A chi rimproverava a Giorgio La Pira, storico e santo sindaco della città di Firenze, di occuparsi di questioni internazionali che esulavano dalla sue competenze di amministratore locale, egli amava rispondere che un sindaco non si occupa solo dei marciapiedi e dei lampioni ma anche della giustizia e della pace del mondo.
Non fosse altro che per educare i propri concittadini a farsi carico del dolore del mondo. Non fosse altro che, alla fine, sono i cittadini stessi e le città a subire le guerre che non hanno concorso a scongiurare; e infine perché, se ci fosse un vero contributo delle città per ottenere la pace nel mondo, forse non ci sarebbe più la guerra.
Si sono mossi su questo piano e forti di queste convinzioni anche i consiglieri comunali G. Cardinali, C. Migliosi e P. Sdringola proponendo all’intero Consiglio comunale di Assisi nella seduta del 19 novembre scorso l’approvazione di una mozione che, in buona sostanza, chiedeva al Governo di intervenire a fermare la vendita di bombe costruite in Sardegna all’Arabia Saudita.
Eh sì, perché avviene che a Domusnovas la Rwm, azienda tedesca che ha rilevato una precedente fabbrica italiana di esplosivi, costruisca bombe Mk32 e le esporti verso l’Arabia Saudita per milioni di dollari. Le forze armate di destinazione poi, a guida della coalizione di Emirati Arabi Uniti, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco e Kuwait, le usa per colpire la popolazione dello Yemen in una guerra che dura ormai da quattro anni e che ha provocato migliaia di vittime dirette, e quella che il segretario dell’Onu Antonio Gutierrez non ha esitato a definire “la più grave crisi umanitaria della storia dopo la Seconda guerra mondiale”.
Nel testo della mozione si fa riferimento alla foto di Amal che ha fatto il giro del mondo. La bimba, il cui nome significa “Speranza” in arabo, il 1° novembre scorso si è dovuta arrendere alla denutrizione. È morta di fame, di stenti. È morta di indifferenza. La nostra. Anche perché le notizie provenienti dallo Yemen sono scarse e non si sa quanto affidabili.
Il Parlamento europeo lo scorso 4 ottobre ha approvato una mozione nella quale si legge: “Il conflitto in atto nello Yemen è giunto al quarto anno, e più di 22 milioni di persone necessitano di sostegno umanitario; le persone in condizioni di insicurezza alimentare sono più di 17 milioni e, di queste, oltre otto milioni versano in uno stato di grave insicurezza alimentare e rischiano di morire di fame”.
D’altra parte il report di una delegazione dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani che si è recata nel Paese, nell’agosto scorso aveva denunciato che entrambe le parti in conflitto si sono macchiate di gravissime violazioni dei diritti umani utilizzando esplosivi senza alcun riguardo della popolazione civile e, anzi, con la deliberata volontà di colpire scuole, ospedali e altri edifici pubblici. Si tratta di veri e propri crimini di guerra che sono stati documentati. Così come sono stati documentati con foto e video le provenienze delle armi pesanti utilizzate su vasta scala e in cui si riconosce la fabbricazione italiana della Rwm.
Di fronte a questo scenario acquista ancora più particolare valore la mozione assisana, che peraltro è passata all’unanimità dei consiglieri presenti, ma sarebbe assai auspicabile che tantissimi altri Comuni italiani e tutti i Comuni umbri adottassero la medesima iniziativa, ispirata dall’articolo 11 della Costituzione italiana, che “ripudia la guerra”, e dalla legge 185/90 che regola il commercio di armi proibendone la vendita ai Paesi che hanno un conflitto in corso, a quelli che si sono macchiati di violazione di diritti umani e a quelli che imputano alla spesa socio-sanitaria e dell’istruzione una somma inferiore a quanto riservato alla difesa armata. Nel caso dello Yemen, ricorrono tutte e tre queste condizioni!
Come non auspicare che l’iniziativa di questa testata di dare voce all’implorazione che arriva fino a noi dallo Yemen possa essere seguita da altri organi di informazione? Ma soprattutto, come si può continuare a restare indifferenti verso una catastrofe umanitaria di tali dimensioni in cui siamo direttamente chiamati in correità? A nulla serve opporre la necessità del lavoro per gli operai del Sulcis, per i quali ci si dovrebbe adoperare alacremente perché siano sottratti alla drammatica condizione di dover scegliere tra la morte da infliggere e il pane da portare a casa.
Giovanni Paolo Zedda, vescovo di Iglesias, nel maggio scorso ha scritto: “Nessuno di noi giustificherebbe mai che armi prodotte altrove fossero mandate a bombardare le nostre case, le nostre scuole, i nostri ospedali, le nostre chiese, la nostra gente. Ma le popolazioni dello Yemen non hanno i nostri stessi diritti?”.