Complesso, affascinante, raffinato, scomodo. Potremmo continuare a lungo nello snocciolare aggettivi, e comunque non riusciremmo a rendere giustizia della complessità della figura di don Antonio Santantoni, un uomo e un sacerdote che ha lasciato una traccia profonda in molti di quelli che lo hanno incontrato. Ha voluto ricordarlo la comunità di Casalina, di cui è stato per 48 anni parroco, attraverso un convegno a un anno dalla morte dal titolo “I cristiani, lievito della terra”, presentato dal giornalista Daris Giancarlini, uno dei giovani cresciuti nella parrocchia di don Antonio.
Incontro tenutosi sabato 17 marzo nel contesto della riapertura della chiesa parrocchiale dopo i restauri resi necessari dal terremoto del 2016, cui hanno partecipato personalità di spicco provenienti da diversi contesti (teatro, politica, università).
Gli interventi hanno tracciato la storia e l’evoluzione del pensiero del parroco perugino. Giovane e brillante studente al Seminario umbro di Assisi, dai tratti a volte un po’ snob, era per sua stessa ammissione un tradizionalista. La sua conversione intellettuale avvenne durante gli anni di studio di teologia liturgica a Roma, durante i quali ebbe l’opportunità di entrare in contatto con molti teologi d’oltralpe presenti a Roma per il Concilio Vaticano II.
Tornato a Perugia, fu inizialmente candidato al ruolo di segretario dell’allora vescovo Lambruschini, ma stando alle sue stesse parole (raccolte in un’intervista rilasciata a Claudio Sampaolo nel 2011 per Il giornale dell’Umbria), il clero perugino “non lo volle”.
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