Una politica sempre più estranea a cittadini delusi, preoccupati e arrabbiati, a rischio populismo ma non lotta di classe. L’Ue vista come nemico. Gravi le responsabilità della cultura. Il web non è strumento di partecipazione ma di invettiva. Questo il ritratto della “società impersonale”, emerso all’incontro romano del Censis, primo dei quattro appuntamenti di “Un mese di sociale”, tradizionale momento di riflessione che l’Istituto promuove in giugno, dedicato quest’anno a “La società impersonale”.
Preoccupati e arrabbiati. “La politica – esordisce Francesco Maietta, responsabile settore politiche sociali Censis, presentando uno studio elaborato per l’occasione – è sempre più estranea al quotidiano degli italiani, non genera né passione né coinvolgimento: il 77% dei cittadini considera “‘mediocri’ le persone ai suoi vertici”. Pari al 27,8%, oltre 14 milioni di aventi diritto, il numero degli astenuti alle elezioni politiche dello scorso febbraio, con un balzo del 28,2% rispetto al precedente appuntamento elettorale. Astensionismo salito al 37,6% alle ultime elezioni amministrative. “Novità sostanziale – osserva il ricercatore – il livello di distacco dalla politica; maggiore di quanto non avvenga in Germania, Grecia, Svezia e Francia”. A questo si aggiunge la “mistica del web” come “capacità di erodere le cittadelle del potere”. In realtà, oltre a “presentare aspetti di digital divide generazionale”, il web rappresenta “una sorta di stare alla finestra con la facoltà di impallinare tutto e tutti”, limitandosi “alla spettacolarizzazione e all’invettiva”. Per quanto riguarda il Movimento 5 stelle, “l’elettore grillino è più arrabbiato dell’elettore medio”, ma è anche “fortemente antieuropeista. Il 58% ritiene l’euro la vera causa dei nostri problemi”. Italiani in generale più preoccupati (52%) e più arrabbiati (50,55). All’interno di questa crisi, ciò che accomuna le persone sono “gli stili di vita”, meccanismi “impalpabili e informali, a dimensione individuale”. Tra le maggiori fonti di tensione sociale il conflitto tra immigrati e autoctoni (36,9%) e tra chi paga le tasse e chi no (30,9%).
E l’Italia moderata e riformatrice? “Il vulnus di questi ultimi anni fa saltare in maniera definitiva il patto stretto negli anni Ottanta tra cittadini e politica”, afferma Guido Crainz, docente di storia contemporanea all’Università di Trieste. “Enormi – secondo lo storico – i limiti della cultura”; un “versante autocritico” su cui riflettere” è la “mancata costruzione di un tessuto comune, cosa che riguarda anche la nostra appartenenza all’Europa”. Tornando al nostro Paese, il ceto medio “sembra sempre più avere abdicato al proprio ruolo di “riflessione’ sociale”. Di qui l’interrogativo: “C’è davvero un’Italia moderata e al tempo stesso riformatrice? Non mancano forme di mobilitazione che mettono in luce pezzi di Paesi che non si arrendono, ma la politica non appare in grado di porsi come loro punto di riferimento”.
Moltitudine “plebeista”. Torna sul ruolo del web Giuseppe De Rita, presidente del Censis: “Il meccanismo della rete non mobilita la massa, bensì dei sottosistemi; non espande l’appartenenza e non crea partecipazione”; stimola piuttosto “una logica di invettiva spettacolare che richiama una cultura plebeista”, una sorta di “ritorno all’uomo qualunque”. “Il nostro soggettivismo esasperato – osserva – ci spinge a voler gestire da noi stessi anche la morte, ma non sappiamo gestire la nostra società” frammentata tra “casta, indignados e grillini”. “Non ci sarà più il 51% della Dc”, avverte. E l’autodefinizione dei grillini di “semplici portavoce” dà “’idea di una debolezza congenita ma anche di una società che non produce più una domanda di nuova politica”, mentre oggi “sarebbe il momento di una società capace di prendere la parola e dire la sua”. Purtroppo l’unico “fattore comune” è “l’invettiva contro la casta, anche se non si sa bene che cosa sia”. Il presidente del Censis parla di “cetimedizzazione e imborghesimento” di una società per la quale gli elementi che accomunano non sono più “le stesse idee politiche e convinzioni religiose, lo stesso lavoro o reddito, le stesse battaglie”, ma piuttosto “il medesimo stile di vita, soprattutto rispetto al tempo libero e ai consumi”. Una sorta, conclude, di “moltitudine plebeista” su cui occorre interrogarsi.