La Parola di Dio proclamata in chiesa non sempre è la stessa, cambiano le letture…Come mai? Quale il criterio? E perché si dà così importanza alla Parola?
Veniamo da secoli nei quali la Parola di Dio proclamata nella celebrazione eucaristica era limitata a pochi testi, oltretutto proclamati in latino, come d’altronde il resto della messa. Nel Messale post-tridentino erano contenute anche le 150 pericopi (cioè i brani evengelici) proclamate nelle varie celebrazioni, mentre il Messale romano adottato dopo il Concilio Vaticano II non riporta i testi scritturistici: essi sono invece raccolti nei diversi Lezionari (ammontano a 560-570 i brani biblici del ciclo triennale delle letture).
Va da sé quindi che un tempo la Parola di Dio non era molto ‘frequentata’ dai fedeli.
I Lezionari oggi rispondono al desiderio dei Padri conciliari, che con la riforma liturgica del Vaticano II hanno voluto aprire ai fedeli “i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium, n. 51).
Questa ricchezza e abbondanza della Parola nella celebrazione non va intesa in una dimensione ‘culturale’, pensando che, più si ascolta, più si acquisiscono contenuti, ma in una dimensione di dialogo. Infatti, attraverso le letture proclamate dall’ambone, “Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale” (Ordinamento generale del Messale romano, n. 55), inoltre “Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli” (ibid).
Questo è quindi il motivo principale che ha spinto il Concilio e la successiva riforma dei libri liturgici a ripensare la presenza della Parola di Dio nella celebrazione eucaristica, ordinata in maniera tale che nell’arco di tre anni possa essere abbondantemente ascoltata, sia dall’Antico Testamento sia dal Nuovo Testamento.
La liturgia della Parola, avendo però un carattere dialogico, non si conclude con la proclamazione delle letture ma continua con l’omelia, il silenzio, la professione di fede e la preghiera universale. Infatti, se Dio parla al popolo, il popolo deve a sua volta rispondere al suo Signore.
Prima azione liturgica, quindi, dopo la proclamazione della Parola è l’omelia spesso, mi sia permesso di dire,punctum dolens della celebrazione, perché vi si può ascoltare di tutto, quando si dimentica che in essa “è Dio che desidera raggiungere gli altri attraverso il predicatore, ed Egli dispiega il suo potere mediante la parola umana” (Evangelii gaudium, n. 136).
L’omelia dovrebbe essere l’esposizione, aderente al testo sacro o liturgico, dei misteri della fede e della loro attuazione nella vita cristiana. Essa è inoltre annuncio delle mirabili opere di Dio e del mistero di Cristo, che poi trova il suo compimento nell’eucarestia.
Alla Parola di Dio proclamata e risuonata nell’omelia, il popolo aderisce con la professione di fede (il Credo o Simbolo) e risponde con la preghiera universale (o dei fedeli), nella quale in forza del proprio sacerdozio battesimale “offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti” (Ordinamento generale del Messale romano, n. 69).
Don Francesco Verzini