Per cinque giorni, 250 animatori di comunità del progetto Policoro della Cei, provenienti da 137 diocesi, si sono ritrovati ad Assisi per il 35° Corso di formazione nazionale. Tra loro, una settantina di giovani che hanno scelto di iniziare il percorso formativo del progetto: segno della vitalità di un’iniziativa che continua a dare speranza alle nuove generazioni e ai territori. Con tanti sogni e prospettive per il futuro, come ci racconta don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro.
Un bilancio di questa edizione.
“Sono stati giorni belli e positivi, in cui si è percepito l’entusiasmo di tanti giovani. Il tema centrale è stato quello della vocazione legata all’esperienza sociale e del lavoro: capire cioè come mettersi in gioco rispetto ai grandi temi e alla fase di travaglio che stiamo vivendo a livello sociale.
Abbiamo scelto di iniziare le giornate con la lectio divina, cosicché la Parola potesse scuotere e aiutare ad entrare meglio nelle tematiche. Ci sono stati poi momenti in plenaria con alcune conferenze, tra cui quella sull’impegno socio-politico tenuta da Ivo Lizzola, docente all’Università di Bergamo, e i laboratori dove i formatori fornivano, a seconda dello step raggiunto dagli animatori, strumenti per comprendere e portare avanti il progetto.
Particolarmente intensa è stata la veglia alla Porziuncola, curata dalle Francescane Alcantarine, perché nel luogo della chiamata di san Francesco si è percepita la tonalità della vocazione, cioè del sentirsi interpellati in questo mondo a capire quale è il proprio ruolo.
È stato molto bello anche il pomeriggio dedicato alla visita dei luoghi francescani nella città di Assisi: la Chiesa nuova, san Damiano, la basilica e la Porziuncola. In ogni posto, i giovani hanno potuto ascoltare la testimonianza di un frate che ha parlato loro del messaggio di san Francesco per il mondo di oggi”.
C’è stata anche una novità…
“Sì, farci accompagnare dalla figura di un testimone di spiritualità sociale. Abbiamo scelto don Primo Mazzolari, di cui ricorre il 60º anniversario della morte. Il suo messaggio è stato ripreso a vari livelli, nei diversi momenti di formazione, per rilanciare la visione termini di lamentela, ma per avere la capacità di vedere il positivo anche nelle situazioni di limitatezza, per dare vitalità e slancio.
Questo è il modello cristiano di impegno: non esiste un territorio così povero da non dire nulla, bisogna scorgere però il positivo e metterlo in circolo. L’espressione di Papa Francesco, ‘osate grandi cose’, che ha fatto da tema al corso, dice proprio la capacità di vedere come, in questo mondo, la mia vita, se messa in un circolo virtuoso, può realizzare grandi cose”.
Il card. Bassetti ha chiesto ai giovani di impegnarsi nella società e in politica. Come è risuonato questo appello?
“Il card. Bassetti ha presieduto per noi una messa molto bella e partecipata. Aveva preparato un testo, che ha lasciato molte volte da parte per parlare a braccio, segno dell’importanza che attribuiva al parlare ai giovani di questi temi. Ha fatto riferimento alla spiritualità e alla necessità di rileggerla in un contesto di fatica dell’impegno sociale e politico dei cattolici.
Il suo dunque è stato un appello rilevante su questo fronte: a sentirsi motivati e a dare oggi maggior valore all’impegno sociopolitico, a non considerarlo un di più, ma come un’esperienza di carità”.
Quali sono le prospettive, i sogni, del progetto Policoro dopo questo corso di formazione?
“Sono tanti. Guardiamo con fiducia al nuovo anno formativo che ha preso il via con il corso di Assisi. Le prospettive vanno nella direzione di un rilancio della comunicazione, tema che sarà al centro del prossimo Corso nazionale perché è importante raccontarsi e raccontare quanto di bene accade sui territori.
Inoltre, con la Pastorale giovanile e con Caritas, valuteremo la possibilità di proporre nuove occasioni di formazione per chi termina il percorso del progetto Policoro e chiede di non chiudere. Questo dice la bontà dell’esperienza fatta. C’è poi la volontà di seguire di più quei territori che fanno fatica nell’accompagnamento”.
Stefania Careddu