Pubblichiamo l’omelia che il Cardinale Gualtiero Bassetti ha pronunciato oggi mercoledì 29 giugno nella liturgia di ringraziamento per i suoi 50 anni di ordinazione presbiterale.
“Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome”. (Sal. 33)
Il versetto del Salmo responsoriale mi aiuta ad esprimere la gioia che porto nel cuore e il profondo ringraziamento al Signore per questi 50 anni di sacerdozio. Non senza commozione sono tornato più volte in questi giorni a quel 29 giugno del ’66, quando, insieme ad altri dodici compagni di Seminario, fui ordinato sacerdote sotto le volte della maestosa Cupola del Brunelleschi. Il Cristo del Giudizio Universale rivolgeva verso di noi il suo sguardo severo e amorevole allo stesso tempo. Con non poca trepidazione mi inginocchiai dinanzi all’arcivescovo Florit per ricevere l’imposizione delle mani, in quella cattedrale strapiena, dove i vivi e i passati, raffigurati sulla Cupola, sembravano formare un unico corpo, quello della Chiesa, vivente nei secoli.
Carissimi Fratelli e Sorelle rivivo con voi stasera l’emozione di quel giorno, che mi ha accompagnato per tutta la vita. Saluto con fraterno affetto l’arcivescovo della mia chiesa fiorentina, il cardinale Giuseppe Betori. La tua presenza, Carissimo, mi ricorda con più forza la mia appartenenza alla santa chiesa di Firenze e i miei primi passi di sacerdote, fino poi ai compiti di responsabilità in Seminario e nella Curia Arcivescovile. Saluto con gioia i fratelli Vescovi dell’Umbria, della Toscana e di altre zone d’Italia che si sono voluti unire a me in questa liturgia di ringraziamento. Saluto i sacerdoti, specialmente i compagni di ordinazione, i consacrati, i diaconi, i seminaristi, le nostre famiglie, i giovani e i ragazzi.
Saluto tutte le Autorità presenti, iniziando dal Signor Sindaco, Avv. Andrea Romizi, che rappresenta l’intera città di Perugia. L’On. Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, che mi ricorda la responsabilità di metropolita e di presidente della Conferenza Episcopale Regionale. E poi il mio più cordiale saluto e omaggio alle Autorità civili, militari, giudiziarie e accademiche: grazie per la vostra presenza!
Saluto con affetto i miei familiari qui presenti. Ricordo i miei carissimi genitori Arrigo e Flora, che ho lasciato ragazzino per entrare nel Seminario di Firenze e che ho potuto rivedere solo di rado. Prego il Signore che li abbia nella sua pace.
Carissimi Fratelli e Sorelle, la gioia più grande però è quella di vedervi così numerosi stasera, riuniti in questa nostra cattedrale, cuore della vita cristiana della città e della diocesi. Grazie a tutti, Figli e Figlie, Carissimi, per la vostra presenza che allieta il cuore e lo nutre di speranza.
La liturgia odierna è incentrata sulle figure degli Apostoli Pietro e Paolo e sulla loro testimonianza di fede. Essi sono ancora oggi per noi modello e figura dell’autentico seguace del Signore. Scelti tra gli “ultimi” del popolo d’Israele, incarnano la forza della fede, prima verso la Legge antica, poi verso la Parola nuova di Gesù, che dona senso e compimento alla rivelazione dei padri. È una fede convinta e coraggiosa quella che fa pronunciare a Pietro le parole fino ad allora inaudite: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”! Così pure a Paolo, poco prima della morte, quando sa che ormai il suo compito è finito: “Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno”! La forza di questi due uomini sta proprio in questo: nell’aver saputo riconosce il Signore, il promesso d’Israele, e di averlo seguito, senza paura delle conseguenze, siano esse il carcere, le percosse, le umiliazioni, l’emarginazione, la morte!
È questa la forza che ogni cristiano dovrebbe trovare in se stesso; soprattutto il giovane che si avvia al sacerdozio, per pronunciare quelle meravigliose parole: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Tu sei l’unico bene della mia vita, la strada sui cui porre i miei passi; il mio tutto!
La chiamata di Cristo, pur essendo misteriosa è percettibile dalla persona che si pone in ascolto. Per me, questa chiamata è stata dapprima un poco indecifrabile, ma s’è fatta sempre più comprensibile negli anni del Seminario Minore, quando ho cominciato veramente a capire cosa il Signore voleva da me.
Carissimi, ci sono due eventi memorabili, distanti 50 anni l’uno dall’altro, che segnano il punto focale dei miei ricordi in questa solenne celebrazione: il primo, l’ordinazione sacerdotale a Firenze, insieme ai compagni di Seminario; il secondo, la santa messa celebrata a Santa Marta, con Papa Francesco il 2 maggio scorso con sei presbiteri di Perugia, del mio stesso anno di ordinazione. Questi sacerdoti di Firenze e di Perugia sono con me attorno a questo stesso altare a dire grazie al Signore.
Il pensiero ora non può non andare a quel giorno memorabile di cinquanta anni fa e agli anni della formazione nel Seminario fiorentino. Ho avuto modo di affermare tante volte come quel periodo fosse contrassegnato da una ricchezza culturale e spirituale unica: ovunque ti giravi, avevi la possibilità di toccare con mano quanto ricche potessero essere le espressioni della fede cristiana: i Domenicani di San Marco con Padre Santilli e Padre Lupi; i Servi di Maria, con Padre Vannucci e Padre Turoldo; la Madonnina del Grappa con il Servo di Dio Mons. Giulio Facibeni, e poi i giganti del clero fiorentino Don Bensi, Don Bartoletti, Don Barsotti, Don Bonami (nostro Rettore). A loro si aggiunsero quelli allora più giovani: Mons. Agresti, Don Milani, Don Rossi, e lo stesso Don Piovanelli, poi arcivescovo di Firenze, che in questo momento affido alla preghiera di tutti per le sue gravi condizioni di salute. Due anni fa era presente nella nostra Cattedrale, quando feci l’ingresso come cardinale. Poi i Servi di Dio: il card. Elia Dalla Costa, il prof. Giorgio La Pira e Mons. Giulio Facibeni: ecco le mie radici: fondate su di un umanesimo cristiano davvero unico e straordinario! Noi eravamo poco più che ragazzi, era la metà degli anni ’50, ed avevi l’impressione che la fede ti volesse incontrare nella tua anima giovanile per elevarti alla bellezza e alla sete di Dio.
Siamo stati ordinati dal card. Florit, un vescovo che ha tanto sofferto, ma anche un uomo dalla fede solida, come le sue montagne friulane. Ma per noi, il vero riferimento fu il card. Dalla Costa, che da piccoli ci veniva a trovare in Seminario. E’ stato un vero gigante per spiritualità: austero, di poche parole, concreto, con due occhi di fuoco, come il profeta Elia di cui portava il nome. Bastava guardarlo per capire, anche se eri poco più che un bambino, quale dovesse essere il suo modello di prete. Poi, alla fine del corso teologico, come rondini, abbiamo spiccato il volo dal nostro Seminario, ma sono rimasti il bene, l’amicizia, l’affetto più che fraterno. Quando ci incontriamo, ci specchiamo ancora l’uno nell’altro: ed anche questa è grazia di Dio.
Carissimi Fratelli e Sorelle, lo diceva già il santo Papa Giovanni Paolo II: “Questo è un tempo meraviglioso per essere prete!”. Certo, quelli che viviamo sono tempi forti che esigono preti coraggiosi. L’ho ripetuto sabato scorso a Marco, Simone e Marco, che ho ordinato presbiteri, in questa Cattedrale, stracolma di giovani e di gente. Diceva già ai suoi tempi Bernanos: “Il prete appartiene ad una razza che durerà quanto il mondo, una razza che Dio ha posto in cammino, e che non si fermerà più, finché tutto sia consumato”.
Cari Amici di Firenze e di Perugia, che con me celebrate il vostro giubileo, sono tanti i fratelli, vicini e lontani, hanno ancora bisogno di noi! Il nostro mondo ha bisogno di pace, di gioia, ma è affogato nell’inquietudine e spesso nella lotta fratricida: il mondo ha bisogno di santità. Noi, come uomini dello spirito, siamo al servizio della gioia di tutti. Incontriamo tante creature ferite; abbiamo davvero la sensazione di essere “chiesa/ospedale da campo”, come ci ha detto Papa Francesco.
Tante volte ho imposto le mani per donare l’ordine del presbiterato. Cinquanta anni fa le stesse mani, perché sono le mani del Signore, hanno accarezzato il nostro capo; ma queste mani non si sono ritirate e riposano sempre su di noi. La mani di Dio, che tutto hanno creato e tutto mantengono in vita. Le mani che tutto colpiscono e risanano, le mani nelle quali io e voi consegneremo il nostro spirito. Per quelle mani lo Spirito di Dio si è posato su di noi, dal momento che “Il Signore ci ha consacrati con l’unzione e ci ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri e a fasciare le piaghe dei cuori spezzati….”.
Carissimi fratelli nell’episcopato, nel presbiterato, nel diaconato e voi tutti popolo santo di Dio, tra poco faremo la nostra professione di fede: il credo dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a cui ci affidiamo; il credo della nostra fede semplice di quando eravamo bambini; il credo che ha allietato la nostra giovinezza; il credo a cui abbiamo fatto di tutto per rimanere fedeli per tutta la vita; il credo più sapiente di tutta la sapienza del mondo, perché è parola di Dio che rimane in eterno. Ma i grandi doni di Dio, non possono che invitarci ad essere umili (Von Balthasar).
Mi hanno profondamente colpito, all’inizio di questo mese di giugno le meditazioni di Papa Francesco, ai seminaristi e ai sacerdoti. Nella Basilica Liberiana il Papa ha parlato del “ricettacolo” della misericordia, che è il nostro peccato. Dio è più grande “della nostra coscienza di peccato, e solo il cuore che ha ricevuto misericordia sa donarla!”. “Rientra in te stesso – ci ha detto ancora il Papa – rifletti sulla tua storia e ci troverai tanta misericordia”.
Cari Amici, tante volte la misericordia del Padre ci ha ricreato il cuore e noi con gioia l’abbiamo riversata sui nostri fratelli: che grazia grande! Noi sacerdoti fiorentini non potremo mai dimenticare le parole che, poco prima di morire, il Card. Giovanni Benelli aveva scritto nel suo testamento: “A tutti i carissimi figli e figlie di Firenze, lascio una sola parola: fidatevi sempre di Gesù Cristo! E grazie, con particolare commozione a tutti quelli che mi hanno aiutato a ripetere questa parola (Gesù Cristo). Che Dio mi prenda nella Sua misericordia”. Amen!