Concluse le festività natalizie la vita pastorale riprende il suo ritmo. Nuovi appuntamenti attendono la comunità: dalla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che coinvolge direttamente le parrocchie nelle quali sono sempre più numerose le comunità di altre Chiese cristiane, agli esercizi spirituali per il clero, alla festa del patrono San Costanzo e poi la Quaresima che inizia il 22 febbraio. E questo solo per citare i più immediati. Ne parliamo con l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti che nell’omelia del primo Gennaio ha invitato a vivere il tempo con serenità nella consapevolezza che il passato e il futuro sono nelle mani di Dio mentre a noi è chiesto di vivere pienamente il presente. La sua agenda è piuttosto nutrita.
Mons. Bassetti, nelle celebrazioni natalizie ha visitato molti luoghi ed ha incontrato tante persone che soffrono per la malattia ma anche per il lavoro che non c’è o che viene perso. Cosa l’ha ispirata nel dire loro parole di speranza? “Ho visitato case di riposo dove si vive la solitudine, l’ospedale ove è ogni tipo di sofferenza, il carcere dove si vive l’abbandono, ho visitato case di accoglienza, fabbriche con i problemi appunto dell’occupazione, ed anche l’hospice, un luogo di assistenza importantissimo per i malati di cancro e le loro famiglie. L’idea di fondo che mi ha aiutato a portare una parola di speranza in questi luoghi della sofferenza umana, è stata il presepio, perchè il presepio fa parte della nostra cultura e anche del nostro contesto sociale e religioso. Ho visto anche una miriade di presepi, da quello della Provincia, a quelli nelle chiese. L’Umbria è un inno al presepio!”.
Perché il presepio?
“Gesù è l’unica speranza che illumina la notte del mondo. Nel presepio ciascuno va incontro a Gesù, restando nella propria condizione. Luca, il solo evangelista che racconta della nascita di Gesù, riporta per 138 volte le parole gaudio, letizia, ‘godete nel Signore’. Nel suo Vangelo i personaggi cantano: Zaccaria, Maria, il vecchio Simeone e Anna, gli angeli e i pastori. Il Natale, è come un canto di san Francesco, pieno di gioia, talvolta tra le lacrime in mezzo a centomila problemi ma la vita di Francesco è sempre rimasta un canto”.
Spesso è difficile trovare motivi di gioia nei luoghi che ha visitato …
“Il motivo del nostro canto e della nostra speranza è Gesù. Non ci giudica per quello che siamo ma ci invita a muoverci verso il luogo della sua nascita. E di tutto l’insieme dei personaggi che popolano il Natale solo Erode non ha nessuna speranza e nessuna attesa. Chiuso in se stesso gli basta il suo potere la sua gloria. Per tutti gli altri non ci sono situazioni che non siano solubili nel cammino verso la grotta”.
Nella prima messa dell’anno ha invitato a posare gli occhi sul presente …
“Le nostre nevrosi e le nostre angosce sono tutte legate al passato perché mentre Dio prende tutto il nostro passato e lo getta in mare, come dice il salmo, noi non ci sentiamo mai del tutto liberi e quindi pensiamo che Dio ci giudichi con lo stesso sguardo con cui giudichiamo noi stessi. Dobbiamo guardarci con gli occhi di Dio per liberarci da nevrosi e da angosce. Lo stesso è per il futuro. Pensiamo alla crisi economica, alla salute, a che ne sarà dei figli…. Dio ti dà da vivere bene il presente, giorno per giorno, mese per mese. Non è un invito a non progettare, ma a farlo a partire dal tuo presente senza sognare quello che non c’è, né immedesimarsi in quello che deve ancora venire. Il futuro si costruisce vivendo con aderenza e con fedeltà i nostri impegni. Ciascuno faccia il proprio dovere, dice san Pietro”.
Lei sta preparando la sua prima lettera pastorale che guarda al futuro di questa Chiesa. Sarà pronta per la festa di san Costanzo, il 29 gennaio?
“Sì, sarà dedicata alla revisione delle zone e delle unità pastorali. È un po’ tutta una rilettura del nostro territorio perché si possa portare avanti le necessità della diocesi con la realtà che siamo, con i sacerdoti che siamo, con le vocazioni che Dio ci dà. Ho calcolato che tra qualche anno ci saranno 30 sacerdoti in meno, ma abbiamo riorganizzato zone e parrocchie per poter portare avanti la situazione della diocesi, confidando nelle forze che Dio ci dà. Se facciamo soltanto un assetto ragionieristico della diocesi dicendo che ci devono essere cento preti, posso trovarne un certo numero che vengono dall’estero ma questo non è un modo di far crescere la Chiesa. La Chiesa cresce nella misura in cui si promuovono tutte le vocazioni”.
Da quando è arrivato ha incontrato più volte i preti nelle zone pastorali…
“Ci ho messo un anno e mezzo a fare questa lettera pastorale. È la prima e voglio sottolineare che la nostra è una Chiesa amata da Dio, che ha risorse sul piano umano notevolissime. Con questa riorganizzazione avremo una realtà di circa 136 parrocchie aggregate in 31 unità pastorali. Ogni unità avrà due o tre parrocchie in media e questa organizzazione dovrebbe poter essere sostenuta anche con un minimo di 64 sacerdoti. Oggi ne abbiamo 90 in servizio pastorale attivo”.
Quindi non si tratta solo di un discorso organizzativo…
“Si parte da una coerenza rispetto al territorio per poter riflettere su una pastorale che sia sempre più unitaria: come legare fra di loro le comunità parrocchiali, come distribuire in maniera più equa i sacerdoti per numero di abitanti, se e come sia anche necessario sopprimere le parrocchie più piccole. Riorganizzare parrocchie e unità pastorali implica anche una collegialità del servizio pastorale perché in una Unità dovranno esserci due o tre sacerdoti. È un lavorare con strumenti nuovi per poter incidere di più nella pastorale e portare avanti quegli ottimi suggerimenti conciliari che ci sono venuti dal Sinodo”.