di Angelo M. Fanucci
Il nuovo rito del matrimonio cambia radicalmente il modo con cui gli sposi si dicono “sì”: ne convennero unanimi gli oltre 600 delegati delle 227 diocesi italiane, presenti a Grosseto ai primi di novembre del 2004 per la presentazione del nuovo rito del matrimonio, voluto dalla Conferenza episcopale italiana.
Tema: “Celebrare il mistero grande dell’amore”. L’allora segretario generale della Cei, mons. Betori, affermò che la Chiesa italiana chiede di partire dalla celebrazione del rito per un cammino verso una fede matura e consapevole; la scelta di chi ha deciso di consacrarsi nell’amore stesso di Cristo, fedele e indistruttibile, animato dallo Spirito santo – disse don Andrea Fontana, direttore dell’Ufficio catechistico di Torino.
Ma fu don Paolo Giulietti, allora direttore del Servizio Cei per la pastorale giovanile, a centrare il cuore del problema: “Il pensiero della Chiesa sul matrimonio – disse – si distacca sempre di più dall’idea del contratto, del gesto burocratico come potrebbe essere un matrimonio civile, perché restituisce tutto all’ambito dell’esperienza religiosa.
Al tempo stesso, il nuovo rito favorisce una visione del matrimonio meno folcloristica e romantica, perché trasposta più decisamente nel campo della fede”. E concluse: “Il nuovo rito potrà aiutare a vivere in maniera diversa anche la decisione di sposarsi, come risposta a una chiamata di Dio che viene dal battesimo e conseguentemente ad accettare il matrimonio come missione”.
Concretamente la massima innovazione fu il cambio della formula, da “ prendo te” ad “ accolgo te”, che – sottolineava mons. Betori “ricorda che il matrimonio è un impegno fondato sulla grazia di Cristo”. Un’altra novità, altrettanto importante, riguardò l’inizio della celebrazione: il sacerdote accoglie la coppia vicino al fonte battesimale, dove i futuri sposi rinnovano le promesse battesimali prima di incamminarsi insieme verso l’altare.
E giunti all’altare, il sacerdote invita tutta l’assemblea a pregare perché quello che allora fu un auspicio, un auguro cristianamente fondato, diventi ora una scelta consapevole per quei due, che allora erano batuffoli capaci solo di frignare nel momento meno opportuno e di fare pipì a tradimento, e adesso decidono autonomamente del futuro della propria vita.
Il “sì” che genitori e padrini dissero al posto loro non fu una prevaricazione, non poté esserlo: come non fu prevaricazione, e non poté esserlo, la decisione di metterli al mondo. Tutto bene.
Ottimo, indispensabile il ricordo del battesimo, che celebra l’iniziativa di Dio, sommo protagonista di tutti i sacramenti. Ma a questo punto si apre un buco grosso come una voragine. Quale? Meditate, gente, meditate! E poi vi sarà detto ciò che deve essere detto. Ne concorderete? Spero.