“Paolo e Barnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede”: è quanto leggiamo nella I Lettura della V domenica di Pasqua.
Prima lettura
Il brano è tratto dagli Atti degli Apostoli ed il contesto è quello della fase conclusiva del primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba.
Nonostante le ostilità incontrate soprattutto da parte di alcuni giudei, i due apostoli hanno potuto annunciare la Parola di Dio e l’esito complessivo è stato decisamente fruttuoso. Allora si presenta la necessità di ‘ritornare’ presso le città evangelizzate per designare “alcuni anziani” che fungano da guide e maestri delle comunità dei credenti in Cristo.
In soli cinque versetti sono nominate ben sei città e due regioni (dell’attuale Turchia) che Paolo e Barnaba attraversano per evangelizzare e confermare nella fede, dopodiché anch’essi ‘ritornano’ nella città delle origini missionarie, Antiochia di Siria, per riferire l’entusiasmante notizia di come Dio “avesse aperto ai pagani la porta della fede” per mezzo loro. Questo dinamismo missionario ottiene quindi di realizzare l’invito di Gesù di “evangelizzare tutte le nazioni” (Mt 28,19) e questo respiro universalistico è già prospettato nel Salmo responsoriale con cui rispondiamo alla I Lettura.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Atti degli Apostoli 14,21b-27SALMO RESPONSORIALE
Salmo 144SECONDA LETTURA
Dal Libro dell’Apocalisse 21,1-5a
Salmo
Il Salmo 144 (145) è infatti una lode al Signore ‘attribuita’ a David e scandita in forma alfabetica i cui versetti delle lettere centrali (Chet-Mem) sono quelli che ci riguardano ed insistono sulla totalità degli esseri viventi che il Signore vuole raggiungere: “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature … per far conoscere agli uomini le (sue) imprese”.
Seconda lettura
Il messaggio dell’universalità salvifica lo ascoltiamo anche dal Libro dell’Apocalisse. La pagina è tratta dal capitolo 21, il penultimo di tutta la Sacra Scrittura, ed è straordinariamente suggestivo perché, dopo la sconfitta definitiva del male che viene descritta nei capitoli immediatamente precedenti, ora è il momento della vittoria e della gloria definitive, l’incombere festoso della Gerusalemme celeste.
Essa è presentata con il ripetersi dell’aggettivo ‘nuovo’ proprio per sottolineare un legame rinnovato con il Signore e perciò in questa “città santa” non c’è più “il mare” considerato appunto nella mentalità giudaica la sede delle energie contrarie a Dio. Inoltre la relazione tra Gerusalemme e il Signore è presentata con il linguaggio amoroso ed intimo: la “sposa adorna per il suo sposo” … “essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro”.
Il legame del Signore con Gerusalemme ed esteso a tutti i popoli è quindi basato sulla reciproca appartenenza e garantito dalla perennità della presenza divina (“la tenda di Dio con gli uomini”), nonché caratterizzato dall’assenza del dolore e del lutto. Ormai si tratta di una prospettiva mai prima vissuta: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
Vangelo
La pagina del Vangelo secondo Giovanni ci presenta l’ambito in cui Gesù consegna il comandamento ‘nuovo’ dell’amore. È il momento in cui Gesù si trova nel cenacolo e Giuda è appena uscito per andare a tradirlo, perciò quanto dice ora ai discepoli lo dice con la consapevolezza nel cuore e nella mente di aver iniziato la Sua Passione.
Nonostante questo, Egli parla della gloria del “Figlio dell’uomo”. Il Suo discorso inizia con l’avverbio di tempo ‘ora’, avverbio che pochi versetti prima (12,23.27) è stato usato per introdurre l’‘ora’ che Gesù vive in questa notte dopo l’Ultima Cena e che Gli donerà la ‘glorificazione’.
Non parla in prima persona, ma con il titolo di ‘Figlio dell’uomo’ secondo la profezia di Daniele che aveva additato il Messia proprio con questo titolo. La gloria che Lo distinguerà non è qualcosa di astratto come possiamo pensare nella odierna mentalità. Il termine greco (doxa) che qui è tradotto con ‘gloria’ non si rifà al significato classico (‘opinione’) ma al corrispondente ebraico dell’Antico Testamento (kabod) ed esprime il concetto di pesantezza, di spessore.
Insomma, la glorificazione del Figlio dell’uomo eserciterà una potenza tangibile che passerà attraverso la cruda Passione e l’orribile Morte. E, sempre parlando in terza persona, Gesù fa presente l’unità e la reciprocità che c’è con il Padre: “Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua”.
Premessa questa comunione d’amore tra Gesù e il Padre, il discorso si rivolge ai discepoli, discorso che è il“comandamento nuovo” e in un certo modo il testamento di Gesù: “che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. L’accento è da porre sul “come” (gr. kathos), ovvero si potrebbe dire nella misura in cui … o dal momento che …nonostante le fragilità umane (dubbi, rinnegamento, tradimento) Gesù ha amato i discepoli a tutti costi.
Così li avvisa anticipando che anche tra loro ci saranno incomprensioni, fraintendimenti, eccetera, eppure l’amore reciproco è il banco di prova e il motivo della stima e della riconoscenza da parte degli altri: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
Il comandamento dell’amore è quindi straordinariamente potente e incoraggiante: i cristiani possono anche essere perseguitati o subire attentati, ma se tra di loro c’è amore reciproco, l’adesione a Cristo e alla Sua Chiesa nessuno la può fermare.
Giuseppina Bruscolotti