Caro Gianni

Caro Gianni, in altra parte di questo giornale cerco di rispondere alla tua lettera. Come so, come posso. Permettimi ora un’ultima notazione. Secondo me, l’intera questione delle radici cristiane andrebbe rivisitata da una diversa angolazione storico/culturale: dalla parte degli ultimi. Gli ultimi hanno avuto molto spazio nella retorica della sinistra, come d’altra parte anche in quella della Chiesa burocratico/devozionale. Riferimenti parenetici che non inducono nessuno a farsi carico di loro. Non altrettanto lo spazio che hanno avuto in quella continua rivisitazione del mondo e dell’uomo della vita che è la cultura. Ricordi quando, a scuola, Alessandro Manzoni nella prefazione al suo Adelchi ci comunicava il suo cruccio di Cristiano costretto a misurarsi sempre e soltanto con una storia “eroica”, gremita di Marchesi, Pompadour, Guardasigilli, Duchesse e Comandanti in Capo, la “fascia superiore della storia”, la cui invadente vitalità lasciava la quasi totalità degli uomini (cito a braccio) nella condizione di “chi viene sulla terra, sulla sua terra, e sembra uscirne senza averci lasciato traccia”. Nel minuscolo Corso di Laurea in Educatore Professionale (Operatore di Condivisione) che la mia comunità cogestisce a Gubbio con al Lumsa, io insegno antropologia teologica e cerco di farlo a partire dal rapporto Chiesa/poveri attraverso i secoli. Ebbene da questa angolazione il ruolo che storicamente hanno giocato i due imponenti fiumi che hanno in Benedetto e Francesco la loro scaturigine risulta incomparabile. L’umbro Benedetto ha piantato un albero colossale, e che anche in Umbria ha avuto frutti eccellenti (vedi il I capitolo di “Itinerari della santità”, pubblicato da Ceu e Regione Umbria per il Giubileo del 2000): l’evangelico granellino di senape, che è diventato straripante fioritura di fronde e di foglie, dove si sono rifugiate le moltitudini dei poveri quando nessuno li voleva e la morte per fame sembrava la più logica delle conclusioni. L’umbro Francesco ha ispirato un’operazione di portata culturale rivoluzionaria, letteralmente: ha ridato dignità al povero proprio nel momento in cui le prime avvisaglie del capitalismo rampante preannunciavano la secolare battaglia tendente a ritoglierla loro, al punto che il suo ordine, come quello coevo di Domenico di Guzman, assunse come una livrea d’onore il nome di “mendicanti”. Se un giorno, fra qualche decina di millenni, un anonimo archeologo verrà da Marte a disseppellire i resti dell’antica Umbria, e noterà come lo Statuto di quella mitica plaga sepolta tanto tempo prima da un’esondazione del Tevere che raggiunse la cima del Subasio, contenesse due bei riferimenti a eventi (il Risorgimento e la Resistenza) dei quali egli non sa assolutamente nulla, e non facesse nemmeno un accenno a Benedetto e a Francesco, ritieni probabile, e giustificata, auna sua reazione di meraviglia o -Dio non voglia!- di sarcasmo?