Il Serafico è un centro sanitario che accoglie bambini e ragazzi con disabilità fisiche, psiche e sensoriali gravi e gravissime provenienti da tutta Italia. La storia del bambino autistico di 11 anni non ci ha sorpreso, perché conosciamo la situazione drammatica in cui versano tanti genitori.
Premetto che le storie non sono tutte uguali e che il nostro osservatorio è esclusivamente riferito alle disabilità gravi e forse anche per questo veniamo spesso in contatto con situazioni familiari drammatiche.
La situazione dei genitori
A volte i genitori arrivano da noi dopo essere stati “palleggiati” da un centro all’altro e dopo che i vari centri interpellati si sono dichiarati non adeguati alla presa in carico del proprio figlio. In molti casi la ricerca di un’equipe multidisciplinare, in grado di seguire il percorso riabilitativo di una persona con disabilità complessa, è lasciata interamente a carico dei familiari, che necessiterebbero, invece, di un accompagnamento.
Arrivano da noi familiari i cui occhi, ancora prima di tanti racconti, ci parlano della speranza perduta nei momenti di solitudine.
Questi genitori a volte sono segnati anche nel corpo. Ferite che si sono procurati nel corso di crisi comportamentali dei loro figli, per difenderli dai loro comportamenti autoaggressivi o per difendersi dall’eteroaggressività. Mamme che mi raccontano di non riuscire a dormire la notte, mamme che si sono improvvisate educatrici, psicologhe, infermiere.
Il primo incontro con queste famiglie è spesso un lungo sfogo di chi ha bisogno prima di tutto di un ascolto. Io a volte a stento trattengo le lacrime, perché è difficile rimanere indifferenti a tanta sofferenza. Così senza neanche accorgermene, mi trovo stretta tra le mie le mani di donne che conosco e vedo per la prima volta, mentre le parole scorrono senza fermarsi come un fiume che trova finalmente il suo corso.
Le famiglie che incontriamo hanno bisogno per prima cosa di trovare qualcuno che sappia ascoltare, accogliere. Hanno bisogno di compagni di viaggio.
Storie di incontri
Negli ultimi mesi sono arrivate tanti nuovi utenti dal centro sud. Alcuni di loro hanno lasciato le loro città, le loro case. Altri addirittura lasciano tutto, lavoro compreso, per trasferirsi ad Assisi. Ma non tutti i genitori hanno la stessa forza. Ho conosciuto madri fortemente depresse che avevano forse più bisogno di cura loro dei loro figli.
In molti casi sono i distretti sanitari ad interpellarci per i propri assistiti, ma capita anche che arrivano da noi segnalazioni da persone che non ricoprono ruoli istituzionali in ambito socio sanitario. Penso alle tante volte che siamo stati contattati da alcune stazioni dei carabinieri.
Ricordo che qualche tempo fa un maresciallo dei carabinieri mi telefonava continuamente, sollecitando il Serafico alla presa in carico di un ragazzo. Pensavo che fosse un parente. Poi un giorno mi raccontò che quando quel ragazzo entrava in crisi erano solo i carabi- nieri ad intervenire, come se un disturbo del comportamento richiedesse l’intervento della forza pubblica, invece che un serio intervento socio-sanitario.
Sentirsi un peso per la società
Una delle cose che umilia di più i genitori è quella di sentirsi un costo, un problema per la società. Ma che ne sarebbe di tante vite fragili senza questi padri e madri straordinari pronti ad assistere, vegliare, contenere, sostenere, curare? Già perché il problema finisce in tanti casi per essere ridotto ad un numero: il budget che il distretto di appartenenza può spendere.
Da quel budget si esprimono i servizi che la capacità di spesa può coprire. Eppure chi è chiamato a gestire quel budget non ha colpa per un sistema che non riesce più a rispondere ai bisogni continui ed emergenti. Il problema non si risolve con i singoli distretti, le singole Asl, né a livello territoriale.
Saper ascoltare chi ha bisogno
Il problema di fondo è che abbiamo perso la capacità di ascoltare i bisogni: è da lì che occorre ripartire. Ci serve una visione di lungo periodo per rivedere interamente un welfare obsoleto. Ma occorrono politici che abbiano il coraggio della visione prospettica, che sappiano ascoltare e soprattutto costruire. Mai come negli ultimi mesi abbiamo assistito a dei razionamenti dei servizi erogati. Chi può chiede di usufruire privatisticamente dei servizi negati.
L’assistenza del Serafico
È così che da qualche anno abbiamo avviato il progetto “I letti di Francesco” . Posti letto in regime residenziale e semiresidenziale totalmente a carico della raccolta fondi privata per intervenire nei casi di necessità, quando gli interventi socio sanitari sono necessari e per varie ragioni il servizio pubblico non riesce ad intervenire, o ad intervenire rapidamente.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un aumento esponenziale dei disturbi del neurosviluppo. Nel tempo sono state emanate linee guida e aggiornati i Lea (livelli essenziali di assistenza) che, per esempio, dedicano una norma specifica (art. 60) all’autismo. Ma il più delle volte queste normative non vengono finanziate e non vengono applicate a livello regionale.
Le problematiche
Le Linee guida n. 21 dell’Istituto Superiore di sanità in tema di autismo prevedono degli interventi specifici, ma poi mancano a livello locale i servizi per rendere effettivi questi interventi. C’è carenza di personale specializzato e in alcuni territori questo personale manca del tutto.
Penso alla neuropsichiatria infantile che non è presente in modo capillare sul territorio nazionale, alle figure dell’équipe multidisciplinare che in molti casi mancano e alle raccomandazioni sul programma intensivo Aba. Quest’ultimo raramente può essere erogato dal servizio pubblico perché mancano le figure professionali qualificate per questo tipo di interventi. È evidente che se le leggi non vengono poi finanziate i diritti rimangono scritti solo sulla carta e non possono essere azionati.
Situazione legislativa in materia in Umbria
In Umbria, per esempio, stiamo attendendo da anni la classificazione delle strutture che si occupano di disabilità. Il piano di indirizzo nazionale della riabilitazione del 2011 impegnava tutte le Regioni a mettere in rete le risorse e a implementare e omogeneizzare le procedure di accreditamento delle strutture riabilitative per rendere trasparenti e verificabili competenze, dotazioni organiche e servizi.
Ma già le linee guida del 1998 invitavano le regioni a classificare le strutture che si occupavano di riabilitazione. Con deliberazione del 20.12.2018 la Giunta regionale disciplinava i requisiti minimi delle strutture sanitarie e socio sanitarie residenziali e semiresidenziali per post acuti, e per persone non autosufficienti, disabili adulti e minori, malati terminali. Ma la delibera, che immediatamente mostrava moltissime lacune, è stata sospesa nell’attesa di una discussione con le realtà territoriali. A seguito delle note vicende della sanità umbra tutto si è bloccato e siamo rimasti in una situazione di stallo.
E pensare che il 4 luglio scorso il ministero della Salute ha definito le nuove linee di indirizzo della riabilitazione, ora al vaglio della Conferenza Stato Regioni, e in Umbria non abbiamo ancora applicato le precedenti! Abbiamo un centro di riferimento regionale per i disturbi dello spettro autistico che andrebbe potenziato in termini di figure professionali (neuropsichiatra infantile, logopedista, psichiatra, psicologo e educatore).
Non si può tutelare la salute continuando la politica dei tagli e del razionamento. Iniziamo a razionalizzare gli interventi, più che a razionarli, a renderli più efficienti e a comprendere che investire sulla vita è sempre generativo, anche in termini di sviluppo. Il lavoro di cura può, da un lato restituire dignità a persone oggi invisibili nella società, può riportare tanti genitori a vivere e non semplicemente a sopravvivere, ma, nello stesso tempo, può davvero generare nuova occupazione. Il lavoro di cura è un motore di sviluppo per tutti.
Francesca Di Maolo
Presidente Istituto Serafico di Assisi