, è in Burkina Faso, per attività formative rivolte a 250 giovani artigiani e contadini per favorire micro-imprese generatrici di reddito. Il progetto è promosso dal Cesao, istituzione di appoggio allo sviluppo fondata in Burkina nel 1960 dai Missionari Bianchi, e si appoggerà ad un terreno di 7 ettari dotato di refettorio, camere e sale polivalenti, dove si terranno le lezioni. Il terzo progetto sarà realizzato in Etiopia e coinvolgerà 17 centri professionali in 11 diverse località: saranno coinvolti 5.960 studenti (per la metà donne) per imparare la lavorazione dei metalli e del legno, a fare gli elettricisti, i grafici, i meccanici d’auto e i parrucchieri. Il quarto progetto sarà finanziato nel Mali, per sostenere le comunità agricole femminili di 7 villaggi nell’area di Mopti. Saranno organizzati incontri formativi e sarà incentivata l’imprenditorialità femminile.

I progetti in Asia

Tra i progetti asiatici più interessanti, segnala il Comitato, ce ne sono due che saranno realizzati in India. Il primo, nella diocesi di Kumbakonam, assicurerà l’accesso al sistema scolastico nazionale ai bambini più indigenti, attraverso la costruzione e l’equipaggiamento di un scuola. Il secondo progetto è per incentivare ecologia integrale e sviluppo sostenibile nei villaggi comunitari, attraverso la formazione e la cura di progetti pilota nelle fattorie. In Vietnam, invece, la diocesi di Vinh realizzerà cinque sistemi di purificazione dell’acqua da installare in altrettante parrocchie e comunità per migliorare le condizioni di vita della popolazione locale, garantendo l’accesso all’acqua potabile.

Il progetto in America Latina

Il Comitato Cei segnala infine un progetto che sarà realizzato in America Latina, nel Salvador, per il completamento di una clinica ambulatoriale a Chalatenango. La struttura prevede locali per visite specialistiche, pre-sala e sala operatoria, stanze pre e post intervento, stanze per la degenza con bagno, zona alloggio per le “Hermanas Franciscanas de la Inmaculada Conception” (le suore cui è affidato il centro) e per il personale sanitario. Dall’inizio del 2018 ad oggi sono stati approvati 818 progetti per un valore complessivo di € 119.868.618.]]>
Egitto. Tante piccole gocce diventano semi di pace nel mondo https://www.lavoce.it/egitto-gocce-pace/ Wed, 05 Dec 2018 15:32:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53556 egitto

Il Cairo, una città di 10 milioni di abitanti, 18 con l’area metropolitana. Nelle strade caotiche le auto nuove e lucide dei benestanti si contendono la strada con vecchie auto che in Italia non potrebbero neppure circolare, e sfiorano i marciapiedi attraversando quartieri dove la vita misera dei più poveri si svolge accanto ai grandi alberghi che ospitano i turisti dell’antico Egitto. È la città delle grandi contraddizioni, volto di un Paese di più di 100 milioni di abitanti che sale alla ribalta della nostra informazione solo quando ci sono fatti di sangue. Eppure c’è una vita che sorprende. Come quella dei cristiani che in mezzo a mille difficoltà e con lo Stato che ha messo l’esercito a protezione delle loro chiese, continuano a vivere la loro fede e a testimoniarla nel lavoro con i musulmani e a beneficio anche dei musulmani (la miseria non fa distinzioni). Tutte le realtà che abbiamo visitato sono così: cristiani e musulmani insieme, anche quando le opere (scuole, ospedale o centri di accoglienza) sono delle Chiese locali. Nel caos di una vita quotidiana difficile, l’Egitto ci ha mostrato quanto sia reale, concreta e positiva la collaborazione per il bene delle persone. Lo abbiamo visto dai padri Comboniani che come tutti gli africani “neri” sono chiamati in senso dispregiativo “Sammara”, che significa cioccolato. Ma padre Jonh Richard Kyankaaga, il provinciale di Egitto (17 religiosi sparsi in tutto il Paese), ha saputo conquistarsi il rispetto degli egiziani, per lui e per i rifugiati sudanesi e sud sudanesi che nei suoi centri hanno la possibilità di andare a scuola. Nell’ospedale (una piccola struttura dotata di sala operatoria) di Port Said come nel dispensario de Il Cairo lavorano medici e infermieri cristiani e musulmani, così come nessuna distinzione viene fatta tra i malati. Il vescovo della Chiesa copto cattolica di Ismailia mons. Makarios Tewfik, ci ha accolti nella sua sede vescovile con un buon caffé italiano e tipici dolci arabi in una sala che ha al centro un quadro ad intarsio, con un campanile e un minareto uniti sotto il nome di Dio, dono di una giornata di incontro tra famiglie cristiane e musulmane. In chiesa i bambini fanno catechismo e nel piccolo chiostro le madri studiano la Bibbia. Gli attacchi contro i cristiani sono una minaccia reale ma forse ancor più lo è “il progressivo allontanamento dei giovani dai valori evangelici e tradizionali trasmessi dalla famiglia”, perché anche in Egitto i giovani hanno accesso al mondo attraverso il loro cellulare. Nei villaggi più poveri dell’Alto Egitto dal 1940 opera una delle prime ong egiziane, Aueed, l’associazione dell’Alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo, fondata dal padre gesuita Henry Ayrout. Con l’aiuto della Cei, l’ong ha avviato nelle sue 35 scuole nel sud del Paese un programma di istruzione formale che ha raggiunto lo scorso anno 12.500 alunni. Non solo bambini tra i banchi ma anche le donne. Analfabete, senza una mestiere in mano e abbandonate dal marito, ritrovano speranza per loro e per i loro figli quando imparano a leggere e un lavoro. Tutto quello che abbiamo visto sono gocce in un mare di bisogno ma anche semi di pace.

Maria Rita Valli

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Il Cairo, una città di 10 milioni di abitanti, 18 con l’area metropolitana. Nelle strade caotiche le auto nuove e lucide dei benestanti si contendono la strada con vecchie auto che in Italia non potrebbero neppure circolare, e sfiorano i marciapiedi attraversando quartieri dove la vita misera dei più poveri si svolge accanto ai grandi alberghi che ospitano i turisti dell’antico Egitto. È la città delle grandi contraddizioni, volto di un Paese di più di 100 milioni di abitanti che sale alla ribalta della nostra informazione solo quando ci sono fatti di sangue. Eppure c’è una vita che sorprende. Come quella dei cristiani che in mezzo a mille difficoltà e con lo Stato che ha messo l’esercito a protezione delle loro chiese, continuano a vivere la loro fede e a testimoniarla nel lavoro con i musulmani e a beneficio anche dei musulmani (la miseria non fa distinzioni). Tutte le realtà che abbiamo visitato sono così: cristiani e musulmani insieme, anche quando le opere (scuole, ospedale o centri di accoglienza) sono delle Chiese locali. Nel caos di una vita quotidiana difficile, l’Egitto ci ha mostrato quanto sia reale, concreta e positiva la collaborazione per il bene delle persone. Lo abbiamo visto dai padri Comboniani che come tutti gli africani “neri” sono chiamati in senso dispregiativo “Sammara”, che significa cioccolato. Ma padre Jonh Richard Kyankaaga, il provinciale di Egitto (17 religiosi sparsi in tutto il Paese), ha saputo conquistarsi il rispetto degli egiziani, per lui e per i rifugiati sudanesi e sud sudanesi che nei suoi centri hanno la possibilità di andare a scuola. Nell’ospedale (una piccola struttura dotata di sala operatoria) di Port Said come nel dispensario de Il Cairo lavorano medici e infermieri cristiani e musulmani, così come nessuna distinzione viene fatta tra i malati. Il vescovo della Chiesa copto cattolica di Ismailia mons. Makarios Tewfik, ci ha accolti nella sua sede vescovile con un buon caffé italiano e tipici dolci arabi in una sala che ha al centro un quadro ad intarsio, con un campanile e un minareto uniti sotto il nome di Dio, dono di una giornata di incontro tra famiglie cristiane e musulmane. In chiesa i bambini fanno catechismo e nel piccolo chiostro le madri studiano la Bibbia. Gli attacchi contro i cristiani sono una minaccia reale ma forse ancor più lo è “il progressivo allontanamento dei giovani dai valori evangelici e tradizionali trasmessi dalla famiglia”, perché anche in Egitto i giovani hanno accesso al mondo attraverso il loro cellulare. Nei villaggi più poveri dell’Alto Egitto dal 1940 opera una delle prime ong egiziane, Aueed, l’associazione dell’Alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo, fondata dal padre gesuita Henry Ayrout. Con l’aiuto della Cei, l’ong ha avviato nelle sue 35 scuole nel sud del Paese un programma di istruzione formale che ha raggiunto lo scorso anno 12.500 alunni. Non solo bambini tra i banchi ma anche le donne. Analfabete, senza una mestiere in mano e abbandonate dal marito, ritrovano speranza per loro e per i loro figli quando imparano a leggere e un lavoro. Tutto quello che abbiamo visto sono gocce in un mare di bisogno ma anche semi di pace.

Maria Rita Valli

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In Egitto sulle tracce dell’8xmille nei Progetti a sostegno di bambini, donne, ammalati https://www.lavoce.it/egitto-8xmille/ Sat, 01 Dec 2018 17:55:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53536 8xmille

Cinque giorni in Egitto per conoscere i progetti finanziati con i fondi dell'8x1000. Un viaggio breve ma intenso in un paese che ha 100milioni di abitanti e sta affrontando forti cambiamento economici e sociali, e che è nel mirino dei fondamentalisti e dei terroristi islamici che hanno attaccato chiese, conventi e fatto stragi. Il Cairo, Ismaila, Port Said, Alessandria, sono le tappe del viaggio dei giornalisti vincitori del concorso “8×1000 senza frontiere” (sei della Fisc - Federazione settimanali cattolici tra i quali anche “La Voce”, due del Corallo, l’associazione delle radio e tv cattoliche) guidati da don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo e don Adriano Bianchi, presidente della Fisc, accompagnati da due inviati del Sir, l’Agenzia di informazione della Cei.

Cristiani nel mirino

“L’Egitto – spiega il direttore dell’Ufficio Cei che opera per realizzare la solidarietà e la cooperazione tra le Chiese a favore delle popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo e promuovere lo sviluppo delle comunità locali – è il Paese con la più numerosa presenza cristiana del Medio Oriente, conta, infatti, circa dieci milioni di fedeli (quasi il 10% della popolazione), in larghissima maggioranza copto-ortodossi. Una minoranza nel mirino dei fondamentalisti e dei terroristi islamici che hanno attaccato chiese, conventi e fatto stragi”. L’ultima risale al 2 novembre scorso quando sette pellegrini copti di Sohag sono stati uccisi da un commando jihadista mentre tornavano da una visita al monastero di Anba Samuel il Confessore, nel governatorato di Minya, a circa 220 chilometri a sud-est del Cairo. Non meno radicata nel Paese è la piccola comunità cattolica composta da 250 mila fedeli di ben sette riti (copto-cattolico, latino, melchita, siriaco, caldeo, armeno e greco-cattolico). Le loro opere sono “segni di speranza e di dialogo” grazie alle scuole, alle strutture sanitarie e culturali aperte a tutti, cristiani e musulmani.

Il viaggio

“Un viaggio per ribadire la solidarietà e la disponibilità della Chiesa italiana ad aiutare l’Egitto nell’ambito sociale, della sanità, della formazione e dello sviluppo. In questi settori, infatti, sviluppiamo tutti i nostri progetti che sono attualmente 14, se consideriamo il periodo 2013-2018, per un ammontare complessivo di circa 2,5 milioni di euro”, spiega don Leonardo Di Mauro ai giornalisti vincitori del concorso “8×1000 senza frontiere”, promosso dalla Fisc e dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei. “La nostra visita - aggiunge - vuole essere un segno e un messaggio agli italiani per dire loro che la Chiesa è vicina a chi soffre grazie all’aiuto dell’8×1000 che arriva lontano e che non si ferma solo entro i nostri confini”.

I progetti Cei

Il viaggio tra i progetti Cei in Egitto è iniziato dal Cairo, con l’Aueed (Association of Upper Egypt for Education and Development) che si occupa dell’alfabetizzazione e sviluppo in 27 villaggi dell’Alto Egitto. Il progetto finanziato dalla Cei si incentra sulla promozione del diritto dell’uomo (specie di donne e di bambini) alla salute, sulla lotta alla povertà, alla discriminazione e si rivolge a oltre 700 beneficiari. (Vedi il servizio SIR) Il giorno dopo visita all’Ospedale Santa Teresa del Bambino Gesù a Schubra (Cairo) , il terzo giorno incontro con il vescovo della diocesi di Ismailia che comprende anche la penisola del Sinai, Makarios, e visita all’ospedale di Port Said. (Vedi il servizio SIR) Il quarto giorno, ad Alessandria d’Egitto visita all’Ordine dei Carmelitani Scalzi e a due progetti da loro curati, l’ospedale e l’asilo. Domenica mattina il viaggio si conclude con l’incontro con i Frati Comboniani e alla visita della scuola per rifugiati e al terreno da loro acquistato grazie al contributo della Cei (Vedi il servizio SIR).

Maria Rita Valli

---- In Egitto c'era anche il nostro direttore Maria Rita Valli. Leggi il suo servizio "Tante piccole gocce diventano semi di pace nel mondo" ----]]>
8xmille

Cinque giorni in Egitto per conoscere i progetti finanziati con i fondi dell'8x1000. Un viaggio breve ma intenso in un paese che ha 100milioni di abitanti e sta affrontando forti cambiamento economici e sociali, e che è nel mirino dei fondamentalisti e dei terroristi islamici che hanno attaccato chiese, conventi e fatto stragi. Il Cairo, Ismaila, Port Said, Alessandria, sono le tappe del viaggio dei giornalisti vincitori del concorso “8×1000 senza frontiere” (sei della Fisc - Federazione settimanali cattolici tra i quali anche “La Voce”, due del Corallo, l’associazione delle radio e tv cattoliche) guidati da don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo e don Adriano Bianchi, presidente della Fisc, accompagnati da due inviati del Sir, l’Agenzia di informazione della Cei.

Cristiani nel mirino

“L’Egitto – spiega il direttore dell’Ufficio Cei che opera per realizzare la solidarietà e la cooperazione tra le Chiese a favore delle popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo e promuovere lo sviluppo delle comunità locali – è il Paese con la più numerosa presenza cristiana del Medio Oriente, conta, infatti, circa dieci milioni di fedeli (quasi il 10% della popolazione), in larghissima maggioranza copto-ortodossi. Una minoranza nel mirino dei fondamentalisti e dei terroristi islamici che hanno attaccato chiese, conventi e fatto stragi”. L’ultima risale al 2 novembre scorso quando sette pellegrini copti di Sohag sono stati uccisi da un commando jihadista mentre tornavano da una visita al monastero di Anba Samuel il Confessore, nel governatorato di Minya, a circa 220 chilometri a sud-est del Cairo. Non meno radicata nel Paese è la piccola comunità cattolica composta da 250 mila fedeli di ben sette riti (copto-cattolico, latino, melchita, siriaco, caldeo, armeno e greco-cattolico). Le loro opere sono “segni di speranza e di dialogo” grazie alle scuole, alle strutture sanitarie e culturali aperte a tutti, cristiani e musulmani.

Il viaggio

“Un viaggio per ribadire la solidarietà e la disponibilità della Chiesa italiana ad aiutare l’Egitto nell’ambito sociale, della sanità, della formazione e dello sviluppo. In questi settori, infatti, sviluppiamo tutti i nostri progetti che sono attualmente 14, se consideriamo il periodo 2013-2018, per un ammontare complessivo di circa 2,5 milioni di euro”, spiega don Leonardo Di Mauro ai giornalisti vincitori del concorso “8×1000 senza frontiere”, promosso dalla Fisc e dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei. “La nostra visita - aggiunge - vuole essere un segno e un messaggio agli italiani per dire loro che la Chiesa è vicina a chi soffre grazie all’aiuto dell’8×1000 che arriva lontano e che non si ferma solo entro i nostri confini”.

I progetti Cei

Il viaggio tra i progetti Cei in Egitto è iniziato dal Cairo, con l’Aueed (Association of Upper Egypt for Education and Development) che si occupa dell’alfabetizzazione e sviluppo in 27 villaggi dell’Alto Egitto. Il progetto finanziato dalla Cei si incentra sulla promozione del diritto dell’uomo (specie di donne e di bambini) alla salute, sulla lotta alla povertà, alla discriminazione e si rivolge a oltre 700 beneficiari. (Vedi il servizio SIR) Il giorno dopo visita all’Ospedale Santa Teresa del Bambino Gesù a Schubra (Cairo) , il terzo giorno incontro con il vescovo della diocesi di Ismailia che comprende anche la penisola del Sinai, Makarios, e visita all’ospedale di Port Said. (Vedi il servizio SIR) Il quarto giorno, ad Alessandria d’Egitto visita all’Ordine dei Carmelitani Scalzi e a due progetti da loro curati, l’ospedale e l’asilo. Domenica mattina il viaggio si conclude con l’incontro con i Frati Comboniani e alla visita della scuola per rifugiati e al terreno da loro acquistato grazie al contributo della Cei (Vedi il servizio SIR).

Maria Rita Valli

---- In Egitto c'era anche il nostro direttore Maria Rita Valli. Leggi il suo servizio "Tante piccole gocce diventano semi di pace nel mondo" ----]]>
SIRIA. Parla il francescano Hanna Jallouf, uno dei due frati rimasti ad Idlib https://www.lavoce.it/siria-hanna-jallouf-frati-rimasti-idlib/ Sat, 29 Sep 2018 10:00:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52983 Hanna

“Ringraziamo il Signore che ancora siamo vivi!”. La voce di padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, è quella dei cristiani che vivono nei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh nella zona di Idlib, nel nord della Siria, ultimo bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei terroristi islamisti.

Qui, a poca distanza dal confine turco, si sono concentrati in questi anni di guerra decine di migliaia di combattenti, anche stranieri, del fronte Hayat Tahrir al-Sham (gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed erede del meglio conosciuto Jabhat Al Nusra ) decisi a non arrendersi all’esercito regolare siriano e ai suoi alleati russi e iraniani.

Nei giorni scorsi si era parlato di un’imminente attacco volto alla riconquista della roccaforte jihadista; poi rientrato in seguito al vertice di Sochi, sul Mar Nero, durante il quale il presidente russo Putin e il leader turco Erdogan hanno trovato un accordo per creare, intorno a questa area contesa, una zona demilitarizzata. L’accordo dovrebbe portare al “ritiro di tutti i combattenti radicali” da Idlib, scongiurando una crisi umanitaria di vaste proporzioni, dal momento che nell’area vivono anche due milioni e mezzo di siriani, molti dei quali sfollati interni.

L’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a padre Hanna e al suo confratello Luai Bsharat, gli unici religiosi cristiani rimasti a Knayeh e Yacoubieh, nei conventi di San Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. Allontanato per ora lo spettro di nuovi combattimenti, sul terreno restano i problemi di sempre e “condizioni di vita sempre più dure man mano che sale la tensione”.

“Non sappiamo come andrà a finire – dice padre Hanna, che è parroco latino di Knayeh. - I ribelli non intendono né arrendersi né ritirarsi. Se lo facessero, tutti noi che viviamo qui, cristiani e musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici”.

Dal canto loro i cristiani di Knayeh e Yacoubieh vivono rintanati in casa terrorizzati. “La paura è enorme per le nostre comunità, già povere - dichiara il frate. - Gli aiuti non arrivano come un tempo, e sono iniziati i rapimenti. Non conosciamo gli autori di questi crimini, se siano semplici malviventi o membri delle milizie che controllano la zona. Alcuni giorni fa è stato rapito il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto sborsare circa 50 mila dollari per il suo rilascio. Una cifra enorme”.

Anche padre Hanna ha vissuto l’esperienza del rapimento: venne prelevato da miliziani del fronte Jahbat Al-Nusra nell’ottobre del 2014, con 16 parrocchiani. (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce).

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Hanna

“Ringraziamo il Signore che ancora siamo vivi!”. La voce di padre Hanna Jallouf, 66 anni, francescano siriano della Custodia di Terra Santa, è quella dei cristiani che vivono nei villaggi di Knayeh, Yacoubieh e Gidaideh nella zona di Idlib, nel nord della Siria, ultimo bastione degli oppositori al presidente siriano Assad e dei terroristi islamisti.

Qui, a poca distanza dal confine turco, si sono concentrati in questi anni di guerra decine di migliaia di combattenti, anche stranieri, del fronte Hayat Tahrir al-Sham (gruppo jihadista di ideologia salafita, affiliato ad Al-Qaeda ed erede del meglio conosciuto Jabhat Al Nusra ) decisi a non arrendersi all’esercito regolare siriano e ai suoi alleati russi e iraniani.

Nei giorni scorsi si era parlato di un’imminente attacco volto alla riconquista della roccaforte jihadista; poi rientrato in seguito al vertice di Sochi, sul Mar Nero, durante il quale il presidente russo Putin e il leader turco Erdogan hanno trovato un accordo per creare, intorno a questa area contesa, una zona demilitarizzata. L’accordo dovrebbe portare al “ritiro di tutti i combattenti radicali” da Idlib, scongiurando una crisi umanitaria di vaste proporzioni, dal momento che nell’area vivono anche due milioni e mezzo di siriani, molti dei quali sfollati interni.

L’accordo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a padre Hanna e al suo confratello Luai Bsharat, gli unici religiosi cristiani rimasti a Knayeh e Yacoubieh, nei conventi di San Giuseppe e di Nostra Signora di Fatima. Allontanato per ora lo spettro di nuovi combattimenti, sul terreno restano i problemi di sempre e “condizioni di vita sempre più dure man mano che sale la tensione”.

“Non sappiamo come andrà a finire – dice padre Hanna, che è parroco latino di Knayeh. - I ribelli non intendono né arrendersi né ritirarsi. Se lo facessero, tutti noi che viviamo qui, cristiani e musulmani, ne trarremmo giovamento. Anche i nostri fratelli musulmani soffrono molto. Vengono costretti ad andare in moschea e a seguire pratiche che sono solo nella mente di questi fanatici”.

Dal canto loro i cristiani di Knayeh e Yacoubieh vivono rintanati in casa terrorizzati. “La paura è enorme per le nostre comunità, già povere - dichiara il frate. - Gli aiuti non arrivano come un tempo, e sono iniziati i rapimenti. Non conosciamo gli autori di questi crimini, se siano semplici malviventi o membri delle milizie che controllano la zona. Alcuni giorni fa è stato rapito il nostro avvocato e la famiglia ha dovuto sborsare circa 50 mila dollari per il suo rilascio. Una cifra enorme”.

Anche padre Hanna ha vissuto l’esperienza del rapimento: venne prelevato da miliziani del fronte Jahbat Al-Nusra nell’ottobre del 2014, con 16 parrocchiani. (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce).

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Le 2 Chiese della Cina. Continua il lavoro diplomatico sulla questione dei vescovi https://www.lavoce.it/le-2-chiese-della-cina/ Sat, 28 Jul 2018 10:07:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52629 vescovi Cina

Di Cina si parla ormai dappertutto. Spesso però solo dal punto di vista economico. Radio Vaticana ha dedicato approfondimenti a un’annosa questione religiosa: quella della consacrazione dei vescovi cattolici. In Cina, infatti, alcuni sono scelti dallo Stato ma non riconosciuti dalla Santa Sede, e viceversa: Chiesa “ufficiale” e Chiesa “clandestina”. Riportiamo ampi stralci dagli articoli di Radio Vaticana. Come è noto, secondo la prassi internazionale, le trattative fra gli Stati avvengono nella confidenzialità e, normalmente, sono resi pubblici solo i risultati finali. Perciò non si conoscono i particolari del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi. Tuttavia, se alla fine ci sarà un’intesa, possiamo immaginare che permetterà alla Chiesa sia di ricomporre l’unità della guida pastorale nelle diocesi che vedono la compresenza di due comunità, sia di provvedere alle numerose diocesi che sono da tempo senza vescovo, affinché ciascuna di esse abbia un Pastore ammesso e riconosciuto dalla Chiesa e dallo Stato. Non ci si può aspettare che una simile operazione sia indolore. Vi saranno necessariamente malcontenti, sofferenze, rinunce, risentimenti e perfino la possibilità di nuove tensioni. Ma questa specie di “passaggio attraverso la cruna dell’ago”, cui la Chiesa cattolica in Cina è chiamata, tutti speriamo che sia purificatore e foriero di bene: non vi saranno vincitori e vinti, e sarà considerato prezioso il contributo di tutti. Poiché, come dice il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, “qui non si tratta di dare un colpo di spugna che ignora o, quasi magicamente, annulla il sofferto percorso di tanti fedeli e Pastori, ma di investire il capitale umano e spirituale di tante prove per costruire un futuro più sereno e fraterno, con l’aiuto di Dio”. Bisogna aggiungere che il vivo desiderio di essere in unione con il Papa è sempre stato presente nei vescovi cinesi ordinati in maniera illegittima. Nonostante la condizione irregolare di questi vescovi, il riconoscimento del loro desiderio di essere in unione con il Sommo Pontefice fa la differenza tra le due opinioni che si sono scontrate in questi ultimi anni: chi ha ritenuto sinceri i vescovi illegittimi ha creduto al loro pentimento (pur non accettando i comportamenti non adeguati di alcuni); chi non li ha ritenuti sinceri, molte volte li ha condannati. Proprio per questo, come dice ancora il card. Parolin, è importante che nessuno ceda perennemente “allo spirito di contrapposizione per condannare il fratello”, ma che invece “ciascuno guardi con fiducia al futuro della Chiesa, al di là di ogni limite umano”. Ora, c’è la Chiesa cattolica là dove c’è una Chiesa locale il cui vescovo è in comunione con il Vescovo di Roma. Perciò il Diritto canonico stabilisce gravi sanzioni sia per il vescovo che conferisce l’ordinazione episcopale senza mandato apostolico sia per colui che la riceve. Il percorso della legittimazione dei vescovi cinesi ordinati senza il mandato del Papa non è e non può essere, quindi, un freddo atto burocratico, ma è in se stesso un percorso di discernimento genuinamente e profondamente ecclesiale. Tale percorso inizia dalla chiara e sincera richiesta di perdono al Santo Padre, spesso reiterata, da parte dell’interessato. A ciò seguono: - la valutazione del Papa ed eventualmente il perdono da lui concesso; - la remissione delle sanzioni e delle censure canoniche (soprattutto la scomunica latae sententiae), nelle quali il vescovo sia incorso, e che sono previste dalla legge della Chiesa per indurlo al ravvedimento; - l’assoluzione sacramentale; - il ristabilimento nella piena comunione; - l’assunzione da parte del presule di atteggiamenti interiori e di comportamenti pubblici che esprimano la comunione; - quasi sempre, un mandato pastorale. Non è di secondaria importanza l’accettazione da parte della comunità dei fedeli nei confronti del vescovo perdonato e legittimato, che venga loro inviato quale Pastore. Ciò chiede a tutta la comunità un contributo di preghiera, di vigilanza, di obbedienza e di collaborazione per favorire la comunione.

Sergio Centofanti, Padre Bernd Hagenkord, sj

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vescovi Cina

Di Cina si parla ormai dappertutto. Spesso però solo dal punto di vista economico. Radio Vaticana ha dedicato approfondimenti a un’annosa questione religiosa: quella della consacrazione dei vescovi cattolici. In Cina, infatti, alcuni sono scelti dallo Stato ma non riconosciuti dalla Santa Sede, e viceversa: Chiesa “ufficiale” e Chiesa “clandestina”. Riportiamo ampi stralci dagli articoli di Radio Vaticana. Come è noto, secondo la prassi internazionale, le trattative fra gli Stati avvengono nella confidenzialità e, normalmente, sono resi pubblici solo i risultati finali. Perciò non si conoscono i particolari del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi. Tuttavia, se alla fine ci sarà un’intesa, possiamo immaginare che permetterà alla Chiesa sia di ricomporre l’unità della guida pastorale nelle diocesi che vedono la compresenza di due comunità, sia di provvedere alle numerose diocesi che sono da tempo senza vescovo, affinché ciascuna di esse abbia un Pastore ammesso e riconosciuto dalla Chiesa e dallo Stato. Non ci si può aspettare che una simile operazione sia indolore. Vi saranno necessariamente malcontenti, sofferenze, rinunce, risentimenti e perfino la possibilità di nuove tensioni. Ma questa specie di “passaggio attraverso la cruna dell’ago”, cui la Chiesa cattolica in Cina è chiamata, tutti speriamo che sia purificatore e foriero di bene: non vi saranno vincitori e vinti, e sarà considerato prezioso il contributo di tutti. Poiché, come dice il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, “qui non si tratta di dare un colpo di spugna che ignora o, quasi magicamente, annulla il sofferto percorso di tanti fedeli e Pastori, ma di investire il capitale umano e spirituale di tante prove per costruire un futuro più sereno e fraterno, con l’aiuto di Dio”. Bisogna aggiungere che il vivo desiderio di essere in unione con il Papa è sempre stato presente nei vescovi cinesi ordinati in maniera illegittima. Nonostante la condizione irregolare di questi vescovi, il riconoscimento del loro desiderio di essere in unione con il Sommo Pontefice fa la differenza tra le due opinioni che si sono scontrate in questi ultimi anni: chi ha ritenuto sinceri i vescovi illegittimi ha creduto al loro pentimento (pur non accettando i comportamenti non adeguati di alcuni); chi non li ha ritenuti sinceri, molte volte li ha condannati. Proprio per questo, come dice ancora il card. Parolin, è importante che nessuno ceda perennemente “allo spirito di contrapposizione per condannare il fratello”, ma che invece “ciascuno guardi con fiducia al futuro della Chiesa, al di là di ogni limite umano”. Ora, c’è la Chiesa cattolica là dove c’è una Chiesa locale il cui vescovo è in comunione con il Vescovo di Roma. Perciò il Diritto canonico stabilisce gravi sanzioni sia per il vescovo che conferisce l’ordinazione episcopale senza mandato apostolico sia per colui che la riceve. Il percorso della legittimazione dei vescovi cinesi ordinati senza il mandato del Papa non è e non può essere, quindi, un freddo atto burocratico, ma è in se stesso un percorso di discernimento genuinamente e profondamente ecclesiale. Tale percorso inizia dalla chiara e sincera richiesta di perdono al Santo Padre, spesso reiterata, da parte dell’interessato. A ciò seguono: - la valutazione del Papa ed eventualmente il perdono da lui concesso; - la remissione delle sanzioni e delle censure canoniche (soprattutto la scomunica latae sententiae), nelle quali il vescovo sia incorso, e che sono previste dalla legge della Chiesa per indurlo al ravvedimento; - l’assoluzione sacramentale; - il ristabilimento nella piena comunione; - l’assunzione da parte del presule di atteggiamenti interiori e di comportamenti pubblici che esprimano la comunione; - quasi sempre, un mandato pastorale. Non è di secondaria importanza l’accettazione da parte della comunità dei fedeli nei confronti del vescovo perdonato e legittimato, che venga loro inviato quale Pastore. Ciò chiede a tutta la comunità un contributo di preghiera, di vigilanza, di obbedienza e di collaborazione per favorire la comunione.

Sergio Centofanti, Padre Bernd Hagenkord, sj

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Bassetti in Ucraina: “Le vostre famiglie hanno salvato la Chiesa” https://www.lavoce.it/card-bassetti-in-ucraina/ Mon, 16 Jul 2018 18:32:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52417

Il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, è tornato lunedì 16 dall'Ucraina, dove ha accolto l’invito di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina. Nel saluto rivolto, sabato 14 luglio, ai pellegrini del Santuario mariano di Zarvanytsia in Ucraina il cardinale ha parlato di speranza: “La vecchia Europa ha bisogno di riscoprire la gioia del Vangelo e la bellezza della vita cristiana. C’è bisogno di una rinnovata evangelizzazione, di una fede giovane per risvegliare quanti sono spenti nello spirito e ridare speranza agli sfiduciati nella vita a motivo della sofferenza, della povertà e della solitudine”. “Le tante fiaccole che stasera ardono dinanzi al santuario rappresentano tante piccole fiammelle di fede, che però, unite insieme, mostrano al mondo quella luce immensa che è il messaggio di amore di Gesù, salvatore di tutti gli uomini”, ha proseguito: “Rivolgendomi in particolar modo ai tanti giovani presenti, desidero esortarli a ‘non lasciarsi rubare la speranza’, come ha raccomandato Papa Francesco, ed anche a non lasciarsi ingannare dalle lusinghe del mondo, ma a cercare sempre il senso della vita nell’ascolto della Parola di Dio e nella cura della famiglia e della Chiesa. La società contemporanea disprezza i valori della vita, l’importanza della famiglia e della comunità di fede, esaltando l’individualismo e il benessere egoistico. È invece proprio nella famiglia che si trasmette la fede autentica e che si esercita la prima carità. Le vostre dure esperienze durante gli anni bui della persecuzione testimoniano come siano state le famiglie, nel segreto delle proprie case, a salvare la Chiesa dal disfacimento. Oggi è la Chiesa a doversi far carico – più ancora di quanto abbia sempre fatto – della famiglia, minacciata da più parti da modelli di vita disgregatori ed effimeri”. Bassetti ha poi proseguito con un appello ai giovani: “Non so quali indicazioni verranno dal prossimo Sinodo dedicato ai giovani. Una cosa però mi sento di poter dire: che arriverà dalla Chiesa un forte incoraggiamento ai giovani di tutti i continenti perché tornino in prima fila nella edificazione della società e della Chiesa, perché non si mettano da parte, ma siano invece parte attiva nelle loro comunità. Non importa se ci metterete in difficoltà: ogni cambiamento, se è vero, non può essere ‘comodo’. Quello che importa è che non abbiate paura di fare la vostra parte”. “Il vostro Paese, l’Europa, il mondo hanno bisogno di un pensiero giovane, capace di intuire soluzioni nuove per i grandi problemi che gli adulti vi hanno lasciato; c’è bisogno di energie giovani, per vincere la stanchezza di una società invecchiata e rinunciataria; c’è bisogno di cuori giovani, capaci di passione e di sacrificio, per pagare il prezzo alto della verità e del bene”, ha concluso il cardinale. Leggi di più sulla Comunità ucraina in Umbria.]]>

Il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, è tornato lunedì 16 dall'Ucraina, dove ha accolto l’invito di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina. Nel saluto rivolto, sabato 14 luglio, ai pellegrini del Santuario mariano di Zarvanytsia in Ucraina il cardinale ha parlato di speranza: “La vecchia Europa ha bisogno di riscoprire la gioia del Vangelo e la bellezza della vita cristiana. C’è bisogno di una rinnovata evangelizzazione, di una fede giovane per risvegliare quanti sono spenti nello spirito e ridare speranza agli sfiduciati nella vita a motivo della sofferenza, della povertà e della solitudine”. “Le tante fiaccole che stasera ardono dinanzi al santuario rappresentano tante piccole fiammelle di fede, che però, unite insieme, mostrano al mondo quella luce immensa che è il messaggio di amore di Gesù, salvatore di tutti gli uomini”, ha proseguito: “Rivolgendomi in particolar modo ai tanti giovani presenti, desidero esortarli a ‘non lasciarsi rubare la speranza’, come ha raccomandato Papa Francesco, ed anche a non lasciarsi ingannare dalle lusinghe del mondo, ma a cercare sempre il senso della vita nell’ascolto della Parola di Dio e nella cura della famiglia e della Chiesa. La società contemporanea disprezza i valori della vita, l’importanza della famiglia e della comunità di fede, esaltando l’individualismo e il benessere egoistico. È invece proprio nella famiglia che si trasmette la fede autentica e che si esercita la prima carità. Le vostre dure esperienze durante gli anni bui della persecuzione testimoniano come siano state le famiglie, nel segreto delle proprie case, a salvare la Chiesa dal disfacimento. Oggi è la Chiesa a doversi far carico – più ancora di quanto abbia sempre fatto – della famiglia, minacciata da più parti da modelli di vita disgregatori ed effimeri”. Bassetti ha poi proseguito con un appello ai giovani: “Non so quali indicazioni verranno dal prossimo Sinodo dedicato ai giovani. Una cosa però mi sento di poter dire: che arriverà dalla Chiesa un forte incoraggiamento ai giovani di tutti i continenti perché tornino in prima fila nella edificazione della società e della Chiesa, perché non si mettano da parte, ma siano invece parte attiva nelle loro comunità. Non importa se ci metterete in difficoltà: ogni cambiamento, se è vero, non può essere ‘comodo’. Quello che importa è che non abbiate paura di fare la vostra parte”. “Il vostro Paese, l’Europa, il mondo hanno bisogno di un pensiero giovane, capace di intuire soluzioni nuove per i grandi problemi che gli adulti vi hanno lasciato; c’è bisogno di energie giovani, per vincere la stanchezza di una società invecchiata e rinunciataria; c’è bisogno di cuori giovani, capaci di passione e di sacrificio, per pagare il prezzo alto della verità e del bene”, ha concluso il cardinale. Leggi di più sulla Comunità ucraina in Umbria.]]>
Viaggio in Armenia, paese di antica fede cristiana segnato dal genocidio https://www.lavoce.it/viaggio-in-armenia-paese-di-antica-fede-cristiana-segnato-dal-genocidio/ Thu, 12 Jul 2018 16:32:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52367

C’è stato un protagonista nel viaggio- pellegrinaggio dei Vescovi umbri in Armenia: non il monte Ararat, di biblica memoria, che con i suoi 5.000 metri e la calotta perennemente imbiancata giganteggia sulla capitale Erevan; non il paesaggio aspro degli altopiani, costellati di gole e incisi dal grande lago Sevan; non i monasteri antichi e moderni, austeri nei vari colori della pietra tufica con la quale sono costruiti in forme sostanzialmente immutate nel tempo, e che prevale anche negli interni disadorni. Protagonista è stato il popolo armeno, la sua storia gloriosa e sofferta, le prospettive e le incognite del suo presente. Prima nazione ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, dodici anni prima dell’editto di Costantino, che dichiarerà il cristianesimo religio licita nell’Impero romano, e 79 anni prima dell’editto di Teodosio, che la eleggerà a religione di Stato. Di tale primogenitura il popolo armeno va tuttora fiero, anche se gli è costata cara, e poche tracce di quel primo periodo sono sopravvissute alle distruzioni e alle guerre che periodicamente hanno afflitto una nazione che vive per più di due terzi dispersa nel mondo. Di tutte le persecuzioni, la più feroce è stata il genocidio perpetrato dalla Turchia negli anni della Grande guerra e costato un milione e mezzo di morti, tra quelli trucidati e quelli lasciati perire di fame e di sete nelle marce forzate e nei campi di prigionia. Il museo di Erevan, visitato anche da san Giovanni Paolo II e da Papa Francesco, è ricco di testimonianze documentarie e fotografiche sul “grande male”, come lo chiamano. Il quale è stato tra l’altro una sorta di “prova generale” della Shoah, iniziata un quarto di secolo dopo. Adolf Hitler ebbe infatti a dire, progettando lo sterminio degli ebrei: “Chi si ricorda ancora del genocidio armeno?” (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). [gallery td_gallery_title_input="Viaggio in Armenia - CEU 2018" ids="52306,52305,52304,52303,52302,52301,52300,52299"]]]>

C’è stato un protagonista nel viaggio- pellegrinaggio dei Vescovi umbri in Armenia: non il monte Ararat, di biblica memoria, che con i suoi 5.000 metri e la calotta perennemente imbiancata giganteggia sulla capitale Erevan; non il paesaggio aspro degli altopiani, costellati di gole e incisi dal grande lago Sevan; non i monasteri antichi e moderni, austeri nei vari colori della pietra tufica con la quale sono costruiti in forme sostanzialmente immutate nel tempo, e che prevale anche negli interni disadorni. Protagonista è stato il popolo armeno, la sua storia gloriosa e sofferta, le prospettive e le incognite del suo presente. Prima nazione ad aver abbracciato ufficialmente la fede cristiana nel 301, dodici anni prima dell’editto di Costantino, che dichiarerà il cristianesimo religio licita nell’Impero romano, e 79 anni prima dell’editto di Teodosio, che la eleggerà a religione di Stato. Di tale primogenitura il popolo armeno va tuttora fiero, anche se gli è costata cara, e poche tracce di quel primo periodo sono sopravvissute alle distruzioni e alle guerre che periodicamente hanno afflitto una nazione che vive per più di due terzi dispersa nel mondo. Di tutte le persecuzioni, la più feroce è stata il genocidio perpetrato dalla Turchia negli anni della Grande guerra e costato un milione e mezzo di morti, tra quelli trucidati e quelli lasciati perire di fame e di sete nelle marce forzate e nei campi di prigionia. Il museo di Erevan, visitato anche da san Giovanni Paolo II e da Papa Francesco, è ricco di testimonianze documentarie e fotografiche sul “grande male”, come lo chiamano. Il quale è stato tra l’altro una sorta di “prova generale” della Shoah, iniziata un quarto di secolo dopo. Adolf Hitler ebbe infatti a dire, progettando lo sterminio degli ebrei: “Chi si ricorda ancora del genocidio armeno?” (Continua a leggere gratuitamente sull'edizione digitale de La Voce). [gallery td_gallery_title_input="Viaggio in Armenia - CEU 2018" ids="52306,52305,52304,52303,52302,52301,52300,52299"]]]>