Mentre scrivo queste righe, pare ormai certa la elezione di Alessandra Todde alla presidenza della Regione Sardegna. Però il margine è così stretto che non si può escludere che i voti contestati portino a un riconteggio che modifichi il risultato. Ma cambierebbe poco per quello che intendo dire ora; e cioè che dal punto di vista delle strategie elettorali c’è stata in Sardegna, fra i due schieramenti che convenzionalmente chiamiamo destra e sinistra, una gara a chi sbagliasse di più.
La destra partiva con il doppio vantaggio di essere la maggioranza di governo nel Paese, e la maggioranza uscente nella Regione. Anzi, aveva un vantaggio ulteriore: quello di avere come candidato presidente della Regione il sindaco in carica del capoluogo regionale, quindi un personaggio che si poteva supporre autorevole e conosciuto. Errore: una discreta fetta degli elettori di destra ha dato il “voto disgiunto” ossia ha votato per i candidati consiglieri ma non per il candidato presidente, e i più cattivi in questo senso sono stati proprio i cagliaritani, quelli che lo conoscevano meglio.
Eppure ormai dovrebbero averlo capito tutti, che in queste elezioni dirette (di un sindaco, di un presidente di regione, domani forse di un capo del governo) quello che conta di più è la persona del candidato, e dunque bisogna sceglierlo con cura; ma qui avevano sbagliato. Avevano scelto bene, invece, quelli della sinistra, con Alessandra Todde. In questo caso, però, troppa grazia: di candidati ne avevano due (l’altro era Soru) e così hanno diviso un elettorato che, se avesse votato compatto, avrebbe superato il 50%.
Per sua fortuna, Todde ha vinto lo stesso, ma bastava una manciata di voti in meno e avrebbe perso, non potendo utilizzare quell’8% e rotti sprecato per Soru, che sarà una bravissima persona ma era fuori gara. E anche questo – e cioè che nelle elezioni con questa formula chi vuole vincere deve riunire tutte le forze intorno a un candidato solo – dovrebbero averlo capito tutti. A quanto pare invece ci sono gruppi politici ai quali non interessa tanto vincere, quanto affermare la loro presenza ed avere così, nei confronti dei partiti maggiori, un potere di condizionamento, diciamo pure di ricatto, e vendere caro il proprio appoggio. È così che fu fatto cadere Prodi, fino a far tramontare la sua stella. Il vizio è rimasto.