Bugiardi cronici. Noi Occidentali viviamo di bugie. Ne produciamo a getto continuo. Qualcuno ha voluto ribattezzare “rimozione” l’intero ciclo produttivo. De nominibus non curat Plato. Bugie sono e bugie rimangono. Riusciamo ad essere bugiardi anche di fronte alla morte. “La morte non costituisce un problema”: lo disse a chiare note Lucrezio, il grande e sventurato autore del De rerum natura; lo ripetono in molti La morte non ha nulla a che vedere con noi. Nihil ad nos mors. Quando c’è lei non ci siamo noi, finché ci siamo noi lei non c’è. Sembrerebbe uno scioglilingua, se dietro l’enjabment non emergesse come l’ombra di un dolore inaudito. La morte, unico capitolo assolutamente certo del nostro futuro. Come si fa a vivere e non pensarci? Come si fa a rimuoverlo? Si può essere più stupidi di così? Tutti hanno detto un gran bene del film di Nanni Moretti, La stanza del figlio. Avvenire, giornale che mi piace moltissimo per metà delle sue pagine, ha condiviso l’applauso generale, ma ha anche avanzato la domanda se parlare laicamente della morte equivalga sempre e comunque ad additarla come un non/senso. Il laico non dovrebbe essere colui che, senza darne nessuna per scontata, ha ben presente l’intera gamma delle risposte ai grandi interrogativi dell’esistenza? Poi magari non si pronuncia, non ce la fa, non se la sente, ma le risposte ce l’ha tutte ben presenti. Sicuro che sia da buttar via senza nemmeno scartarla la risposta di chi sostiene che la nostra condizione presente è quella del feto? Per il feto è bene quello che lo spinge fuori dal ventre materno, ed è negativo tutto quello che tenta di bloccarlo a nuotare per l’eternità nel liquido amniotico. ZÈr Theologie des Todes, del grande Karl Rahner. La teologia della morte: un libro esaltante tanto quanto è stato per l’ennesima volta deprimente il rito del recente carnevale. Se Dio vuole, anche quest’anno la Quaresima se l’è portato via.