Antonio Megalizzi, un “eroe” in cerca di futuro

di Daris Giancarlini

Sì, è stato un eroe, Antonio Megalizzi: non per come è morto, a 29 anni, in una strada della Strasburgo illuminata dalle luci natalizie, colpito alla testa da un proiettile sparato da un suo coetaneo che inneggiava a un Dio che forse in quel momento era girato dall’altra parte.

Antonio, giornalista free-lance (che vuol dire senza posto fisso), è stato un eroe dei nostri tempi per come ha vissuto fino a quel maledetto pomeriggio di metà dicembre. Lui, figlio del Sud nato nel profondo Nord, aveva in mente in modo molto chiaro cosa fosse il futuro.

E voleva costruirlo con le sue forze: studiava, conosceva tre lingue, amava la sua professione fino al punto da volerla praticare anche a guadagno zero. E l’Europa – quella stessa Europa che tanti suoi coetanei non conoscono, non capiscono o vogliono distruggere per Antonio era l’orizzonte da tenere a mente, la meta da raggiungere, lo sfondo su cui costruire un’esistenza dignitosa.

In tutto ciò, di questi tempi, c’è eroismo: perché in questa fase la cultura, la formazione, l’apertura mentale, l’impegno nello studio per essere sempre pronti ad affrontare la realtà, sembrano tutti elementi passati di moda, travolti da scorciatoie per il successo che non prevedono sforzo e sudore quotidiano.

Onore ad Antonio, dunque, morto come Valeria al Bataclan, o Fabrizia a Berlino, o Giulio al Cairo. Giovani in cerca di futuro, senza più un futuro, ma ancora esempi da imitare, per tutti i ragazzi che hanno il coraggio di farlo.