Senza alcun rimpianto, il Carnevale è passato. Forse solo i bambini ne hanno potuto godere per un attimo della loro vita spensierata e ignara. La Quaresima ci riporta al senso del reale, e potrà forse rasserenarci alquanto nella meditazione dei grandi misteri della vita e della storia. La cenere sparsa sul capo dei fedeli è un velo sottile di tristezza. La violenza – che assume, ogni giorno di più, tinte fosche di atrocità sfacciata ed esasperata – rischia di esasperare gli animi. La guerra di aggressione dell’Isis si fa più acuta e vicina, più minacciosa, e diretta anche verso l’Italia. Ritorna in circolo la parola “guerra” non solo per esecrarla, ma per legittimarla (p.es. Galli Della Loggia, Corriere della sera, 15 febbraio). L’aggressività difensiva e punitiva conquista il sentimento di molta gente. Un giovane signore, ben distinto e ben messo socialmente, mi ha detto: “Dio mi perdoni, ma io quella gente lì la strozzerei con queste mie mani”. Si parlava degli assassini dei 21 cristiani copti egiziani decapitati. Barbaramente uccisi “solo perché cristiani”, come ha amaramente commentato il Papa. Ripetevano: “Gesù, aiutami!”. L’Italia – che potrebbe essere costretta a decisioni drammatiche per evitare che la violenza, come un incendio, divampi dal Nord Africa alle coste del nostro Sud – sta facendo una guerra anch’essa vicina e preoccupante: guerra di carte, di cavilli, di procedure, di parole, di regole di buona educazione democratica… diciamo pure: di nulla, di vuoto, di problemi lontani dalle esigenze reali e concrete, e tuttavia tutto ciò è necessario per fare un passo avanti nel cammino di riforme del nostro Paese. Guerra con ‘assalto’ alla Presidenza della Camera dei deputati, saltando sui banchi e prendendosi a pugni. Fuori da ogni buon senso e da ogni razionalità. Si litiga per l’orgoglio frustrato di partiti e di personaggi indisposti a cedere il passo.
Qualcuno a Ballarò di martedì scorso ha detto: “Come si può pensare che una classe politica dirigente di questo tipo possa affrontare un conflitto bellico vero e proprio?”. Ma in questi giorni c’è stato anche un altro richiamo di attenzione, almeno per coloro che seguono la storia delle idee e dei movimenti sociali e culturali. Noi cristiani, soprattutto laici impegnati e maturi, e anche i mass media d’ispirazione cristiana, siamo costretti a farlo. Ebbene, il richiamo viene da un gruppo di affiliati alla massoneria sotto l’egida dell’Accademia dei Filaleti, (Corriere dell’Umbria, 15 febbraio; vedi anche Il Sole 24 Ore, stessa data), i quali hanno rievocato la figura di Giordano Bruno, bruciato vivo in Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio 1600 con l’accusa d’essere eretico, sostenitore di idee anticattoliche. Invitato per un lungo periodo a rivedere le sue posizioni, e dopo un processo durato anni, rifiutò ogni suggerimento e minaccia, e sfidò i suoi giudici esaltandosi con quegli “eroici furori” che lo hanno fatto diventare il paladino del libero pensiero. La Chiesa, che all’epoca aveva il potere temporale e si comportava secondo le leggi del tempo, ha poi considerato questa condanna come un errore, e ha compiuto un lungo percorso di correzione fino giungere, a metà del XX secolo, con il Concilio Vaticano II, a emanare una dichiarazione sulla libertà di coscienza (Dignitatis humanae, 1965). In Europa il problema non esiste, anzi esiste un problema di segno opposto: l’eccesso di una libertà sfrenata e assoluta che nega ogni principio di vita e di fede, e finisce per negare se stessa.
I laici “amanti della verità” (Filaleti) e moltissimi membri delle associazioni e delle Logge un compito comunque ce l’hanno, e hanno un enorme campo d’azione davanti a loro. Una missione storica: vadano come ‘missionari laici’ del libero pensiero a insegnare la tolleranza e il diritto alla libertà di pensiero, di parola, di associazione, di stampa, di poter cambiare l’appartenenza religiosa, a tutte quelle popolazioni genericamente di religione e cultura musulmana che hanno nelle loro leggi e nel sentire profondo un grande senso dei doveri verso Dio e verso la religione, ma puniscono la blasfemia, l’apostasia e ogni altra parola e azione che suoni offesa a Dio e al suo Profeta. In questa direzione potranno usufruire degli esempi del passato, anche remoto, per un fine serio, culturale, sociale e politico; altrimenti, ritornare con enfasi e retorica trionfalistica a fatti accaduti 415 anni fa è solo una “discussione accademica”.