Assuntina Morresi, Autore presso LaVoce https://www.lavoce.it/author/assuntinamorresi/ Settimanale di informazione regionale Fri, 15 Jul 2022 14:22:24 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Assuntina Morresi, Autore presso LaVoce https://www.lavoce.it/author/assuntinamorresi/ 32 32 Falso diritto. Vere domande https://www.lavoce.it/falso-diritto-vere-domande/ Wed, 13 Jul 2022 09:33:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67662

Una inutile, anzi, dannosa reazione “di pancia”, l’ultima risoluzione del Parlamento europeo contro la decisione della Corte suprema Usa di cancellare la sentenza “Roe vs. Wade” che ha garantito il diritto all’aborto per cinquant’anni. Inutile perché non è vincolante, ma soprattutto non ha realistiche possibilità di essere concretizzata.

Per inserire il “diritto all’aborto sicuro e legale” nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, infatti, è necessaria l’unanimità degli Stati membri, i quali hanno posizioni assai diverse, ma in comune hanno l’assenza di tale “diritto” nelle leggi che pure consentono l’interruzione volontaria di gravidanza. Non è quindi pensabile che l’Ue possa perorare “la sua inclusione nella Dichiarazione universale dei diritti umani - altra richiesta del testo - e tanto meno ci si può illudere che il Congresso Usa “approvi una legge che protegga l’aborto a livello federale” solo perché lo chiede l’Ue.

L’obiettivo pienamente raggiunto è invece quello di radicalizzare ancora di più lo scontro sull’aborto, e in questo senso la risoluzione è dannosa: la conta del Parlamento ha prodotto due schieramenti contrapposti, per usare tale falso “diritto” strumentalmente come bandiera politica e segno di riconoscimento, evitando di affrontare i veri problemi.

Falso diritto, perché non può esserci un diritto a sopprimere vite altrui, di qualcuno che – tra l’altro – non può essere chiamato a dire la sua. Neppure i movimenti per la libertà di abortire, pur battendosi per avere leggi che lo consentissero, rivendicavano l’aborto come un diritto. Ricordiamo ad esempio che, quando Giuliano Ferrara lanciò la sua lista no-aborto, Ida Dominijanni rispose sul Manifesto con un lungo articolo, in cui tra l’altro spiegava...

La traduzione del problema dell’aborto in termini di diritto (da ridurre) è tutta loro oggi, così come fu dei radicali (per conquistarlo) negli anni ’70. Ma sfidiamo i Ferrara, i Merlo e quant’altri a trovare nella letteratura femminista in materia un solo riferimento all’aborto come diritto.

Disgrazia, lapsus, incidente, effetto dello squilibrio fra sessualità maschile e sessualità femminile: l’aborto è da sempre, nel vocabolario femminista, un’eccedenza irriducibile al linguaggio del diritto e dei diritti. Non credere di avere dei diritti si intitola, significativamente, il volume della Libreria delle donne di Milano che ricostruisce questa eccedenza dell’aborto dal linguaggio del diritto e dei diritti. Noi sull’aborto facciamo un lavoro politico diverso si intitolava un famoso documento del ’75 che spostava il fuoco dalla richiesta di una legge all’analisi della sessualità e del desiderio (o non desiderio) di maternità, sostenendo fra l’altro: “L’aborto di massa negli ospedali non rappresenta una conquista di civiltà perché è una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza e colpevolizza ulteriormente il corpo della donna”.

“Mentre chiediamo l’abrogazione di tutte le leggi punitive dell’aborto e la realizzazione di strutture dove sostenerlo in condizioni ottimali, ci rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri, sessualità, maternità, socializzazione dei bambini” scriveva un altro testo del ’73.

E sono di Carla Lonzi le seguenti parole del 1971: “L’uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire. Ma la donna si chiede: per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?”. Come mai questa storia e questa elaborazione restino sistematicamente fuori dal campo della discussione pubblica, tradotte e tradite nello scontro violento e riduttivo “diritto all’aborto sì / diritto all’aborto no”, è questione da interrogare. (fine della citazione)

Parafrasando le parole di Carla Lonzi, potremmo chiederci: “Per l’interesse di chi stiamo parlando di diritto all’aborto?”. Sicuramente non delle donne, innanzitutto. Adesso vediamo la nostra negazione quotidiana perfino nel lessico, che non ci vuole neppure nominare - “persone che mestruano”, una delle alternative più popolari - e c’è addirittura difficoltà a rispondere alla domanda “cosa è una donna?”, come mostra il surreale documentario dell’americano Matt Walsh.

Diciamo quindi basta alle contrapposizioni ideologiche, utili solamente in pessime e scontate campagne elettorali, quelle che allontanano dalla politica. Cerchiamo invece di ripartire dai fondamentali, ad esempio: quale significato e quale valore ha essere donne, essere madri al nostro tempo?

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Una inutile, anzi, dannosa reazione “di pancia”, l’ultima risoluzione del Parlamento europeo contro la decisione della Corte suprema Usa di cancellare la sentenza “Roe vs. Wade” che ha garantito il diritto all’aborto per cinquant’anni. Inutile perché non è vincolante, ma soprattutto non ha realistiche possibilità di essere concretizzata.

Per inserire il “diritto all’aborto sicuro e legale” nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, infatti, è necessaria l’unanimità degli Stati membri, i quali hanno posizioni assai diverse, ma in comune hanno l’assenza di tale “diritto” nelle leggi che pure consentono l’interruzione volontaria di gravidanza. Non è quindi pensabile che l’Ue possa perorare “la sua inclusione nella Dichiarazione universale dei diritti umani - altra richiesta del testo - e tanto meno ci si può illudere che il Congresso Usa “approvi una legge che protegga l’aborto a livello federale” solo perché lo chiede l’Ue.

L’obiettivo pienamente raggiunto è invece quello di radicalizzare ancora di più lo scontro sull’aborto, e in questo senso la risoluzione è dannosa: la conta del Parlamento ha prodotto due schieramenti contrapposti, per usare tale falso “diritto” strumentalmente come bandiera politica e segno di riconoscimento, evitando di affrontare i veri problemi.

Falso diritto, perché non può esserci un diritto a sopprimere vite altrui, di qualcuno che – tra l’altro – non può essere chiamato a dire la sua. Neppure i movimenti per la libertà di abortire, pur battendosi per avere leggi che lo consentissero, rivendicavano l’aborto come un diritto. Ricordiamo ad esempio che, quando Giuliano Ferrara lanciò la sua lista no-aborto, Ida Dominijanni rispose sul Manifesto con un lungo articolo, in cui tra l’altro spiegava...

La traduzione del problema dell’aborto in termini di diritto (da ridurre) è tutta loro oggi, così come fu dei radicali (per conquistarlo) negli anni ’70. Ma sfidiamo i Ferrara, i Merlo e quant’altri a trovare nella letteratura femminista in materia un solo riferimento all’aborto come diritto.

Disgrazia, lapsus, incidente, effetto dello squilibrio fra sessualità maschile e sessualità femminile: l’aborto è da sempre, nel vocabolario femminista, un’eccedenza irriducibile al linguaggio del diritto e dei diritti. Non credere di avere dei diritti si intitola, significativamente, il volume della Libreria delle donne di Milano che ricostruisce questa eccedenza dell’aborto dal linguaggio del diritto e dei diritti. Noi sull’aborto facciamo un lavoro politico diverso si intitolava un famoso documento del ’75 che spostava il fuoco dalla richiesta di una legge all’analisi della sessualità e del desiderio (o non desiderio) di maternità, sostenendo fra l’altro: “L’aborto di massa negli ospedali non rappresenta una conquista di civiltà perché è una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza e colpevolizza ulteriormente il corpo della donna”.

“Mentre chiediamo l’abrogazione di tutte le leggi punitive dell’aborto e la realizzazione di strutture dove sostenerlo in condizioni ottimali, ci rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri, sessualità, maternità, socializzazione dei bambini” scriveva un altro testo del ’73.

E sono di Carla Lonzi le seguenti parole del 1971: “L’uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire. Ma la donna si chiede: per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?”. Come mai questa storia e questa elaborazione restino sistematicamente fuori dal campo della discussione pubblica, tradotte e tradite nello scontro violento e riduttivo “diritto all’aborto sì / diritto all’aborto no”, è questione da interrogare. (fine della citazione)

Parafrasando le parole di Carla Lonzi, potremmo chiederci: “Per l’interesse di chi stiamo parlando di diritto all’aborto?”. Sicuramente non delle donne, innanzitutto. Adesso vediamo la nostra negazione quotidiana perfino nel lessico, che non ci vuole neppure nominare - “persone che mestruano”, una delle alternative più popolari - e c’è addirittura difficoltà a rispondere alla domanda “cosa è una donna?”, come mostra il surreale documentario dell’americano Matt Walsh.

Diciamo quindi basta alle contrapposizioni ideologiche, utili solamente in pessime e scontate campagne elettorali, quelle che allontanano dalla politica. Cerchiamo invece di ripartire dai fondamentali, ad esempio: quale significato e quale valore ha essere donne, essere madri al nostro tempo?

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Natalità. Morresi: per un’Agenda che non sia un tweet https://www.lavoce.it/natalita-morresi-per-unagenda-che-non-sia-un-tweet/ Thu, 20 May 2021 17:14:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60729

La ricerca di un consenso immediato, a breve termine, che aumenti i like nei social e gonfi i sondaggi: troppo spesso è diventato questo l’obiettivo della politica negli ultimi anni, a livello nazionale e locale.

Crisi della politica

Con risultati pessimi: la radicalizzazione delle posizioni in gioco, innanzitutto, perché è la dinamica più semplice per guadagnarsi la scena mediatica. Una radicalizzazione che implica la ipersemplificazione delle tematiche trattate, perché così è più facile ridurle a slogan i quali, rispetto a un ragionamento, sono molto più adatti ai tempi veloci televisivi e al breve spazio di un tweet o di un microvideo da far circolare su Whatsapp.

Schieramenti contro a colpi di social

E la ipersemplificazione per antonomasia è quella di sventolare bandiere, dare segnali immediatamente riconoscibili ai propri elettori, e quindi agli avversari: ius soli o controllo dell’immigrazione, Ddl Zan o famiglie tradizionali, “aperturisti” o “chiusuristi” (e chiediamo scusa al vocabolario della lingua italiana, ma è per capirsi), e via dicendo. Allo sventolìo di bandiere gli schieramenti si compattano e si va allo scontro, duro e scontato nelle modalità, nel linguaggio e nei risultati, e soprattutto, infruttuoso. Abbiamo sintetizzato solo alcuni dei segni più eclatanti della crisi che la politica sta attraversando, una crisi che ha radici lontane, nell’anomalia di “Mani pulite” e nelle campagne di discredito orchestrate contro la politica stessa. Ricordate il libro La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, firmato da due giornalisti del Corriere della Sera? Fu pubblicato nel maggio del 2007, e l’8 settembre dello stesso anno Beppe Grillo organizzò il V-day (Vaffa-day). La scelta della data non era certo casuale, richiamando l’armistizio di Badoglio del 1943. La “V” iniziale è entrata a far parte del logo del moVimento 5 stelle, ed è restata.

Ripartire dai territori

Una crisi sulla quale ci sarebbe tanto da dire e che urge affrontare: abbiamo disperatamente bisogno di una buona politica, per un buon governo del Paese. E possiamo farlo a partire dai territori, localmente.

Lavorare insieme per la natalità in Umbria?

Invece di attaccarsi a destra e a sinistra per singoli episodi che assumono dimensioni eccessive rispetto al loro peso reale, perché non proviamo a entrare dentro i contenuti tenendo presente il nostro bene comune, in Umbria? Da tempo parliamo della terribile crisi demografica italiana e della grave denatalità. Draghi è il primo presidente del Consiglio che, finalmente, ha posto la questione con forza, in occasione degli Stati generali della natalità convocati dal Forum delle famiglie. Vogliamo mettere davvero questo problema al primo posto nell’agenda politica della nostra Regione?]]>

La ricerca di un consenso immediato, a breve termine, che aumenti i like nei social e gonfi i sondaggi: troppo spesso è diventato questo l’obiettivo della politica negli ultimi anni, a livello nazionale e locale.

Crisi della politica

Con risultati pessimi: la radicalizzazione delle posizioni in gioco, innanzitutto, perché è la dinamica più semplice per guadagnarsi la scena mediatica. Una radicalizzazione che implica la ipersemplificazione delle tematiche trattate, perché così è più facile ridurle a slogan i quali, rispetto a un ragionamento, sono molto più adatti ai tempi veloci televisivi e al breve spazio di un tweet o di un microvideo da far circolare su Whatsapp.

Schieramenti contro a colpi di social

E la ipersemplificazione per antonomasia è quella di sventolare bandiere, dare segnali immediatamente riconoscibili ai propri elettori, e quindi agli avversari: ius soli o controllo dell’immigrazione, Ddl Zan o famiglie tradizionali, “aperturisti” o “chiusuristi” (e chiediamo scusa al vocabolario della lingua italiana, ma è per capirsi), e via dicendo. Allo sventolìo di bandiere gli schieramenti si compattano e si va allo scontro, duro e scontato nelle modalità, nel linguaggio e nei risultati, e soprattutto, infruttuoso. Abbiamo sintetizzato solo alcuni dei segni più eclatanti della crisi che la politica sta attraversando, una crisi che ha radici lontane, nell’anomalia di “Mani pulite” e nelle campagne di discredito orchestrate contro la politica stessa. Ricordate il libro La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, firmato da due giornalisti del Corriere della Sera? Fu pubblicato nel maggio del 2007, e l’8 settembre dello stesso anno Beppe Grillo organizzò il V-day (Vaffa-day). La scelta della data non era certo casuale, richiamando l’armistizio di Badoglio del 1943. La “V” iniziale è entrata a far parte del logo del moVimento 5 stelle, ed è restata.

Ripartire dai territori

Una crisi sulla quale ci sarebbe tanto da dire e che urge affrontare: abbiamo disperatamente bisogno di una buona politica, per un buon governo del Paese. E possiamo farlo a partire dai territori, localmente.

Lavorare insieme per la natalità in Umbria?

Invece di attaccarsi a destra e a sinistra per singoli episodi che assumono dimensioni eccessive rispetto al loro peso reale, perché non proviamo a entrare dentro i contenuti tenendo presente il nostro bene comune, in Umbria? Da tempo parliamo della terribile crisi demografica italiana e della grave denatalità. Draghi è il primo presidente del Consiglio che, finalmente, ha posto la questione con forza, in occasione degli Stati generali della natalità convocati dal Forum delle famiglie. Vogliamo mettere davvero questo problema al primo posto nell’agenda politica della nostra Regione?]]>
Vita e libertà: di che cosa stiamo parlando https://www.lavoce.it/vita-e-liberta-di-che-cosa-stiamo-parlando/ Thu, 04 Feb 2021 13:31:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59091

Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata nazionale per la vita di quest’anno affronta il tema della libertà legato alla vita: “La libertà può distruggere se stessa: si può perdere! Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali e sull’ambiente.

Se la libertà diventa chiusura e violenza…

Del resto, la libertà del singolo che si ripiega su di sé diventa chiusura e violenza nei confronti dell’altro. Un uso individualistico della libertà porta, infatti, a strumentalizzare e a rompere le relazioni, distrugge la “casa comune”, rende insostenibile la vita, costruisce case in cui non c’è spazio per la vita nascente, moltiplica solitudini in dimore abitate sempre più da animali ma non da persone”. Un passaggio che acquista ancor più significato se leggiamo la cronaca di queste settimane, che ci restituisce un panorama in cui continuano a essere approvate leggi su aborto (vedi Argentina e nuovo corso dell’amministrazione Biden negli Usa) ed eutanasia (Portogallo), ma anche provvedimenti discutibili sulla genitorialità (apertura alla commercializzazione per utero in affitto in Inghilterra). Esempi concreti che confermano le preoccupazioni dei vescovi italiani, ma iniziative anch’esse prese in nome della libertà. Come è possibile che, sempre invocando la libertà, alcuni chiedano e altri contemporaneamente rigettino l’ingresso di eutanasia e aborto, ad esempio, nelle legislazioni nazionali?

Se la libertà è relazione…

La differenza fra i due approcci è nel valore che si attribuisce alle relazioni umane. Se per libertà si intende la possibilità di ciascuno di decidere della propria vita a prescindere dalla rete di rapporti in cui si è immersi, allora la realizzazione della propria vita può passare solo attraverso scelte individuali, per le quali le relazioni arrivano a costituire addirittura un ostacolo. Se invece la libertà considera gli esseri umani in quanto relazionali, persone che non possono fare a meno le uni delle altre, allora cambia tutto: riconoscendo la dipendenza reciproca nella comunità umana, l’essere liberi include anche farsi carico gli uni degli altri, assumersi responsabilità reciproche, e non mettere sempre e comunque davanti a tutto il proprio “io”.

La libertà aiutata dalla responsabilità operosa

Rifiutare leggi che consentano aborto ed eutanasia, ad esempio, implica che si debba rispondere alle necessità di chi le vede come uniche soluzioni a gravi difficoltà che sta attraversando: un lavoro precario, l’abbandono del compagno, una grave malattia invalidante. Non basta impedire che certe leggi vengano approvate, se non si mette in atto una solidarietà concreta nei confronti di chi ha un problema che ritiene insormontabile. Di fronte a una persona che dice “non ce la faccio” (a portare avanti una gravidanza, a continuare a vivere la propria vita), la prima risposta è una mano tesa, un sostegno efficace nel fronteggiare problemi che non sempre si possono risolvere, ma che, se affrontati insieme, acquistano tutta un’altra luce, e magari si intuisce anche qualche modo per uscirne. Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la vita parla infatti anche di responsabilità. Le opere nate nella lunga storia della cristianità nascono sempre così: da una responsabilità operosa.]]>

Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata nazionale per la vita di quest’anno affronta il tema della libertà legato alla vita: “La libertà può distruggere se stessa: si può perdere! Una cultura pervasa di diritti individuali assolutizzati rende ciechi e deforma la percezione della realtà, genera egoismi e derive abortive ed eutanasiche, interventi indiscriminati sul corpo umano, sui rapporti sociali e sull’ambiente.

Se la libertà diventa chiusura e violenza…

Del resto, la libertà del singolo che si ripiega su di sé diventa chiusura e violenza nei confronti dell’altro. Un uso individualistico della libertà porta, infatti, a strumentalizzare e a rompere le relazioni, distrugge la “casa comune”, rende insostenibile la vita, costruisce case in cui non c’è spazio per la vita nascente, moltiplica solitudini in dimore abitate sempre più da animali ma non da persone”. Un passaggio che acquista ancor più significato se leggiamo la cronaca di queste settimane, che ci restituisce un panorama in cui continuano a essere approvate leggi su aborto (vedi Argentina e nuovo corso dell’amministrazione Biden negli Usa) ed eutanasia (Portogallo), ma anche provvedimenti discutibili sulla genitorialità (apertura alla commercializzazione per utero in affitto in Inghilterra). Esempi concreti che confermano le preoccupazioni dei vescovi italiani, ma iniziative anch’esse prese in nome della libertà. Come è possibile che, sempre invocando la libertà, alcuni chiedano e altri contemporaneamente rigettino l’ingresso di eutanasia e aborto, ad esempio, nelle legislazioni nazionali?

Se la libertà è relazione…

La differenza fra i due approcci è nel valore che si attribuisce alle relazioni umane. Se per libertà si intende la possibilità di ciascuno di decidere della propria vita a prescindere dalla rete di rapporti in cui si è immersi, allora la realizzazione della propria vita può passare solo attraverso scelte individuali, per le quali le relazioni arrivano a costituire addirittura un ostacolo. Se invece la libertà considera gli esseri umani in quanto relazionali, persone che non possono fare a meno le uni delle altre, allora cambia tutto: riconoscendo la dipendenza reciproca nella comunità umana, l’essere liberi include anche farsi carico gli uni degli altri, assumersi responsabilità reciproche, e non mettere sempre e comunque davanti a tutto il proprio “io”.

La libertà aiutata dalla responsabilità operosa

Rifiutare leggi che consentano aborto ed eutanasia, ad esempio, implica che si debba rispondere alle necessità di chi le vede come uniche soluzioni a gravi difficoltà che sta attraversando: un lavoro precario, l’abbandono del compagno, una grave malattia invalidante. Non basta impedire che certe leggi vengano approvate, se non si mette in atto una solidarietà concreta nei confronti di chi ha un problema che ritiene insormontabile. Di fronte a una persona che dice “non ce la faccio” (a portare avanti una gravidanza, a continuare a vivere la propria vita), la prima risposta è una mano tesa, un sostegno efficace nel fronteggiare problemi che non sempre si possono risolvere, ma che, se affrontati insieme, acquistano tutta un’altra luce, e magari si intuisce anche qualche modo per uscirne. Il messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la vita parla infatti anche di responsabilità. Le opere nate nella lunga storia della cristianità nascono sempre così: da una responsabilità operosa.]]>