di Daris Giancarlini
Parlare o tacere di Greta Thunberg, accogliere o rilanciare il suo allarme sulla fine del pianeta, tifare o no per la 16enne svedese. L’opinione pubblica, quella che la avversa, si divide sulla sua figura, si chiede “chi la manda”, ne sottolinea i difetti fisici e le patologie, vere o presunte.
Per qualcuno, stare dietro alle filippiche pro-ambiente di questa ragazzina non è altro che un modo per rinviare una discussione seria approfondita e, soprattutto, sostenuta da dati scientifici inoppugnabili, sulle cause del riscaldamento globale e dell’inquinamento del pianeta.
Ma prima di Greta, se ne parlava? Non mi pare di ricordare niente di simile. Invece ricordo benissimo quando generazioni di giovani scendevano in piazza “contro” qualcosa o qualcuno. E mai “per” una causa che riguarda tutti, ma proprio tutti, come succede da quando Greta parla di ambiente.
Quindi, se le trecce della 16enne svedese che vuole salvare la Terra hanno una forza come simbolo, ce l’hanno sulla possibilità o meno (fatti salvi i cicli naturali del nostro pianeta) di verificare se è possibile agire sui motivi dei cambiamenti climatici. Cause che fanno riferimento prima di tutto alla strutturazione del sistema produttivo mondiale.
Lo ha capito tra i primi Papa Francesco, che oltre ad aver dedicato alla questione ambientale una puntuale enciclica – per il marzo prossimo ad Assisi ha convocato un grande vertice sui temi dell’economia. Perché l’economia è la traccia del piede dell’Uomo sulla Terra: se è troppo pesante, la Terra è destinata a cedere.