Anche nel nostro territorio sta crescendo in modo impetuoso il fenomeno sociale delle sagre. Le più grandi – si pensi alla Festa della cipolla a Cannara, alla Sagra dell’oca a Bettona, alla Sagra della porchetta a Costano – portano ormai ognuna decine di migliaia di visitatori e impegnano nell’organizzazione centinaia di persone tra cucina, spettacoli, promozione ed amministrazione. Ci troviamo di fronte a fatti sociali ma anche economici significativi.
Le sagre ieri
Tutto ciò è avvenuto negli ultimi tre decenni a partire da un riferimento alla produzione o alla gastronomia tipica locale (anche se non mancano stravaganze su cui tacere è meglio). In generale si è puntato sulla riscoperta di identità locali di pregio, sovente a metà strada tra la logica della piccola patria e quella che i sociologi definiscono la glocalizzazione, cioè l’immissione nel circuito globale di eccellenze locali con l’utilizzo di tutti gli strumenti di comunicazione e promozione del tipo new. Rispetto al passato una cosa appare evidente: le sagre non sono la festa del paese per il paese, ma un evento che calamita l’attenzione più vasta. Se vado a pescare nel sacco della mia memoria di uomo stagionato (ma è un esercizio che, temo, possano fare in molti di coloro che mi leggono) ricordo che le feste o sagre della mia infanzia si collocavano, anche fisicamente, intorno alle parrocchie.
Scorrendo ancora i fotogrammi della memoria ricordo la stagione caratterizzata dalla centralità delle feste di partito. Quella dell’Unità, dell’Amicizia, dell’Avanti erano feste capillarmente presenti nel territorio. In queste feste si manteneva un equilibrio tra dibattito culturale e politico, intrattenimento, gastronomia e, forse, la dimensione nazionale e anche quella internazionale prevaleva sul localismo. L’ambizione era quella di uscire dalla “provincia” e discutere e divertirsi sentendosi in qualche modo protagonisti di una cittadinanza attiva. Questa stagione ha cominciato a collassare alla fine degli anni Ottanta. Oggi nei nostri Comuni non c’è una sola festa di partito, ma negli anni ’80 ve ne erano almeno 15. Se si facesse un’indagine su questo fenomeno, si capirebbe molto della crisi della politica e del suo ridefinirsi in forme oligarchiche e mediatiche.
Le sagre oggi
Fatto sta che oggi le sagre maggiori, ridimensionata la propria radice religiosa e patronale e occupato lo spazioliberato dalla politica, rappresentano un sempre più ampio momento di aggregazione sociale. Il bisogno della comunità locale di ritrovarsi in una tradizione, in un impegno comune e di offrire di sé un’immagine di accuratezza ed efficienza, è ciò che fa sì che un numero altissimo e crescente di persone di ogni età metta il suo tempo e le sue competenze a disposizione della sagra o della festa. E che sempre più spesso si destini quanto viene ricavato a opere utilità locale o a solidarietà. In una crescita così forte e rapida ci sono certo anche elementi di contraddizione, ma sottrarre il proprio tempo alla logica del puro tornaconto individuale resta un valore. A cui, pur nel cambiamento, provare a rimanere fedeli.
Mariano Borgognoni