di Fausto Santeusanio, già docente di Endocrinologia all’Università di Perugia
Il 17 febbraio, Amci e il Meic di Perugia hanno promosso un dibattito sulla controversa legge sulle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) recentemente entrata in vigore. La legge intende regolamentare le scelte terapeutiche e diagnostiche di fine vita in modo da porre dei punti fermi su una questione così complessa e delicata, ed evitare future implicazioni di tipo giuridico. Ma molte sono le incertezze e le criticità emerse. La legge si compone di otto articoli, di cui i più significativi sono i primi cinque.
Il primo articolo è centrato sul consenso informato alle procedure terapeutiche e diagnostiche. E fin qui nulla di nuovo, perché tale principio è ampiamente riconosciuto dalla Costituzione italiana, dalla Carta dei diritti del malato e dal Codice di deontologia professionale.
Anche nel secondo articolo, che riguarda la terapia del dolore e il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure nella fase finale della vita, si ribadiscono princìpi ben consolidati, con l’erogazione delle cure palliative, oggi molto efficaci e codificate dalla legge 15 marzo 2010, e l’obbligo di astenersi da cure inutili e sproporzionate, cioè da ogni forma di accanimento terapeutico. L’articolo 3 è dedicato alla gestione della fase terminale della vita di minori o incapaci, cioè quelle categorie di persone che non sono in grado di esprimente il proprio consenso e che per questo vengono rappresentate dai genitori o da un tutore.
Ma a mio avviso le maggiori complessità e ambiguità della legge derivano dall’articolo 4 con le Disposizioni anticipate di trattamento . Si tratta delle dichiarazioni espresse in anticipo in previsione di eventuali situazioni future in cui tale volontà non potrebbe essere espressa.
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