Siamo alla vigilia dell’assemblea dei vescovi italiani che si terrà a Roma dal 23 al 27 maggio, nella quale i vescovi eleggeranno una terna di nomi tra i quali Papa Francesco sceglierà il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, il successore del cardinale Gualtiero Bassetti.
Un appuntamento importante che segna un forte cambiamento nella vita di Bassetti, che negli ultimi 13 anni è stato arcivescovo di Perugia-Città della Pieve.
Il Cardinale ci riceve nel suo studio che affaccia su piazza IV Novembre, con cordialità e con l’affetto del Pastore di questa diocesi. Ha molti impegni ma ci concede questa intervista. Sa che verrà pubblicata nei “suoi” mezzi di comunicazione: il settimanale cartaceo e questo suo sito e, in forma più breve, su Umbria Radio InBlu che la pubblicherà in podcast sul suo sito.
Eminenza, la prossima settimana sarà importante, ma una data ancora più importante l’ha festeggiata in aprile quando ha compiuto 80 anni. Anni che parlano di una vita vissuta molto intensamente al servizio della Chiesa, una vita piena di sorprese tra cui il cardinalato che lei stesso non s’aspettava! Una vita per Cristo, nella Chiesa. Lei ha sempre detto che che vale la pena viverla. Oggi come spiegherebbe ad un non credente perché vale la pena vivere nella Chiesa?
“La Chiesa è stata il grembo materno in cui sono cresciuto. Fin da piccolino, nel mio paesino di montagna, ho vissuto accanto alla parrocchia e poi sono entrato in seminario a 14 anni. Noi che abbiamo fatto il seminario minore in qualche modo, forse più di altri, siamo abituati a sentire questa maternità della Chiesa. Prima ancora di essere un fatto di mente e di fede, per me la Chiesa è un grembo materno che mi ha accolto e non mi ha mai abbandonato. E questo ce l’hanno fatto gustare i nostri superiori fin dal Seminario minore.
Ma indipendentemente dall’essere vissuto nella fede, che è una grande luce, e nella Chiesa, che è questo grembo materno, ogni vita, anche per chi non crede, vale per come è spesa e per come è impiegata, perché anche indipendente dalla fede vale per tutti il comandamento di amare il prossimo come se stessi. Naturalmente per chi ha fede questo fatto è radicato in Dio e per chi non ha fede questo fatto è radicato nella comune natura umana. Come disse l’imam di Abu Dhabi nel colloquio con Papa Francesco, noi tutti apparteniamo ad un’unica natura umana, quindi già per questo siamo fratelli e vale il comandamento dell’amore”.
Lei ha avuto una vita intensa in particolare in questi ultimi anni come presidente della Cei, ma anche prima. Ha girato il mondo, ha conosciuto tante realtà, incontrato molte personalità. Ha vissuto momenti molto belli. Dalla prossima settimana non sarà più presidente della Cei e poi, quando vorrà il Papa, ci sarà un nuovo vescovo anche qui a Perugia. Ma un sacerdote non va mai in “pensione”. Come sta vivendo questo momento di passaggio?
“Il Signore mi dona una vera serenità, una calma interiore, per cui non mi agito pensando al ‘dopo’. Io penso a vivere con intensità e pienezza quello che devo fare ora, giorno per giorno e momento per momento. Anche perché arrivati a ottant’anni si sente anche di più la fragilità della condizione umana, e ogni momento può essere buono per la chiamata del Signore. Ho capito questo anche attraverso la vita dei Santi. Chiesero a san Domenico Savio: se ti dicessero che il Signore ti porta via tra un quarto d’ora tu che faresti? Rispose: continuerei a giocare!. Ecco forse bisogna vivere un pochino anche facendo con rettitudine, onestà e grande amore, le cose che dobbiamo fare”.
Comunque un minimo di organizzazione deve averla. Per esempio in diocesi ci si chiede dove andrà a vivere il nostro Vescovo?
“Questa è la quarta diocesi che servo. Sono cresciuto nella diocesi di Firenze e lì sono stato ordinato prete e vescovo. Poi sono stato per cinque anni vescovo di Massa Marittima – Piombino, dieci anni vescovo di Arezzo e da tredici anni sono a Perugia – Città della Pieve. Ho pensato di rimanere in questa ultima diocesi che la provvidenza mi ha affidato, andando ad abitare a Città della Pieve e lì riposarmi e rendere qualche servizio pastorale se potrà essere utile”.
Alla Pieve si sentirà un po’ più vicino alla sua Toscana…
“Sì, da lì si vede tutta la zona del Chianti fino all’Amiata, quindi ho la visione di tutta la Toscana pur essendo ancora all’interno del territorio di questa Chiesa. E questo mi dà anche pace e serenità”.
Questo suo riferimento allo “sguardo” mi fa venire in mente che durante il Covid, quando non ci si poteva muovere, lei disse che affacciandosi alla finestra della sua camera con lo sguardo sorvolava i tetti di Perugia e pregava per la sua gente. Poi il Covid lei l’ha conosciuto da vicino, tanto da essere ricoverato in ospedale. Quando è stato dimesso, in una intervista ad Avvenire disse che “quando si è prossimi a rendere conto della propria vita vengono in mente le enormi possibilità di bene che Dio ti ha prospettato e che non hai sfruttato per i tuoi limiti o per le tue omissioni”. E ha aggiunto “è come se volessi recuperare tutto quello che non sei riuscito a fare”…
“Io ho chiesto al Signore: se tu mi dai i tempi supplementari per giocare questa meravigliosa partita che è il gioco della vita, io cercherò di fare al meglio per colmare quelle lacune che ci sono state nella mia vita. L’ho detto tante volte: i peccati di fragilità il Signore ce li perdona, ma le omissioni non tornano più come casi di Grazia, o perlomeno in quella forma. Poi il Signore è misericordioso, è buono, ti manderà altre occasioni…”.
…e lei si è impegnato perché si è rimesso in corsa e non si è risparmiato. Ma c’è ancora qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha potuto?
“Avrei voluto fare bene la visita pastorale in questa diocesi, ma l’ho dovuta fare un po’ affrettata. Prima, per dieci anni sono stato visitatore dei seminari in Italia. Poi sono diventato vicepresidente della Conferenza episcopale italiana e poi presidente. Il mio rimpianto, ma non potevo fare diversamente, è quello di non avere dato a questa Chiesa tutto quello che volevo. Per esempio avrei voluto fare anche un Sinodo, ma ho dovuto fare i conti con i miei limiti e soprattutto con il tempo”.
Veniamo all’oggi. In questi ultimi anni abbiamo vissuto prima la pandemia e ora anche la guerra. Pensando ai responsabili dei popoli quale è la cosa importante che vorrebbe che facessero?
“Credo che questo sia il momento e di riflettere e di mandare continuamente segni di dialogo e di pace. Io mi rifaccio ai due incontri che ho promosso, il primo a Bari solo coi Vescovi, il secondo a Firenze anche con i Sindaci dei paesi del Mediterraneo. A Firenze nel mese di febbraio con i Sindaci e i Vescovi è stata scritta una Carta che ho portato anche al Presidente della Repubblica e che potrebbe essere presentata anche all’Onu. In questi incontri ho visto che i Sindaci e i Vescovi esprimevano gli stessi desideri, forse perché sono le persone più vicine alla gente per una missione analoga che essi hanno. La gente ha bisogno di pace, la gente ha bisogno di essere unita. Se noi riuscissimo a mettere in pratica quello che ci ha dato il Papa nella Fratelli tutti… c’è tutto: c’è il rispetto dell’ambiente, c’è la fraternità vissuta e condivisa, c’è la pace, c’è la lotta perché questa è la lotta per la giustizia. Io credo che da Firenze nascerà qualche cosa che potrà incidere anche sul Mediterraneo e oltre”.
Stiamo vivendo come Chiesa universale un momento importante: il Sinodo sulla sinodalità. Il Papa ha voluto che fossero coinvolti anche i singoli fedeli e l’assemblea dei Vescovi farà un bilancio di questo primo anno che si è concluso e che era dedicato all’ascolto. Quale è il suo primo personale bilancio?
“Non lo dico per piaggeria ma perché ne sono profondamente convinto. Il Papa ha avuto una intuizione formidabile, veramente ispirata da Dio, anche su come ha impostato il Sinodo per la Chiesa universale, cioè sull’ascolto. Io da principio dissi ‘ma è così importante?’. Non solo è importante: è fondamentale. E anche nei quasi duecento gruppi che abbiamo fatto in diocesi avevo paura che per un motivo o per un altro – la pandemia che non è finita e la guerra in Ucraina che in qualche modo ha anche coinvolto tutti noi – avevo paura che il Sinodo diventasse una specie di Cenerentola. Ma non è andata così perché la gente è stata attratta proprio da questo desiderio di parlare, di esprimersi. Cominciando dagli adolescenti! Quando hanno posto la domanda a un gruppo di adolescenti ‘Ma a voi, chi vi ascolta?’, hanno risposto: ‘Nessuno perché in famiglia hanno da fare. Il babbo è stanco, la mamma c’ha i suoi problemi e a scuola parlano i maestri e nella Chiesa parlano i preti’. Anche dalla sintesi della nostra diocesi, che veramente invito tutti a leggere e a meditare, sono venute fuori parole molto coraggiose, di una Chiesa che tutto sommato è ancora molto clericale. È venuta fuori una Chiesa che ha veramente bisogno di dialogo, di ascolto, di essere meno clericale e di valorizzare fino in fondo i laici. Noi non stiamo valorizzando i laici come Dio comanda e come anche il Papa ha suggerito in quello stupendo documento che è la Evangelii Gaudium”.
Concludiamo il colloquio con un grande augurio per la prossima settimana, e il Cardinale ci risponde con un grazie, un invito e una battuta…
“Grazie! Io non so ancora cosa dirò. E chiedo alla Chiesa di cui sono ancora vescovo, almeno fino all’assemblea, di pregare perché il Signore ci illumini. Perché se il Signore illumina 228 vescovi allora, diceva La Pira, l’affare è fatto! Ci convertiamo tutti”.