Allarme mafia nel settore alimentare

Convegno alla facoltà di Agraria dell’Università di Perugia

Agricoltura-e-caporalato-(Foto-archivio)-raccolta-pomodoriLa mafia adesso non spara. “È silente, le sue forme di intimidazione oggi sono il non detto; sussurra, accenna. È liquida, e come acqua si infiltra nella economia, nella società”. Parole di Gian Carlo Caselli, l’ex magistrato che, dopo avere combattuto negli anni ’60 nella sua Torino le Brigate rosse e Prima linea, nel 1992, dopo la morte di Falcone e Borsellino, volontariamente scese a Palermo. In Sicilia, come procuratore della Repubblica, per sette anni aveva diretto la lotta dello Stato contro la mafia. Poi con la pensione ha lasciato la toga ma continua il suo impegno nel contrasto alle mafie come responsabile della segreteria scientifica dell’Osservatorio della Coldiretti sulla criminalità organizzata nel settore agroalimentare.

In questa veste ha partecipato venerdì scorso, nell’aula magna della facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, a un convegno sui “nuovi volti delle mafie”. La loro filosofia – ha detto a studenti e docenti – è quella del “piatto ricco, mi ci ficco”. Per la criminalità organizzata è facile inserirsi in ogni segmento della filiera agroalimentare: con prestanomi e la complicità di “colletti bianchi” acquista terreni, gestisce aziende agricole e in certe zone ha anche il monopolio dell’acqua per l’irrigazione. Fino ad arrivare a un totale controllo del territorio con le estorsioni e il furto di attrezzature e bestiame.

“Anche l’Umbria – ha rimarcato il prefetto di Perugia, Raffaele Cannizzaro – non è più terra vergine. Non c’è un’occupazione territoriale da parte delle mafie, ma cresce il pericolo di un’occupazione dell’economia”.

Il prof. Enrico Carloni ha detto che nella nostra regione ci sono 74 beni confiscati alla criminalità organizzata. Si tratta di terreni, aziende agricole, appartamenti, supermercati, aziende di vario tipo e perfino un castello. Per i mafiosi e i loro prestanome, con i soldi “sporchi” dei traffici di droga, armi, sfruttamento della prostituzione, non è difficile trovare beni e aziende in crisi da acquistare.

L’anno scorso – ha riferito il prefetto – sono state emesse in provincia di Perugia tre interdittive antimafia; una di esse riguardava un noto hotel di Assisi di proprieta di un ente di assistenza e beneficenza che, per la gestione, lo avebbe affidato a persone contigue alla criminalità organizzata. In regioni tranquille come l’Umbria – ha spiegato – spesso “manca la consapevolezza” del pericolo di queste infiltrazioni criminali, non si percepiscono i “segnali” di una loro presenza. “La nostra frontiera – ha concluso – deve essere quindi la conoscenza di questi pericoli”.

L’Università e l’associazione Libera contro le mafie hanno firmato un protocollo per rispondere alla esigenza della diffusione di una “cultura della legalità”, e il convegno si inseriva in questo progetto. Per elaborare un “modello antimafia” – ha detto il referente di Libera Umbria, Walter Cardinali – frutto della collaborazione e sinergia tra istituzioni, centri studi e di ricerca e associazioni del volontariato.

Nel convegno sono stati affrontati vari aspetti del pericolo “agromafie”. Il prof. Gaetano Martino ha parlato dello sfruttamento del lavoro. Ortaggi e frutta vengono pagati troppo poco a chi li produce. Per contenere i costi di produzione e raccolta, si è arrivati a situazioni di vera e propria schiavitù, con il reclutamento di manodopera gestito dalle mafie e retribuzioni anche di 2 euro all’ora.

Secondo Caselli, sarebbero almeno 100 mila questi nuovi schiavi nelle campagne italiane, in gran parte stranieri. Tra loro molte le donne, talvolta sfruttate anche sessualmente. C’è però – ha detto l’ex magistrato – anche un “caporalato estero, per noi invisibile, che sfrutta nel mondo il lavoro milioni di minori e che fa arrivare nei nostri negozi prodotti sottocosto e di bassa qualità, aumentando le difficoltà degli agricoltori locali”.

Il prof. Carlo Fiorio si è occupato delle norme per contrastare frodi commerciali e contraffazione, ma le sanzioni – ha detto – “sono troppo lievi e non sufficientemente dissuasive”. Caselli le ha addirittura definite “un groviera piena di buchi”. Per aggiornarle, nel 2015 è stata costituita una commissione di docenti universitari, esperti e rappresentanti delle associazioni di categoria presieduta proprio dall’ex magistrato. “Abbiamo presentato – ha riferito – un progetto complessivo di riforma che introduce anche nuovi reati, ad esempio la pubblicità ingannevole, per una maggiore tutela dei consumatori, della salute e dell’ambiente”.

Un progetto che però è rimasto nel cassetto. “E la mia impressione – ha detto – è che ci siano resistenze, anche legittime, della grande industria”.

 

AUTORE: Enzo Ferrini