Nessun dubbio. Siamo lieti e contenti di questo nuovo Papa. Non lo mettiamo in contrasto con l’emerito e non facciamo paragoni. La rinuncia di Benedetto e l’accettazione di Francesco ci vanno bene comunque, e ciò vale anche se andiamo indietro a Giovanni Paolo II e così via. Fin dove possiamo arrivare impunemente senza avere dubbi e problemi di coscienza? La storia della Chiesa e del Papato in particolare rappresenta per tutti gli storici serie difficoltà di sintesi, perché è storia lunga e complessa, storia di santità e anche di incoerenze e peccati. Chi non ricorda, dopo il tradimento di Pietro: “e subito il gallo cantò” ? Ma il gallo tace quando la Chiesa, madre dei santi, soffre, combatte e prega (Manzoni). Anche oggi.
La santità, il martirio, l’onestà e la vita della carità ordinaria della grandi masse di gente comune rimane sotto un velo di inconoscenza e di silenzio. Con lo sguardo della fede e con quello di san Francesco e di santa Caterina da Siena i cristiani riconoscono nel Papa, ed insieme nei vescovi e nei preti, strumenti di grazia e dispensatori di misericordia e perdono a prescindere dalla loro condotta personale. Va da sé che quando il papa ha anche doti umane e spiccate virtù cristiane aumenta l’adesione, l’affetto e l’entusiasmo per la persona e la sua missione.
Ciò detto, per un giornale come il nostro a diffusione regionale, non sarà fuori luogo ricordare che i due ultimi papi si chiamano Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi, senza attenuazioni ed equivoci. Noi umbri dovremmo avere un soprassalto di curiosità e di sorpresa. Sono santi che ci appartengono e non è cosa di poco conto per la nostra terra.
Gli umbri dovrebbero avvertire il peso che questi due personaggi hanno avuto in passato ed hanno riassunto nel presente sul piano della storia universale, rendendosi conto che non basta invitare il Papa in Umbria, né intestare a san Francesco l’aeroporto per rilanciare il turismo religioso e neppure fregiarsi dello “spirito di Assisi” creato da papa Wojtyla. Si dovrebbe realisticamente maturare la consapevolezza di avere un compito storico da sostenere e portare avanti. Ciò non è avvenuto e si ha l’impressione che la comunità umbra nel suo complesso, non cammini in questa direzione.
Il caso rimasto emblematico è quello dello Statuto regionale, nel quale non si è voluto inserire neppure di sfuggita il nome di Benedetto e quello di Francesco. Se n’è discusso molto, a suo tempo.
Nel gennaio 2004 è stata presentata una proposta da parte dei vescovi umbri che al n. 6 affermava l’opportunità di trasmettere alle future generazioni valori quali la difesa dei diritti umani, la cultura della pace, l’integrazione e la cooperazione tra i popoli, il rafforzamento dell’Unione europea, il pluralismo culturale ed economico, la difesa della qualità del proprio ambiente ed “il patrimonio morale e civile e spirituale, ricco dell’apporto dei suoi grandi protagonisti, in particolare i santi Benedetto e Francesco, per opera dei quali l’Umbria è conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo”. Non c’è stato verso, nulla da fare. Non è passata. Non passerà. Vi sono dei tabù anticristiani che resistono con tenacia e tanta ignoranza.
Con un Papa che si chiama Francesco, dopo quello che si è chiamato e si chiama ancora Benedetto e dopo le molteplici visite di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII l’Umbria non può far finta di niente, mascherandosi con presunte culture “altre” dimenticando la propria.
Non potrà e non dovrà mai scrollarsi di dosso l’immagine di una terra chiamata ad essere modello di una vita buona, pacifica e onesta, benedettina e francescana, non perché porta il saio o la cocolla, ma perché è accogliente, giusta, sobria, lieta e operosa. Non pare che sia quella attuale, dove trasgressioni, inciviltà, balordaggini, incuria e droga mortifera “sporcano” la vita di tutti ogni giorno.
Bergoglio con il suo nome di papa Francesco e i suoi gesti fuori dagli schemi ci provoca e ci aiuta ad imitarne lo spirito.