L’amore implicito di Dio, l’unico accessibile a tutti e al tempo stesso indispensabile perché la vita di ciascuno sia quella che deve essere, come oggetto immediato può avere i tre soli oggetti nei quali Dio sia realmente, benché segretamente, presente: la liturgia, la bellezza del mondo, il prossimo. Questa tesi di Simone Weil è comprensibile solo all’interno di un’altra tesi, essenziale per la comprensione della struttura del suo pensiero, la tesi su fede e ateismo. Il Catechismo degli adulti, questa grande opera della quale la Chiesa italiana è debitrice alla Chiesa perugina, perché la sua redazione le sottrasse la gran parte delle energie del suo vescovo Ennio (ma ne valeva la pena!), definisce la fede come un cosciente e responsabile assumere il proprio posto all’interno del progetto di salvezza che Dio in Cristo propone all’umanità. Siamo ben lontani da come intende la fede il signor Sindaco “laico” durante il pranzo della festa patronale: “Buone queste tagliatelle ai funghi porcini, eh!, reverendo! Bah! Beati voi che avete la fede… Per quanto… le dirò che… anche io…: beh! via! Qualcuno ci ha da esse!!”: la fede mediata dai funghi porcini non va oltre. Traguardo rispettabile, sia chiaro: nemmeno Aristotele andò molto oltre, quando parlò di Dio come motore immobile, confinandolo lassù in alto, a muovere un’enorme ruota dentata (solo recentemente è stata elettrificata), che a sua volta muove tutto il resto. Per la Weil la fede concretamente consiste nell’uscire dal proprio egoismo, che è pura animalità, per aprirsi all’Altro, cioè alla divinità di Dio, cioè all’umanità dell’uomo. Alla luce di questa intuizione fondamentale, l’amore per la liturgia, l’amore per la bellezza del mondo, l’amore per il prossimo non sono tre amori, ma tre facce diverse di un unico amore. Non ti pare una bella traccia, avventurato lettore, per rinnovare il parco domande del nostro quotidiano esame di coscienza?