Si è chiusa con una cerimonia solenne, tenutasi giovedì 14 marzo nell’abbazia di San Pietro di Assisi, la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione del venerabile don Antonio Pennacchi.
Dopo la celebrazione dell’ora media e l’intervento del vescovo mons. Domenico Sorrentino, sono seguite la lettura della sessione di chiusura da parte del notaio Carlo Belli Paolobelli, l’apposizione delle firme e la chiusura con sigillo episcopale delle scatole contenenti i documenti da consegnare alla Congregazione per le cause dei santi.
“La causa di beatificazione e canonizzazione del venerabile don Antonio Pennacchi – spiega suor Alessandra Rusca, cancelliere vescovile – introdotta nell’anno 1893, ha poi subìto rallentamenti, ed è stata ripresa nel 2013 dal vescovo mons. Domenico Sorrentino. Questo importante momento sancisce la chiusura della fase diocesana del processo e la conseguente apertura della fase romana.
Nella fase romana gli atti recepiti verranno rilegati e assegnati a un relatore presso la Congregazione delle cause dei santi, che, in stretta collaborazione con il postulatore, redigerà la positio cioè un testo dove si analizzerà la vita del Venerabile, le sue virtù e il modo eroico in cui le ha vissute”.
Don Antonio, perla del clero diocesano
Questo sacerdote, vissuto tra ’700 e ’800, come indicato in uno scritto del vescovo Sorrentino, “è una perla del nostro clero diocesano. Fu un prete esemplare, ricco di preghiera e di carità. Fu dotato di doni singolari, anche taumaturgici. La sua tomba è ben visibile all’ingresso della chiesa di San Pietro, dove egli svolse il suo ministero sacerdotale come cappellano. Sulla lapide si legge un’espressione che ben sintetizza la sua vita: ‘Apostolo di Assisi’. E apostolo lo fu davvero, vivendo di Dio e seminando il bene a piene mani. Quello che tutti ripetevano il giorno della sua morte riecheggia ancora oggi: ‘È morto un santo!’.
Fatte le sue ore di scuola, lo si vedeva per le vie di Assisi a richiamare tutti alla preghiera. Si circondava di ragazzi. Non esitava ad entrare nei locali pubblici invitando alla lode del Signore. Predicava in Assisi e fuori, parlando con ardore. Era insieme il prete della carità. Si faceva in quattro per poveri e ammalati, condividendo quel poco che la sua scelta di povertà gli consentiva di possedere.
La sua straordinaria unione col Signore ebbe espressioni singolari. C’è tra i testimoni chi lo ha visto alzarsi da terra, rapito in estasi, durante la messa, e chi gli attribuisce il dono della bilocazione: accadeva, infatti, che al momento dell’ Angelus lo si incontrasse contemporaneamente in diversi luoghi della città. Le guarigioni attribuite alla sua intercessione, in vita e dopo morte, non si contano.
Ci aiuti – conclude mons. Sorrentino – a guarire dalla nostra lentezza nel rinnovare la nostra vita personale e comunitaria, che è anche l’obiettivo della visita pastorale che stiamo vivendo”.
Antonella Porzi